Verso i nuovi ITS : Luci e ombre nella nuova formazione
Alessandra Servidori https://www.ildiariodellavoro.it/ 30 novembre 2021
Verso i nuovi ITS : cerchiamo di capire meglio luci e ombre
La legge approvata dalla Camera il 20 luglio scorso e in attesa di essere presentata al Senato, ammoderna gli Istituti tecnici superiori (Its), rinominati Its Academy, che divengono una componente strutturale del sistema educativo italiano: un canale formativo terziario parallelo all’università in continuità con il sistema di istruzione e formazione tecnica e professionale e con i licei, simile a quelli esistenti da tempo in Germania, Francia, Spagna, Svizzera. L’articolo 1 della legge dichiara che l’Its è un «sistema» centrato sulle finalità di innovazione richieste dal Pnrr; è uno sbocco terziario sia ai percorsi di istruzione e formazione tecnica, di competenza regionale, sia ai percorsi di formazione secondaria come i licei, di competenza statale. A differenza dell’università e degli istituti di istruzione secondaria, tuttavia, non è costituito da un sistema «statale» centralizzato: coordinamento e finanziamento sono nazionali, ma la competenza sulla programmazione e sull’erogazione degli Its è regionale. La soluzione che il ddl trova è di proporre un dispositivo dinamico di co-determinazione fra Stato e Regione sulla governance, sui decreti attuativi, sulla gestione. Un processo delicato che andrà gestito con una organizzazione cooperativa efficace e efficiente.Il ddl dice che gli Its si occupano di «formazione professionalizzante di tecnici superiori con elevate competenze tecnologiche e tecnico-professionali». Forse meglio sarebbe stato precisare che essi formano «professioni a larga banda»: infatti le nostre ricerche rilevano che già oggi gli Its formano «tecnici destinati ad applicare e gestire innovazioni tecnologiche e organizzative operando nei processi di produzione di beni e servizi, con una elevata expertise in ambito digitale e tecnologico e organizzativo, con distintive competenze sociali». Il ddl prevede che gli Its Academy abbiano altre funzioni oltre a quelle formative: diffusione della cultura scientifica e tecnologica; orientamento permanente dei giovani verso le professioni tecniche; aggiornamento e formazione dei docenti di discipline scientifiche. Già oggi molti di essi sono laboratori di sviluppo di metodologie didattiche attive che possono essere trasferite ad altri canali formativi e che la riforma dovrà potenziare .Ma sono, o stanno diventando, anche laboratori di innovazione in cui imprese e sistema dell’istruzione sviluppano insieme progetti e soluzioni di prodotti e servizi e sono aree di consulenza alle imprese.Questa legge sancirà che università e Its conducano insieme la medesima partita: accrescere l'occupazione giovanile e la produttività e l'innovazione delle imprese.Il disegno di legge affronta uno dei nodi che avevano fomentato la presunta concorrenza fra Its e università: si stabilisce che esistono due canali di formazione terziaria paralleli e che l’Its può anche offrire corsi di sei semestri con certificati di livello VI dell'European Qualifications Framework. L’Italia è al penultimo posto in Europa per iscritti a un corso di formazione terziaria, universitaria e non. Per questo, finalmente, questa legge sancirà che università e Its debbano condurre insieme la medesima partita: accrescere occupazione giovanile e insieme produttività e innovazione delle imprese; superare il mismatch fra competenze richieste e competenze disponibili; e soprattutto sviluppare quei nuovi ruoli e professioni che emergeranno nei processi di innovazione.Vero è che l’università dovrà formare, oltre che scienziati e specialisti, anche figure di progettisti dei nuovi sistemi tecnologico-organizzativi: architetti multidisciplinari dei sistemi socio-tecnici nell’industria e nei servizi. Gli Its, dal loro conto, avranno prevalentemente il compito di formare tecnici e professional attuatori e integratori e nuovi capi intermedi che si occuperanno di gestire sistemi e processi ad alta complessità, per lo più digitalizzati. La divisione del lavoro fra università e Its sarà quindi parte integrante dell’energico processo di costruzione dei ruoli e delle professioni della 4° rivoluzione industriale e delle nuove competenze.Fra lauree e Its deve esserci divisione del lavoro ma anche una programmata «permeabilità» e un impegno comune nell’orientamento. Occorre favorire il passaggio dall’università all’Its e viceversa, attivando «passerelle» bidirezionali. Oltre il 30% degli studenti oggi abbandona i corsi di laurea tecnico-scientifici dopo il primo anno. D’altra parte molti studenti dell’Its al termine del loro percorso vogliono proseguire con una laurea.Poi per quanto successo possano avere, gli Its non risolvono il problema di limitare i processi di esclusione, drop out, Neet che si addensano nelle aree della formazione e istruzione secondaria tecnica. È pertanto un intervento non facile su tutta la filiera della formazione tecnica: istruzione tecnica, istruzione professionale, IeFP, Academy aziendali sono regolati da soggetti diversi (Regioni, ministero dell’Istruzione, aziende).Gli Its Academy sono forme organizzative innovative: si costituiscono come fondazioni di diritto privato che si assumono l’impegno di gestire una istituzione pubblica. Le Fondazioni Its inoltre possono diventare in tutta Italia nodi di reti governate: sia reti multiterritoriali sia reti settoriali. Nella prospettiva dello sviluppo di un sistema nazionale, dovrebbero essere potenziate le reti multiterritoriali, che diano agli Its la stessa visibilità e legittimazione dei licei e delle università. Le reti settoriali a loro volta possono rendere gli Its risorsa preziosa per lo sviluppo dei settori produttivi: sia quelli tradizionali da innovare sia quelli emergenti.Il ruolo delle rappresentanze delle imprese e dei lavoratori nel ddl è previsto negli organi collegiali. Il problema chiave è la promozione della partecipazione attiva delle singole imprese e dei sindacati nella gestione delle Fondazioni Its. Occorre promuovere l’interesse e l’impegno anche delle imprese di minori dimensioni e importante è il coinvolgimento dei sindacati di categoria e territoriale su temi concreti, valorizzando la bilateralità: per esempio per la formazione continua (reskilling, upskilling) dei lavoratori.Per quanto riguarda il finanziamento, il ddl prevede un Fondo per l’istruzione e la formazione tecnica superiore, con una dotazione a 68 milioni di euro per l’anno 2021 e a 48 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022. Non si fa riferimento al Pnrr, che porterà le risorse a una media di 200/250 milioni di euro l’anno, presumibilmente in una logica di crescita progressiva. Che cosa succederà fra sei anni? Si tornerà al mero fondo statale?Il ddl non dedica poi particolare rilievo ad alcune questioni chiave per lo sviluppo del sistema: innanzitutto la necessità di aumentare l’attrattività dei percorsi terziari Stem attraverso borse di studio, collegi, corsi preparatori all’accesso all’Università e agli Its, per favorire le ragazze e i ragazzi meno abbienti e cresciuti in ambienti non-Stem. Bisogna fare molto orientamento delle scuole secondarie e comunicare alle famiglie e ai giovani le possibilità occupazionali e la qualità della proposta didattica dell’Its.Per realizzare le promesse contenute nel disegno di legge è necessario potenziare l’organizzazione a tutti i livelli: la struttura e il funzionamento degli organi collettivi di governance e degli organi che svilupperanno gli atti attuativi; i presìdi della gestione di finanziamenti; i presìdi della gestione del cambiamento; le strutture dedicate del ministero e delle Regioni; e soprattutto l’organizzazione delle Fondazioni Its e delle loro reti. Esse dovranno essere tutte mission driven organizations ossia organizzazioni guidate dagli obiettivi economici, occupazionali e sociali del Pnrr. Organizzazioni che vanno progettate e gestite usando quei modelli, pratiche, metodologie evolute e non burocratiche che le scienze organizzative e le migliori organizzazioni ci hanno reso disponibili negli ultimi decenni. Per attuare la legge, sono indispensabili due strumenti non giuridici: un piano economico per utilizzare il Pnrr e un percorso di change management strutturale, ossia un percorso di cambiamento culturale e strutturale che riguarda diversi livelli del sistema
25 novembre www.il sussidiario.net proposte concrete che valgono molto anche più delle taxk force
Alessandra Servidori
https://www.ilsussidiario.net/news/giornata-contro-la-violenza-sulle-donne-le-azioni-che-valgono-piu-delle-task-force/2255086/
La giornata è internazionale e ancora una volta stride con la retorica ed è addirittura irritante poiché la violenza sulle donne si è accanita ancora più dolorosamente in questi tempi di pandemia. E siamo sempre al momento degli annunci ma poi il bollettino si macchia di nero costantemente di più. Certo scarpe e panchine rosse sono simboli della mattanza ma peggio è quando creiamo delle aspettative poi deluse. Dal codice rosso dei pochi pronto soccorso, alle case per le donne sempre meno sostenute dalle risorse pubbliche .per non parlare di “buona scuola” dove si pretende di affrontare senza adeguata preparazione delle insegnanti la questione del rispetto di genere, fino ad arrivare ai ddl demagogici e al mettere insanamente all’indice le forze dell’ordine ree di non avere prestato attenzione alle denunce. Il governo ha riannunciato, ma non a tutti è dato il privilegio del testo, una task force multidisciplinare per il raccordo e, in casi specifici, la gestione delle misure previste dal Pnrr in favore dell’empowerment delle donne vittime di violenza. E’ una delle promesse del nuovo piano anti violenza per il 2021-23, passato in conferenza unificata, e che vedrà la luce anche dettagliata il 25 novembre . L’obiettivo della ennesima task force è integrare e supportare il modello di governance già preesistente nella realizzazione degli interventi previsti dall’iniziativa Next Generation EU, dall’impiego dei Fondi strutturali e di investimento europei (Fondi SIE). Si annuncia un piano operativo agganciato al piano triennale precedente, che ,ahi noi!, non ha funzionato. Dunque si parla ancora di prevenzione, protezione , sostegno e assistenza delle vittime, punizione dei colpevoli. Si promette di combattere la violenza economica con l’ alfabetizzazione finanziaria, tirocini retribuiti, norme per favorire l’inserimento lavorativo ,e dunque ancora una cabina di regia, un osservatorio, il collegamento con il territorio in nome della Direttiva di Istambul del 2013 : sfide aperte e per nulla risolte. Ma in attesa che il piano funzioni davvero almeno due azioni positive sulle quali abbiamo in un gruppo che diventa sempre più ampio, muoverci. E sono entrambi rivolte alle madri in difficoltà perché la violenza non le offenda ancora di più. Si tratta di contrastare l’utilizzo da parte dei tribunali civili del concetto di alienazione parentale nell’ambito di procedimenti civili che accompagnano la definizione delle separazioni nei casi di violenza contro le donne madri, utilizzata spesso come forma di condizionamento nei confronti delle donne vittime di violenza. La Corte di Cassazione è stata di nuovo chiamata ad esprimersi, con un’ulteriore ordinanza (la n. 13217/21) in tema di Pas e di Sindrome della Madre Malevola. E’ necessario, che, laddove vi sia una condanna penale per maltrattamenti, il procedimento di affido dei figli, applichi il chiaro ed inderogabile obbligo del rispetto di quanto previsto sia dalla Convenzione di Istanbul in materia di protezione della vittima nei processi di affido dei figli e del Gruppo di esperti europei incaricato di monitorare l’attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. L’altra proposta che presentiamo in un appello al Governo è che alle madri in condizioni di difficoltà che non possono allattare i propri figli al seno sia dato gratuitamente il latte in polvere : non possiamo lamentarci che la povertà aumenta tra le donne che la natalità diminuisce drasticamente e NON aiutare le madri fragili. Si tratta di una decrescita che, se valutata in termini assoluti, è stata sette volte più grande di quella registrata a gennaio 2020, allorché si ebbero 729 nati in meno rispetto allo stesso mese del 2019, mentre in termini relativi giunge a configurare una variazione negativa a due cifre (-14,3%), superiore di oltre dodici punti percentuali a quella corrispondente nel 2020.E tra le famiglie monogenitori (uomini e donne), l'incidenza della povertà relativa si attesta al 13,9%. Tale percentuale sale al 15,7% nel caso di madre sola con almeno un figlio minore. Questa nostra riflessione /proposta è lotta alla violenza perpetrata sulle donne. Il latte in polvere poi costa poco, vale tanto e da subito concretamente si può fare.
https://ultimenews.info/cronaca/giornata-contro-la-violenza-sulle-donne-e-la-vignetta-choc-sul-fatto-quotidiano/ Erica Venditti : una giovane giornalista autrice di un sito molto dinamico riprende punto per punto le iniziative sulla giornata internazionale delle donne.
