DDL ZAN Polemiche che chiariscono alcune verità
Alessandra Servidori IL DDL ZAN ha comunque sortito un peccato veniale : ha fatto litigare le italiane femministe e non , e però almeno ha chiarito alcuni punti oscuri a tutti del testo . Quasi come i finanziamenti alla cultura BIODINAMICA (grande idiozia esoterica)
https://www.startmag.it/mondo/ecco-come-il-ddl-zan-fa-discutere-le-femministe/
La verità sul DDL ZAN è sotto gli occhi di tutti : stiamo approfondendo con pareri diversi e assai discutibili il contenuto sicuramente confuso del DDL . In queste ore poi alcuni hanno addirittura dato una interpretazione sconcertante alla Costituzione . Nadia Urbinati docente e opinionista ” Se le scuole cattoliche temono la legge Zan, rinuncino ai soldi pubblici”. Dunque una concezione prezzolata della libertà di educazione. E’ come dire : se i giornali non sono d’accordo con tutti i decreti legge presentati dal governo, rinuncino al contributo statale. Un discutibile e politicamente scorretto criterio interpretativo delle libertà costituzionali e per fortuna che come ha ricordato Draghi , siamo in uno Stato laico. Ancora. Si sono i fin qui confrontati alacremente da una parte un femminismo preoccupato che l’identità basata sul genere dichiarato si sostituisca all’identità basata sul sesso biologico, con la conseguenza di una “dissoluzione della realtà dei corpi femminili”, nonché di una nuova e paradossale forma di discriminazione e tacitamento delle donne e del femminismo che rivendicano l’importanza dell’impronta biologica sulla costruzione del soggetto. Dall’ altra parte un femminismo che nella legge Zan, e nella sequenza sesso-genere-orientamento sessuale-identità di genere, non vede nulla di problematico e addirittura anzi vede un passo avanti, il più inclusivo possibile, “verso la garanzia di uguali libertà per tutte e tutti”. Infine, un femminismo transfemminismo”, che accusa il femminismo critico verso la legge di voler affermare “il falso biologismo” di un’identità femminile anatomica contro le identità di genere e di escludere le persone transessuali e di essere alla fine “l’altra faccia della medaglia” dei movimenti no-gender di destra. La prima posizione vede bene il rischio degli effetti collaterali della legge Zan, con effettivamente un certo biologismo; la seconda si fida troppo del linguaggio giuridico progressista tralasciandone gli effetti performativi sui movimenti; la terzaè viziata da un pregiudizio contro il femminismo della differenza, radicato più nell’accettazione passiva delle tassonomie del femminismo anglofono che nella conoscenza effettiva di quello italiano.Per non cadere nella trappola in cui invece tutte queste posizioni cadono chè è quella di incoraggiare – essendone peraltro e al contempo un prodotto – la deriva verso la frammentazione identitaria già presente nella galassia femminista e lgbtq+, deriva pericolosamente antipolitica, che ripercorre una strada già rivelatasi senza uscita nel femminismo americano e dalla quale l’originalità del femminismo italiano ci aveva a lungo preservate , Questa deriva consiste nel concepire il soggetto femminista come una somma algebrica – più o meno inclusiva o più o meno escludente – di identità sociali differenti, certificate non si sa come se non sulla base di astrazioni teoriche o giuridiche, piuttosto che come una costruzione politica basata su pratiche condivise. Prima fra tutte la pratica del partire da sé, pratica che di suo è aperta a chiunque perché volta a dare voce a chiunque sulla base di un desiderio di condivisione dell’esperienza e non di un’identità rivendicata o certificata; e che di suo è generatrice di relazioni, alleanze, coalizioni nonché conflitti, ma motivati da ciò che si fa, non da ciò che si è o si afferma di essere; da ciò che di inedito e imprevisto si mette al mondo, non dal bisogno di riconoscimento da parte del mondo com’è e delle sue leggi, buone o cattive che siano. Ma non può pretendere di imporre agli altri di riconoscere un’identità percepita e una riscrittura della Genesi. Come se il sesso fosse un optional e non un “marchio di fabbrica” della Natura.
EUROPA E GARANZIA PER L'INFANZIA
ALESSANDRA SERVIDORI https://www.ildiariodellavoro.it/leuropa-adotta-la-garanzia-per-linfanzia/
Bruxelles : il 14 Giugno adottata la Garanzia europea per l’infanzia. In Italia come siamo messi e come muoversi (subito!)
Il gruppo di lavoro per l’infanzia e l’adolescenza italiano composto da varie associazioni ha cercato di individuare le risorse attualmente investite e a disposizione dell’Italia con non poche complicazioni essendo plasmate trasversalmente a vari livelli istituzionali . Noi sappiamo che con l’adozione della GARANZIA INFANZIA l’Europa ha compiuto un passo importante verso la realizzazione dei diritti dei bambini nell’UE, ma sarà compito degli Stati membri, quindi anche dell’Italia, elaborare nei prossimi mesi un piano per la sua implementazione al fine di garantire che la povertà minorile venga effettivamente prevenuta e contrastata. Un’occasione per mettere ordine e dare una cornice di riferimento organica agli investimenti e fondi stanziati in tale settore. L’allocazione di adeguate risorse all’infanzia e all’adolescenza ha infatti un’importanza enorme nel garantire a tutti i bambini, bambine e adolescenti l’effettiva attuazione dei diritti loro riconosciuti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC). Il Comitato ONU ha manifestato più volte la preoccupazione per il fatto che la CRC in Italia non sia applicata al massimo livello consentito dalle risorse disponibili, come prescritto dall’art.4 della CRC. E ricostruire le linee di finanziamento destinate ai minori e identificare l’ammontare di tutte le risorse pubbliche spese per i minorenni non è agevole. Ma è fondamentale, ed è tanto più urgente in questo momento in cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) deve programmare l’investimento di oltre 200 miliardi per i prossimi 5 anni, e che contiene importanti voci e fondi correlati all’infanzia e all’adolescenza. Il quadro dei finanziamenti a disposizione è stato rintracciato analizzando tre ambiti:
I fondi Europei destinati all’infanzia e all’adolescenza: a breve dovrebbero essere conclusi gli accordi di partenariato per la programmazione dei fondi europei per i prossimi sette anni 2021-2027 ed è quindi importante avere un quadro degli investimenti del precedente settennato. Se andiamo a sommare i vari fondi UE trasferiti sui territori per infanzia e adolescenza, otteniamo un quadro differenziato tra le Regioni italiane. La mappatura mette in evidenza una maggiore concentrazione di risorse europee nelle Regioni del Sud, e si evince chiaramente come le politiche dedicate ad infanzia e adolescenza basate sul trasferimento dei fondi, in assenza di una strategia organica, di una governance e di una capacità amministrativa adeguate, non siano state di per sé risolutive. Le ragioni di questo sono, probabilmente, da rintracciare in una programmazione frammentata e non sinergica con le politiche ordinarie, che si è concentrata per lo più a colmare il gap infrastrutturale nella dotazione di spazi, strumenti, sottovalutando la complessità e l’obiettivo di qualità insito e necessario in qualsiasi investimento per le persone di minore età e per il contrasto della povertà educativa.
La spesa sociale per l’infanzia e l’adolescenza: in cui si è cercato di tracciare un quadro delle principali risorse destinate ai servizi e agli interventi sociali per infanzia e adolescenza negli ultimi anni. La quantità e la qualità della spesa sociale è molto variabile nel nostro Paese non solo da una Regione all’altra ma anche da un Comune all’altro nella stessa Regione. Per bambini e adolescenti, in particolare, la ripartizione geografica ha condizionato e condiziona drasticamente il loro destino, soprattutto dalla crisi del 2008 in poi.In ambito di politiche sociali, le risorse proprie dei Comuni sono la principale voce di finanziamento (le risorse proprie dei Comuni hanno rappresentato in media il 60% della spesa totale, con punte del 77,4% in Lombardia), mentre il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, con una quota vincolata all’infanzia e all’adolescenza (il 40%, a partire dal 2018, salito al 50% dal 2020) è l’unica fonte soggetta ad un indirizzo di livello nazionale, che, nelle Regioni più avanzate dal punto di vista dell’offerta dei servizi sociali è spesso una quota esigua rispetto al totale dell’investimento sociale. Le disuguaglianze sono tutt’ora enormi se si guarda l’ammontare complessivo dei fondi e l’impatto che hanno sulla condizione dei minorenni rispetto all’offerta di Servizi.
Le risorse per il Sistema integrato ZeroSei, che ha ricevuto negli ultimi anni nuova attenzione politica ed è rientrato in maniera importante anche nel PNRR, ma le risorse finora disponibili, o stanziate all’interno di programmi diversi e gestiti da diverse centrali operative, sono inadeguate a raggiungere l’auspicato obiettivo di una presa in carico almeno del 33% dei bambini sotto i tre anni in tutti i territori regionali,. L’esperienza dei Piani nazionali (Piano straordinario 2007-2010, PAC Infanzia e lo stesso Piano nazionale ex D.lgs. 65/2017) mostra che gli interventi finalizzati a estendere la rete dei servizi educativi per l’infanzia nei territori che ne sono più sprovvisti incontrano due ordini di difficoltà da parte dell’Ente locale, gestore e responsabile per questi servizi. Il primo è risultato essere di natura finanziaria ed economica, soprattutto quando il sostegno è stato erogato a rimborso di spese sostenute e a causa dei vincoli stringenti sull’assunzione di personale posti all’amministrazione pubblica locale. La seconda difficoltà sta nelle procedure per acquisire e rendicontare il sostegno finanziario, che hanno assunto dimensioni paradossali nell’implementazione del PAC – Cura infanzia e che ora il Ministero Istruzione, nell’amministrare il Piano di azione zerosei, si propone di superare con modulistiche semplificate.Il Gruppo CRC ha sicuramente compiuto un lavoro importante e stimola l’avvio di una riflessione concreta tra le istituzioni competenti ad ogni livello di governo affinché assumano un impegno in tema di investimenti, monitoraggio e valutazione di impatto dei fondi pubblici sulle persone di minore età. L’esperienza e le opportunità mancate rendono quanto mai evidente l’urgenza di tale lavoro perché per programmare e attuare le politiche per l’infanzia, le politiche educative, gli interventi di sostegno e il welfare dedicato ai bambini e agli adolescenti serve una visione e una programmazione organica, un allineamento tra molteplici centri di competenza, e una vera concreta un’integrazione tra livelli amministrativi. Il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha individuato quattro principi generali, trasversali a tutti i diritti espressi dalla Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Convention on the Rights of the Child – CRC) utili anche al fine di fornire un orientamento ai Governi per la sua attuazione:principio di non discriminazione (art. 2 CRC) che stabilisce che tutti i diritti sanciti dalla CRC si applicano a tutti i bambini, bambine, ragazzi e ragazze senza alcuna distinzione;principio del superiore interesse del minore (art. 3 CRC) che stabilisce che, in tutte le decisioni relative ai minori, il superiore interesse del minore deve avere una considerazione preminente;diritto alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo (art. 6 CRC) in cui si va oltre il basilare diritto alla vita garantendo anche la sopravvivenza e lo sviluppo;principio di partecipazione e rispetto per l’opinione del minore (art. 12 CRC) che sancisce il diritto di bambine, bambini, ragazze e ragazzi, di essere ascoltati e che la loro opinione sia presa in debita considerazione.
ASSEGNO UNICO FAMILIARE : guidina essenziale con relativi dubbi di equità
ALESSANDRA SERVIDORI
Guida essenziale per l’Assegno unico per i nuclei familiari (DDLS1892) con una correlata analisi di legittime incertezze- 6 Giugno 2021
Con il decreto legge volto a rendere immediatamente operativa la misura dell'Assegno Unico per i nuclei familiari dal prossimo 1° luglio, l'Assegno Unico debutterà come misura unica di sostegno per i lavoratori autonomi e i disoccupati che, ai sensi della disciplina vigente, non hanno accesso agli attuali assegni familiari (ANF).
L'estensione della misura ai lavoratori dipendenti è, invece, prevista da gennaio 2022, anche se, per questa categoria di lavoratori, è comunque previsto - nell'immediato - l'aumento dell'importo erogato a titolo di ANF.
