Dottoresse in prima linea. Ma non solo
Dottoresse in prima linea. Ma non solo.
https://www.ilvaloreitaliano.it/le-dottoresse-in-rivolta-a-napoli-qui-non-esistono-signorine/
Curioso e allo stesso tempo interessante il caso scoppiato all’ Ospedale San Giovanni di Dio di Frattamaggiore, di competenza dell’Asl Napoli 2 Nord, dove é in corso una vera e propria battaglia contro il gender gap da parte delle dottoresse, stufe di sentirti chiamare ‘signorine’ dai pazienti che così si rivolgono a loro lungo i corridoi o negli studi quando richiedono specifiche. Possibile, dicono esauste, che negli stessi corridoi i colleghi uomini debbano essere chiamati dottori mentre la nostra professione non emerga e venga messa in secondo piano solo perché siamo donne? A detta delle dottoresse, che hanno deciso di affiggere sulla porta dell’ambulatorio un cartello singolare: “In questi ambulatori non esistono ‘signorine’ ma le dottoresse”, si tratta di atteggiamento sessista di alcuni pazienti.
La tematica é delicata e non é la prima volta che le donne sottolineano un arretratezza culturale in ambito professionale ed accademico. Ricordate, in questo caso con atteggiamento opposto, il caso della direttrice d’orchestra di Sanremo, Beatrice Venezi che aveva esplicitamente chiesto, creando non poche polemiche sul palco dell’Ariston, di essere chiamata direttore e non direttrice. La motivazione era stata per chi non la ricordasse: “Per me contano altre cose: la preparazione, il modo in cui si fanno le cose. La mia professione ha un nome che é ‘direttore d’orchestra’.
Ma cosa si era nascosto dietro al suo desiderio, si erano chiesti in molti dato il dibattito infuocato che ne era emerso sui social e sui media, annientare l’ipocrisia del politically correct ad ogni costo, oppure far intendere tra le righe che il titolo é autorevole solo se al maschile?
Il linguaggio se ben utilizzato e con le giuste declinazioni al femminile può essere effettivamente uno strumento potente per scardinare antichi stereotipi di genere? Su tale questione, data la sua competenza, abbiamo deciso di interfacciarci con la Professoressa Alessandra Servidori, docente, esperta di welfare, politiche attive del lavoro e diritto antidiscriminatorio, nonché Presidente Nazionale Associazione TutteperItalia, che ringraziamo per la gentile disponibilità. Eccovi le sue parole sul caso dell’ospedale di Napoli, corretto l’atteggiamento ‘simbolico’ messo in atto dalle dottoresse?
Napoli, le dottoresse si ribellano: ‘Qui non esistono signorine’
Così la Servidori: “La scelta delle dottoresse dell’ospedale napoletano è comprensibile e comunque è utile per approfondire un atteggiamento molto comune che segna anche una arretratezza culturale in ambito professionale e accademico. Promuovere l’uso di un linguaggio non discriminatorio e attento alle differenze di genere nella comunicazione istituzionale, nei documenti e negli atti amministrativi, negli eventi pubblici e nella quotidianità accademica e sociale è ancora complicato.
Il linguaggio è uno degli ambiti in cui si producono e si perpetuano stereotipi e pregiudizi di genere e, al contempo, chi scrive è convinta che il linguaggio può essere strumento potente per scardinare antiche consuetudini, sostenere il cambiamento e, nel caso specifico, promuovere una cultura più equa e meno asimmetrica, che riconosca e valorizzi in pari misura la presenza e i ruoli di donne e uomini in ciascun ambito della sanità e, più in generale, nella vita accademica e comunemente sociale.
Il linguaggio non è mai uno strumento neutro, perché dà forma e voce al modo in cui gli esseri umani pensano, interpretano la realtà e agiscono nel mondo. Più o meno consciamente, le parole che usiamo possono veicolare e rafforzare asimmetrie, preconcetti e iniquità, oppure possono esprimere l’affermazione di diritti e articolare concetti complessi quali l’esigenza di promuovere la parità nel rispetto delle differenze.
Il linguaggio burocratico-amministrativo e della comunicazione istituzionale, la rappresentazione del genere femminile e, più in generale, dei generi, è stata e continua a essere un problema e una sfida. Negli atti normativi, nei verbali delle commissioni, nei documenti amministrativi e istituzionali si usa costantemente una lingua androcentrica: il maschile è il genere grammaticale dominante, sia al plurale che al singolare, anche in testi che riguardano una persona di sesso femminile o che non si identifica con il genere maschile.