Alessandra Servidori 25 Novembre 2021
IL LATTE IN POLVERE GRATUITO ALLE MADRI FRAGILI CHE NON POSSONO ALLATTARE
Alessandra Servidori 25 Novembre 2021
Alla Cortese Attenzione del Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi
Perché la giornata contro la violenza sulle donne abbia un atto concreto e subito nel nostro Paese ,Le chiediamo, caro Presidente Mario Draghi di sostenere il nostro Appello :
La proposta che presentiamo in un appello al Governo è che alle madri in condizioni di difficoltà che non possono allattare i propri figli al seno sia dato gratuitamente il latte in polvere : non possiamo lamentarci che la povertà aumenta tra le donne, che la natalità diminuisce drasticamente e NON aiutare le madri fragili. Si tratta di una decrescita che, se valutata in termini assoluti, è stata sette volte più grande di quella registrata a gennaio 2020, allorché si ebbero 729 nati in meno rispetto allo stesso mese del 2019, mentre in termini relativi si giunge a configurare ad oggi una variazione negativa a due cifre (-14,3%), superiore di oltre dodici punti percentuali a quella corrispondente nel 2020.E tra le famiglie monogenitori (uomini e donne), l'incidenza della povertà relativa si attesta al 13,9%. Tale percentuale sale al 15,7% nel caso di madre sola con almeno un figlio minore. Questa nostra proposta si ascrive a fianco delle iniziative che il Governo si è assunto ed è, anch’ essa, un sostegno alla lotta alla violenza perpetrata sulle donne. Il latte in polvere in carico al Servizio Sanitario Nazionale costa poco, vale tanto e da subito concretamente si può fare.
La ringraziamo di cuore Alessandra Servidori
Abbiamo già raccolto un migliaio di firme del nostro appello tra le quali
Marina Biagi,Lorenzo Biagi, Sonia Alvisi ,Marco Strada, Carla Facchini,Davide Bianconi,Enrico Procapio, Francesco Comellini, Simone Fanfarillo,Stefania Sidoli, Giuliano Cazzola, Maria Elena Golfarelli,Mariangela Pani, Annita Ferri,Paola Girolami, Grazia Labate Maria Rita Meucci,Alba Dall’Acqua, Magda Mandrioli, Maurizio Tognetti,Luisa Cortese,Maria De Fazio, Rosanna Santonocito ,Maria Teresa Conti ,Ester Tomesani,Ester Pandolfini, Anna Servidori,Francesca Monteguti, Roberta Servidori, Carla Chirico, Barbara Maiani,Fiorella Fiore,Maria Stella Querzola Barbone, Michela Barattini,Maria Franca Levi,Piero, Chiara,Franca Lina, Barbara Servidori, Luisa Festa, Stefania Scoglio,Tiziana Baracchi,Raffaella Pannuti, Daniele Mandrioli,Gennaro Mancino,Nicoletta Durante,Claudia Corso,Francesco Pitrelli,Armando Menichelli,Renata Rizzo Bigoni Silvio,Enrico Maria Pedrelli, ……..
23/ Novembre/2021
Assegno unico universale per famiglie .Dove è ?
Alessandra Servidori
https://www.ilsussidiario.net/news/assegno-unico-i-conti-che-penalizzano-le-famiglie-a-basso-reddito/2249754/
Le disposizioni finanziarie le troviamo ,per ora, nel decreto legge dell’8 giugno n. 79 art 8 Misure urgenti in materia di assegno temporaneo per figli minori. Disposizioni finanziarie Omissis “. Agli oneri derivanti dagli articoli 2 e 6, pari a 1.610 milioni di euro per l’anno 2021 e agli oneri derivanti dall’articolo 5 valutati in 1.390 milioni di euro per l’anno 2021, si provvede mediante corrispondente riduzione per 3.000 milioni di euro per l’anno 2021, dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 339, della legge 27 dicembre 2019, n. 160.” . Parliamo dell’assegno unico universale per i figli per il 2022 i cui requisiti sembrano già fissati ( tranne cambiamenti ) presentato già in aprile del 2021 come evento straordinario, importante supporto alla genitorialità,ma ad oggi ancora il decreto legge definitivo non è stato emanato. Le notizie sono confuse ,si alternano, ma vero è che sappiamo dai conti fatti con i dati a disposizione che la razionalizzazione dei sostegni alla famiglia con misure come il bonus 800 euro importante per le spese in gravidanza e il bonus bebè lasciano un vuoto evidente poiché è probabile che alcune famiglie percepiranno un assegno minore dell’attuale. Vista la complessità dell’operazione messa in atto dal Governo, il quale si e’ preso tempo (rinviando l’entrata in vigore dell’assegno unico per i figli da luglio 2021 a gennaio 2022) per aggiustare alcuni strumenti organizzativi in capo a Inps ( molto oberato da funzioni da riorganizzare relative all’assegno di cittadinanza, alle politiche attive insieme ad Anpal, i controlli sull’assegno di invalidità ,anche per calcolare il dovuto ai nuclei familiari che avrebbero potuto subire svantaggi dalla riforma. I conti precisi potremo farli quando avremo nero su bianco del decreto che comunque sarà operativo da marzo 2022 ma dai dati in nostro possesso a cd “bocce ferme” e incrociando varie simulazioni, non è improbabile che famiglie saranno penalizzate. Dipenderà sicuramente anche dall’individuazione dell’Isee di riferimento che qualora il Governo dovesse decidere d’innalzarne la soglia entro cui si ha diritto al massimo dell’importo e cioè a 15.000 Euro ovviamente i parametri si modificheranno. Ma su questo abbiamo buone ragioni per pensarlo, vedremo diminuzioni nel primo anno di vita del bambino, quando oggi una famiglia ha diritto agli 800,00€ del premio nascita, al bonus bebè che va dagli 80,00€ ai 160,00€ (più maggiorazioni per i secondi figli) e agli assegni al nucleo familiare (nel caso dei lavoratori subordinati) ed è possibile che a essere particolarmente svantaggiate dal passaggio all’assegno unico universale siano le famiglie con basso reddito, proprio quelle che in realtà dovrebbero essere maggiormente aiutate. Ricordiamo che fu La legge di bilancio 2020 a istituire il "Fondo assegno universale e servizi alla famiglia", indirizzato al riordino e alla sistematizzazione delle politiche di sostegno alle famiglie con figli. Nel Fondo, dal 2021, sono trasferite le risorse dedicate all'erogazione dell'assegno di natalità (c.d. bonus bebè) e del Bonus asilo nido, successivamente rifinanziato dalla legge di bilancio 2021. Poi l'istituzione del Fondo, la legge delega n. 46 del 2021 per il riordino, la semplificazione ed il potenziamento delle misure a sostegno dei figli a carico . A tali interventi si affianca il c.d. Family Act, di iniziativa governativa, che incide su materie diverse, quali: il sostegno all'occupazione femminile; la promozione della natalità, ecc. Sta di fatto che dai conti messi in fila che gli stanziamenti finanziari necessari per la realizzazione dell'assegno unico universale sono pari a 19 miliardi di euro l'anno. Saranno presumibilmente recuperati da nuove poste in bilancio ma anche risparmi di spesa:5 miliardi dall'eliminazione degli assegni familiari ANF ,370 milioni dal'eliminazione degli assegni alle famiglie numerose, erogati dai Comuni,400 dal riassorbimento anche del bonus bebé,6 miliardi arrivano dal Fondo per la riforma fiscale istituito nella scorsa legge di bilancio,6,3 miliardi saranno risparmiati dall'eliminazione delle detrazioni IRPEF per i figli a carico,1 miliardo è già disponibile come residuo del Fondo per la famiglia della legge di bilancio 2020. Attendiamo fiduciosi.
Come stanno le lavoratrici e i lavoratori italiani frontalieri a San Marino e gli altri ?
Alessandra Servidori
https://www.ildiariodellavoro.it/san-marino-e-dintorni-una-riflessione-sui-frontalieri/
Come stanno le lavoratrici e i lavoratori italiani frontalieri a San Marino e gli altri ?
La Repubblica di San Marino ha provveduto specialmente ultimamente ad offrire profili professionali adeguati alle molteplici iniziative imprenditoriali. Una forte attenzione è dedicata alla qualificazione professionale, alla formazione continua e all’upgrading delle competenze della forza lavoro. I profili professionali altamente qualificati sia per quanto riguarda la manodopera che il settore impiegatizio sono dovuti ad un sistema sinergico di formazione, caratterizzato da importanti ed innovative agevolazioni a supporto delle imprese e dei lavoratori soprattutto frontalieri. L’investimento in capitale umano è favorito da tipologie contrattuali a contenuto formativo e di riqualificazione e da strumenti incentivanti a disposizione degli operatori economici. Questo contribuisce al potenziamento delle conoscenze e delle competenze umane, favorendo una maggiore efficienza produttiva, rendimenti più elevati a vantaggio delle imprese e un modello di sviluppo basato sulla crescita. Dunque le disponibili professionalità richieste dalle imprese che operano in territorio, è rivolta a prestatori di lavoro non residenti a San Marino che attraverso e i servizi di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro vengono svolti da un ufficio pubblico e sono disponibili anche on-line.La concertazione fra i sindacati garantisce un equilibrio fondamentale per il mondo del lavoro. I contratti collettivi nazionali definiscono gli elementi di base e il contenuto del contratto di lavoro individuale. Questo modello migliora la produttività e porta al contenimento dei conflitti sociali.Il costo del lavoro è comunque competitivo grazie ad una minore incidenza degli oneri sociali sul fattore lavoro rispetto ai paesi vicini compresa e soprattutto l’Italia. Gli oneri contributivi a carico delle imprese variano in base alla forma giuridica e al settore di appartenenza dell’impresa.Le diverse tipologie contrattuali permettono alle imprese di disporre delle risorse umane in maniera flessibile in base alle proprie esigenze e sono particolarmente favorevoli per il datore di lavoro, anche in ragione degli incentivi economici previsti dalla normativa in materia. Sono molteplici gli incentivi a sostegno dell’occupazione, della formazione, dell’acquisizione delle competenze finalizzati all’inserimento o al reinserimento in azienda di determinate categorie di lavoratori e il reddito di lavoro dipendente prodotto dai frontalieri (residenti italiani che lavorano a San Marino) è tassato sia nel luogo ove è svolta l’attività lavorativa (con le aliquote del sistema fiscale sammarinese), sia in quello di residenza del dipendente (Italia), salvo il riconoscimento del credito di imposta per evitare (o quanto meno mitigare) la doppia imposizione nello Stato di residenza del lavoratore. Sui redditi da lavoro dipendente prodotti a San Marino l’Italia riconosce una franchigia, il cui importo viene deliberato da parte dell’Italia.In materia di protezione sociale i lavoratori frontalieri sono soggetti alle stesse tutele delle altre categorie di lavoratori e quindi versano i contributi previdenziali nello Stato in cui prestano l’attività lavorativa e percepiscono una pensione distinta per ogni Stato in cui sono stati assicurati per un periodo di almeno un anno. Recentemente poi è stato brillantemente risolto il caso targhe e dunque al divieto di circolazione, introdotto dal decreto Sicurezza del 2018, per i veicoli immatricolati nella Repubblica di San Marino e condotti da residenti in Italia da oltre 60 giorni e che coinvolgeva diversi lavoratori frontalieri. Il senato ha approvato un emendamento del relatore che concede ai lavoratori frontalieri di San Marino di guidare i veicoli aziendali in territorio italiano. Il provvedimento si iscrive nell’ambito della legge europea. Ma non è allargato a tutti. Infatti per i lavoratori al confine italo-francese e a Monaco che sono tanti il problema rimane e si è consumato una discriminazione perché i lavoratori non possono venire in Italia con camion, bus, furgoni ecc. per lavoro e rischiano un licenziamento. Si usano due pesi e due misure? Dai 400 ai 500 posti di lavoro a rischio licenziamento. Si configurano frontalieri di serie b oggetto di una penalizzazione di una legge inserita nel decreto sicurezza Salvini e che non si è voluta cambiare. Ma quale è la differenza ? Auspichiamo nel più breve tempo possibile un provvedimento allargato a tutti con ripensamento operoso e quindi anche un’attenzione alle esigenze di chi già lavora tra mille difficoltà.