Si tratta, dunque, di una fase transitoria, che servirà a gettare le basi per l'avvio della misura che entrerà a pieno regime, per tutte le famiglie, dal 2022, dopo l'approvazione dei decreti delegati attuativi previsti dalla legge 1 aprile 2021, nl 46.
L'assegno "ponte" Tale assegno spetta ai soli nuclei che non possiedono i requisiti per accedere agli assegni al nucleo familiare già in vigore (L'ANF tradizionale, invece, continuerà ad essere corrisposto alle famiglie di lavoratori dipendenti e assimilati).Per accedere all'assegno, il nucleo familiare del richiedente deve essere in possesso di un ISEE inferiore a 50 mila euro annui lordi. Inoltre, il richiedente deve possedere uno dei seguenti requisiti: essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea o suo familiare titolare del diritto di soggiorno; essere cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea, in possesso, però, del permesso di soggiorno UE di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, o di ricerca, di durata almeno semestrale; essere soggetto al pagamento dell'imposta sul reddito in Italia; essere domiciliato o residente in Italia e avere figli a carico (sino al compimento del diciottesimo anno di età);essere residente in Italia da almeno 2 anni, anche non continuativi, oppure essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, o a tempo determinato di durata almeno semestrale.
L'assegno viene corrisposto per ciascun figlio minore in base al numero dei figli stessi e alla situazione economica della famiglia attestata dall'ISEE. Gli importi risultano decrescenti al crescere del livello dell'ISEE.
Per chi ha due o più figli . Qualora nel nucleo familiare sino presenti più di due figli, l'importo unitario di ciascun figlio minore viene maggiorato del 30% e per ciascun figlio minore con disabilità, inoltre, gli importi sono maggiorati di 50 euro.
Il beneficio medio riferibile alla misura per il periodo che va dal 1° luglio 2021 al 31 dicembre 2021 è pari a 1.056 euro per nucleo e 674 euro per figlio. Il beneficio decorre dal mese di presentazione della domanda.
Per le domande presentate entro il 30 settembre 2021, sono corrisposte le mensilità arretrate a partire dal mese di luglio 2021.
L'assegno è compatibile con il Reddito di cittadinanza e con la fruizione di eventuali misure in denaro a favore dei figli a carico erogate dalle Regioni e dai Comuni.
A decorrere dal 1° luglio 2021 (e fino al 31 dicembre 2021), gli importi mensili dell'assegno per il nucleo familiare già in vigore sono maggiorati: di 37,5 euro per ciascun figlio, in favore dei nuclei familiari fino a due figli; di 55 euro per ciascun figlio, in favore dei nuclei familiari con almeno tre figli.
La misura , ricordiamo , è stata introdotta dalla Legge di bilancio 2021 e legata al Family Act prevede un’erogazione mensile suddivisa per vari importi, spettante alle famiglie con figli minorenni e maggiorenni a carico. La misura sostituirà con i tempi necessari ad armonizzare i sussidi frammentati esistenti ad oggi, come il bonus bebè e gli assegni al nucleo familiare. E dunque in questo periodo coperto dalla misura ponte fino al 2022, anche coloro che non percepiscono assegni al nucleo familiare, quindi autonomi e disoccupati, godranno del sussidio. Se nel nucleo sono presenti più di due figli, l’importo unitario per ciascun figlio minore viene maggiorato del 30% per ciascun figlio minore con disabilità gli importi sono maggiorati di 50 euro. Il beneficio medio riferibile alla misura per il periodo che va dal 1° luglio 2021 al 31 dicembre 2021 è pari a 1.056 euro per nucleo e 674 euro per figlio.
Ripartizione tra coniugi
L'assegno è ripartito in pari misura tra i genitori, ovvero, in loro assenza, viene erogato a chi esercita la responsabilità genitoriale. In caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'assegno spetta, in mancanza di accordo, al genitore affidatario. Nel caso di affidamento congiunto, l'assegno, in mancanza di accordo, è ripartito in pari misura tra i genitori.
Le domande per l'erogazione dell'assegno unico dovranno essere presentate telematicamente secondo le indicazioni che verranno fornite dall'INPS entro il 30 giungo 2021.
Si potrà accedere direttamente dalla propria area personale del sito dell'Istituto tramite SPID o PIN assegnato dall'INPS. In alternativa, la richiesta, potrebbe essere presentata tramite il numero verde INPS o tramite CAF.
Pagamento L'erogazione dell'assegno avviene tramite accredito sul conto corrente. L'unica eccezione è rappresentata da coloro che fruiscono del reddito di CIttadinanza, per i quali l'assegno viene erogato come quota aggiuntiva sulla carta RdC.
https://www.leggioggi.it/2021/06/05/assegno-unico-famiglia-1-luglio/
Dubbi da approfondire :
Secondo una simulazione effettuata recentemente dal Gruppo di lavoro Arel/Feg/Alleanza per l’infanzia l’assegno rischia in alcuni casi un ‘taglio’ dell’importo rispetto ai 250 euro. L’assegno -come credito di imposta o accredito mensile- ingloberà le agevolazioni attualmente esistenti e sarà legato all’Isee. Secondo lo scenario prospettato l’80% delle famiglie italiane prenderebbe 161 euro al mese per ogni figlio minore e 97 per ogni figlio under 21. Il calcolo è legato alla considerazione secondo cui 8 famiglie su 10 hanno un’Isee lordo sotto i 30 mila euro.L’importo dell’assegno diminuisce se si alza l’Isee: per un Isee sopra i 52mila euro, il contributo scende a 67 euro mensili per i figli minori e a 40 euro per i figli maggiorenni ma di età inferiore ai 21 anni. Il quadro favorirebbe autonomi e incapienti, categorie oggi escluse dagli assegni famigliari. Risulterebbero sfavoriti i lavoratori dipendenti: 1,35 milioni di famiglie perderebbero in media 381 euro all’anno. Per tamponare questa disparità, si sottolinea, occorrono 800 milioni in più all’anno.Ricordiamo che l’assegno unico deve in un prossimo futuro sostituire Detrazioni fiscali per figli a carico (inclusa quella al quarto figlio); · Assegno per il nucleo familiare (o Anf); · Assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori; · Assegno di natalità; · Premio alla nascita; · Fondo di sostegno alla natalità. E’ mia opinione che i trasferimenti monetari a favore dei nuclei con figli rappresentino solo un tassello, importante ma non unico, per la realizzazione delle finalità di fondo di una politica di sostegno della genitorialità e di incentivo alla natalità. Tali finalità devono infatti trovare anche in altri strumenti ed istituti (politiche di parità, politiche di conciliazione, offerta di servizi educativi quali ad esempio il piano nidi; l’estensione del tempo pieno nella scuola dell’obbligo e il servizio mensa) un supporto indispensabile. Di ciò si deve tenere conto nella programmazione delle risorse da destinare a ciascuna di queste componenti. Nel caso, ad esempio, di figli con disabilità nel limite del possibile sostegno aggiuntivo in tali situazioni - va considerata la presenza e/o adeguatezza di altri istituti di sostegno alle famiglie già esistenti come per esempio il Fondo per i Caregiver istituito e già finanziato ma non operativo a sistema. Si rileva, che la Legge delega non prevede stanziamenti ad hoc per attività di monitoraggio e valutazione della misura. Sarebbe auspicabile evitare un ennesimo organismo di monitoraggio e valutazione, rimandando tale importante attività ai già costituiti Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza e Osservatorio Nazionale per la Famiglia.
Un aspetto da modificare è senz’altro la relazione tra Assegno unico e Rdc ,poiché la Legge delega prevede (Art.1 lett. d): “L'assegno di cui al comma 1 è pienamente compatibile con la fruizione del reddito di cittadinanza, di cui all'articolo 1 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, ed è corrisposto congiuntamente ad esso con le modalità di erogazione del reddito di cittadinanza. Nella determinazione dell'ammontare complessivo si tiene eventualmente conto della quota del beneficio economico del reddito di cittadinanza attribuibile ai componenti di minore età presenti nel nucleo familiare, sulla base di parametri della scala di equivalenza di cui all'articolo 2, comma 4, del decreto-legge n. 4 del 2019” Mentre per le altre famiglie l’assegno si aggiunge al reddito familiare complessivo, nel caso dei più poveri, e per questo beneficiari di RdC (che sostituisce reddito assente per soddisfare bisogni essenziali e non ha obiettivi di sostegno alla genitorialità o di valorizzazione della presenza di figli), invece dal RdC debba venir sottratta la quota parte destinata ai minori per essere sostituita dall’AUUF. Nel momento in cui alle famiglie si riconosce un sostegno economico aggiuntivo al reddito disponibile qualunque esso sia, operare una sostituzione tra RdC e AUUF nel caso di figli minorenni appare un atteggiamento punitivo e creatore di iniquità. Della fruizione del Rdc si deve quindi tenere conto nel momento della definizione della condizione economica ai fini dell’AUUF, senza alcuna decurtazione del Rdc.
Ma sappiamo bene che il reddito di cittadinanza dovrà essere modificato perché ha creato degli evidenti abusi. E questo problema se ne trascina dietro un altro : mentre per le altre famiglie l’assegno si aggiunge al reddito familiare complessivo, nel caso dei più poveri, e per questo beneficiari di RdC (che sostituisce reddito assente per soddisfare bisogni essenziali e non ha obiettivi di sostegno alla genitorialità o di valorizzazione della presenza di figli), invece dal RdC debba venir sottratta la quota parte destinata ai minori per essere sostituita dall’Assegno unico . Nel momento in cui alle famiglie si riconosce un sostegno economico aggiuntivo al reddito disponibile qualunque esso sia, operare una sostituzione tra RdC e Assegno unico nel caso di figli minorenni appare un atteggiamento punitivo e creatore di iniquità. Della fruizione del Rdc si deve quindi tenere conto nel momento della definizione della condizione economica ai fini dell’AUUF, senza alcuna decurtazione del Rdc.
Come si finanzia il nuovo Assegno unico familiare : Come in tutte le leggi di spesa si prevede la clausola di salvaguardia che richiede attenzione agli aspetti amministrativi e organizzativi. La raccolta delle informazioni necessarie per effettuare l’ assegno riformato al posto delle prestazioni vigenti bisogna chiarirle bene perché ad oggi non sono a disposizione in modo completo le informazioni necessarie. È quindi essenziale un coordinamento tra Agenzia delle entrate e Inps per la gestione delle informazioni rilevanti e la loro messa a disposizione tempestiva ai beneficiari dell’assegno. Come si finanzia : è una contribuzione sociale vigente e quindi l’istituto degli assegni al nucleo familiare è finanziato, in parte, con una contribuzione sociale di 0,68 punti percentuali a carico del datore di lavoro, il cui gettito è stimato in circa 2 miliardi. Ma è ovvio che destino di questa contribuzione dopo la riforma, che la natura universale dell’Assegno Unico rende tale fonte di finanziamento obsoleta. Una soluzione possibile sarebbe la fiscalizzazione di tale contribuzione a carico del bilancio generale delle AP, nell’ambito di provvedimenti, auspicabili, di riduzione del costo del lavoro che comunque dovrà ma in futuro essere realizzata. si potrebbe eventualmente prevedere l’introduzione di una forma di contribuzione sociale speciale a carico dei redditi di lavoro autonomo, che, come ricordato, traggono, relativamente, i vantaggi più ampi dalla riforma dell’Assegno Unico . La misura di questa contribuzione aggiuntiva dovrebbe naturalmente essere proporzionata al peso di quella attualmente in vigore per il lavoro dipendente. Il Gruppo ritiene tuttavia che la soluzione della fiscalizzazione rappresenti l’esito più razionale di questo aspetto del finanziamento. Il grande vantaggio della fiscalizzazione, rispetto alla soluzione contributiva, sta nel fatto che in questo modo l’intera collettività - compresi i pensionati, una categoria peraltro finora più protetta delle altre dalle conseguenze della crisi economica - viene chiamata a partecipare al costo dei figli, non solo i lavoratori.
Donne e giustizia :la Corte Ue condanna l'Italia
Alessandra Servidori www.ildiariodellavoro.it
La Corte Ue dei diritti forse ci salverà dalla misoginia della giustizia italiana.