Anche voci autorevoli dell’Accademia della Crusca, che continua a essere il maggior punto di riferimento della linguistica e filologia italiana, invitano a rappresentare donne e uomini con nomi declinati coerentemente al femminile e al maschile.
Ma nell’ambulatorio ci sono davvero solo dottoresse? Signorine non é offensivo
Detto ciò sicuramente nel contesto in oggetto NON si può escludere che nell’ambulatorio lavorino anche altre figure femminili che non sono in possesso di titolo accademico e professionalmente, comunque, elevato e il termine usato comunemente dai pazienti non è offensivo per nessuno.
In questo caso se il cartello è relativo solo al ruolo delle dottoresse può essere limitativo e offuscare le altre professionalità femminili : non mi pare corretto.
Proprio in questi giorni la Francia mette al bando la scrittura inclusiva cioè quel metodo assunto in piena rivoluzione femminile usato in molti paesi occidentali per promuovere l’uguaglianza di genere alternando nella lettura e nella scrittura un punto mediano cioè un segno e il Ministro dell’Istruzione con circolare stabilisce che è bandito tale metodo perché confonde la lettura e la scrittura e il maschile è assunto (ri/assunto) come una forma neutra adatta sia agli uomini che alle donne.
In Italia la questione avanza e nella prossima pubblicazione la casa editrice Effequ ha deciso di sostituire il maschile generico con un asterisco, dunque una opzione grafica per indicare “un neutro” a fronte di tante professioniste che però si rifiutano di femminilizzare il proprio titolo. Ma la scrittura inclusiva in effetti è il contrario di quello che afferma di se stessa perché esclude la lingua dalla sua stessa storia, dal suo passato, dalla sua tradizione, dalla sua logica. Non è la strada giusta.
Molti cambiamenti non si possono definire ‘spontanei’, ma sono chiaramente frutto di una precisa azione socio-politica. Vi l’incertezza di fronte all’uso di forme femminili nuove rispetto a quelle tradizionali maschili (è il caso di ingegnera), la presunta bruttezza delle nuove forme (ministra proprio non piace!), o la convinzione che la forma maschile possa essere usata tranquillamente anche in riferimento alle donne.
Ma maestra, infermiera, modella, cuoca, nuotatrice, ecc. non suscitano alcuna obiezione: anzi, nessuno definirebbe mai Federica Pellegrini nuotatore. Le resistenze all’uso del genere grammaticale femminile per molti titoli professionali o ruoli istituzionali ricoperti da donne sembrano poggiare su ragioni di tipo linguistico, ma in realtà sono, di tipo culturale; mentre le ragioni di chi lo sostiene sono apertamente culturali e, al tempo stesso, anche fondatamente linguistiche.
Vero è che le resistenze all’uso di un linguaggio inclusivo del genere femminile non sono quindi giustificabili con motivazioni di tipo grammaticale, ma sono piuttosto riconducibili a una resistenza di tipo culturale ad adeguare la lingua ai cambiamenti di status sociale delle donne. Pare utile e soprattutto educativo e formativo, denominare le professioniste con il loro titolo a volte declinabile al femminile naturalmente oppure anticiparlo con l’appellativo signora.
Si ricorda che nel marzo 2015, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, venne costituito un gruppo di esperte ed esperti in materia, con lo scopo di predisporre delle linee guida e sensibilizzare all’uso di un linguaggio rispettoso delle differenze di genere; il progetto rientra nelle azioni previste dal Piano di azioni straordinario contro la violenza sessuale e di genere (decreto legge n. 93 del 14 agosto 2103, convertito nella legge n. 119 del 15 ottobre 2013). Linee guida dunque, non obbligatorie“.
Ringraziamo di cuore la Professoressa Alessandra Servidori per aver accolto in nostro invito e per averci fornito interessanti spunti di riflessione, confidiamo di poterla avere ancora come gradita ospite su ‘Il Valore Italiano ‘.