Legge di bilancio 2022 :news sanità e lavoro
Legge di Bilancio 2022: news Sanità e Lavoro
Ieri è stata approvata anche in Senato la Legge di Bilancio 2022, che include alcune novità in tema di Sanità e Lavoro. Ne abbiamo parlato con la Prof.ssa Alessandra Servidori per far luce su un argomento che interessa tutti noi.
La Legge di bilancio 2022
Due miliardi in più per il fondo sanitario nazionale nel 2022. E poi altri due, rispettivamente nel 2023 e nel 2024. Il capitolo Sanità della Legge di Bilancio 2022 si apre con l’incremento del Fondo sanitario nazionale (Fsn). Il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard a cui corrisponde lo Stato viene fissato in 124,061 miliardi di euro per il 2022, in 126.061 miliardi per il 2023 e 128.061 miliardi per il 2024. Confermati dunque i sei miliardi in più annunciati per il prossimo triennio.
Si mettono sul piatto risorse fondamentali da affiancare a quelle del PNRR che sono comunque “a termine” (si interrompono nel 2026) necessarie soprattutto a riempire di “contenuti” (i professionisti) i “contenitori” che il Recovery Plan ha previsto e progettato per la salute sul territorio.
Obiettivo: riequilibrare il fondo sanitario
Operare per riequilibrare dopo anni di tagli il fondo sanitario è un impegno non indifferente, anche per riuscire a integrare gli organici, ormai ai minimi termini. Dopo i due miliardi previsti nel 2019, aumentati a 10 per l’emergenza Covid nel 2020 e poi a 20 con il PNRR, si è riusciti a introdurre un meccanismo di crescita del fondo più stabile. Si tratta dell’integrazione degli organici, che non può essere fatta con risorse ‘a tempo’, né proseguendo con l’immissione di nuovi precari come durante l’emergenza è stato indispensabile fare. È un passo avanti che si è fatto nell’organizzazione della sanità nazionale con le previsioni attuali della manovra 2022 e l’importanza di scelte che vanno davvero nel senso della tutela della Salute.
Il Parlamento deve vegliare e tutelare su queste risorse e, ora che la manovra 2022 è legge, il personale sanitario deve chiedere al Governo e alle Regioni di prevedere nuovi organici anche allargando la disponibilità didattica degli Atenei, introducendo anche le specializzazioni infermieristiche (anche l’infermiere di famiglia e comunità lo è) e condizioni di lavoro analoghe a quelle dei colleghi degli altri Paesi europei.
Le novità per le persone affette da malattie rare
Una legge ad hoc è fondamentale per una vera organizzazione a livello nazionale. Da gennaio 2022 sarà reso disponibile un Fondo di solidarietà per le persone affette da malattie rare, per ora solo di 1 milione di Euro (ma che potrebbe essere implementato durante la legge di Bilancio). Il Fondo servirà per il finanziamento delle misure per il sostegno del lavoro di cura e assistenza delle persone affette da malattie rare. Tra le altre cose, questo Fondo mira a favorire l’inserimento lavorativo della persona affetta da una malattia rara, garantendo a essa la possibilità di mantenere una condizione lavorativa autonoma.
L’esistenza di un fondo, che prima non c’era, è importante perché si potrà scegliere di finanziarlo in futuro anche con somme molto più ampie. La legge prevede esplicitamente il tempestivo aggiornamento dei LEA e stabilisce anche che in caso di ulteriori ritardi venga attuata una procedura alternativa.
Le novità per la formazione specialistica dei medici
Novità anche per la formazione specialistica dei medici. Ai fondi per le borse degli specializzandi si aggiungono 194 milioni di euro per il 2022. Poi a seguire: 319 milioni per il 2023, 347 per il 2024, 425 per il 2025, 517 per il 2027 e 543 per il 2027. La sanità si fa con l’organizzazione dei servizi, la salute si ha quando ci sono professionisti in grado di garantirla. Metà della somma stanziata è utilizzata per l’acquisto di vaccini e medicinali e l’altra metà sarà dedicata al potenziamento delle risorse per il Servizio Sanitario Nazionale. Il finanziamento del “Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale” (PanFlu 2021-2023) sarà impegnativo per l’adozione da parte delle Regioni dei decreti attuativi dei Piani pandemici regionali e provinciali.
Dovremo attenzionare molto la situazione delle donne perché a livello europeo l’indice di uguaglianza di genere ci pone in una graduatoria in situazione molto fragile, soprattutto per la mancanza di servizi sanitari per la prevenzione e la genitorialità.
Condivi
Malattie rare : finalmente approvata la legge ma siamo solo a metà del percorso
https://www.startmag.it/sanita/legge-sulle-malattie-rare-tutte-le-novita/ Alessandra Servidori
Finalmente approvata la legge sulle malattie rare che da anni attendavamo : diventano questione rilevante per la legge dello Stato.
Tra i tanti effetti negativi collaterali di questa pandemia alcun e persone affette da malattie particolarmente gravi e complicate hanno subito dei peggioramenti . Ma ieri almeno il testo unificato delle proposte di legge recante "Disposizioni per la cura delle malattie rare e per il sostegno della ricerca e della produzione dei farmaci orfani", noto come Testo Unico sulle Malattie Rare con il voto unanime della Commissione XII Igiene e Sanità del Senato, in sede deliberante, ha approvato il testo in via definitiva. Per prima cosa si tratta della prima legge dedicata unicamente alle malattie rare, volta a organizzare in maniera ordinata e (il più possibile) completa questo ambito, che interessa circa 2 milioni di persone in Italia. In linea generale le finalità del provvedimento sono: garantire sull’intero territorio nazionale l’uniformità della presa in carico diagnostica, terapeutica e assistenziale dei malati rari; disciplinare in modo sistematico ed organico gli interventi dedicati al sostegno della ricerca, sia sulle malattie rare sia sui farmaci orfani. La legge prevede inoltre un Fondo di solidarietà dedicato al finanziamento delle misure di sostegno del lavoro di cura e assistenza delle persone con malattia rara invalidi civili al 100% o disabili con connotazione di gravità ai sensi della Legge 104. Per la concreta applicazione della legge saranno ora necessari ulteriori passaggi: due decreti ministeriali, due accordi in Conferenza Stato Regioni e un regolamento.
In passato ogni atto relativo alle malattie rare era passato attraverso decreti ministeriali, spesso privi di organicità. Una legge ad hoc è fondamentale per una vera organizzazione a livello nazionale. Da gennaio sarà reso disponibile un Fondo di solidarietà per le persone affette da malattie rare, per ora solo di 1 milione di Euro (ma che potrebbe essere implementato durante la legge di Bilancio). Il Fondo servirà per il finanziamento delle misure per il sostegno del lavoro di cura e assistenza delle persone affette da malattie rare. Tra le altre cose questo Fondo mira a favorire l’inserimento lavorativo della persona affetta da una malattia rara, garantendo a essa la possibilità di mantenere una condizione lavorativa autonoma. L’esistenza di un fondo, che prima non c’era, è importante perché si potrà scegliere di finanziarlo in futuro anche con somme molto più ampie.La legge prevede esplicitamente il tempestivo aggiornamento dei LEA e stabilisce anche che in caso di ulteriori ritardi venga attuata una procedura alternativa. Questo dovrebbe facilitare aggiornamento della lista delle malattie rare esenti e anche delle patologie da sottoporre a screening neonatale. Attualmente l’elenco ministeriale prevede 453 codici di esenzione, per un totale di almeno 682 malattie esplicitate (che potrebbero essere un po’ di più, grazie alla logica dei gruppi aperti con i quali l’elenco è stato costruito. Qui l’elenco completo delle malattie rare esenti). Le malattie rare oggi note sono più di 7000, quindi è evidente che questo elenco necessiti di aggiornamenti.Si prevedono dei forti incentivi di natura fiscale: parliamo di un contributo, nella forma di credito d’imposta, pari al 65 per cento delle spese sostenute per l’avvio e per la realizzazione dei progetti di ricerca. Questo dovrà essere attuato entro 6 mesi.La legge non prevede i dettagli, ma impone alle regioni un impegno per ridurre i tempi di accesso alle terapie approvate. La Legge prevede l'istituzione presso il Ministero della salute del Comitato nazionale per le malattie rare, che svolgerà funzioni di indirizzo e coordinamento.Il Ministero dovrà ora impegnarsi a garantire un'informazione tempestiva e corretta ai pazienti affetti da una malattia rara e ai loro familiari. Dovrà inoltre sensibilizzare l'opinione pubblica sulle malattie rare.
I PASSAGGI ORA NECESSARI PER L'APPLICAZIONE DELLA LEGGE In seguito alla pubblicazione della legge in Gazzetta Ufficiale, dal momento della sua entrata in vigore, decorreranno i termini entro i quali sarà necessario produrre 5 differenti atti necessari alla piena attuazione del Testo Unico.Entro 2 mesi deve essere istituito il Comitato Nazionale per le Malattie Rare (Decreto del Ministero della Salute); entro 3 mesi, invece, deve essere istituito il Fondo di Solidarietà per le persone affette da malattie rare (Decreto del Ministero del Lavoro di concerto con Ministero della Salute e MEF). Vi sono poi due importanti accordi che devono essere presi in sede di Conferenza Stato Regioni: uno è quello relativo all’approvazione del Secondo Piano Nazionale Malattie Rare e riordino della Rete, un atto atteso ormai da tantissimi anni, che deve essere adottato, in sede di prima attuazione, entro tre mesi. Vi è poi un secondo accordo di competenza della Conferenza Stato Regioni, con cui dovranno essere definite le modalità per assicurare un’adeguata informazione dei professionisti sanitari, dei pazienti e delle famiglie, da adottarsi entro 3 mesi.Infine, entro 6 mesi dall’entrata in vigore, servirà anche un Regolamento del Ministero della Salute, di concerto con il Ministero dell’Università e Ricerca, per stabilire i meccanismi di funzionamento degli incentivi fiscali in favore dei soggetti, pubblici o privati, impegnati nello sviluppo di protocolli terapeutici sulle malattie rare o alla produzione dei farmaci orfani.I reali effetti di questa legge dovrebbero concretizzarsi, di fatto, entro la fine del 2022.