Il 27 maggio scorso la Corte Suprema Ue dei diritti dell’uomo ha pronunciato una sentenza molto importante contro l’Italia, per la ferma presa di posizione della Corte nei confronti di un sistema, quello italiano, in cui è ancora fortemente radicata una cultura misogina e sessista. La sentenza è legata ad una violenza subita da una giovane nel 2008 in stato di ubriachezza , quando sette ragazzi la violentarono a Firenze e purtroppo la questione recentemente si è ripetuta in Sardegna. In primo grado, sei dei sette accusati toscani vennero condannati a quattro anni e sei mesi di reclusione per violenza sessuale aggravata e successivamentein appello gli imputati vennero tutti assolti con formula piena “perché il fatto non sussiste”, con motivazioni della Corte d’Appello di Firenze che evidenziò “la serie di imprecisioni e contraddizioni” nella ricostruzione dell’evento considerando il racconto della ragazza come non credibile con valutazioni sulla vittima, sulle sue abitudini sessuali e relazionali, definita come “soggetto femminile fragile, ma al tempo stesso tempo creativo, disinibito, capace di gestire la propria (bi)sessualità”, protagonista, nel corso della serata, di “atteggiamenti particolarmente disinvolti … in un clima … goliardico (e) godereccio”. Dunque secondo il Collegio dei giudici la ragazza non avrebbe ostacolato in alcun modo l’iniziativa del gruppo, i quali non avevano dunque esercitato alcuna costrizione della volontà della vittima tramite l’uso e l’abuso di alcool. La questione venne conclusa come una vicenda “incresciosa, non encomiabile per nessuno” ma, “un fatto penalmente non censurabile”. Gruppi di associazioni femminili convinte che la pronuncia avesse rappresentato una grave violazione dei diritti fondamentali della vittima, hanno portata la sentenza all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo. E’ bene ricordare due profili: (a) il quadro normativo in tema di violenza di genere e, in particolare, di tutela delle donne che ne sono vittime e (b) gli obblighi, positivi e negativi, in materia scaturenti dalle previsioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In capo alle autorità nazionali ricordiamo vi sono specifici obblighi di tutela nei confronti delle donne vittime di violenza e particolare attenzione viene posta alla condotta degli organi inquirenti e giudicanti, ai quali è richiesto di attivare ogni strumento per proteggere e assistere la vittima nel corso del procedimento. La Corte di Strasburgo ha inanellato il suo giudizio in applicazione dell’articolo 8 CEDU (rispetto alla vita privata e familiare) da solo e in combinato disposto con gli articoli 2 (diritto alla vita) e 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti); Dichiarazione dei Principi Fondamentali di Giustizia per le Vittime di Reato e di Abuso di Potere del 1985; Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979 (CEDAW, la Direttiva 2012/29/UE, “che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato”, la Convenzione di Istanbul del 2011, sottoscritta dai paesi del Consiglio d’Europa, il cui articolo 18 impegna gli Stati a garantire protezione e sicurezza delle donne, nell’ambito di una più generale “comprensione della violenza di genere contro le donne e della violenza domestica” invitando le autorità affinché si “concentrino sui diritti umani e sulla sicurezza della vittima”. La Corte ispirandosi a “vittimizzazione secondaria” – o “colpevolizzazione della vittima” (c.d. victim blaming) – quando, a seguito di un episodio di violenza, le autorità (sanitarie e/o giudiziarie), che dovrebbero tutelare e proteggere la vittima, la rendono soggetta a nuove e diverse violenze nella fattispecie anche quando le autorità mettano in dubbio la ricostruzione dei fatti proposta dalla vittima facendo leva su caratteristiche personali che ne minerebbero la credibilità – quali una scarsa educazione, una condizione socio-economica precaria e uno stile di vita ritenuto “non convenzionale”.Sappiamo bene che L’Italia, pur dotandosi, nel corso degli anni, di una normativa abbastanza completa per quanto riguarda il contrasto alla violenza di genere, non ha mai approntato alcuno strumento giuridico per combattere lo specifico fenomeno del c.d. victim blaming. La Corte ha censurato con durezza alcuni passaggi della sentenza della Corte d’Appello di Firenze, giudicando come “inappropriati” e “ingiustificati” i riferimenti alla vita relazionale e all’orientamento sessuale della ricorrente, alla sua condotta e persino ai suoi interessi, così come sono “deplorevoli” e “irrilevanti” i tentativi dei giudici di merito di stigmatizzare il momento di fragilità della ricorrente e le sue abitudini di vita, ritenute “non convenzionali”. Argomentazioni, queste, che la Corte ha considerato né utili per valutare la credibilità della ricorrente, né pertinenti, né, tantomeno, determinanti per giungere ad una sentenza ed inoltre ha determinato una violazione degli obblighi positivi in capo alle autorità nazionali scaturenti dall’articolo 8 CEDU, che impone di proteggere le vittime non solo con riguardo alla loro integrità fisica, ma anche alla loro immagine, dignità e vita privata. In un passaggio particolarmente significativo, la Corte ha evidenziato come la facoltà dei giudici di esprimersi liberamente nel formulare le proprie decisioni – quale espressione della discrezionalità e dell’indipendenza dei giudici – trova necessariamente un limite nell’obbligo, appunto, di tutelare le vittime e la loro immagine. La questione di genere è un tema aperto nel dibattito pubblico e politico italiano, dove vivono episodi di esplicito sessismo e misoginia, anche da parte di esponenti delle istituzioni. Un problema culturale, diffuso e radicato e che, come nel caso di specie, è esteso anche alle autorità giudiziarie, che dovrebbero rappresentare, almeno teoricamente, baluardo di equità ed uguaglianza.Sicuramente l’adeguamento agli standard europei ed internazionali e la definizione di protocolli più stringenti nello svolgimento di processi su casi di violenza di genere sono un passo importante nel garantire maggiori tutele e protezione alle vittime. Dunque una più equa composizione dei collegi (le donne giudici ci sono!)e una preparazione giuridica più gender-oriented sono necessari perché le vittime di violenza possano essere adeguatamente protette e tutelate.
SINTESI ESSENZIALE DECRETO SOSTEGNI
ALESSANDRA SERVIDORI TUTTEPERITALIA
SINTESI ESSENZIALE DECRETO SOSTEGNI
E' stata pubblicata, in data 21.5.2021, la legge n. 69/2021 di conversione, con modificazioni, del decreto legge n. 41/2021 (cd. Decreto sostegni). La legge è in vigore dal 22 maggio 2021.
Le principali novità:
Contributo a fondo perduto per le startup
Viene previsto, per l'anno 2021, il riconoscimento di un contributo nella misura di mille euro ai soggetti titolari di reddito di impresa che hanno attivato la partita iva dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2018 (art. 1 ter).
Trattamenti di CIGO, ASO e CIGD
Con il nuovo comma 2-bis, viene stabilito che i trattamenti di integrazione salariale (CIGO, ASO e CIGD) concessi dallo stesso Decreto Sostegni (ulteriori 13 settimane per la CIGO e ulteriori 28 settimane per Assegno ordinario e CIGD a decorrere dal 1° aprile 2021 da utilizzare rispettivamente, entro il 30 giugno 2021 ed entro il 31 dicembre 2021) possono essere concessi in continuità ai datori di lavoro che abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale messi a disposizione dalla "Legge di Bilancio 2021".
Inoltre, con il comma 3-bis, viene stabilito che i termini di decadenza per l'invio delle domande di accesso ai trattamenti di integrazione salariale collegati al Covid-19 e i termini di trasmissione dei Modd. SR41 per il pagamento o per il saldo degli stessi, scaduti nel periodo dal 1.1.2021 al 31.3.2021, possano essere sanati, adempiendo all'obbligo di trasmissione, entro il prossimo 30 giugno.
Fringe Benefit
Tra le novità apportate in materia di determinazione del reddito di lavoro dipendente, si segnala l'inserimento del nuovo art. 6-quinquies con il quale viene disposta la proroga - anche per il periodo di imposta 2021 - dell'innalzamento da euro 258,23 ad euro 516,46 del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati dall'azienda ai lavoratori dipendenti che non concorre alla formazione del reddito imponibile.
A titolo di esempio, sono soggetti al limite di esenzione di euro 516,46:
*i buoni acquisto e i buoni carburante; i generi in natura prodotti dall'azienda; l'auto ad uso promiscuo, l'alloggio concesso in locazione, in uso o in comodato e i prestiti aziendali; l'uso di specifici beni di proprietà dell'azienda (smartphone, pc, tablet, stampanti o altri dispositivi elettronici aziendali);polizze assicurative extra professionali Ricordare che qualora il valore del fringe benefit superi il limite di esenzione, lo stesso concorre interamente a formare il reddito imponibile.
Settore marittimo
Per il settore marittimo, al fine di sostenere l'occupazione, di accompagnare i processi di riconversione industriale delle infrastrutture portuali, è previsto che ai lavoratori in esubero delle imprese che operano nei porti nei quali:
*almeno l'80% della movimentazione di merci containerizzate avvenga o sia avvenuta negli ultimi cinque anni in modalità transhipment (termine utilizzato per indicare la movimentazione via mare di merci o contenitori, in un luogo intermedio, per poi essere trasferite verso un'altra destinazione); si sia realizzata una sensibile diminuzione del traffico roteabile e passeggeri; sussistano, alla data del 22.5.2021, stati di crisi aziendale o cessazione delle attività terminalistiche e delle imprese portuali; per le giornate di mancato avvio al lavoro, spetta l'indennità prevista dall'art. 3, c. 2, della legge n. 92/2012.
In particolare, può essere riconosciuta una indennità di importo pari ad un ventiseiesimo del trattamento massimo mensile di integrazione salariale straordinaria, comprensiva della relativa contribuzione figurativa e degli assegni per nucleo familiare. Tale importo spetta per ogni giornata di mancato avviamento al lavoro, nonchè per le giornate di mancato avviamento che coincidano, in base al programma, con le giornate festive, durante le quali il lavoratore sia risultato disponibile (art. 9-bis)
Fondo per genitori separati o divorziati
E' stata prevista per l'anno 2021, l'erogazione di un contributo che consenta ai genitori separati o divorziati, che in conseguenza del Covid-19 hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività lavorativa, di garantire la continuità di versamento dell'assegno di mantenimento.
Attraverso le risorse del Fondo (istituito presso il MEF - Ministero dell'Economia e delle Finanze) si potrà provvedere alla erogazione, in parte o per intero, dell'assegno di mantenimento fino a un importo di ottocento euro mensili (art. 12-bis).
Madri disoccupate con figli disabili
Con la "Legge di Bilancio 2021" è stato previsto, per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023, il riconoscimento di un contributo mensile, fino ad un massimo di 500 euro netti, in favore delle madri disoccupate o monoreddito, facenti parte di nuclei familiari monoparentali, con figli disabili a carico.
L'art. 13-bis, in sede di conversione, ha esteso la platea dei potenziali beneficiari prevedendo che il contributo spetti non solo alle "madri disoccupate o monoreddito" ma ad "uno dei genitori disoccupati o monoreddito".
Associazioni sportive
Per l'anno 2021, viene incrementato di cinquanta milioni di euro, il Fondo unico per il sostegno delle associazioni e società sportive dilettantistiche.
Lavoratori somministrati del comparto sanità
Viene prevista una indennità connessa all'emergenza da Covid-19 per i lavoratori in somministrazione del comparto sanità, in servizio alla data del 1° maggio 2021. La definizione dell'importo della suddetta indennità viene demandata ad un decreto interministeriale da adottare sulla base dei dati certificati inviati dalle Regioni (art.18-bis).
Misure a tutela dei lavoratori fragili
Viene confermata la proroga, fino al 30.6.2021, delle tutele introdotte a favore dei lavoratori fragili in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, nonchè in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità (art. 3, c. 3, legge n. 104/1992).
Per tale tipologia di lavoratori è riconosciuta la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile fino al 30.6.2021, anche attraverso l'adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto.
In caso di impossibilità a svolgere la prestazione in modalità agile, agli stessi è riconosciuto il diritto di assentarsi dal lavoro con il riconoscimento del ricovero ospedaliero per il periodo di assenza ed il relativo trattamento economico.
Inoltre, viene specificatamente previsto che, i giorni di assenza equiparati a ricovero ospedaliero non possano essere considerati utili ai fini del periodo di comporto.