medicina di genere : nuova frontiera per la contrattazione
Alessandra Servidori Una nuova frontiera per la contrattazione : la medicina di genere
https://www.ildiariodellavoro.it/una-nuova-frontiera-per-la-contrattazione-la-medicina-di-genere/
A ridosso dei rinnovi contrattuali e con la pandemia che ci circondato diventa fondamentale individuare nuovi ambiti di scambio tra lavoro produttività e benessere della persona. Sicuramente un ambito ancora poco esplorato anche dallo strumento della contrattazione di prossimità in materia di welfare e dalle possibili clausole sociali è la medicina di genere. In Italia la legge sulla Medicina di Genere risale all’anno 2018 (n.3 del gennaio 2018) e si è redatto il piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere che rende obbligatoria la divulgazione, la formazione e l’indicazione di pratiche sanitarie nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura che tengano conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale in modo omogeneo sul territorio nazionale. Che cosa è la medicina di genere? Dove la si applica? Riguarda solo le donne? Esistono, infatti, delle differenze nella cura e nelle manifestazioni delle malattie legate proprio al genere, che è giusto conoscere e per le quali è utile informarsi. Per medicina di genere s’intende lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso), socioeconomiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Infatti, molte malattie comuni a uomini e donne presentano molto spesso differente incidenza, sintomatologia e gravità. Uomini e donne hanno, inoltre, una diversa risposta alle terapie e reazioni avverse ai farmaci. Anche l’accesso alle cure presenta rilevanti diseguaglianze legate al genere. La Medicina di Genere è una dimensione trasversale a tutte le discipline della medicina che studia come differiscono le malattie tra uomo e donna in termini di prevenzione, sintomatologia, terapia, prognosi, impatto psicologico e sociale.Dunque la conoscenza delle differenze di genere favorisce maggiore appropriatezza della terapia e una maggiore tutela della salute per entrambi i generi.In questa situazione di pandemia legata al Covid è provato scientificamente che la donna, innanzitutto, è più colpita dal COVID, ma muore di meno: possiamo dire che la donna, è più esposta al COVID (infermiere, operatrici sanitarie, badanti…), ma la letalità del COVID-19 è inferiore nella donna. Ad oggi ci sono diverse teorie che cercano di spiegare in modo specifico le motivazioni di questa differenza. Innanzitutto, la donna fuma di meno e beve di meno, ma è anche più attenta alle tre regole fondamentali per contrastare il COVID, ossia lavaggio frequente delle mani, uso della mascherina e distanziamento. Spesso, poi, è colei che fa applicare queste regole alla famiglia e questo verrà dimostrato da lavori recenti che farò vedere durante il convegno. C’è, poi, un discorso biochimico, più complesso: ci sono dei meccanismi recettoriali, tra il virus e le cellule, in cui la donna è avvantaggiata. Ad esempio, il recettore ACE2, che diminuisce l’entrata del virus nella cellula polmonare è stimolato dagli estrogeni. Nell’uomo, invece, per via della proteina TMPRSS2, stimolata dagli androgeni, il SARS CoV-2 entra più facilmente nelle cellule. Il sistema immunitario, poi, è più attivo nella donna rispetto all’uomo, inoltre gli estrogeni hanno effetti antinfiammatori, mentre il testosterone ha degli effetti immunodepressivi. Tutto questo rende il sistema immunitario del genere femminile più vivace rispetto a quello dell’uomo. La Medicina di genere (o, più precisamente, genere-specifica) prende in considerazione come varie patologie, la loro diagnosi e terapia si differenzino tra uomo e donna, sia a livello di sesso biologico che di genere, sulla base delle ricadute sociali del genere stesso. Ormai dagli anni ’90, grazie ai primi studi di Bernadine Patricia Healy, si parla di Medicina di genere, ed è tempo che la Sanità completi il suo processo di adattamento a questo nuovo approccio, sia a livello globale che in Italia. Le donne, infatti, hanno una più alta aspettativa di vita rispetto agli uomini, ma sono più sensibili ad alcune malattie, come quelle cardiovascolari, mentre sono meno soggette ad alcuni tipi di tumore, come il melanoma. Anche in altri ambiti, come la psichiatria, la psicogeriatria, la medicina del lavoro e quella interna, la reumatologia e l’ortopedia le differenze di genere vanno tenute in considerazione per creare un percorso di cura “su misura” e attento alle esigenze dei singoli individui. La popolazione italiana sta invecchiando: si vive sempre di più, e i cittadini anziani sono sempre più numerosi rispetto ai giovani. Questo porta a un incremento dell’incidenza delle malattie croniche legate all’età, con un forte impatto sulla Sanità. Le donne, con la loro maggiore aspettativa di vita (84,2 anni vs. 80,8) e la tendenza a sviluppare multicronicità, sono le più colpite da questo fenomeno. La popolazione italiana complessivamente è in buona salute, ma per poter garantire la sostenibilità del SSN è importante promuovere ulteriormente campagne di prevenzione mirate e garantire appropriatezza delle prestazioni. Calibrare l’offerta terapeutica sulle differenze di genere consente