IL TESTO UNICO MALATTIE RARE IN SINTESI : Il provvedimento si compone di 16 articoli. L'articolo 1 enuncia la finalità identificandola nella tutela del diritto alla salute delle persone affette da malattie rare mediante misure dirette a garantire: l'uniformità della erogazione sul territorio nazionale delle prestazioni e dei medicinali, inclusi quelli orfani; il coordinamento, l'aggiornamento periodico dei livelli di assistenza e dell'elenco delle malattie rare; il coordinamento, il riordino ed il potenziamento della rete nazionale per le malattie rare istituita con il regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279 comprensiva dei centri che fanno parte delle Reti di riferimento europee (ERN), per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle malattie rare; il sostegno alla ricerca.L'articolo 2 definisce le malattie rare L'articolo 3 contiene la definizione di farmaco orfano.L'articolo 4 rimette ai centri di riferimento di cui al D.M. 279 del 2001, la definizione del piano diagnostico terapeutico assistenziale personalizzato che comprende i trattamenti ed i monitoraggi di cui necessita una persona affetta da malattia rara, garantendo anche un percorso strutturato nella transizione dall'età pediatrica all'età adulta.L'articolo 5 detta disposizioni per assicurare l'assistenza farmaceutica e l'immediata disponibilità dei farmaci orfani. I farmaci di fascia A od H prescritti ai pazienti affetti da una malattia rara vengono erogati dalle farmacie dei presìdi sanitari, dalle aziende sanitarie territoriali di appartenenza del paziente - anche nel caso di diagnosi della malattia rara in una regione diversa da quella di residenza -, dalle farmacie pubbliche e private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. In tale ultimo caso viene richiamato il rispetto degli accordi regionali. Viene poi stabilito che per le prescrizioni relative ad una malattia rara il numero di pezzi prescrivibili per ricetta può essere superiore a tre qualora previsto dal piano terapeutico assistenziale.I farmaci di cui all'articolo in esame sono comunque resi disponibili dalle regioni anche nelle more dei periodici aggiornamenti per il loro inserimento nei prontuari terapeutici ospedalieri o in altri elenchi analoghi predisposti dalle competenti autorità regionali o locali. le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono tenute ad aggiornare, con periodicità almeno semestrale, i prontuari terapeutici ospedalieri e ogni altro strumento analogo regionale, elaborato allo scopo di razionalizzare l'impiego dei farmaci da parte di strutture pubbliche, di consolidare prassi assistenziali e di guidare i clinici in percorsi diagnostico-terapeutici specifici, nonché a trasmetterne copia all'Aifa.Viene consentita l'importazione di farmaci in commercio in altri Paesi anche per usi non autorizzati nei Paesi di provenienza, purché compresi nei Piani diagnostici terapeutici assistenziali. Per l'applicazione di tale disposizione tuttavia il farmaco deve essere richiesto da una struttura ospedaliera, anche se utilizzato per assistenze domiciliari ed è posto a carico del Servizio sanitario nazionale.L'articolo 6 prevede e disciplina l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Fondo di solidarietà per le persone affette da malattie rare, con una dotazione iniziale pari ad un milione di euro annui a decorrere dall'anno 2022, destinato al finanziamento delle misure per il sostegno del lavoro di cura ed assistenza delle persone affette da tale patologia, con una percentuale di invalidità pari al 100 per cento, con connotazione di gravità e che necessitano di assistenza continua.Il regolamento di attuazione dell'articolo 6 viene adottato, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni, le province autonome di Trento e Bolzano, sentito l'Istituto nazionale della previdenza sociale. Mediante tale regolamento, al fine di introdurre interventi volti a favorire l'inserimento e la permanenza delle persone affette da malattie rare nei diversi ambienti di vita e di lavoro, sono disciplinate, nei limiti della dotazione del Fondo, le misure dirette a: riconoscere benefici e contributi ai familiari ed a coloro che si prendono cura delle persone affette a malattie rare; garantire il diritto all'educazione ed alla formazione delle persone affette da malattie rare nelle scuole, assicurando che il piano terapeutico sia svolto anche in ambiente scolastico con il supporto necessario a tal fine; favorire l'inserimento lavorativo e la possibilità di mantenere una condizione lavorativa autonoma della persona affetta da malattia rara.L'articolo 7 definisce le funzioni del Centro nazionale per le malattie rare, che deve svolgere attività di ricerca, consulenza e documentazione sulle malattie rare e i farmaci orfani finalizzata alla prevenzione, trattamento e sorveglianza delle stesse. Il Centro è il responsabile del Registro nazionale delle malattie rare.L'articolo 8 prevede l'istituzione presso il Ministero della salute del Comitato nazionale per le malattie rare. Il decreto disciplina le modalità di funzionamento del Comitato prevedendo, in particolare, che le riunioni dello stesso si svolgano preferibilmente mediante videoconferenza. Il Comitato, la cui composizione assicura la rappresentanza di tutti i soggetti portatori di interessi del settore (tra i quali rappresentanti dei Ministeri della salute, dell'Università e della ricerca, del lavoro e delle politiche sociali, della Conferenza delle regioni, dell'Aifa, dell'Iss dell'Agenas, dell'Inps), svolge funzioni di indirizzo e coordinamento definendo le linee strategiche delle politiche nazionali e regionali in materia di malattie rare. I componenti del Comitato non percepiscono alcuna indennità, gettone di presenza, compensi, rimborsi di spese od od emolumenti comunque denominati. Le attività di supporto tecnico sono svolte dalle strutture ministeriali competenti nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.L'articolo 9 prevede che ogni tre anni venga approvato il Piano nazionale per le malattie rare che definisce gli obiettivi e gli interventi pertinenti in tale ambito. In sede di prima attuazione del provvedimento in esame il Piano è adottato entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge.L'articolo 10 prevede che le regioni assicurino, attraverso i Centri regionali e interregionali di coordinamento, il flusso informativo delle reti per le malattie rare al Centro nazionale per le malattie rare di cui all'articolo 7 al fine di produrre nuove conoscenze sulle malattie rare, monitorare l'attività e l'uso delle risorse nonché per valutare la qualità complessiva della presa in carico dei pazienti e attuare un monitoraggio epidemiologico, anche al fine di orientare e supportare la programmazione nazionale in tema di malattie rare e le azioni di controllo e di verifica.L'articolo 11 dispone che a decorrere dal 2022 il fondo nazionale per l'impiego, a carico del Ssn, di farmaci orfani per malattie rare e di farmaci che rappresentano una speranza di cura, in attesa della commercializzazione, per particolari e gravi patologie, di cui all'articolo 48, comma 19, lettera a) del D.L. n. 269/2003 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326/2003, venga integrato con un ulteriore versamento pari al 2 per cento delle spese autocertificate entro il 30 aprile di ogni anno da parte delle aziende farmaceutiche sull'ammontare complessivo della spesa sostenuta nell'anno precedente per le attività di promozione rivolte al personale sanitario. Ricordiamo che attualmente tale fondo è istituito presso Aifa e finaziato con il 2,5% delle suddette spese, con questa legge, quindi, il contributo delle aziende sale al 4,5%.Il Fondo per la parte di cui al comma 1 è destinato a studi preclinici e clinici promossi nel settore delle malattie rare e studi osservazionali e registri di uso compassionevole di farmaci non ancora commercializzati in Italia.L'articolo 12 concede, a decorrere dal 2022, un contributo, sotto forma di credito d'imposta, nel rispetto della normativa europea sugli aiuti di Stato, pari al 65 per cento delle spese sostenute per l'avvio e per la realizzazione di progetti di ricerca, fino all'importo massimo annuale di euro 200.000 per ciascun beneficiario, nel limite di spesa complessivo di 10 milioni di euro annui. L'agevolazione opera in favore dei soggetti pubblici o privati che svolgono tali attività di ricerca, ovvero dei soggetti che finanziano progetti di ricerca sulle malattie rare o sui farmaci orfani svolti da enti di ricerca pubblici o privati. I beneficiari, per godere dell'agevolazione, sono tenuti a inviare entro il 31 marzo di ogni anno il protocollo relativo alla ricerca sulle malattie rare al Ministero della salute. Si demanda al Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca e con il Ministro dell'economia e delle finanze, il compito di individuare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della normativa in commento, i criteri e le modalità di attuazione delle agevolazioni in esame, anche al fine di assicurare l'osservanza dei limiti di spesa annui.Si prevede e disciplina poi l'accesso, a decorrere dall'anno 2022, da parte delle imprese farmaceutiche e biotecnologiche che intendono svolgere studi finalizzati alla scoperta o alla registrazione o alla produzione di farmaci orfani o di altri trattamenti altamente innovativi, agli interventi di sostegno previsti dal decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 26 luglio 2016 n. 593 (Disposizioni per la concessione delle agevolazioni finanziarie). L'attuazione di tale previsione viene poi rimessa ad un decreto del Ministro dell'Università e della ricerca, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente.L'articolo 13 prevede che il Ministero della salute, il Ministero dell'Università e della ricerca e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, promuovano il tema delle malattie rare nell'ambito della ricerca indipendente . Viene poi stabilito che le amministrazioni interessate provvedano all'attuazione del presente articolo nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.L'articolo 14 riguarda le attività informazione sulle malattie rare. Prevede che il Ministero della salute, nell'ambito delle attività informative e comunicative previste a legislazione vigente, promuova azioni utili per dare un'informazione tempestiva e corretta ai pazienti e ai loro familiari e sensibilizzare l'opinione pubblica sulle malattie rare.L'articolo 15 è dedicato alle disposizioni finanziarie.L'articolo 16 è dedicato alla la clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano.
Ullalà :pensioni e ancora pensioni
DAL SITO PER NOI Pensioni per tutti ?
Nella Legge di Bilancio 2021 non ci si é occupati unicamente della misura che andrà a sostituire quota 100, ossia la quota 102, che avrà durata annuale in attesa di una riforma maggiormente strutturale, ma si é optato per la proroga dell’ape sociale con un ampliamento delle categorie di mestieri considerati gravosi, e della proroga dell’opzione donna. Peccato che fa notare Orietta Armiliato, amministratrice del CODS, i requisiti siano cambiati e siano, manco a dirlo, peggiorativi, ossia si é passati dalla possibilità di accedere alla quiescenza dai 58 anni e 35 di contirbuti per le dipendenti e 59 anni per le autonome, ai 60 anni per le dipendenti e 61 per le autonome, un incremento di ben due anni che non é certamente stato accolto positivamente dalle donne e dal comitato opzione donna social che ne rappresenta buona parte delle istanze.
Sulla questione ci siamo interfacciati con Alessandra Servidori, Componente Consiglio di Indirizzo CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) del Presidente del Consiglio e del Governo, per comprendere quale sia la sua opinione al riguardo, giusta la proroga con incremento dei due anni, una sorta di equiparazione all’aumento biennale inserito nella quota 102, che ha portato l’età anagrafica a salire dai 62 anni ai 64, oppure ingiusto nei confronti delle donne, già generalmente più penalizzate nel mondo del lavoro e di conseguenza nel raggiungimento della pensione? Eccovi le sue considerazioni al riguardo.
Pensioni anticipate 2021, proroga opzione donna ma l’età passa da 58 a 60, giusto o no?
“Sono convinta che la riforma pensionistica debba essere attuata il prima possibile perché abbiamo già avuto la dimostrazione che una serie di modifiche come quota 100 non hanno dato i risultati ipotizzati dal precedente governo. Anzi, soprattutto in materia di ricambio generazionale : i nostri giovani sono effettivamente in condizioni drammatiche tali da non avere prospettive per la loro vita lavorativa e dunque per il sistema di protezione sociale previdenziale il quale non dimentichiamo è a ripartizione e dunque è chiaro che abbiamo il dovere morale di modificare le regole che non reggono più.
Il compromesso offerto da Mario Draghi e Daniele Franco, ovvero prevedere una norma ponte per il solo 2022 in attesa di un nuovo tavolo da avviare a gennaio non elimina la distanza di fondo: l’esecutivo vuole tornare alle regole della legge Fornero allargate alle eccezioni come Ape sociale per i lavori faticosi (esteso a nuove categorie) e Opzione donna: su quest’ultimo meccanismo, che permette alle lavoratrici di accedere alla pensione in anticipo in cambio di un assegno meno generoso, era emersa la disponibilità a riportare l’età minima da 60 a 58 anni (con 35 di contributi) già durante l’esame parlamentare.
Sono altrettanto convinta che le lavoratrici debbano avere agevolazioni contributive figurative mentre lavorano non solo per i figli ma soprattutto per riconoscere il lavoro di cura anche prestato ai familiari disabili e non autosufficienti. E la soluzione è assolutamente legata alla gestione dei Fondi bilaterali da estendere come copertura di accesso per congedi parentali così da non impoverire il quantum contributivo e arrivare a pensioni dignitose . Non sarà comunque 1 anno di età in più a pregiudicare OPZIONE DONNA se si parte subito con la contribuzione figurativa arricchita –
Desidero ricordare che OCSE in occasione della pubblicazione dell’Economic Survey per l’Italia, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha puntato il dito sia contro Quota 100, che consente il pensionamento anticipato dai 62 anni d’età con almeno 38 anni di versamenti di contributi sia contro Opzione donna, che invece che dà diritto al pensionamento anticipato con un trattamento calcolato su base contributiva fino a dicembre 2021. Misura che a dire dell’Organizzazione “non andrebbe rinnovata, perché amplifica i rischi di povertà in età avanzata”.