La tragedia di Stresa e il turismo dell'orrore
https://www.startmag.it/blog/la-tragedia-di-stresa-e-il-turismo-dellorrore/
lI post di Alessandra Servidori
La tragedia della funivia di Stresa ci ha riportato di colpo in una situazione terrificante che il Covid aveva frenato: il fenomeno del turismo dell’orrore che consiste nella ricerca di quei luoghi in cui si sono consumati tragedie collettive e delitti efferati o di quei contesti in cui gli eventi si sono manifestati in tutta la loro drammaticità.
Una massa di persone curiose e ciniche si è portata sul luogo impervio dove hanno perso la vita 14 e un piccolo di 5 anni lotta per continuare a vivere.
Il turismo nero è una manifestazione macabra. Le forme più “oscure” del turismo coinvolgono luoghi di morte e sofferenza, visitati per motivi perlopiù educativi e in cui l’evento tragico è avvenuto non molto tempo prima. L’intenzione del visitatore è quella di ricercare un’esperienza di “autenticità”, distante dagli standard dell’offerta tipica dell’industria culturale turistica. L’altro estremo coinvolge luoghi associati alla morte e alla sofferenza, visitati per divertimento in un contesto spesso molto turistico e più artificiale, in cui gli eventi proposti riguardano un passato ormai lontano.
Due esempi estremi sottesi a questa classificazione sono, da un lato, quello del campo di sterminio nazista e, dall’altro, delle attrazioni come il “London Dungeon”, una sorta di luna park in cui vengono inscenati gli eventi più macabri della storia di Londra avvalendosi di attori, effetti speciali e scenografie. La dottrina sociologica insegna come l’avvicinamento alla morte, alla sofferenza, alla violenza dia la possibilità di vivere emozioni represse o di avvicinarsi a temi lontani dalla sfera concreta dell’esistenza.
Si parla di emozioni represse e temi lontani dalla sfera concreta dell’esistenza in quanto, per la persona, il diniego della morte diventa un perno fondamentale, rendendogli possibile la vita in un mondo maestoso e incomprensibile che, se accolto nella sua totalità, finirebbe per paralizzarlo. Ne consegue che l’uomo vive in una condizione di “menzogna vitale”, in cui egli si trova a dover negare la propria sorte e a esorcizzare la realtà; l’immagine pressoché stabile di noi stessi, quindi, non sarebbe altro che uno dei baluardi di questo processo di repressione e menzogna. Non solo l’individuo, ma anche molte popolazioni, specialmente quelle occidentali, tendono a negare la morte, o meglio, tendono a rendere il concetto di mortalità sempre più assente dalla loro esistenza.
Si presenta questa forma perversa di turismo come modalità di avvicinare l’uomo alla consapevolezza della morte che nel mondo occidentale spesso è considerato un tabù, un destino inevitabile da cui irrazionalmente si tenta sempre la fuga.
Questo risulta essere importante perché viviamo, infatti, in una società dove i valori morali, il senso d’identità e le tradizioni vengono sempre messi in discussione e dove la morte rimane l’unica certezza che abbiamo. Ma il precipitarsi di ieri sul luogo dell’incidente ha avuto risvolti veramente terrificanti perché la moltitudine era mossa da curiosità e non c’era nessuno che si voleva accertare del coinvolgimento di parenti o amici.
Una emozione ricercata come tante volte accade di persone chiaramente frustrate che partono da casa per lunghi viaggi per vedere i luoghi della tragedia che custodisce terribili drammi di uomini, donne e bambini. Un comportamento malato spesso incentivato dai mass media i limiti della spettacolarizzazione, anche dal punto di vista etico e valoriale.
La rappresentazione dei casi di cronaca nera nei telegiornali e nei programmi televisivi, che coinvolgono il giudizio dell’opinione pubblica nell’indagare sulle circostanze e nel trovare i colpevoli, viene tradotta in particolare in una reazione mediatica. Ed è proprio questa reazione mediatica che viene studiata dal punto di vista criminologico, e più nello specifico da quello psico-sociale, proprio poiché viene analizzata come una reazione della società di fronte ai delitti che vengono commessi.
Quando di una notizia cominciano ad esserci dei dubbi, dei misteri, delle questioni poco chiare, tipiche dei casi di cronaca nera, l’opinione pubblica, in effetti, reagisce aprendosi al mistero di un omicidio, interrogandosi su chi è stato, su chi è l’assassino; domandandosi il perché è successo, le motivazioni scatenanti l’atto delittuoso.
Come ci ha cambiato il Covid
https://www.ildiariodellavoro.it/come-il-confinamento-ci-ha-cambiato-la-vita-il-rapporto-ue-living-and-working-in-europe-2020/
Alessandra Servidori
La pubblicazione Living and working in Europe 2020- https://www.eurofound.europa.eu/sites/default/files/ef_publication/field_ef_document/ef21055en.pdf- fornisce una fotografia di come le misure di confinamento dovute alla pandemia da COVID-19 abbiano cambiato l'occupazione, il lavoro e la qualità della vita in Europa. Il rapporto fornisce anche i risultati riguardanti gli sviluppi di altri aspetti della vita sociale ed economica, comprese le pratiche sul posto di lavoro, il dialogo sociale, l'uguaglianza di genere e l'accesso ai servizi pubblici, che avranno un impatto significativo sulla ripresa europea dopo la pandemia e sulla transizione green e digitale. Molto è cambiato nel 2020 - alcune cose temporaneamente, altre per sempre. Milioni di persone si sono ritrovate senza lavoro a pochi mesi dalla diffusione del virus COVID-19 in Europa. Molti milioni di altri sono stati temporaneamente licenziati o hanno avuto il loro orario di lavoro interrotto, mentre le imprese hanno chiuso le porte, molti incerti se avrebbero aperto di nuovo. Le famiglie videro le loro finanze diminuite a causa della mancanza di reddito, e alcune affondarono al di sotto della soglia di povertà. Tuttavia, interventi straordinari da parte dei governi a tutti i livelli, sostenuti dall'Unione europea, hanno fatto molto per mitigare lo shock che le restrizioni economiche avevano sulle imprese, sui lavoratori e sulle famiglie. E’ stata innescata una rivoluzione del telelavoro, con metà della popolazione attiva che a un certo punto lavorava dalle loro case. Questo spostamento di modalità dal posto di lavoro, anche se solo per alcuni, in particolare per i genitori di bambini piccoli, e cioè combinare lavoro e vita familiare nello stesso spazio, è stata fonte di stress e conflitti. In questo vortice di eventi, il benessere degli europei è naufragato, la loro resilienza è stata messa alla prova e la loro fiducia nelle loro istituzioni guida è stata messa in dubbio. L'enormità dell'impatto della pandemia di COVID-19 sulla vita e sul lavoro degli europei è difficile da catturare, ma la priorità di Eurofound nel 2020 è stata registrare e valutare l'esperienza di questo sconvolgimento sociale in tutti gli Stati membri in tutti i suoi dettagli, varietà e modulazione. In poco più di un mese, l'Agenzia aveva progettato l'e-survey Living, working e COVID-19 e l'aveva implementato online per raggiungere decine di migliaia di intervistati in tutta Europa. Allo stesso tempo, ha istituito la banca dati COVID-19 EU PolicyWatch per raccogliere informazioni sulle misure introdotte per attutire gli effetti sociali ed economici della pandemia su imprese, lavoratori e cittadini. I risultati del sondaggio elettronico di aprile sono stati una delle prime fonti di fatti affidabili sull'impatto della crisi e hanno dipinto un quadro netto. Descriveva alti livelli di solitudine tra la popolazione e bassi livelli di ottimismo per il futuro. Ha rilevato un drastico calo della fiducia nell'UE e nei governi nazionali. Ha confermato il passaggio al telelavoro, nonché una maggiore precarietà del lavoro e un forte calo dell'orario di lavoro. Ha registrato il peggioramento della situazione economica degli intervistati e la loro profonda preoccupazione per il loro futuro finanziario. Un secondo ciclo di indagine a luglio ha aggiornato il quadro, descrivendo un parziale rimbalzo verso migliori finanze e stati d'animo quando è iniziata l'eliminazione delle restrizioni e la vita è tornata a una parvenza di normalità. Quella non è stata affatto la fine della pandemia sulle montagne russe. Stanchezza e frustrazione hanno preso il sopravvento mentre il ciclo di crescenti tassi di infezione seguito da nuove restrizioni si è trascinato nell'anno in corso. Il terzo round del sondaggio condotto nel marzo 2021 racconta l'impatto in corso di questa malattia più dirompente. Nonostante le mutate circostanze del 2020, Eurofound ha continuato il suo programma annuale di attività pianificato, riformulando le implicazioni dei suoi risultati di ricerca alla luce della pandemia e spostando online i suoi eventi faccia a faccia. I blocchi hanno anche evidenziato la difficile situazione dei lavoratori nell'economia delle piattaforme. Tra coloro che hanno lavorato durante i blocchi, molti si sono trovati ad avere poca protezione dal contrarre il virus e senza indennità di malattia se costretti all'auto-quarantena. Un esercizio di Eurofound ha descritto vari scenari futuri plausibili per il lavoro sulle piattaforme e come la politica potrebbe essere modellata per ottenere il massimo desiderabile. I lavoratori delle piattaforme sono contati in quel segmento della forza lavoro che lavora sulla base di accordi di lavoro precari, spesso senza la rete di sicurezza della copertura della protezione sociale. Questi lavoratori sono stati duramente colpiti dalla crisi, i primi a perdere il lavoro a causa della chiusura delle imprese. La precarietà nell'occupazione è una spina nel fianco della politica sociale dell'UE. Una questione controversa, richiede tuttavia una risoluzione più efficace. Il 2020 è stato anche l'ultimo anno del periodo di programmazione 2017-2020 di Eurofound e l'Agenzia ha lanciato un nuovo programma di lavoro, Verso la ripresa e la resilienza, definendo le sue attività per i quattro anni a venire. Queste attività rispondono ai principali obiettivi della politica sociale, occupazionale e lavorativa dell'UE. Come sempre, si tratta di un programma ambizioso, che comprende temi tanto diversi quanto la mutevole struttura dei mercati del lavoro, la qualità della vita dei cittadini anziani, la partecipazione dei giovani all'occupazione e alla società, gli effetti socioeconomici della transizione verso la neutralità climatica e le sfide alla coesione sociale, per individuarne solo alcune. In quel programma, tuttavia, Eurofound rispecchia l'ambizione della stessa Unione europea.
Dottoresse in prima linea. Ma non solo
Dottoresse in prima linea. Ma non solo.
https://www.ilvaloreitaliano.it/le-dottoresse-in-rivolta-a-napoli-qui-non-esistono-signorine/
Curioso e allo stesso tempo interessante il caso scoppiato all’ Ospedale San Giovanni di Dio di Frattamaggiore, di competenza dell’Asl Napoli 2 Nord, dove é in corso una vera e propria battaglia contro il gender gap da parte delle dottoresse, stufe di sentirti chiamare ‘signorine’ dai pazienti che così si rivolgono a loro lungo i corridoi o negli studi quando richiedono specifiche. Possibile, dicono esauste, che negli stessi corridoi i colleghi uomini debbano essere chiamati dottori mentre la nostra professione non emerga e venga messa in secondo piano solo perché siamo donne? A detta delle dottoresse, che hanno deciso di affiggere sulla porta dell’ambulatorio un cartello singolare: “In questi ambulatori non esistono ‘signorine’ ma le dottoresse”, si tratta di atteggiamento sessista di alcuni pazienti.
La tematica é delicata e non é la prima volta che le donne sottolineano un arretratezza culturale in ambito professionale ed accademico. Ricordate, in questo caso con atteggiamento opposto, il caso della direttrice d’orchestra di Sanremo, Beatrice Venezi che aveva esplicitamente chiesto, creando non poche polemiche sul palco dell’Ariston, di essere chiamata direttore e non direttrice. La motivazione era stata per chi non la ricordasse: “Per me contano altre cose: la preparazione, il modo in cui si fanno le cose. La mia professione ha un nome che é ‘direttore d’orchestra’.
Ma cosa si era nascosto dietro al suo desiderio, si erano chiesti in molti dato il dibattito infuocato che ne era emerso sui social e sui media, annientare l’ipocrisia del politically correct ad ogni costo, oppure far intendere tra le righe che il titolo é autorevole solo se al maschile?