di avere un sistema sanitario più efficace e alla portata di tutti e a raggiungere buoni risultati, come dimostrato in ambito oncologico grazie al controllo dei fattori di rischio, come fumo e sovrappeso, alla diffusione di programmi screening e a terapie più mirate. Con la riduzione del gap lavorativo tra donne e uomini, si evidenzia sempre di più la necessità di considerare le peculiarità di genere rispetto al rapporto salute/ambiente di lavoro. Le differenze di genere in ambito lavorativo sono state oggetto di attenzione istituzionale, con l’intento di combattere le discriminazioni sul posto di lavoro. Questo ha portato, nel tempo, allo sviluppo di un’analisi di come genere e sesso influenzino le pratiche di sicurezza sul lavoro: dall’adeguatezza dei diversi dispositivi di protezione individuale, alla diversa sensibilità alle sostanze chimiche, alle differenti reazioni allo stress sulla base delle pressioni della società, fino ovviamente alla relazione tra lavoro e gravidanza. Quest’analisi influirà positivamente sulla creazione di ambienti di lavoro più equi, anche attraverso la corretta formazione del Medico Competente, sia come figura tecnica legata alla sicurezza sul posto di lavoro, sia come responsabile della formazione dei lavoratori nel rispetto delle differenze di genere. Il contributo mostra come la Medicina di genere sia percepita e messa in atto a livello globale. Negli Stati Uniti viene ad esempio definita “sex medicine”, poiché viene considerato il fattore biologico (il sesso) e non quello sociale (il genere). Nonostante questa differente terminologia, la Medicina di genere è assai diffusa, al punto che gli USA sono la patria dei primi studi sulla maggiore mortalità cardiovascolare femminile. Al contrario, il Canada affianca la componente culturale a quella biologica. In Canada la discriminazione di sesso/genere viene analizzata anche in relazione ad altri tipi di discriminazione (razziale, sociale etc.). L’Unione Europea supporta la parità di genere fin dal 1957, anno della sua formalizzazione. Per assistere a un concreto inserimento delle questioni di sesso e genere nei programmi, tuttavia, occorre attendere il 2007. Al momento attuale si sta ancora lavorando sul finanziamento di progetti che portino a una reale uguaglianza di genere in ambito europeo. Se a livello mondiale l’OMS è sempre più attenta alle differenze di genere anche in ambito sanitario e a livello nazionale si riscontrano ancora differenze sostanziali, l’obiettivo comune resta l’applicazione più omogenea possibile della Medicina di genere a tutti i livelli. La “medicina di precisione” rappresenta uno dei grandi traguardi della medicina moderna. Le terapie sono sempre più create su misura per il singolo paziente. In Europa si parla di medicina di precisione ormai dal 2012 e nel 2016 gli Stati Uniti, sotto la presidenza Obama, hanno investito molto nel campo. La medicina di precisione (o meglio ancora medicina personalizzata) è un nuovo approccio terapeutico che combina dati genetici, stili di vita e informazioni raccolte da migliaia di pazienti per creare terapie sempre più specifiche ed efficaci. I campi in cui attualmente la medicina di precisione trova maggiore applicazione sono l’oncologia e la cardiologia. In quest’ottica, lo studio delle differenze di genere tra i pazienti ricopre un ruolo di fondamentale importanza. L’obiettivo è chiaro e ambizioso: per raggiungere un livello adeguato di personalizzazione delle terapie sarà necessario investire risorse e rivoluzionare la mentalità relativa alle cure. Ogni ospedale dovrà avere un team dedicato a ogni caso clinico (composto da diversi specialisti medici, operatori sanitari, biochimici, bioinformatici) e in questo la formazione ricoprirà un ruolo essenziale per organizzare meglio l’attività produttiva. Dunque anche i contratti di lavoro potranno e già ora possono plasmarsi anche su queste tematiche per offrire tra i benefit e l’organizzazione del lavoro modalità differenti flessibili articolate per il reciproco benessere lavorativo e aziendale.
Istruzioni per l'uso 2 :CIG e decreto sosetgni
Alessandra Servidori Istruzioni per l'uso 2: Cassa integrazione e decreto sostegni 2021- 9 Maggio
Per far fronte all’emergenza COVID-19, il governo Draghi è intervenuto nel corso degli ultimi mesi con una serie di provvedimenti emergenziali al fine di introdurre una serie di misure a sostegno dei lavoratori, delle famiglie e delle imprese.
Tra gli interventi in materia di lavoro sono state previste tutele a sostegno del reddito per la sospensione o la riduzione dell’attività lavorativa, mediante l’utilizzo esteso della cassa integrazione ordinaria, dell’assegno ordinario e della cassa integrazione in deroga, nonché il divieto di licenziamenti per motivi economici.
Il DL n. 41/2021, ha introdotto un ulteriore periodo di trattamenti di cassa integrazione salariale ordinaria (CIGO), in deroga (CIGD) e di assegno ordinario (ASO), che può essere richiesto da tutti i datori di lavoro che hanno dovuto interrompere o ridurre l’attività produttiva per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica e alcune importanti modifiche al sistema di trasmissione dei dati necessari al calcolo e alla liquidazione diretta delle integrazioni salariali.