Voi dal canto vostro cosa ne pensate dell’opzione donna giusto averla rinnovata ma doveroso riportarla ai requisiti precedenti o era meglio seguire il parere dell’OCSE? Fatecelo sapere nellìapposita sezione commenti del sito, nel mentre ricordiamo a chiunque volesse riprendere parte delle dichiarazioni della Servdori che, trattandosi di esclusiva, é tenuto a citare la fonte.
BASTA CON LE BATTAGLIE IDEOLOGICHE E ANDIAMO AVANTI ANCHE CON I CONTRATTI DI ESPANSIONE
Alessandra Servidori BASTA CON LE BATTAGLIE IDEOLOGICHE E ANDIAMO AVANTI ANCHE CON I CONTRATTI DI ESPANSIONE
Non è più tempo per le battaglie ideologiche anzi chi le fa è proprio un irresponsabile. Ho ascoltato con interesse la conferenza di Paolo Gentiloni a Bologna sulla situazione europea e il destino dell’Italia se non andiamo avanti con un processo riformatore tosto . Rischiamo ancora moltissimo perché abbiamo avuto una grande frammentazione con potenziali ripercussioni sulla tenuta di tutto il progetto europeo –Sul recovery se l'Italia non riuscisse a vincere la sfida di mettere a frutto il Next Generation Ue sarebbe un "errore storico". Gli ostacoli dell'utilizzo dei fondi del Next Generation Eu sono diversi da Paese a Paese, l'Italia ha una responsabilità particolare perché ha una somma di circa 200 miliardi di euro da mettere a terra nei prossimi 4 o 5 anni e conoscendo le nostre difficoltà del nostro Paese nell'assorbimento dei fondi europei certamente non è facile. Negli anni 2010 il meccanismo economico europeo si è inceppato e una delle cause è stata l'idea prevalente che dietro la crisi del debito ci fosse l'azzardo morale, la convinzione che fosse necessario imporre austerità e sacrifici per mettere i conti in ordine e far ripartire l'economia. Il risultato è stato di strozzare la crescita, deprimere gli investimenti e rallentare inutilmente il percorso di ripresa. Senza, peraltro, produrre i risultati sperati sul piano del debito. Tra il 2010 e il 2019 il rapporto debito/Pil in paesi come Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia è peggiorato invece di migliorare. E d'altronde, se il denominatore non cresce….. Basta dunque con le battaglie ideologiche sull’omofobia e sul green pass e ancora peggio sul sistema di quiescenza anticipata voluta dal Conte1. Sappiamo dai numeri del fallimento di quella misura che solo il 22% della platea potenziale ne ha usufruito. Ad andare in pensione a 64 anni con 38 anni di contributi non sono state le fasce più basse di lavoratori, per esempio chi faceva lavori usuranti, ma prevalentemente uomini del settore pubblico e con un reddito medio e soprattutto pochissime donne che non arrivano mai a mettere insieme una contribuzione decente. E poi si è rivelata una presa in giro il ricambio generazionale che era stato promesso, perché il tasso di sostituzione non è stato di tre nuovi lavoratori ogni nuovo pensionato, ma nemmeno mezzo posto nuovo (0,40) ogni tre liberati. E diciamocelo che se “quota 100” durasse fino al 2030 come previsto costerebbe 18,8 miliardi, sottratti esattamente ai giovani, oggi i cittadini italiani più fragili come giustamente ci ricorda Veronica de Romanis . Le rigidità della politica elettoralistica è in grande confusione sia a destra che a sinistra e del sindacato miope e addirittura offensivo contro Draghi( Bombardieri che si rifiuta di dargli la mano ) o la leader dei metalmeccanici tale Re David che si chiede perché hanno assalito la cgil (che è contraria anche lei al green pass!) sono la rappresentazione di una sorta di armata brancaleone che ha limitato le mosse giuste del governo che si è limitato a tagliare “quota 100” mettendo “quota 102”, che certo non cambia significativamente le cose, e a promettere che essa durerà solo per il 2022, per poi lasciare spazio ad una riforma vera. Certo bisogna intervenire sulle pensioni in un contesto di generale revisione del welfare (anche per rendere plausibile il rifinanziamento del reddito di cittadinanza,( pare ma non è detto che la macchina dell’Anpal e Inps all’unisono si metta veramente a funzionare )solo se accompagnato da un radicale ripensamento degli strumenti di sostegno ai soggetti veramente falcidiati dalla crisi) e magari da un reinserimento del reddito di inclusione. Per ora ragionevolmente accompagniamo i piccoli passi compreso quella tipologia contrattuale che permette il pensionamento graduale delle persone affiancando loro magari i giovani , il cd contratto di espansione che la legge di conversione del decreto Sostegni bis (D.L. n. 73/2021) ha confermato quale strumento normativo principe per la gestione dei processi di ristrutturazione aziendale e di riqualificazione professionale dei lavoratori da parte delle aziende che occupano almeno 100 dipendenti. La misura consente l’accesso alla cassa integrazione straordinaria e, al contempo, l’accompagnamento all’esodo dei lavoratori prossimi alla pensione. Al fine di sostenere i processi di reindustrializzazione e riorganizzazione, la misura consente di ricorrere al prepensionamento dei lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi dal conseguimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata, anche tramite l'accesso alla cassa integrazione straordinaria per quelli che non possono usufruire dello scivolo di 5 anni, unitamente all’avvio di processi di formazione per l’aggiornamento delle competenze dei dipendenti in forza e alla stipula di nuovi contratti a tempo indeterminato.
Libera e democratica opinione sul decreto OMOFOBIA
Alessandra Servidori
La legge sull’omotransofobia si è caricata di norme e significati esodanti l’opportunità di introdurre regole contro la piaga dell’omofobia che purtroppo esiste. I diritti però non possono essere una partita da giocare in modo tattico, non sono né di destra, né di sinistra, ma toccano la carne viva del Paese, incidono situazioni che già esistono intorno a noi e che vanno trattate con molto più rispetto. Il tema è divisivo, non possiamo e non dobbiamo nascondercelo. Pensare che le ragioni possano trovarsi interamente in una posizione piuttosto che in un’altra, significa non voler comprendere le ragioni degli altri. Il Testo di legge in verità travalica il confine della tutela legislativa con l’effetto di imporre una diversa visione della società in odore di pensiero unico. Bisognava trovare un correttivo. Vero è che le Istituzioni riconoscono e anche però garantire davvero un diritto di libertà troppo spesso macchiato da violenze fisiche o verbali.
Non possiamo, infatti, negare diritti di libertà a nostri concittadini che fanno parte, a pieno titolo e senza distinzioni, di quel perimetro all’interno del quale agisce il nostro contratto sociale, sulla base del quale i diritti di ognuno di noi devono trovare come limite invalicabile solo ed esclusivamente i diritti dell’altro e dell’altra. Comprese le idee propugnate come espressione di modernità, libertà e di progresso, ma che invece nascondono un’inaccettabile e arretrata visione discriminatoria e di restaurazione che relega le donne a minoranza e addirittura nel testo affiancate alle persone disabili . Il disegno di legge si è trasformato in un manifesto ideologico, che rischia di mettere in secondo piano l’obiettivo principale e di ridurre pesantemente diritti e gli interessi delle donne e la libertà di espressione. E’ un testo che va modificato , perché una legge scritta male porta a delle interpretazioni ed applicazioni controverse che riducono i diritti e non ne consentono la piena tutela. Il ddl Zan facendo leva su un tecnicismo che appare secondario e terminologico introduce , se non modificato,una pericolosa sovrapposizione della parola “sesso” con quella di “genere” con conseguenze contrarie all’art. 3 della Costituzione per cui i diritti vengono riconosciuti in base al sesso e non al genere e non in armonia con la normativa vigente, legge n. 164/82 (e successive sentenze della Corte Costituzionale), che ammette e consente la transizione da un sesso ad un altro sulla base non di una semplice auto-dichiarazione. La definizione di “genere” contenuta nel ddl Zan, che non è accettata dagli altri Paesi, crea una forma di indeterminatezza che non è ammessa dal diritto, che invece ha il dovere di dare certezza alle relazioni giuridiche e di individuare le varie fattispecie.Una legge trasformata, in una proposta pasticciata, incerta sul tema della libertà d’espressione, offensiva perché introduce l’”identità di genere”, termine divenuto il programma politico di chi intende cancellare la differenza sessuale per accreditare una indistinzione dei generi. Un articolato che mischia questioni assai diverse fra loro e introduce una confusione antropologica inaccettabile. Fra le conseguenze vi sono la propaganda di parte, nelle scuole, a favore della maternità surrogata e l’esclusione di ogni visione plurale nei modelli educativi. Fuori veramente da ogni compatibile rispetto dei valori.
Nuova Professionalità la diversità e il genereITS settembre/ottobre
*Alessandra Servidori Pubblicato oggi 27/ottobre/2021 Rubrica ITS e divari di genere e non solo
Nuova Professionalità .Parliamo di ITS –Istituto Tecnico Superiore, e dunque percorsi post diploma a cui si possono iscrivere tutti i diplomati, da non confondersi con gli Itis –Istituto tecnico industriale Statale (scuole superiori)
Il PNRR ha previsto uno stanziamento di 1.500 milioni di euro a fondo perduto dal 2022 al 2026, per aumentare il numero degli iscritti e per potenziarne le strutture degli ITS nati esattamente solo 11 anni fa e ancora sconosciuti ai più. Esse sono “scuole di alta tecnologia” strettamente legate al sistema produttivo, legame favorito dalla modalità organizzativa, la Fondazione di partecipazione, alla quale partecipano diverse realtà, da quelle private come le aziende agli attori pubblici composti da università e centri di ricerca, enti locali e il sistema scolastico in ottica di PPP (public private partnership),percorsi che portano i diplomati all’acquisizione di una qualifica europea di specifico livello(EQF5) . Vero è che a undici anni dalla loro costituzione gli ITS continuano a far fronte alla domanda da parte del mercato del lavoro di nuove professionalità e nuove competenze (hard e soft). Il modello formativo è distinto rispetto ad altri sistemi e poggia su alcuni elementi caratterizzanti i percorsi e il lavoro delle Fondazioni ITS: la rete di governance, alcuni aspetti di flessibilità nella organizzazione della didattica e la capacità di innovazione rispetto all’uso delle tecnologie 4.0 .Intorno alla possibile riforma di queste strutture si è aperto un dibattito che affonda le sue radici sulla necessità di irrobustire questo ambito di alta formazione per affrontare i grandi cambiamenti tecnologici e la domanda sempre più incalzante di nuove competenze difficili da trovare , dalle risorse a disposizione a livello Ue legate ai fondi per la ricostruzione ,da proposte di legge che si discutono in parlamento, fermo restando che la mia opinione è sempre ancorata ad una certezza: la discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge per la ridefinizione della missione e dell'organizzazione del Sistema di Istruzione e formazione tecnica superiore, prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza,nato da un testo che assembla sei distinte proposte parlamentari presentate, che hanno trovato rilancio e in una proposta unificata a seguito del fatto che il PNRR ha previsto esplicitamente la riforma del sistema ITS che ,secondo i firmatari, è un testo che eleva al rango di norma primaria la disciplina riguardante il sistema di Istruzione Tecnica Superiore italiano, frammentata in numerosi decreti che si sono stratificati disordinatamente negli ultimi 13 anni. Ma la fretta non è mai buona consigliera. E sarebbe ragionevole partire dall’esperienza positiva facendola crescere .