Il linguaggio se ben utilizzato e con le giuste declinazioni al femminile può essere effettivamente uno strumento potente per scardinare antichi stereotipi di genere? Su tale questione, data la sua competenza, abbiamo deciso di interfacciarci con la Professoressa Alessandra Servidori, docente, esperta di welfare, politiche attive del lavoro e diritto antidiscriminatorio, nonché Presidente Nazionale Associazione TutteperItalia, che ringraziamo per la gentile disponibilità. Eccovi le sue parole sul caso dell’ospedale di Napoli, corretto l’atteggiamento ‘simbolico’ messo in atto dalle dottoresse?
Napoli, le dottoresse si ribellano: ‘Qui non esistono signorine’
Così la Servidori: “La scelta delle dottoresse dell’ospedale napoletano è comprensibile e comunque è utile per approfondire un atteggiamento molto comune che segna anche una arretratezza culturale in ambito professionale e accademico. Promuovere l’uso di un linguaggio non discriminatorio e attento alle differenze di genere nella comunicazione istituzionale, nei documenti e negli atti amministrativi, negli eventi pubblici e nella quotidianità accademica e sociale è ancora complicato.
Il linguaggio è uno degli ambiti in cui si producono e si perpetuano stereotipi e pregiudizi di genere e, al contempo, chi scrive è convinta che il linguaggio può essere strumento potente per scardinare antiche consuetudini, sostenere il cambiamento e, nel caso specifico, promuovere una cultura più equa e meno asimmetrica, che riconosca e valorizzi in pari misura la presenza e i ruoli di donne e uomini in ciascun ambito della sanità e, più in generale, nella vita accademica e comunemente sociale.
Il linguaggio non è mai uno strumento neutro, perché dà forma e voce al modo in cui gli esseri umani pensano, interpretano la realtà e agiscono nel mondo. Più o meno consciamente, le parole che usiamo possono veicolare e rafforzare asimmetrie, preconcetti e iniquità, oppure possono esprimere l’affermazione di diritti e articolare concetti complessi quali l’esigenza di promuovere la parità nel rispetto delle differenze.
Il linguaggio burocratico-amministrativo e della comunicazione istituzionale, la rappresentazione del genere femminile e, più in generale, dei generi, è stata e continua a essere un problema e una sfida. Negli atti normativi, nei verbali delle commissioni, nei documenti amministrativi e istituzionali si usa costantemente una lingua androcentrica: il maschile è il genere grammaticale dominante, sia al plurale che al singolare, anche in testi che riguardano una persona di sesso femminile o che non si identifica con il genere maschile.
Anche voci autorevoli dell’Accademia della Crusca, che continua a essere il maggior punto di riferimento della linguistica e filologia italiana, invitano a rappresentare donne e uomini con nomi declinati coerentemente al femminile e al maschile.
Ma nell’ambulatorio ci sono davvero solo dottoresse? Signorine non é offensivo
Detto ciò sicuramente nel contesto in oggetto NON si può escludere che nell’ambulatorio lavorino anche altre figure femminili che non sono in possesso di titolo accademico e professionalmente, comunque, elevato e il termine usato comunemente dai pazienti non è offensivo per nessuno.
In questo caso se il cartello è relativo solo al ruolo delle dottoresse può essere limitativo e offuscare le altre professionalità femminili : non mi pare corretto.
Proprio in questi giorni la Francia mette al bando la scrittura inclusiva cioè quel metodo assunto in piena rivoluzione femminile usato in molti paesi occidentali per promuovere l’uguaglianza di genere alternando nella lettura e nella scrittura un punto mediano cioè un segno e il Ministro dell’Istruzione con circolare stabilisce che è bandito tale metodo perché confonde la lettura e la scrittura e il maschile è assunto (ri/assunto) come una forma neutra adatta sia agli uomini che alle donne.
In Italia la questione avanza e nella prossima pubblicazione la casa editrice Effequ ha deciso di sostituire il maschile generico con un asterisco, dunque una opzione grafica per indicare “un neutro” a fronte di tante professioniste che però si rifiutano di femminilizzare il proprio titolo. Ma la scrittura inclusiva in effetti è il contrario di quello che afferma di se stessa perché esclude la lingua dalla sua stessa storia, dal suo passato, dalla sua tradizione, dalla sua logica. Non è la strada giusta.
Molti cambiamenti non si possono definire ‘spontanei’, ma sono chiaramente frutto di una precisa azione socio-politica. Vi l’incertezza di fronte all’uso di forme femminili nuove rispetto a quelle tradizionali maschili (è il caso di ingegnera), la presunta bruttezza delle nuove forme (ministra proprio non piace!), o la convinzione che la forma maschile possa essere usata tranquillamente anche in riferimento alle donne.
Ma maestra, infermiera, modella, cuoca, nuotatrice, ecc. non suscitano alcuna obiezione: anzi, nessuno definirebbe mai Federica Pellegrini nuotatore. Le resistenze all’uso del genere grammaticale femminile per molti titoli professionali o ruoli istituzionali ricoperti da donne sembrano poggiare su ragioni di tipo linguistico, ma in realtà sono, di tipo culturale; mentre le ragioni di chi lo sostiene sono apertamente culturali e, al tempo stesso, anche fondatamente linguistiche.
Vero è che le resistenze all’uso di un linguaggio inclusivo del genere femminile non sono quindi giustificabili con motivazioni di tipo grammaticale, ma sono piuttosto riconducibili a una resistenza di tipo culturale ad adeguare la lingua ai cambiamenti di status sociale delle donne. Pare utile e soprattutto educativo e formativo, denominare le professioniste con il loro titolo a volte declinabile al femminile naturalmente oppure anticiparlo con l’appellativo signora.
Si ricorda che nel marzo 2015, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, venne costituito un gruppo di esperte ed esperti in materia, con lo scopo di predisporre delle linee guida e sensibilizzare all’uso di un linguaggio rispettoso delle differenze di genere; il progetto rientra nelle azioni previste dal Piano di azioni straordinario contro la violenza sessuale e di genere (decreto legge n. 93 del 14 agosto 2103, convertito nella legge n. 119 del 15 ottobre 2013). Linee guida dunque, non obbligatorie“.
Ringraziamo di cuore la Professoressa Alessandra Servidori per aver accolto in nostro invito e per averci fornito interessanti spunti di riflessione, confidiamo di poterla avere ancora come gradita ospite su ‘Il Valore Italiano ‘.
medicina di genere : nuova frontiera per la contrattazione
Alessandra Servidori Una nuova frontiera per la contrattazione : la medicina di genere
https://www.ildiariodellavoro.it/una-nuova-frontiera-per-la-contrattazione-la-medicina-di-genere/
A ridosso dei rinnovi contrattuali e con la pandemia che ci circondato diventa fondamentale individuare nuovi ambiti di scambio tra lavoro produttività e benessere della persona. Sicuramente un ambito ancora poco esplorato anche dallo strumento della contrattazione di prossimità in materia di welfare e dalle possibili clausole sociali è la medicina di genere. In Italia la legge sulla Medicina di Genere risale all’anno 2018 (n.3 del gennaio 2018) e si è redatto il piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere che rende obbligatoria la divulgazione, la formazione e l’indicazione di pratiche sanitarie nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura che tengano conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale in modo omogeneo sul territorio nazionale. Che cosa è la medicina di genere? Dove la si applica? Riguarda solo le donne? Esistono, infatti, delle differenze nella cura e nelle manifestazioni delle malattie legate proprio al genere, che è giusto conoscere e per le quali è utile informarsi. Per medicina di genere s’intende lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso), socioeconomiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Infatti, molte malattie comuni a uomini e donne presentano molto spesso differente incidenza, sintomatologia e gravità. Uomini e donne hanno, inoltre, una diversa risposta alle terapie e reazioni avverse ai farmaci. Anche l’accesso alle cure presenta rilevanti diseguaglianze legate al genere. La Medicina di Genere è una dimensione trasversale a tutte le discipline della medicina che studia come differiscono le malattie tra uomo e donna in termini di prevenzione, sintomatologia, terapia, prognosi, impatto psicologico e sociale.Dunque la conoscenza delle differenze di genere favorisce maggiore appropriatezza della terapia e una maggiore tutela della salute per entrambi i generi.In questa situazione di pandemia legata al Covid è provato scientificamente che la donna, innanzitutto, è più colpita dal COVID, ma muore di meno: possiamo dire che la donna, è più esposta al COVID (infermiere, operatrici sanitarie, badanti…), ma la letalità del COVID-19 è inferiore nella donna. Ad oggi ci sono diverse teorie che cercano di spiegare in modo specifico le motivazioni di questa differenza. Innanzitutto, la donna fuma di meno e beve di meno, ma è anche più attenta alle tre regole fondamentali per contrastare il COVID, ossia lavaggio frequente delle mani, uso della mascherina e distanziamento. Spesso, poi, è colei che fa applicare queste regole alla famiglia e questo verrà dimostrato da lavori recenti che farò vedere durante il convegno. C’è, poi, un discorso biochimico, più complesso: ci sono dei meccanismi recettoriali, tra il virus e le cellule, in cui la donna è avvantaggiata. Ad esempio, il recettore ACE2, che diminuisce l’entrata del virus nella cellula polmonare è stimolato dagli estrogeni. Nell’uomo, invece, per via della proteina TMPRSS2, stimolata dagli androgeni, il SARS CoV-2 entra più facilmente nelle cellule. Il sistema immunitario, poi, è più attivo nella donna rispetto all’uomo, inoltre gli estrogeni hanno effetti antinfiammatori, mentre il testosterone ha degli effetti immunodepressivi. Tutto questo rende il sistema immunitario del genere femminile più vivace rispetto a quello dell’uomo. La Medicina di genere (o, più precisamente, genere-specifica) prende in considerazione come varie patologie, la loro diagnosi e terapia si differenzino tra uomo e donna, sia a livello di sesso biologico che di genere, sulla base delle ricadute sociali del genere stesso. Ormai dagli anni ’90, grazie ai primi studi di Bernadine Patricia Healy, si parla di Medicina di genere, ed è tempo che la Sanità completi il suo processo di adattamento a questo nuovo approccio, sia a livello globale che in Italia. Le donne, infatti, hanno una più alta aspettativa di vita rispetto agli uomini, ma sono più sensibili ad alcune malattie, come quelle cardiovascolari, mentre sono meno soggette ad alcuni tipi di tumore, come il melanoma. Anche in altri ambiti, come la psichiatria, la psicogeriatria, la medicina del lavoro e quella interna, la reumatologia e l’ortopedia le differenze di genere vanno tenute in considerazione per creare un percorso di cura “su misura” e attento alle esigenze dei singoli individui. La popolazione italiana sta invecchiando: si vive sempre di più, e i cittadini anziani sono sempre più numerosi rispetto ai giovani. Questo porta a un incremento dell’incidenza delle malattie croniche legate all’età, con un forte impatto sulla Sanità. Le donne, con la loro maggiore aspettativa di vita (84,2 anni vs. 80,8) e la tendenza a sviluppare multicronicità, sono le più colpite da questo fenomeno. La popolazione italiana complessivamente è in buona salute, ma per poter garantire la sostenibilità del SSN è importante promuovere ulteriormente campagne di prevenzione mirate e garantire appropriatezza delle prestazioni. Calibrare l’offerta terapeutica sulle differenze di genere consente di avere un sistema sanitario più efficace e alla portata di tutti e a raggiungere buoni risultati, come dimostrato in ambito oncologico grazie al controllo dei fattori di rischio, come fumo e sovrappeso, alla diffusione di programmi screening e a terapie più mirate. Con la riduzione del gap lavorativo tra donne e uomini, si evidenzia sempre di più la necessità di considerare le peculiarità di genere rispetto al rapporto salute/ambiente di lavoro. Le differenze di genere in ambito lavorativo sono state oggetto di attenzione istituzionale, con l’intento di combattere le discriminazioni sul posto di lavoro. Questo ha portato, nel tempo, allo sviluppo di un’analisi di come genere e sesso influenzino le pratiche di sicurezza sul lavoro: dall’adeguatezza dei diversi dispositivi di protezione individuale, alla diversa sensibilità alle sostanze chimiche, alle differenti reazioni allo stress sulla base delle pressioni della società, fino ovviamente alla relazione tra lavoro e gravidanza. Quest’analisi influirà positivamente sulla creazione di ambienti di lavoro più equi, anche attraverso la corretta formazione del Medico Competente, sia come figura tecnica legata alla sicurezza sul posto di lavoro, sia come responsabile della formazione dei lavoratori nel rispetto delle differenze di genere. Il contributo mostra come la Medicina di genere sia percepita e messa in atto a livello globale. Negli Stati Uniti viene ad esempio definita “sex medicine”, poiché viene considerato il fattore biologico (il sesso) e non quello sociale (il genere). Nonostante questa differente terminologia, la Medicina di genere è assai diffusa, al punto che gli USA sono la patria dei primi studi sulla maggiore mortalità cardiovascolare femminile. Al contrario, il Canada affianca la componente culturale a quella biologica. In Canada la discriminazione di sesso/genere viene analizzata anche in relazione ad altri tipi di discriminazione (razziale, sociale etc.). L’Unione Europea supporta la parità di genere fin dal 1957, anno della sua formalizzazione. Per assistere a un concreto inserimento delle questioni di sesso e genere nei programmi, tuttavia, occorre attendere il 2007. Al momento attuale si sta ancora lavorando sul finanziamento di progetti che portino a una reale uguaglianza di genere in ambito europeo. Se a livello mondiale l’OMS è sempre più attenta alle differenze di genere anche in ambito sanitario e a livello nazionale si riscontrano ancora differenze sostanziali, l’obiettivo comune resta l’applicazione più omogenea possibile della Medicina di genere a tutti i livelli. La “medicina di precisione” rappresenta uno dei grandi traguardi della medicina moderna. Le terapie sono sempre più create su misura per il singolo paziente. In Europa si parla di medicina di precisione ormai dal 2012 e nel 2016 gli Stati Uniti, sotto la presidenza Obama, hanno investito molto nel campo. La medicina di precisione (o meglio ancora medicina personalizzata) è un nuovo approccio terapeutico che combina dati genetici, stili di vita e informazioni raccolte da migliaia di pazienti per creare terapie sempre più specifiche ed efficaci. I campi in cui attualmente la medicina di precisione trova maggiore applicazione sono l’oncologia e la cardiologia. In quest’ottica, lo studio delle differenze di genere tra i pazienti ricopre un ruolo di fondamentale importanza. L’obiettivo è chiaro e ambizioso: per raggiungere un livello adeguato di personalizzazione delle terapie sarà necessario investire risorse e rivoluzionare la mentalità relativa alle cure. Ogni ospedale dovrà avere un team dedicato a ogni caso clinico (composto da diversi specialisti medici, operatori sanitari, biochimici, bioinformatici) e in questo la formazione ricoprirà un ruolo essenziale per organizzare meglio l’attività produttiva. Dunque anche i contratti di lavoro potranno e già ora possono plasmarsi anche su queste tematiche per offrire tra i benefit e l’organizzazione del lavoro modalità differenti flessibili articolate per il reciproco benessere lavorativo e aziendale.