Le principali novità aggiornate con il decreto legge 22.3.2021, n. 41. Cassa integrazione ordinaria con causale “COVID-19 nazionale”
Punti salienti e le novità che riguardano le CIGO richiesta per ragioni strettamente connesse all’epidemia da COVID-19: con il decreto Sostegni vengono concesse altre 13 settimane da fruire tra il 1° aprile e il 31 giugno 2021; la CIGO COVID-19 è gratuita. Nessun contributo addizionale è dovuto all’azienda; l'estensione dell’integrazione riguarda tutti i dipendenti in forza all'azienda che ne faccia richiesta con causale "COVID-19" al 4 gennaio 2021 a prescindere dall’anzianità e tipologia contrattuale (con l’eccezione dei lavoratori in somministrazione cui spetta un trattamento ad hoc); risultano sospesi i limiti normalmente previsti di 52 settimane nel biennio mobile, di 24 mesi nel quinquennio mobile di 1/3 delle ore lavorabili; viene confermata l’estensione della possibilità di fare domanda anche alle aziende che hanno già ottenuto la cassa integrazione ordinaria con altra causale (precedenti autorizzazioni o domande non definite vengono annullate d’ufficio per i periodi corrispondenti; i periodi autorizzati sono neutralizzati in caso di successive richieste);invariate le modalità per la richiesta e per l’erogazione dell’indennità (può essere erogata tramite conguaglio su UNIEMENS oppure mediante pagamento diretto del lavoratore da parte dell’INPS).
Assegno ordinario
Si tratta di una prestazione di integrazione salariale erogata, nei casi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, in favore dei lavoratori dipendenti di datori di lavoro rientranti nel campo di applicazione dei Fondi di solidarietà e del Fondo di Integrazione Salariale (FIS). Semplificando, spetta dunque alle imprese con più di 5 lavoratori che non abbiano normalmente diritto alla CIGO, a carico dei Fondi di Solidarietà istituiti presso l'INPS dalle diverse Categorie o del Fondo di Integrazione Salariale per le categorie che non l'abbiano istituito. Caratteristiche e modalità gestionali sono sostanzialmente le stesse previste per la cassa integrazione ordinaria con causale “COVID-19 nazionale” (compreso l'obbligo di esame congiunto con le organizzazioni sindacali, inizialmente escluso dal decreto "Cura Italia"). Anche l’assegno ordinario viene erogato con pagamento a conguaglio da parte del datore di lavoro: il pagamento diretto dei lavoratori, da parte dell'INPS, può essere autorizzato su richiesta della azienda nel caso di serie e documentate difficoltà finanziarie debitamente documentate dalla stessa.Il decreto Sostegni concede altre 28 settimane da fruire nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 31 dicembre 2021.Viene abolito il pagamento del contributo addizionale, mentre non si tiene conto del tetto contributivo aziendale.
Cassa integrazione in deroga COVID-19
Spetta a tutte le imprese che non abbiano accesso a nessuno degli ammortizzatori sopra elencati, come ad esempio quelle operanti nel Terzo Settore, nonché gli Enti Religiosi riconosciuti civilmente. Entità, modalità e durata sono analoghe a quelle previste per la CIGO con causale COVID-2019. Alcune precisazioni, anche a seguito delle ultime novità legislative si rendono tuttavia necessarie: la richiesta va ancora rivolta alla Regione, anche se si sta pensando a una procedura centralizzata all’INPS;il pagamento dell’indennità avviene esclusivamente con versamento diretto da parte dell’INPS. Anche in questo caso il decreto Sostegni concede una proroga di ulteriori 28 settimane, fruibili nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 31 dicembre 2021.Tuttavia, nonostante la proroga delle settimane di CIG, è emerso un problema: che le ulteriori settimane concesse dalla Legge di Bilancio 2021 non avrebbero coperto integralmente il mese di marzo 2021, terminando il giorno 28 del predetto mese. Infatti, il DL Sostegni, riconosce le ulteriori 13 settimane a partire dal 1° aprile lasciando, dunque, scoperte le giornate dal 26 al 31 marzo 2021 e generando quindi una situazione di incertezza tra le imprese che, nel dubbio, hanno assunto comportamenti diversi.