E’ mia convinzione che il sistema tecnico ha bisogno di una forte capacità di governo e gestione, un governo ed una gestione che sia in grado di valorizzare le eccellenze, eliminare gli enormi squilibri esistenti, avviare finalmente un processo di reclutamento serio, ecc. ecc. E il problema soprattutto non sta negli ordinamenti perché se così fosse dato che essi sono uguali per tutti , il sistema del Nord Italia dovrebbe ottenere risultati negativi o comunque non di eccellenza. Invece gli alunni veneti e trentini ottengono risultati alla pari delle migliori scuole europee. La realtà è che abbiamo (quantomeno) due sistemi scolastici: c’è un sistema che con questi ordinamenti, con questi programmi, con questi insegnanti, funziona molto bene, a livelli di eccellenza mondiale;ed una sistema che con gli stessi ordinamenti, con gli stessi programmi ed insegnanti formati allo stesso modo (anzi per certi versi ancora più selezionati) funziona molto male. Non dobbiamo costruire riforme palingenetiche del sistema, con il rischio di distogliere l’attenzione da una governance quotidiana da affrontare oggi, questa sì, veramente problematica.Il problema è nell’applicazione e nella gestione di questi ordinamenti e di questi programmi a livello centrale ed a livello territoriale. In una parola, il problema risiede nella mancanza di una governance a livello nazionale e territoriale. Il tessuto produttivo del paese necessita di energie e conoscenze che la nostra generazione e le future devono continuare a dare per mantenere il Paese al centro della scena globale. Se gli ITIS sono già di per sé un ottimo percorso e possono essere ampliati da un percorso ITS, questi ultimi sono un’ottima scelta anche per chi ha affrontato un percorso liceale e vuole sviluppare delle competenze spendibili nel mondo del lavoro senza intraprendere il più lungo percorso universitario, che comunque il diploma di ITS non impedisce.Secondo il monitoraggio Indire sul 2020 gli iscritti ai 201 percorsi ITS sono in prevalenza maschi (il 72,6%) tra i 20 e 24 anni (il 42,4%) e 18-19 anni (il 38,0%), in possesso di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado ad indirizzo tecnico (il 59%).Femmine 1.396 27,4 Maschi 3.701 72,6 Totale 5.097 100,0. E qui ovviamente sottolineiamo la netta prevalenza maschile e c’è da dire che In Italia solo il 18.9% delle laureate ha scelto discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e, nonostante le ragazze si laureino in corso e in media con voti più alti dei compagni, una volta entrate nel mondo del lavoro non ottengono gli stessi risultati, in termini di occupazione e di retribuzione. Le discipline STEM sviluppano competenze molto richieste dal mercato del lavoro: si stima che nei prossimi 10 anni le occupazioni in questo campo cresceranno due volte più velocemente rispetto alle altre occupazioni e garantiranno maggiori possibilità di carriera e di guadagno. Eppure è un settore caratterizzato da un forte gender gap.La ministra Bonetti (pari Opportunità) nel Prnn ha sottolineato e previsto non tanto la risoluzione di un problema normativo quanto culturale. Siamo nell'ambito delle politiche attive di induzione dei processi. Secondo un'indagine del programma per la valutazione internazionale dello studente dell'Ocse, nel nostro Paese c'è un forte divario di genere nelle competenze matematiche tra i bambini e i ragazzi di 16 punti a fronte di una media Ocse di 5 punti. È evidente che nel caso italiano si tratta di uno stereotipo di origine culturale. Credo che si debbano mettere in campo più azioni. Una di carattere formativo ed educativo, nelle scuole, che valorizzi le ragazze e le aiuti a superare la timidezza e la paura nei confronti di queste materie. Questo aspetto è molto importante e necessiterà di un lavoro di concerto con i ministri dell'Istruzione e dell'Università e la Ricerca. I dati ci dicono che le ragazze hanno prestazioni migliori scientifiche e nell'insegnamento bisogna valorizzare le capacità del mondo femminile di empatia, ascolto e organizzazione dei processi. l 65% dei bambini di oggi farà da adulto una professione che oggi ancora non esiste, e la maggior parte di queste professioni sarà nell'ambito delle intelligenze artificiali o comunque nell'ambito digitale e tecnologico. Se non interveniamo adesso il gap di genere già esistente nel mondo del lavoro diventerà incolmabile.Si devono prevedere incentivi promuovendo progetti di Erasmus al femminile: ossia la possibilità per giovani ricercatrici di fare esperienze in ambito europeo. Oltre a prevedere borse di studio per le studentesse. Naturalmente è importante il role model e la presenza di tante eccellenza femminili può indurre empatia e quindi emulazione nelle ragazze.Nell'ambito delle Stem universitario noi abbiamo il 40% di iscritte donne e il 60% di iscritti uomini, e nell'ambito tecnologico la distanza è ancora più marcata. Le donne si laureano in genere anche più brillantemente degli uomini, solo che dopo si apre il divario tra la qualità della posizione e della retribuzione. Io qui farei un passo in più: la meritocrazia non è neutra. Se una donna è in maternità è chiaro che la sua produttività cambia, ma in quel tempo acquisisce competenze anche intellettuali (problem solving, creatività) che possono essere ulteriormente qualificanti nel lavoro. Ad esempio, nei progetti Erc a livello europeo l'anzianità di carriera per ogni figlio è scontata di 18 mesi: così il gioco è alla pari.Negli ITS la distribuzione per area tecnologica degli iscritti, diplomati e occupati evidenzia la costante prevalenza di questi nell’area Nuove tecnologie per il made in Italy con un leggero incremento della percentuale al modificarsi della condizione (41,9% gli iscritti, 45,2% i diplomati, 45% gli occupati). Una riduzione della percentuale degli iscritti, al modificarsi della condizione, si registra per l’Efficienza energetica (10,6% gli iscritti, 8,6% i diplomati, 8,0% gli occupati) e per le Nuove tecnologie della vita (6,6% gli iscritti, 6,1% i diplomati, 5,8% gli occupati); pressoché stabili le altre aree tecnologiche. Tra gli ambiti del made in Italy, il Sistema meccanica (41,4% iscritti, 44,8% diplomati, 49,5% occupati) registra un significativo incremento della percentuale degli iscritti al modificarsi della condizione. In linea con quanto evidenziato anche dai dati di monitoraggio, in relazione alla composizione dell’utenza per genere, i maschi costituiscono, inoltre, il 76,1% dei diplomati . Tale fenomeno è dovuto essenzialmente alla caratterizzazione “per genere” dei percorsi, a seconda dell’area tecnologica di riferimento che vede una rara presenza di donne nei percorsi più tecnici (quali ad esempio mobilità sostenibile, meccanica, ecc.) e viceversa una loro concentrazione nelle aree tecnologiche dei servizi alle imprese, della moda e del turismo.Ma c’è un altro genere di gap di esclusione che va tenuto fortemente in considerazione.Indire La banca Nazionale dei dati ITS non ci permette di avere i dati ( o proprio non li ha raccolti, delle studentesse e degli studenti disabili) impegnati in questi percorsi. Certo è che la disabilità entra nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e l’attenzione al tema che riguarda direttamente oltre 4 milioni di donne e uomini in Italia trova spazio in alcuni riferimenti,però si nota la mancanza di trasversalità del tema disabilità nelle varie missioni del Pnrr e l’assenza di investimenti necessari per quanto riguarda l’inclusione lavorativa, il potenziamento del sostegno scolastico e soddisfacenti politiche sociali a favore delle famiglie dei più fragili colpite ancora di più nel corso della pandemia. Vero è che la Missione 4 prevede una specifica attenzione per le persone con disabilità nell’ambito degli interventi per ridurre i divari territoriali nella scuola secondaria di secondo grado. Nel Recovery ci sono passaggi già sostenuti per anni da molti Governi, ma quasi mai attuati, si pensi ad esempio alla riforma dei meccanismi di accertamento della disabilità , che però, uniti a quelli specificamente dedicati a scuola e lavoro, costituiscono un tutt’uno organico nuovo.La Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 spaziava dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. La prossima Strategia 2020-2030 rafforzerà questo richiamo. Il governo Draghi ne deve tener conto e investire quanto necessario. Per ora gli interventi sono limitati: infrastrutture sociali e supporti all’autonomia vanno bene ma non bastano. In altre missioni non si rileva alcuna particolare attenzione alla disabilità, in particolare l’assenza brilla appunto nelle pur previste politiche per l’occupazione, nell’housing sociale, come pure in altre linee dedicate alla disparità di genere e, ancora, all’istruzione.Non è solo e tanto una questione etica quanto l’incomprensione del fatto, evidentemente economico che la disabilità è una delle prime cause di impoverimento per le famiglie e queste condizioni incidono sulla ripresa e se non affrontate l’esito non può che essere quello delle nuove esclusioni e dell’inevitabile assistenzialismo discriminatorio. Nel merito del Testo della proposta di legge ,peraltro discutibile in alcune parti fondamentali : gli ITS diventano “Accademie per l’istruzione tecnica superiore (ITS Academy)” generando confusione tra la natura terziaria ma non accademica,lasciando l’ambiguità contenutistica del percorso che non ha materie classificabili come tecniche ma professionalizzanti per svolgere mestieri in laboratori di alta specializzazione che comunque saranno successivamente definiti con decreto apposito che modifica (????) le attuali sei aree tecnologiche sembrano già coprire, in maniera adeguata, le specializzazioni presenti nel tessuto produttivo italiano: inoltre, è cruciale che tale decreto non vada a togliere la libertà messa in discussione dalla proposta di legge delle singole fondazioni di personalizzare i profili in uscita in base alle specifiche esigenze del settore con cui collaborano. Sappiamo bene che se c’è un valore aggiunto del rapporto stretto con il mondo del lavoro, presente già nella governance delle fondazioni e operativo in fase di rilevazione dei fabbisogni e loro sistematizzazione nei percorsi formativi, ed è uno dei punti di forza del sistema ITS che non va modificato con l’adozione di figure standard e immutabili, stabilite a livello nazionale o regionale.Una preoccupazione reale e concreta attiene la Commissione nazionale per il coordinamento dell’offerta formativa del sistema ITS che coinvolge,nella proposta del ddl solo le associazioni datoriali e gli organismi paritetici e dunque esclude le organizzazioni sindacali .Sbagliato perché : se si vuole caratterizzare questi percorsi per la vicinanza al mondo del lavoro, è importante un coordinamento con i rappresentanti dei lavoratori raccordandosi così le politiche attive, rilevare i fabbisogni espressi in termini di competenze innovative e di professionalità richieste per la governance degli investimenti tecnologici legati al PNRR, promuovendo insieme orientamento, istruzione e formazione tecnica superiore,il prezioso apprendistato duale.La proposta di ddl poi conferma l’attuale strutturazione in corsi biennali o triennali e il relativo monte ore, specificando però che i primi sono percorsi ITS “di primo livello”, mentre i secondi “di secondo livello”. È confermato che i titoli conseguiti al termine dei percorsi biennali sono collocati al 5° livello EQF, mentre quelli dei percorsi triennali al 6°. Oggi il titolo di studio conseguito è lo stesso: la proposta intende diversificarli, e sappiamo bene che questi titoli saranno riconosciuti come abilitanti per l’accesso al concorso per l’insegnamento tecnico-pratico e, in generale, per l’accesso ai pubblici concorsi, in coerenza anche con le recenti riforme sulla materia di Brunetta .Il ddl proposto introduce innovazioni in ambito didattico, confermando il 30% del monte ore totale che deve essere svolto in stage – anche all’estero – e specificando che questi periodi devono essere “adeguatamente sostenuti da borse di studio” non è chiaro chi dovrà corrispondere queste borse ai tirocinanti e se debbano obbligatoriamente essere riconosciute. L’onere ricadrà presumibilmente sui datori di lavoro, che avranno quindi un aggravio dei costi sostenuti a margine della collaborazione con il sistema ITS, dato che oggi per i tirocini curriculari non vige l’obbligo di corrispondere l’indennità.