Istruzioni per l'uso 2 :CIG e decreto sosetgni
Alessandra Servidori Istruzioni per l'uso 2: Cassa integrazione e decreto sostegni 2021- 9 Maggio
Per far fronte all’emergenza COVID-19, il governo Draghi è intervenuto nel corso degli ultimi mesi con una serie di provvedimenti emergenziali al fine di introdurre una serie di misure a sostegno dei lavoratori, delle famiglie e delle imprese.
Tra gli interventi in materia di lavoro sono state previste tutele a sostegno del reddito per la sospensione o la riduzione dell’attività lavorativa, mediante l’utilizzo esteso della cassa integrazione ordinaria, dell’assegno ordinario e della cassa integrazione in deroga, nonché il divieto di licenziamenti per motivi economici.
Il DL n. 41/2021, ha introdotto un ulteriore periodo di trattamenti di cassa integrazione salariale ordinaria (CIGO), in deroga (CIGD) e di assegno ordinario (ASO), che può essere richiesto da tutti i datori di lavoro che hanno dovuto interrompere o ridurre l’attività produttiva per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica e alcune importanti modifiche al sistema di trasmissione dei dati necessari al calcolo e alla liquidazione diretta delle integrazioni salariali.
Le principali novità aggiornate con il decreto legge 22.3.2021, n. 41. Cassa integrazione ordinaria con causale “COVID-19 nazionale”
Punti salienti e le novità che riguardano le CIGO richiesta per ragioni strettamente connesse all’epidemia da COVID-19: con il decreto Sostegni vengono concesse altre 13 settimane da fruire tra il 1° aprile e il 31 giugno 2021; la CIGO COVID-19 è gratuita. Nessun contributo addizionale è dovuto all’azienda; l'estensione dell’integrazione riguarda tutti i dipendenti in forza all'azienda che ne faccia richiesta con causale "COVID-19" al 4 gennaio 2021 a prescindere dall’anzianità e tipologia contrattuale (con l’eccezione dei lavoratori in somministrazione cui spetta un trattamento ad hoc); risultano sospesi i limiti normalmente previsti di 52 settimane nel biennio mobile, di 24 mesi nel quinquennio mobile di 1/3 delle ore lavorabili; viene confermata l’estensione della possibilità di fare domanda anche alle aziende che hanno già ottenuto la cassa integrazione ordinaria con altra causale (precedenti autorizzazioni o domande non definite vengono annullate d’ufficio per i periodi corrispondenti; i periodi autorizzati sono neutralizzati in caso di successive richieste);invariate le modalità per la richiesta e per l’erogazione dell’indennità (può essere erogata tramite conguaglio su UNIEMENS oppure mediante pagamento diretto del lavoratore da parte dell’INPS).
Assegno ordinario
Si tratta di una prestazione di integrazione salariale erogata, nei casi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, in favore dei lavoratori dipendenti di datori di lavoro rientranti nel campo di applicazione dei Fondi di solidarietà e del Fondo di Integrazione Salariale (FIS). Semplificando, spetta dunque alle imprese con più di 5 lavoratori che non abbiano normalmente diritto alla CIGO, a carico dei Fondi di Solidarietà istituiti presso l'INPS dalle diverse Categorie o del Fondo di Integrazione Salariale per le categorie che non l'abbiano istituito. Caratteristiche e modalità gestionali sono sostanzialmente le stesse previste per la cassa integrazione ordinaria con causale “COVID-19 nazionale” (compreso l'obbligo di esame congiunto con le organizzazioni sindacali, inizialmente escluso dal decreto "Cura Italia"). Anche l’assegno ordinario viene erogato con pagamento a conguaglio da parte del datore di lavoro: il pagamento diretto dei lavoratori, da parte dell'INPS, può essere autorizzato su richiesta della azienda nel caso di serie e documentate difficoltà finanziarie debitamente documentate dalla stessa.Il decreto Sostegni concede altre 28 settimane da fruire nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 31 dicembre 2021.Viene abolito il pagamento del contributo addizionale, mentre non si tiene conto del tetto contributivo aziendale.
Cassa integrazione in deroga COVID-19
Spetta a tutte le imprese che non abbiano accesso a nessuno degli ammortizzatori sopra elencati, come ad esempio quelle operanti nel Terzo Settore, nonché gli Enti Religiosi riconosciuti civilmente. Entità, modalità e durata sono analoghe a quelle previste per la CIGO con causale COVID-2019. Alcune precisazioni, anche a seguito delle ultime novità legislative si rendono tuttavia necessarie: la richiesta va ancora rivolta alla Regione, anche se si sta pensando a una procedura centralizzata all’INPS;il pagamento dell’indennità avviene esclusivamente con versamento diretto da parte dell’INPS. Anche in questo caso il decreto Sostegni concede una proroga di ulteriori 28 settimane, fruibili nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 31 dicembre 2021.Tuttavia, nonostante la proroga delle settimane di CIG, è emerso un problema: che le ulteriori settimane concesse dalla Legge di Bilancio 2021 non avrebbero coperto integralmente il mese di marzo 2021, terminando il giorno 28 del predetto mese. Infatti, il DL Sostegni, riconosce le ulteriori 13 settimane a partire dal 1° aprile lasciando, dunque, scoperte le giornate dal 26 al 31 marzo 2021 e generando quindi una situazione di incertezza tra le imprese che, nel dubbio, hanno assunto comportamenti diversi.
C’è infatti chi ha scommesso in una modifica della norma prevedendo in ogni caso il pagamento della cassa integrazione e chi, invece, ha coperto le assenze dei lavoratori con ferie e permessi.L’Istituto, ricevuto parere conforme dal Ministero del lavoro, anticipando una imminente circolare di chiarimento in materia, ha puntualizzato che le 13 settimane del DL Sostegni comprendono i periodi decorrenti dalla settimana in cui è collocato il 1° aprile 2021 consentendo di estendere la copertura della cassa Covid-19 anche ai giorni lavorativi del 29, 30 e 31 marzo.
Su queste situazioni l’INPS dovrà esprimersi per individuare delle soluzioni semplificate ed automatizzate che consentano alle aziende ed agli studi professionali di recuperare le suddette giornate senza dover riaprire gli stipendi di marzo.In attesa di conoscere le indicazioni dell’INPS, ci sono sostanzialmente due nodi da sciogliere.*Il primo è nei confronti dei lavoratori; si può gestire nella prima busta paga utile (probabilmente di maggio), in cui il datore di lavoro può stornare le giornate di ferie e permessi riconoscendo contestualmente le giornate di cassa integrazione (salvo il caso di pagamento diretto).*Il secondo è nei confronti dell’INPS; si può risolvere utilizzando l’Uniemens di maggio per compilare la sezione di rettifica dei mesi precedenti (indicando quello di marzo) riportando le giornate di cassa integrazione. Tutto ciò senza dover presentare nuovamente la denuncia previdenziale del mese di marzo.Una cosa è certa, queste rettifiche non giovano a chi, quotidianamente, deve elaborare i cedolini paga.L’INPS, infatti, ha ampiamente dimostrato di non essere in grado di gestire telematicamente tali situazioni, compromettendo la regolarità contributiva delle aziende che necessitano dei DURC regolari per poter contare sulla puntualità dei pagamenti da parte dei clienti.Ogni modifica contributiva, fa scaturire l’emissione di una nota di rettifica, che deve essere gestita tramite cassetto previdenziale e con le tempistiche di un Ente che è in grande difficoltà .
Istruzioni per l'uso 1 : Assegno unico per figli-CIG e sostegni
Alessandra Servidori 8 maggio 2021 ISTRUZIONI PER L'USO
Assegno unico per la famiglia con figli : NON partirà a luglio come previsto ma probabilmente nel gennaio 2022.I tempi si allungano.