C’è infatti chi ha scommesso in una modifica della norma prevedendo in ogni caso il pagamento della cassa integrazione e chi, invece, ha coperto le assenze dei lavoratori con ferie e permessi.L’Istituto, ricevuto parere conforme dal Ministero del lavoro, anticipando una imminente circolare di chiarimento in materia, ha puntualizzato che le 13 settimane del DL Sostegni comprendono i periodi decorrenti dalla settimana in cui è collocato il 1° aprile 2021 consentendo di estendere la copertura della cassa Covid-19 anche ai giorni lavorativi del 29, 30 e 31 marzo.
Su queste situazioni l’INPS dovrà esprimersi per individuare delle soluzioni semplificate ed automatizzate che consentano alle aziende ed agli studi professionali di recuperare le suddette giornate senza dover riaprire gli stipendi di marzo.In attesa di conoscere le indicazioni dell’INPS, ci sono sostanzialmente due nodi da sciogliere.*Il primo è nei confronti dei lavoratori; si può gestire nella prima busta paga utile (probabilmente di maggio), in cui il datore di lavoro può stornare le giornate di ferie e permessi riconoscendo contestualmente le giornate di cassa integrazione (salvo il caso di pagamento diretto).*Il secondo è nei confronti dell’INPS; si può risolvere utilizzando l’Uniemens di maggio per compilare la sezione di rettifica dei mesi precedenti (indicando quello di marzo) riportando le giornate di cassa integrazione. Tutto ciò senza dover presentare nuovamente la denuncia previdenziale del mese di marzo.Una cosa è certa, queste rettifiche non giovano a chi, quotidianamente, deve elaborare i cedolini paga.L’INPS, infatti, ha ampiamente dimostrato di non essere in grado di gestire telematicamente tali situazioni, compromettendo la regolarità contributiva delle aziende che necessitano dei DURC regolari per poter contare sulla puntualità dei pagamenti da parte dei clienti.Ogni modifica contributiva, fa scaturire l’emissione di una nota di rettifica, che deve essere gestita tramite cassetto previdenziale e con le tempistiche di un Ente che è in grande difficoltà .
Istruzioni per l'uso 1 : Assegno unico per figli-CIG e sostegni
Alessandra Servidori 8 maggio 2021 ISTRUZIONI PER L'USO
Assegno unico per la famiglia con figli : NON partirà a luglio come previsto ma probabilmente nel gennaio 2022.I tempi si allungano.
L'introduzione dell'Assegno Unico e universale è stata prevista dalla legge delega n. 46/2021, approvata dal Parlamento lo scorso 30 marzo, ma si tratta di una "legge quadro" all'interno della quale andranni approvati - nei prossimi dodici mesi - vari decreti attuativi da parte del Ministero della famiglia assieme a quello delle Politiche sociali ed al MEF. Con la denominazione "unico" si fa riferimento ad una misura che ha lo scopo di unificare e potenziare i contributi esistenti a sostegno delle famiglie con figli a carico. Con la definizione "universale" si fa, invece, riferimento alla totalità delle famiglie con figli, senza distinzione tra lavoratori dipendenti e autonomi, poichè il contributo economico mensile dipenderà dalla situazione economica del richiedente certificata con l'indicatore ISEE. L'assegno unico sostituirà sei misure di sostegno: l'assegno ai nuclei con almeno tre figli minori;l'assegno di natalità:il premio alla nascita o all'adozione;il fondo di sostegno alla natalità. Inoltre, nel quadro di una più ampia riforma del sistema fiscale, verranno gradualmente soppresse: le detrazioni per figli a carico;l'assegno per il nucleo familiare.L'assegno sarà destinato a tutte le famiglie. In particolare, potranno riceverlo i nuclei familiari con figli, indipendentemente che il genitore sia: lavoratore subordinato; lavoratore autonomo;percettore di misure di sostegno al reddito. L'assegno verrà riconosciuto mensilmente per: ciascun figlio nascituro a decorrere dal settimo mese di gravidanza;ciascun figlio minorenne a carico;ciascun figlio maggiorenne a carico e fino al compimento del 21.mo anno di età purchè: frequenti un percorso di formazione scolastica o professionale;frequenti un corso di laurea, di tirocinio ovvero svolga una attività lavorativa con reddito complessivo inferiore ad un determinato importo annuale;sia disoccupato regolarmente iscritto nelle apposite liste presso i Centri per l'impiego;ciascun figlio disabile anche dopo il compimento del 21.mo anno di età, qualora risulti ancora a carico.L'assegno verrà riconosciuto a entrambi i