È importante nel testo, il rimando al legame tra ITS, politiche attive, formazione e riqualificazione degli adulti. Si specifica infatti che la strutturazione oraria dei percorsi può essere modificata così da favorire la partecipazione di lavoratori occupati e viene auspicata “la promozione di organici raccordi con gli enti che si occupano della formazione continua dei lavoratori nel quadro dell’apprendimento permanente per tutto il corso della vita”. Si prevede dunque la realizzazione di corsi ITS (finalizzati quindi al diploma di tecnico superiore) anche per lavoratori adulti, occupati o disoccupati, attraverso la costruzione flessibile dei percorsi e il riconoscimento delle competenze già acquisite e, , lo sviluppo di percorsi di formazione degli adulti realizzati dagli ITS in partnership con altri enti che si occupano della formazione continua. Il tutto comunque avverrà attraverso patti federativi con il sistema accademico per cui gli ITS, sentite le parti sociali e quindi tramite ulteriori accordi, possono occuparsi della formazione dei lavoratori, dei disoccupati o dei lavoratori in cassa integrazione.Solo i corsi ITS rimarranno di esclusiva responsabilità delle fondazioni, anche quando riguarderanno gli adulti e gli occupati, mentre per occuparsi di formazione continua gli istituti dovranno necessariamente procedere alla sottoscrizione di patti federativi con le università e coinvolgere (comprensibilmente) le parti sociali nella progettazione dei percorsi e soprattutto nell’individuazione dei destinatari. Viene poi specificato, in merito al sistema di finanziamento del sistema, che risorse saranno dedicate alla realizzazione di nuove sedi, di nuovi laboratori all’avanguardia e di campus: investimenti infrastrutturali per un sistema che ancora poggia, nei casi di eccellenza, sulla sola disponibilità del mondo delle imprese. Non vi sono invece indicazioni in merito alle risorse del PNRR, perché quelle stanziate dalla proposta si riferiscono a quelle già previste dalle precedenti leggi di bilancio. Viene confermato l’obbligo regionale del cofinanziamento di almeno il 30% delle risorse destinate al sistema ITS, il quale riceverà direttamente dal livello centrale i finanziamenti, “saltando” la spartizione su base regionale dei fondi ancora oggi operativa. Come ultima, ma non ultima, considerazione il contenuto della proposta è complessa, prevede l’emanazione di ben 14 decreti che dovranno essere adottati, nei prossimi mesi, per implementare le novità introdotte dalla “riforma”, e su di essa non è ancora intervenuto lo stesso Ministro Bianchi. Attendiamo fiduciosi altre operazioni di chiarezza e di possibili modifiche :la partita è fondamentale e va portata avanti con buonsenso. Perchè la questione importante è la fotografia occupazionale che il monitoraggio ci consegna ma non hainoi ! ( e bisognerà provvedere) analizzato per genere : L’80% dei diplomati ITS ha trovato lavoro a un anno dal diploma, il 92% degli occupati in un’area coerente con il percorso di studi. Il dato risulta particolarmente significativo perché riferito al 2020, anno di esplosione della crisi pandemica. Del 20% dei non occupati o in altra condizione: l’11,1% non ha trovato lavoro, il 4,1% si è iscritto ad un percorso universitario, il 2,7% è in tirocinio extracurricolare e il 2,4% è risultato irreperibile. I dati relativi al tasso di occupati a 12 mesi, per area tecnologica, evidenziano in generale un trend in crescita per Mobilità sostenibile (83%) e Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (82%). In generale per gli ambiti delle Nuove tecnologie per il made in Italy si registra una lieve diminuzione rispetto all’anno precedente, nonostante i valori rimangano alti, è il caso dell’ambito del Sistema meccanica (88%) e del Sistema moda (82%) dove si ottengono i migliori risultati. Seguiremo attentamente l’evoluzione del percorso del ddl. E delle risorse stanziate dal PNNR (1500 milioni da spalmare dal 2022 al 2026).Che non sono poche e vanno spese bene.
Alessandra Servidori è componente del Consiglio d’indirizzo per l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
OGGI SU DONNA MODERNA INTERVISTA DONNE E PENSIONI SERVIDORI
https://www.donnamoderna.com/news/i-nostri-soldi/pensioni-50-anni-quota-zero
OGGI SU DONNA MODERNA INTERVISTA A NOI (SERVIDORI)
Pensioni. Hai meno di 50 anni? Sei "Quota zero" - Donna Moderna cosa accadrà alle pensioni di chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996? Le previsioni degli esperti dicono che la classica frase: "La pensione? Non la vedrò mai..." è realtà
- Chi sono i “Quota zero”
- La discontinuità pesa più del contributivo
- In pensione a 70 anni?
- Si vive di più, si lavora di più
- Il problema dei “buchi contributivi”
- Quanto pesa l’uscita anticipata dal lavoro
- Perché è importante l’integrazione al minimo
- Il contributivo è da correggere
- Opzione donna che fine farà?
Il tema delle pensioni è in primo piano: si discute del futuro dopo che sarà scaduta Quota 100, a fine dicembre 2021. Le ipotesi sono diverse, da Quota 102 a quota 104, per poter passare gradualmente all’applicazione totale della riforma Fornero entro il 2024. Ma esiste un problema, che riguarda una larga fetta di donne e uomini: quelli che sono entrati nel mondo del lavoro dopo il 1996 e che, soprattutto, hanno avuto impieghi discontinui, quindi di fatto hanno versato meno contributi o in modo non regolare. Che ne sarà della loro pensione?
Chi sono i “Quota zero”
Sono detti anche “Senza quota” o “Fuori quota”, in pratica chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996, quando è entrata in vigore la riforma delle pensioni che ha modificato il sistema di calcolo, da retributivo (in base allo stipendio) a contributivo (al numero di anni di contribuzione e alla loro “consistenza”). «Sono quelli della generazione che ha iniziato a lavorare negli anni ’90 e successivi. Me compresa. I giovani d’oggi che si pongono il dubbio se riceveranno mai la pensione…. Ebbene sì, probabilmente non prima dei 70 anni e forse oltre! Il regime applicato sarà il contributivo, ma temo che non porterà grandi assegni pensionistici» spiega Celeste Collovati dello studio legale Direttissimo, esperta anche di questioni previdenziali.
La discontinuità pesa più del contributivo
«Il calcolo contributivo di per sé non è meno conveniente di quello retributivo. In ciascuno dei due sistemi vi sono vantaggi e svantaggi. La vera differenza sta nel lavoro: sono la durata, la continuità del lavoro e la retribuzione percepita a condizionare anche la qualità della pensione» chiarisce Alessandra Servidori, componente Consiglio di Indirizzo CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) del Presidente del Consiglio e del Governo, e docente di politiche del welfare all’università di Bologna.
In pensione a 70 anni?
È la prima domanda che ci si pone se si è entrati nel mondo del lavoro dopo il 1996. Si tratta di chi all’epoca aveva circa 25 anni e oggi ne ha all’incirca 50. In questa categoria rientrano sia i lavoratori dipendenti o che comunque hanno avuto un percorso “lineare”, senza periodi di interruzione lavorativa, sia coloro che invece hanno firmato contratti a tempo determinato o hanno prestato servizio sotto forma di collaboratori, senza continuità. A fare un esempio è Antonello Orlando, esperto della Fondazione Consulenti del Lavoro: «Supponiamo che una persona nata nel 1976 abbia iniziato a lavorare nel 1996: potrà accedere alla pensione di vecchiaia all'età di circa 69 anni (età adeguata ad aumenti derivanti dalla speranza di vita) oppure alla pensione anticipata intorno al 2039/2040 (a seconda del sesso). Nel secondo caso, invece, sarà più difficile raggiungere i 20 anni di contribuzione minima richiesti per l’accesso alla pensione di vecchiaia».
Si vive di più, si lavora di più
A complicare la situazione c’è l’aspettativa di vita media, che è maggiore rispetto a quella delle precedenti generazioni, ma che spinge anche ad allungare la vita lavorativa e quindi a spostare l’età pensionabile. Se nel 1976 la speranza di vita era di 79,9 anni, nel 2019 è arrivata a 86 anni. È vero che la pandemia Covid ha “tagliato” oltre 1 anno, portando l’età media a 84,9 anni, ma oggi si è pur sempre di fronte alla prospettiva di dover lavorare più a lungo. «Più si allunga l’aspettativa di vita, più l’età in cui si va in pensione si allontana e si rischia di lavorare per più anni e non ricevere un assegno cospicuo. Facendo un esempio concreto, un lavoratore della mia generazione, circa 30 anni, se versa contributi da quando ne ha 25, lo stipendio crescerà del 1,5% annuo e il PIL dello 0,3%. Questi potrà verosimilmente andare in pensione con un assegno che sarà circa la metà del suo ultimo stipendio e come età forse anche oltre i 70 anni» spiega Collovati.
Il problema dei “buchi contributivi”
Che le pensioni dei giovani di oggi saranno più basse di quelle di padri e nonni, sembrano esserci pochi dubbi, tanto che qualcuno si è spinto a tradurre in cifre: oggi chi va in pensione prende circa il 60% dell’ultimo stipendio, contro l’80% delle due generazioni precedenti. A ciò va aggiunto il caso dei “buchi contributivi”: per esempio, se ci sono stati uno o più periodi di inattività (e quindi di mancata contribuzione), l’assegno pensionistico potrebbe scendere persino al 40/45%, cioè meno della metà dell’ultima busta paga. «Poiché nel retributivo la pensione si calcola sulla media degli ultimi 10 anni di retribuzione, non incidono anni precedenti in cui il soggetto ha avuto retribuzioni basse, mentre nel contributivo si sommano tutte. Il guaio del contributivo è che si applica a generazioni di lavoratori precari» conferma Servidori.
Quanto pesa l'uscita anticipata dal lavoro
Una situazione analoga si può avere in caso di uscita anticipata dal mondo del lavoro: «Se il lavoratore è costretto a lasciare anticipatamente il lavoro per cessazione attività (cosa non infrequente di questi tempi) la poca contribuzione versata lo costringerà a percepire un assegno ancora più esiguo – prosegue l’esperta – Poi va considerato anche un altro aspetto: i continui blocchi delle rivalutazioni (cioè l’adeguamento al costo della vita che è certamente in aumento) della pensione, che vengono istituiti con una cadenza periodica, come abbiamo visto dalla Legge Monti (2011 in poi): di questo passo porteranno anche a tagli ulteriori della pensione, il cui importo finale rischia di diventare sempre più esiguo» spiega Collovati.
Perché è importante l’integrazione al minimo
Come se non bastasse, i lavoratori più giovani non hanno la cosiddetta “integrazione al minimo”. Significa che se la pensione non arriva a 2,8 volte l’assegno sociale (che oggi è pari è 1.289 euro) chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 non può avere accesso alla pensione anticipata, che oggi è possibile da tre anni prima dell’età pensionabile, quindi a 64 anni invece che attendere i 67. Se la pensione, poi, non arriva a 1,5 volte l’assegno sociale (690 euro), non è possibile neppure usufruire della pensione di vecchiaia: non resterà che attendere di aver raggiunto la quota contributiva necessaria, uscendo dal mercato del lavoro solo 4 anni dopo, il che significa oggi a 71 anni.
Il contributivo è da correggere
«È un meccanismo tale per cui l’Inps, entro alcuni limiti reddituali, riconosce una prestazione economica che varia ogni anno, di solito, a chi percepisce una pensione molto esigua al di sotto del minimo vitale. Ma ne hanno diritto solo coloro che hanno pensioni liquidate con il sistema retributivo o col sistema misto (con prima contribuzione precedente al 1° gennaio 1996) – spiega Collovati – Invece le pensioni liquidate con il sistema contributivo (con prima contribuzione dopo il 31 dicembre 1995) non godono di tale beneficio». «Teniamo presente che in tutti i sistemi è richiesto un minimo, senza il quale non si ha diritto alla pensione a meno che non si prosegua con i versamenti volontari fino a raggiungere quel minimo. Il problema è che il sistema di integrazione non è previsto per il sistema contributivo e questo è un limite che andrebbe corretto» commenta Servidori
Opzione donna che fine farà?