L'introduzione dell'Assegno Unico e universale è stata prevista dalla legge delega n. 46/2021, approvata dal Parlamento lo scorso 30 marzo, ma si tratta di una "legge quadro" all'interno della quale andranni approvati - nei prossimi dodici mesi - vari decreti attuativi da parte del Ministero della famiglia assieme a quello delle Politiche sociali ed al MEF. Con la denominazione "unico" si fa riferimento ad una misura che ha lo scopo di unificare e potenziare i contributi esistenti a sostegno delle famiglie con figli a carico. Con la definizione "universale" si fa, invece, riferimento alla totalità delle famiglie con figli, senza distinzione tra lavoratori dipendenti e autonomi, poichè il contributo economico mensile dipenderà dalla situazione economica del richiedente certificata con l'indicatore ISEE. L'assegno unico sostituirà sei misure di sostegno: l'assegno ai nuclei con almeno tre figli minori;l'assegno di natalità:il premio alla nascita o all'adozione;il fondo di sostegno alla natalità. Inoltre, nel quadro di una più ampia riforma del sistema fiscale, verranno gradualmente soppresse: le detrazioni per figli a carico;l'assegno per il nucleo familiare.L'assegno sarà destinato a tutte le famiglie. In particolare, potranno riceverlo i nuclei familiari con figli, indipendentemente che il genitore sia: lavoratore subordinato; lavoratore autonomo;percettore di misure di sostegno al reddito. L'assegno verrà riconosciuto mensilmente per: ciascun figlio nascituro a decorrere dal settimo mese di gravidanza;ciascun figlio minorenne a carico;ciascun figlio maggiorenne a carico e fino al compimento del 21.mo anno di età purchè: frequenti un percorso di formazione scolastica o professionale;frequenti un corso di laurea, di tirocinio ovvero svolga una attività lavorativa con reddito complessivo inferiore ad un determinato importo annuale;sia disoccupato regolarmente iscritto nelle apposite liste presso i Centri per l'impiego;ciascun figlio disabile anche dopo il compimento del 21.mo anno di età, qualora risulti ancora a carico.L'assegno verrà riconosciuto a entrambi i genitori e ripartito in misura uguale. In loro assenza, spetterà a chi esercita la responsabilità genitoriale. In caso di separazione legale ed effettiva, annullamento o divorzio, l'assegno verrà erogato al genitore affidatario. Invece, in caso di affidamento congiunto o condiviso, l'assegno verrà ripartito in pari misura tra i genitori.In caso di figlio maggiorenne a carico l'importo potrà essere corrisposto direttamente al figlio al fine di favorirne l'autonomia.I genitori dovranno possedere cumulativamente i seguenti requisiti: avere la cittadinanza italiana o essere cittadini comunitari, o un suo familiare, con diritto di soggiorno permanente, ovvero essere cittadini extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca, di durata almeno annuale;essere soggetti al pagamento dell'imposta sul reddito in Italia;essere residenti e domiciliati, con figli a carico, in Italia per l'intera durata del beneficio;essere stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi, ovvero essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno biennale. L’assegno sarà di importo fino a 250 euro circa (con una maggiorazione per i figli disabili). Verrà prevista una maggiorazione a partire dal secondo figlio e un aumento tra il 30 ed il 50% in caso di figli disabili.Preme evidenziare che, in base alle prime simulazioni effettuate dall'Istat, alcune famiglie rischiano di prendere meno rispetto a quanto prendono oggi in base alle misure esistenti. A tal fine andrebbe inserita una clausola di salvaguardia che le tuteli da questo rischio ma, ad oggi, mancherebbero le risorse necessarie. L'assegno verrà riconosciuto sottoforma di credito di imposta mensile in busta paga o come erogazione mensile di una somma di denaro. In caso di titolare di reddito di cittadinanza o di pensione di cittadinanza l'assegno verrà corrisposto congiuntamente e secondo le modalità di erogazione del beneficio economico.L'introduzione dell'assegno unico, inizialmente prevista per il 1° luglio 2021 (data in cui decorrono gli ANF) partirà verosimilmente da gennaio 2022, in quanto la trasformazione dal vecchio al nuovo regime richiede ancora molto lavoro.Infatti, bisognerà definire l'interazione dell'assegno unico con il reddito di cittadinanza ed andranno aggiornate le piattaforme informatiche dell'INPS.Inoltre, bisognerà decidere se i datori di lavoro dovranno continuare a versare il contributo (Cuaf) destinato al finanziamento degli assegni per il nucleo familiare oppure se queste risorse verranno reperite altrove. Il tutto dovrà essere inquadrato, poi, all'interno dell'annunciata riforma Irpef. I tempi inevitabilmente si allungano
1Maggio Diamo ali alle riforme del lavoro
Alessandra Servidori www.Il Resto del Carlino Bologna.net
Rimango dell’idea anche in questo faticoso 1 maggio che invece di continue riforme del lavoro sarebbe stato più opportuno dare completa attuazione ed effettività alle Riforme Treu e Biagi, perché i frequenti ultimi interventi in materia di lavoro improvvisati come il reddito di cittadinanza e l’Anpal ,agenzia nazionale massacrata dal suo presidente, non può che creare grande incertezza negli imprenditori e negli operatori del mercato del lavoro, disincentivandoli ad avventurarsi nell’applicazioni di nuove normative, poi risultate devastanti. La mancanza di certezza del diritto e della sua effettività porta all’immobilismo piuttosto che al dinamismo del mercato del lavoro già debolissimo dalla drammatica epidemia. Le imprese hanno bisogno urgente di liquidità, patrimonializzazione,ristori,lavoro. Tra febbraio 2020 e febbraio 2021, abbiamo perso 945 mila occupati, soprattutto giovani, donne, occupati a tempo e autonomi, nonostante il blocco dei licenziamenti assunto solo in Italia. Serve quindi agire subito anche in base il pnrr su ciò che abbiamo già , riducendo la soglia d’accesso al contratto di espansione portandola a 50 dipendenti dagli attuali 250,collegando questa misura ai bonus per l’assunzione di giovani e donne, e rimuovendo contestualmente le causali previste nel DL Dignità sui contratti a tempo determinato. E contemporaneamente mettere le ali alle le riforme strutturali, la riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro. Serve un ammortizzatore universale basato su formazione e rioccupabilità, e analoghe politiche attive del lavoro aperte anche alle APL private, e non più solo basate sui centri per l’impiego pubblici.
1Maggio 2021 : Fare lavoro !!!!!
https://formiche.net/2021/05/primo-maggio-lavoro-draghi/
Alessandra Servidori
Fare lavoro .E’ questa la promessa del Presidente Draghi che pervade tutta la stesura trasversale del Pnrr.Fare lavoro per risollevare l’Italia .Ancora troppi giovani, troppi adulti, troppe donne, troppi disabili sono esclusi per lunghi periodi dalla possibilità di provvedere ai bisogni propri e del proprio nucleo familiare attraverso un reddito da lavoro, di realizzare il proprio potenziale e la propria attitudine relazionale attraverso una sostenibile attività lavorativa. Negli ultimi 14 mesi poi la situazione è precipitata e già dall’anno scorso avevamo indicato come nell’inattività degli strumenti del reddito di cittadinanza e dell’assenza di produttività dell’Anpal gestita malamente la situazione era tragicamente precipitata .La creazione di lavoro passa oltre che dalla riforma degli ammortizzatori sociali e dalle riforme del welfare e delle nuove tecnologie dall’abbandono convinto del timore che lo sviluppo in quanto fonte potenziale di inquinamento, corruzione, evasione, minaccia alla privacy, violazione di diritti ed altro ancora, sia difficile .Ma anche da quello di coloro che ritengono inevitabile e razionale uno sviluppo concentrato sui poli efficienti del sistema riservando agli esclusi un pur adeguato sostegno al reddito affinché sopravvivano e non disturbino i più fortunati. Fare lavoro significa invece adottare quale priorità tutto ciò che incoraggia pervasivamente la propensione ad intraprendere e ad assumere sfruttando ogni nicchia dell’economia e della società. Occorre che ognuno faccia la sua parte e incoraggi attivamente e culturalmente la vitalità economica lasciando che non prevalgono nichilismo, scetticismo, antropologia negativa e interessi coatti. Per dare vitalità demografica, così necessaria per la crescita, è necessario non solo aspettare le provvidenze pubbliche sicuramente essenziali per la ripresa ma riappropriarci della cultura del lavoro per edificare una comunità della piena occupazione nel tempo delle tecnologie che potenzialmente capacitano la persona nella sua integralità e a fronte di una stagione di nuova responsabilità .E ovviamente il lavoro dignitoso presuppone un pavimento di poche ma fondamentali tutele per tutti fissate da leggi inderogabili ed anche capacità di dialogo confronto e visione strategica . E così come è necessario il duttile strumento contrattuale che può e deve garantire la condivisione delle conoscenze nell’ambito di ecosistemi formativi accessibili. E la remunerazione deve crescere flessibilmente con la professionalità e con i risultati . L’ossessione egualitaria diventa nemica del lavoro. E poiché questo 1 maggio è particolarmente curato dai sindacati e dalle associazioni datoriali legato alla prevenzione salute e sicurezza una riflessione opportuna è dedicata alla violenza verbale, fisica e/o psicologica che rappresenta per le aziende un potenziale pericolo. I singoli atti di violenza possono essere imprevedibili, ma esistono presupposti relazionali e caratteriali che possono aumentare la probabilità di episodi di violenza. Sappiamo bene che al di fuori dell’azienda, la tipologia di lavoro svolto può aumentare l’eventualità di essere soggetti ad aggressioni. Particolarmente a rischio, ad esempio, sono gli operatori che manipolano beni di valore, hanno frequenti rapporti con l’utenza, oppure che svolgono lavori di ispezione, controllo o esercizio di attività di pubblica autorità. In ogni caso le categorie maggiormente esposte al rischio sono le persone di genere femminile, le persone diversamente abili e le persone che operano da sole o in situazioni di isolamento. Le conseguenze comprendono lesioni, disturbi post-traumatici da stress, assenze per malattia e scarso rendimento sul lavoro e sono estremamente gravi sia per i singoli individui, sia per le organizzazioni. Pertanto, è compito del Datore di Lavoro di qualsiasi azienda o ambito lavorativo valutare anche questa tipologia di rischio specifico ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. 81/08 e successive integrazioni, dando a tutti i lavoratori potenzialmente esposti, insieme al medico competente gli opportuni strumenti di mitigazione dello stesso. Nei rischi fisici e psicosociali, il “fattore umano” è la variabile che fa la reale differenza e questo vale ancor di più per quanto riguarda il rischio violenza, dove l’essere umano è l’unica fonte generativa di rischio. Quindi è fondamentale formare adeguatamente le persone a leggere correttamente i segnali del contesto e quelli comportamentali, in modo da poter adottare le strategie di reazione più efficaci per ridurre il rischio di subire aggressione e violenza. Il Pnrr affronta questa tematica soprattutto trasversalmente nelle missioni elaborate: ognuno può fare la sua parte .Anche in questo faticoso 1 maggio.
Alessandra Servidori
Fare lavoro .E’ questa la promessa del Presidente Draghi che pervade tutta la stesura trasversale del Pnrr.Fare lavoro per risollevare l’Italia .Ancora troppi giovani, troppi adulti, troppe donne, troppi disabili sono esclusi per lunghi periodi dalla possibilità di provvedere ai bisogni propri e del proprio nucleo familiare attraverso un reddito da lavoro, di realizzare il proprio potenziale e la propria attitudine relazionale attraverso una sostenibile attività lavorativa. Negli ultimi 14 mesi poi la situazione è precipitata e già dall’anno scorso avevamo indicato come nell’inattività degli strumenti del reddito di cittadinanza e dell’assenza di produttività dell’Anpal gestita malamente la situazione era tragicamente precipitata .La creazione di lavoro passa oltre che dalla riforma degli ammortizzatori sociali e dalle riforme del welfare e delle nuove tecnologie dall’abbandono convinto del timore che lo sviluppo in quanto fonte potenziale di inquinamento, corruzione, evasione, minaccia alla privacy, violazione di diritti ed altro ancora, sia difficile .Ma anche da quello di coloro che ritengono inevitabile e razionale uno sviluppo concentrato sui poli efficienti del sistema riservando agli esclusi un pur adeguato sostegno al reddito affinché sopravvivano e non disturbino i più fortunati. Fare lavoro significa invece adottare quale priorità tutto ciò che incoraggia pervasivamente la propensione ad intraprendere e ad assumere sfruttando ogni nicchia dell’economia e della società. Occorre che ognuno faccia la sua parte e incoraggi attivamente e culturalmente la vitalità economica lasciando che non prevalgono nichilismo, scetticismo, antropologia negativa e interessi coatti. Per dare vitalità demografica, così necessaria per la crescita, è necessario non solo aspettare le provvidenze pubbliche sicuramente essenziali per la ripresa ma riappropriarci della cultura del lavoro per edificare una comunità della piena occupazione nel tempo delle tecnologie che potenzialmente capacitano la persona nella sua integralità e a fronte di una stagione di nuova responsabilità .E ovviamente il lavoro dignitoso presuppone un pavimento di poche ma fondamentali tutele per tutti fissate da leggi inderogabili ed anche capacità di dialogo confronto e visione strategica . E così come è necessario il duttile strumento contrattuale che può e deve garantire la condivisione delle conoscenze nell’ambito di ecosistemi formativi accessibili. E la remunerazione deve crescere flessibilmente con la professionalità e con i risultati . L’ossessione egualitaria diventa nemica del lavoro. E poiché questo 1 maggio è particolarmente curato dai sindacati e dalle associazioni datoriali legato alla prevenzione salute e sicurezza una riflessione opportuna è dedicata alla violenza verbale, fisica e/o psicologica che rappresenta per le aziende un potenziale pericolo. I singoli atti di violenza possono essere imprevedibili, ma esistono presupposti relazionali e caratteriali che possono aumentare la probabilità di episodi di violenza. Sappiamo bene che al di fuori dell’azienda, la tipologia di lavoro svolto può aumentare l’eventualità di essere soggetti ad aggressioni. Particolarmente a rischio, ad esempio, sono gli operatori che manipolano beni di valore, hanno frequenti rapporti con l’utenza, oppure che svolgono lavori di ispezione, controllo o esercizio di attività di pubblica autorità. In ogni caso le categorie maggiormente esposte al rischio sono le persone di genere femminile, le persone diversamente abili e le persone che operano da sole o in situazioni di isolamento. Le conseguenze comprendono lesioni, disturbi post-traumatici da stress, assenze per malattia e scarso rendimento sul lavoro e sono estremamente gravi sia per i singoli individui, sia per le organizzazioni. Pertanto, è compito del Datore di Lavoro di qualsiasi azienda o ambito lavorativo valutare anche questa tipologia di rischio specifico ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. 81/08 e successive integrazioni, dando a tutti i lavoratori potenzialmente esposti, insieme al medico competente gli opportuni strumenti di mitigazione dello stesso. Nei rischi fisici e psicosociali, il “fattore umano” è la variabile che fa la reale differenza e questo vale ancor di più per quanto riguarda il rischio violenza, dove l’essere umano è l’unica fonte generativa di rischio. Quindi è fondamentale formare adeguatamente le persone a leggere correttamente i segnali del contesto e quelli comportamentali, in modo da poter adottare le strategie di reazione più efficaci per ridurre il rischio di subire aggressione e violenza. Il Pnrr affronta questa tematica soprattutto trasversalmente nelle missioni elaborate: ognuno può fare la sua parte .Anche in questo faticoso 1 maggio.