genitori e ripartito in misura uguale. In loro assenza, spetterà a chi esercita la responsabilità genitoriale. In caso di separazione legale ed effettiva, annullamento o divorzio, l'assegno verrà erogato al genitore affidatario. Invece, in caso di affidamento congiunto o condiviso, l'assegno verrà ripartito in pari misura tra i genitori.In caso di figlio maggiorenne a carico l'importo potrà essere corrisposto direttamente al figlio al fine di favorirne l'autonomia.I genitori dovranno possedere cumulativamente i seguenti requisiti: avere la cittadinanza italiana o essere cittadini comunitari, o un suo familiare, con diritto di soggiorno permanente, ovvero essere cittadini extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca, di durata almeno annuale;essere soggetti al pagamento dell'imposta sul reddito in Italia;essere residenti e domiciliati, con figli a carico, in Italia per l'intera durata del beneficio;essere stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi, ovvero essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno biennale. L’assegno sarà di importo fino a 250 euro circa (con una maggiorazione per i figli disabili). Verrà prevista una maggiorazione a partire dal secondo figlio e un aumento tra il 30 ed il 50% in caso di figli disabili.Preme evidenziare che, in base alle prime simulazioni effettuate dall'Istat, alcune famiglie rischiano di prendere meno rispetto a quanto prendono oggi in base alle misure esistenti. A tal fine andrebbe inserita una clausola di salvaguardia che le tuteli da questo rischio ma, ad oggi, mancherebbero le risorse necessarie. L'assegno verrà riconosciuto sottoforma di credito di imposta mensile in busta paga o come erogazione mensile di una somma di denaro. In caso di titolare di reddito di cittadinanza o di pensione di cittadinanza l'assegno verrà corrisposto congiuntamente e secondo le modalità di erogazione del beneficio economico.L'introduzione dell'assegno unico, inizialmente prevista per il 1° luglio 2021 (data in cui decorrono gli ANF) partirà verosimilmente da gennaio 2022, in quanto la trasformazione dal vecchio al nuovo regime richiede ancora molto lavoro.Infatti, bisognerà definire l'interazione dell'assegno unico con il reddito di cittadinanza ed andranno aggiornate le piattaforme informatiche dell'INPS.Inoltre, bisognerà decidere se i datori di lavoro dovranno continuare a versare il contributo (Cuaf) destinato al finanziamento degli assegni per il nucleo familiare oppure se queste risorse verranno reperite altrove. Il tutto dovrà essere inquadrato, poi, all'interno dell'annunciata riforma Irpef. I tempi inevitabilmente si allungano
1Maggio Diamo ali alle riforme del lavoro
Alessandra Servidori www.Il Resto del Carlino Bologna.net
Rimango dell’idea anche in questo faticoso 1 maggio che invece di continue riforme del lavoro sarebbe stato più opportuno dare completa attuazione ed effettività alle Riforme Treu e Biagi, perché i frequenti ultimi interventi in materia di lavoro improvvisati come il reddito di cittadinanza e l’Anpal ,agenzia nazionale massacrata dal suo presidente, non può che creare grande incertezza negli imprenditori e negli operatori del mercato del lavoro, disincentivandoli ad avventurarsi nell’applicazioni di nuove normative, poi risultate devastanti. La mancanza di certezza del diritto e della sua effettività porta all’immobilismo piuttosto che al dinamismo del mercato del lavoro già debolissimo dalla drammatica epidemia. Le imprese hanno bisogno urgente di liquidità, patrimonializzazione,ristori,lavoro. Tra febbraio 2020 e febbraio 2021, abbiamo perso 945 mila occupati, soprattutto giovani, donne, occupati a tempo e autonomi, nonostante il blocco dei licenziamenti assunto solo in Italia. Serve quindi agire subito anche in base il pnrr su ciò che abbiamo già , riducendo la soglia d’accesso al contratto di espansione portandola a 50 dipendenti dagli attuali 250,collegando questa misura ai bonus per l’assunzione di giovani e donne, e rimuovendo contestualmente le causali previste nel DL Dignità sui contratti a tempo determinato. E contemporaneamente mettere le ali alle le riforme strutturali, la riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro. Serve un ammortizzatore universale basato su formazione e rioccupabilità, e analoghe politiche attive del lavoro aperte anche alle APL private, e non più solo basate sui centri per l’impiego pubblici.