In tutto questo che fine farà Opzione donna? Si continua a parlare di agevolazioni per le lavoratrici, specie se madri, ipotizzando un’uscita dal lavoro anticipata per chi ha avuto figli, ma cosa potrebbe cambiare? «Ad oggi ancora la conferma dell’Opzione donna è in dubbio e qualora venisse prorogata, sarebbero comunque previste alcune modifiche. Fino ad ora con tale regime, possono uscire anticipatamente dal lavoro le lavoratrici dipendenti che al 31.12.20 hanno 58 anni d’età e 35 anni di contribuzione; oppure le lavoratrici autonome a 59 anni e sempre 35 anni di contributi versati. Da quanto sembra - ma ciò, ripeto, dovrà essere confermato e definito con la Legge di Bilancio ’22 - l’idea è quella di alzare la soglia anagrafica sia per le lavoratrici dipendenti, sia per le autonome, rispettivamente a 59 e 60 anni che soddisfino tali requisiti al 31.12.2020» dice l’avvocato Collovati. «I requisiti sono comunque molto elevati per una donna a meno che non sia una dipendente pubblica. Poi la penalizzazione è forte perché il calcolo è interamente sottoposto al regime contributivo. Una possibile azione positiva e sussidiaria potrebbe essere valorizzare con contribuzione aggiuntiva e figurativa il periodo della maternità (due anni), per riconoscere il valore sociale della maternità» conclude Servidori.
Nella buona formazione e lavoro il nostro futuro
Alessandra Servidori * Nella buona formazione e lavoro il nostro futuro
Il lavoro ha subito in questi 2 anni di pandemia dei cambiamenti epocali .Le aziende hanno ripreso ad assumere, con circa 560.0000 offerte nei primi sei mesi del 2021. Ma in quasi un terzo delle ricerche faticano o non riescono a trovare personale qualificato. E per 84.000 figure ad alta specializzazione, 1 caso su 6, non si presentano candidati. Tutte le professioni stanno rapidamente cambiando, a ritmi mai visti prima. La ripresa economica va sostenuta e rafforzata. Il lavoro deve tornare ad essere la priorità attraverso politiche attive che favoriscano la mobilità e la formazione continua. Ora anche per colpevoli inerzie degli uffici per l’impiego naufragati completamente nonostante l’inserimento dei cd navigator con i quali il rapporto complicato con un meccanismo tortuoso dei destinatari del reddito di cittadinanza , non ha consentito di mettere in moto una ricerca virtuosa addirittura si è bloccato ancora prima dell’incontro con l’azienda. Ora e sempre di più le offerte di lavoro sono concentrate sul web. Dal 2015 al marzo 2021 sono stati circa 2 milioni 650.000 le ricerche online su oltre una ventina di portali che aggregano annunci di lavoro in modo continuativo .Una analisi puntuale della Fondazione per la Sussidiarietà conferma ( se ce ne fosse bisogno) il divario geografico nella Penisola. Nel 2020 quasi tre quarti delle posizioni ricercate su Internet riguardavano posti al nord (74%), il 15% nel centro e solo l'11% nel sud e isole.In base all’esame delle aree su cui si focalizzeranno i maggiori investimenti pubblici, anche attraverso i fondi europei, i settori che dovrebbero creare nuovi posti di lavoro nei prossimi anni sono energia; infrastrutture di trasporto e soluzioni di mobilità sostenibile; ambiente; bioeconomia (agricoltura e pesca sostenibile); telecomunicazioni, tecnologie e servizi digitali; ricerca, sviluppo e innovazione; turismo; economia sociale (formazione, assistenza, cultura, sanità).Da troppi anni il mercato del lavoro italiano, a causa di grandi difficoltà nel creare nuova occupazione e per la rigidità del sistema ha perso progressivamente terreno .Ci sono molte cause che concorrono a questo fenomeno strutturale. Da sempre l’Italia è il Paese europeo nel quale risulta più alto il tasso di disallineamento tra competenze delle persone e richieste delle imprese. E di conseguenza tra domanda e offerta di lavoro. Questo perché mancano totalmente gli anelli di congiunzione tra percorsi scolastici, orientamento, formazione professionale, avviamento al lavoro, incontro domanda e offerta. Restano mondi separati e il risultato è che le imprese non trovano personale e soprattutto le professionalità che cercano. O che si finisce per favorire l’irregolarità. L’impatto della crisi sull’occupazione è stato particolarmente grave, nonostante il ricorso massiccio agli ammortizzatori della CIG e il blocco dei licenziamenti Per la ripresa non bastano rimedi parziali. Non basta riformare gli ammortizzatori sociali, come pure è necessario per garantire una rete adeguata di sicurezza a tutti i lavoratori qualunque sia il loro status contrattuale. Occorre un cambio di rotta che affronti le radici della nostra debolezza occupazionale con interventi strutturali che diano effettiva centralità al lavoro e alla sua qualità. Servono misure innovative e organiche di politica economica . In dieci anni, dal 2011 al 2020, in Italia il tasso di occupazione delle persone da 15 a 64 anni è salito di poco, passando dal 56,8% al 58,1% (fonte Eurostat). Nell’Unione Europea è invece cresciuto dal 63,4% al 67,6%. In Germania l’indice è balzato dal 72,7% al record del 76,2% a fine 2020. La Spagna è passata dal 58,0% al 60,9% e la Francia dal 63,9 al 65,3%.Nel 2020 solo 2 lavoratori su 100 hanno cambiato impiego, contro i 3 di Francia e Spagna e i 5 della Danimarca (fonte Eurostat). Fra le maggiori economie europee, a fine 2020 l’Italia conservava il record di Neet, giovani che non studiano e non lavorano: circa il 23,3% (Eurostat). Quasi il doppio rispetto alla media europea (13,7%) e molto superiore a Germania (8,6%), Francia (14,0%) e Spagna (17,3%).La perdita di occupati determinata dalla crisi è stata di oltre 900mila unità poi piano piano abbiamo visto un moderato recupero.L'emergenza sanitaria ha penalizzato di più i settori dei servizi a prevalenza femminile e in prospettiva dalle analisi degli osservatori non mancano segnali positivi: è moderatamente aumentata la quota di imprese che hanno assunto nuovo personale e la modalità dello smart working ora, sotto lente di ingrandimento, segnala che a tutt’oggi la quota di lavoratori in lavoro agile si è assestata intorno al 30%. È peraltro in atto una rivoluzione digitale che investe soprattutto il mondo del lavoro e il Governo ha un duplice compito: garantire infrastrutture digitali che forniscano alle imprese strumenti per essere competitive e favorire l’inclusione sociale, attraverso la creazione di competenze, preziose per le persone e per le aziende, privilegiando nella programmazione dell’uso delle risorse l’istruzione e la formazione. Il Governo deve costruire nuovi strumenti di protezione e di promozione della persona che lavora o cerca lavoro, affidare la regolazione lavoristica alla buona adattività delle relazioni industriali, combattere lo skill mismatch promuovendo la formazione come diritto soggettivo e varando un grande piano sulle competenze digitali. Fondamentale è rendere universali gli ammortizzatori sociali, collegandoli a una rete di politiche attive che tuteli ogni persona durante le transizioni occupazionali non lasciandola mai priva di riqualificazione, sostegno al reddito, orientamento nel sistema produttivo. La sussidiarietà della contrattazione, della bilateralità e delle agenzie del lavoro può dare un contributo formidabile a questo scopo. Ci aspettiamo che il Governo riavvii l’assegno di ricollocazione, potenziando i centri per l’impiego attraverso le agenzie , rilanciando ITS, consolidando apprendistato e alternanza scuola-lavoro, esaltando i Fondi Interprofessionali soprattutto per potenziare la prevenzione e la sicurezza. L’urgenza di sbloccare gli investimenti per creare nuovo lavoro di qualità, stabile e ben contrattualizzato è fondamentale per l’utilizzo delle risorse del PNRR e l’implementazione delle riforme collegate: bisogna lavorare insieme , secondo uno spirito autentico di condivisione di un patto sociale come ha giustamente indicato il Presidente Draghi.
* Componente Consiglio di Indirizzo CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile)del Presidente del Consiglio e del Governo
Invalidi e disabili sempre più lasciati soli
Alessandra Servidori
https://www.ilsussidiario.net/news/jaccuse-per-risparmiare-linps-toglie-lassegno-agli-invalidi-con-un-lavoretto/2239675/
Invalidi e disabili sempre più lasciati soli. Inps in difficoltà finanziarie batte cassa e così ritarda su tutto e cannibalizza là dove si apre un varco. In ritardo con l’assegno unico per la famiglia, in ritardo con le pratiche di richiesta di invalidità di prima istanza e revisione ( sono due milioni giacenti presso Inps) che devo essere espletate da INPS e commissioni ASL; in ritardo sull’assunzione di medici promessi ( sono solo 300 in tutta Italia che dovrebbero fare le visite di controllo per falsi certificati di malattia - che ora aumentano a dismisura per la lotta contro il vaccino-,in ritardo sui controlli di chi percepisce indebitamente il reddito di cittadinanza.In ritardo e confuso l’Istituto come mai prima d’ora. E però si affretta a infierire su chi svolgendo dei lavoretti , e toglie il “sostanzioso assegno” per cui niente assegno di invalidità. Lo dice l’Inps nel messaggio 3495 del 14 ottobre scorso. In altri termini, a partire da quella data l’Istituto di previdenza non erogherà più i 287,09 euro al mese per 13 mesi a chi ha una percentuale di invalidità tra 74 e 99% (dunque invalido non totale) e nel frattempo lavora. Dove per lavoro si intende lavoretto da 400 euro mensili al massimo. Una cifra che consente di stare nel tetto annuo di 4.931 euro, considerato sin qui compatibile con l’assegno di invalidità. Ora non più. Ma cosa è cambiato dal 2008 quando la stessa Inps ammetteva che «l’esiguità del reddito impedisce di ritenere che vi sia attività lavorativa rilevante ». Ovvero: se il lavoro non è stabile e non viene superata la soglia di reddito minimo personale, allora lavoretto e assegno possono convivere. L’'istituto oggi però si adegua cosi alle numerose sentenze della Corte di Cassazione, che sul requisito dell’inattività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, come modificato dall’articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, affermano che "il mancato svolgimento dell’attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio."Dunque l’assegno mensile di assistenza sarà liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario, il cui onere della prova è a suo carico. Una decisione illogica , giuridica e sociale che preclude al disabile disoccupato o inoccupato, ma svolge una piccola attività lavorativa percependo un reddito bassissimo, la possibilità di ricevere una prestazione economica istituita proprio per sostenere la persona disabile che è in cerca di un lavoro stabile e risulta completamente privo di reddito. Si punisce chi svolge attività occasionali, precarie con un reddito inferiore a quello già previsto per la avere diritto all’assegno di invalidità civile. La persona disabile che ha un reddito ad esempio proveniente dalla locazione di un appartamento, e che non raggiunge la soglia di accessibilità al beneficio dell’assegno mensile ha diritto ad ottenerlo. Mentre chi ha un reddito da lavoro, seppur basso, e che non raggiunge il limite previsto dalla legge invece non ne avrà diritto. Inoltre avrà conseguenze negative sulle possibilità dei giovani disabili di intraprendere un percorso di inclusione sociale grazie a brevi occasioni di lavoro. In pratica, a migliaia di ragazzi verrà impedito di svolgere minimi lavoretti. Precari e poco pagati. Lavori che preludono magari ad un’occupazione stabile e compiutamente remunerata. Ciò consentirebbe loro di rinunciare all’assegno di invalidità e di avviare una reale integrazione. Inps appoggiandosi alla giurisprudenza si fa scudo e modifica il contenuto sociale di norme che hanno grande valore per la dignità dei disabili. Un comportamento di discriminazione nei confronti degli invalidi civili, per i quali è necessario impostare azione di tutela contro tale decisione e per l’approvazione di una norma interpretativa che ponga fine ad un comportamento illegittimo.