Alessandra Servidori
Fare lavoro .E’ questa la promessa del Presidente Draghi che pervade tutta la stesura trasversale del Pnrr.Fare lavoro per risollevare l’Italia .Ancora troppi giovani, troppi adulti, troppe donne, troppi disabili sono esclusi per lunghi periodi dalla possibilità di provvedere ai bisogni propri e del proprio nucleo familiare attraverso un reddito da lavoro, di realizzare il proprio potenziale e la propria attitudine relazionale attraverso una sostenibile attività lavorativa. Negli ultimi 14 mesi poi la situazione è precipitata e già dall’anno scorso avevamo indicato come nell’inattività degli strumenti del reddito di cittadinanza e dell’assenza di produttività dell’Anpal gestita malamente la situazione era tragicamente precipitata .La creazione di lavoro passa oltre che dalla riforma degli ammortizzatori sociali e dalle riforme del welfare e delle nuove tecnologie dall’abbandono convinto del timore che lo sviluppo in quanto fonte potenziale di inquinamento, corruzione, evasione, minaccia alla privacy, violazione di diritti ed altro ancora, sia difficile .Ma anche da quello di coloro che ritengono inevitabile e razionale uno sviluppo concentrato sui poli efficienti del sistema riservando agli esclusi un pur adeguato sostegno al reddito affinché sopravvivano e non disturbino i più fortunati. Fare lavoro significa invece adottare quale priorità tutto ciò che incoraggia pervasivamente la propensione ad intraprendere e ad assumere sfruttando ogni nicchia dell’economia e della società. Occorre che ognuno faccia la sua parte e incoraggi attivamente e culturalmente la vitalità economica lasciando che non prevalgono nichilismo, scetticismo, antropologia negativa e interessi coatti. Per dare vitalità demografica, così necessaria per la crescita, è necessario non solo aspettare le provvidenze pubbliche sicuramente essenziali per la ripresa ma riappropriarci della cultura del lavoro per edificare una comunità della piena occupazione nel tempo delle tecnologie che potenzialmente capacitano la persona nella sua integralità e a fronte di una stagione di nuova responsabilità .E ovviamente il lavoro dignitoso presuppone un pavimento di poche ma fondamentali tutele per tutti fissate da leggi inderogabili ed anche capacità di dialogo confronto e visione strategica . E così come è necessario il duttile strumento contrattuale che può e deve garantire la condivisione delle conoscenze nell’ambito di ecosistemi formativi accessibili. E la remunerazione deve crescere flessibilmente con la professionalità e con i risultati . L’ossessione egualitaria diventa nemica del lavoro. E poiché questo 1 maggio è particolarmente curato dai sindacati e dalle associazioni datoriali legato alla prevenzione salute e sicurezza una riflessione opportuna è dedicata alla violenza verbale, fisica e/o psicologica che rappresenta per le aziende un potenziale pericolo. I singoli atti di violenza possono essere imprevedibili, ma esistono presupposti relazionali e caratteriali che possono aumentare la probabilità di episodi di violenza. Sappiamo bene che al di fuori dell’azienda, la tipologia di lavoro svolto può aumentare l’eventualità di essere soggetti ad aggressioni. Particolarmente a rischio, ad esempio, sono gli operatori che manipolano beni di valore, hanno frequenti rapporti con l’utenza, oppure che svolgono lavori di ispezione, controllo o esercizio di attività di pubblica autorità. In ogni caso le categorie maggiormente esposte al rischio sono le persone di genere femminile, le persone diversamente abili e le persone che operano da sole o in situazioni di isolamento. Le conseguenze comprendono lesioni, disturbi post-traumatici da stress, assenze per malattia e scarso rendimento sul lavoro e sono estremamente gravi sia per i singoli individui, sia per le organizzazioni. Pertanto, è compito del Datore di Lavoro di qualsiasi azienda o ambito lavorativo valutare anche questa tipologia di rischio specifico ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. 81/08 e successive integrazioni, dando a tutti i lavoratori potenzialmente esposti, insieme al medico competente gli opportuni strumenti di mitigazione dello stesso. Nei rischi fisici e psicosociali, il “fattore umano” è la variabile che fa la reale differenza e questo vale ancor di più per quanto riguarda il rischio violenza, dove l’essere umano è l’unica fonte generativa di rischio. Quindi è fondamentale formare adeguatamente le persone a leggere correttamente i segnali del contesto e quelli comportamentali, in modo da poter adottare le strategie di reazione più efficaci per ridurre il rischio di subire aggressione e violenza. Il Pnrr affronta questa tematica soprattutto trasversalmente nelle missioni elaborate: ognuno può fare la sua parte .Anche in questo faticoso 1 maggio.
Alessandra Servidori
Il Diario e ddl ZAN
https://www.ildiariodellavoro.it/considerazioni-sul-ddl-zan-in-punta-di-diritto-internazionale-e-nazionale/ ALESSANDRA SERVIDORI
24 Aprile 2021
La legge in discussione ha un elemento di confusione fondamentale : è sul capirci bene che cosa sia l’identità di genere, su cui il ddl si avventura posto che non solo non c’è ancora univocità scientifica costituzionalmente sulla definizione che assioma la parola identità genere in materia discriminatoria coniugandola con altre discriminazioni e violenze legate al sesso, all’orientamento sessuale,alla disabilità. Il DDL fa confusione sul concetto sesso con quello di genere contraddicendo l’articolo 3 della nostra cattedrale costituzionale per la quale ogni diritto è riconosciuto in base al sesso e non al genere termine sconosciuto dal diritto.
Se c’è da mettere mano a una legge è proprio sul Codice di Parità del 2006, libro IV pari opportunita’ tra uomo e donna nei rapporti civili e politici libro II pari opportunita’ tra uomo e donna nei rapporti etico-sociali e successive integrazioni Legge 27 dicembre 2017, n. 205 che ancora contiene dei vulnus antidiscriminatori.
Questo disegno di legge, che doveva essere di contrasto alla omofobia, purtroppo si è trasformato in un manifesto ideologico, che fa confusione, mette in secondo piano l’omofobia e invece riduce pesantemente diritti e interessi delle donne e anche la libertà di espressione. La difesa di questo ddl- che comunque a parer di scrive e parla – va modificato, si basa sull’affermazione che è necessario uniformarsi all’Europa. Ma oil Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, con la Raccomandazione n. 5 del 2010, ha invitato gli Stati membri ad «adottare misure adeguate per combattere qualsiasi forma di espressione, in particolare nei mass media e su internet, che possa essere ragionevolmente compresa come elemento suscettibile di fomentare, propagandare o promuovere l’odio o altre forme di discriminazione nei confronti delle persone lesbiche, gay, bisessuali o transessuali», premurandosi però di avvertire che tali misure debbono «rispettare il diritto fondamentale alla libertà di espressione”, conformemente all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e alla giurisprudenza della Corte.
Sebbene la repressione penale dell’omofobia, nelle sue molteplici configurazioni, accomuni diversi ordinamenti giuridici europei e non, ancora acceso è il dibattito sulla sua costituzionalità e, in particolare, sulla sua compatibilità con la libertà di espressione. La Corte di Strasburgo non pare essere ancora riuscita a delineare i confini entro i quali possono muoversi i legislatori nazionali, mentre spunti interessanti giungono dai giudici dell’Unione europea che, pronunciandosi sulla portata del divieto di discriminazione per orientamento sessuale, hanno suggerito soluzioni alternative per la repressione (civilistica) di alcune tipologie di esternazioni omofobe. Queste paiono particolarmente utili in considerazione della perdurante assenza, nell’ordinamento giuridico italiano, del reato di hate speech omofobico.
Vale la pena di ricordare che tutt’altro che agevole si sta però rivelando la scelta delle misure normative che il raggiungimento di tale obiettivo richiede di adottare: le esitazioni di alcuni legislatori statali, tra cui rientra senz’altro il Parlamento italiano, non sono solo da ascrivere a perplessità di natura politica riguardanti, ad esempio, l’utilità e l’opportunità di risposte penali alla domanda di protezione dalle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, oppure a tenaci resistenze dettate da tattiche partitiche o fanatismi di tipo ideologico-religioso , bensì, anche ai dubbi legittimi di costituzionalità che alcune misure normative possono sollevare: al riguardo, basti ricordare l’accidentato iter dei progetti di legge presentati la cui discussione si è interrotta in conseguenza dell’approvazione di diverse pregiudiziali di costituzionalità.
Ritengo legittimo sollevare dubbi di costituzionalità legati soprattutto alla compressione della libertà di pensiero che andrebbe a determinare , ma a suscitare le maggiori perplessità sul piano giuridico-costituzionale in relazione alla incompatibilità con i cataloghi di diritti nazionali e sovranazionali, quali la Convenzione europea dei diritti umani, è assai più frequentemente la repressione penale degli hate speeches, in ragione della loro supposta equiparabilità ai c.d. reati di opinione. La mia opinione è che se non emendato,il ddl Zan consuma una pericolosa sovrapposizione della parola ‘sesso’ con quella di ‘genere’ con conseguenze contrarie all’articolo 3 della Costituzione per cui i diritti vengono riconosciuti in base al sesso e non al genere e non in armonia con la normativa vigente, la legge 164/82, che «ammette e consente la transizione da un sesso a un altro sulla base non di una semplice auto-dichiarazione o di una individuale percezione di sé relativa al genere (come dichiara il ddl ) .
La definizione di ‘ identità di genere’ contenuta nel ddl Zan crea una forma di indeterminatezza che non è ammessa dal diritto, che invece ha il dovere di dare certezza alle relazioni giuridiche e di individuare le varie fattispecie .Inoltre sempre il ddl in oggetto con il suo articolo 3 introduce una clausola di salvaguardia dell’art. 21 della Costituzione. È singolare che una Proposta di legge, destinata – se approvata e promulgata – a diventare legge ordinaria, tuteli una norma costituzionale, la quale è sovraordinata a ogni legge ordinaria. La norma ordinaria deve essere conforme alla Costituzione. Non può proporsi la sua tutela. Siamo, evidentemente, in presenza di una «contraddizione tecnica», che la ratio dell’ordinamento liberal-costituzionale non dovrebbe tollerare. Tanto meno ammettere. Si assiste, così, al ribaltamento della gerarchia ordinamentale. Concludo ,per ora, affermando che sesso e orientamento sessuale secondo la proposta sarebbero la medesima cosa così come genere e identità di genere. Il suo linguaggio rivela un accoglimento del significato di sesso e di genere esclusivamente «culturale». È ignorato ogni riferimento biologico e antropologico.
Alessandra Servidori
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