1Maggio 2021 : Fare lavoro !!!!!
https://formiche.net/2021/05/primo-maggio-lavoro-draghi/
Alessandra Servidori
Fare lavoro .E’ questa la promessa del Presidente Draghi che pervade tutta la stesura trasversale del Pnrr.Fare lavoro per risollevare l’Italia .Ancora troppi giovani, troppi adulti, troppe donne, troppi disabili sono esclusi per lunghi periodi dalla possibilità di provvedere ai bisogni propri e del proprio nucleo familiare attraverso un reddito da lavoro, di realizzare il proprio potenziale e la propria attitudine relazionale attraverso una sostenibile attività lavorativa. Negli ultimi 14 mesi poi la situazione è precipitata e già dall’anno scorso avevamo indicato come nell’inattività degli strumenti del reddito di cittadinanza e dell’assenza di produttività dell’Anpal gestita malamente la situazione era tragicamente precipitata .La creazione di lavoro passa oltre che dalla riforma degli ammortizzatori sociali e dalle riforme del welfare e delle nuove tecnologie dall’abbandono convinto del timore che lo sviluppo in quanto fonte potenziale di inquinamento, corruzione, evasione, minaccia alla privacy, violazione di diritti ed altro ancora, sia difficile .Ma anche da quello di coloro che ritengono inevitabile e razionale uno sviluppo concentrato sui poli efficienti del sistema riservando agli esclusi un pur adeguato sostegno al reddito affinché sopravvivano e non disturbino i più fortunati. Fare lavoro significa invece adottare quale priorità tutto ciò che incoraggia pervasivamente la propensione ad intraprendere e ad assumere sfruttando ogni nicchia dell’economia e della società. Occorre che ognuno faccia la sua parte e incoraggi attivamente e culturalmente la vitalità economica lasciando che non prevalgono nichilismo, scetticismo, antropologia negativa e interessi coatti. Per dare vitalità demografica, così necessaria per la crescita, è necessario non solo aspettare le provvidenze pubbliche sicuramente essenziali per la ripresa ma riappropriarci della cultura del lavoro per edificare una comunità della piena occupazione nel tempo delle tecnologie che potenzialmente capacitano la persona nella sua integralità e a fronte di una stagione di nuova responsabilità .E ovviamente il lavoro dignitoso presuppone un pavimento di poche ma fondamentali tutele per tutti fissate da leggi inderogabili ed anche capacità di dialogo confronto e visione strategica . E così come è necessario il duttile strumento contrattuale che può e deve garantire la condivisione delle conoscenze nell’ambito di ecosistemi formativi accessibili. E la remunerazione deve crescere flessibilmente con la professionalità e con i risultati . L’ossessione egualitaria diventa nemica del lavoro. E poiché questo 1 maggio è particolarmente curato dai sindacati e dalle associazioni datoriali legato alla prevenzione salute e sicurezza una riflessione opportuna è dedicata alla violenza verbale, fisica e/o psicologica che rappresenta per le aziende un potenziale pericolo. I singoli atti di violenza possono essere imprevedibili, ma esistono presupposti relazionali e caratteriali che possono aumentare la probabilità di episodi di violenza. Sappiamo bene che al di fuori dell’azienda, la tipologia di lavoro svolto può aumentare l’eventualità di essere soggetti ad aggressioni. Particolarmente a rischio, ad esempio, sono gli operatori che manipolano beni di valore, hanno frequenti rapporti con l’utenza, oppure che svolgono lavori di ispezione, controllo o esercizio di attività di pubblica autorità. In ogni caso le categorie maggiormente esposte al rischio sono le persone di genere femminile, le persone diversamente abili e le persone che operano da sole o in situazioni di isolamento. Le conseguenze comprendono lesioni, disturbi post-traumatici da stress, assenze per malattia e scarso rendimento sul lavoro e sono estremamente gravi sia per i singoli individui, sia per le organizzazioni. Pertanto, è compito del Datore di Lavoro di qualsiasi azienda o ambito lavorativo valutare anche questa tipologia di rischio specifico ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. 81/08 e successive integrazioni, dando a tutti i lavoratori potenzialmente esposti, insieme al medico competente gli opportuni strumenti di mitigazione dello stesso. Nei rischi fisici e psicosociali, il “fattore umano” è la variabile che fa la reale differenza e questo vale ancor di più per quanto riguarda il rischio violenza, dove l’essere umano è l’unica fonte generativa di rischio. Quindi è fondamentale formare adeguatamente le persone a leggere correttamente i segnali del contesto e quelli comportamentali, in modo da poter adottare le strategie di reazione più efficaci per ridurre il rischio di subire aggressione e violenza. Il Pnrr affronta questa tematica soprattutto trasversalmente nelle missioni elaborate: ognuno può fare la sua parte .Anche in questo faticoso 1 maggio.
Alessandra Servidori
Fare lavoro .E’ questa la promessa del Presidente Draghi che pervade tutta la stesura trasversale del Pnrr.Fare lavoro per risollevare l’Italia .Ancora troppi giovani, troppi adulti, troppe donne, troppi disabili sono esclusi per lunghi periodi dalla possibilità di provvedere ai bisogni propri e del proprio nucleo familiare attraverso un reddito da lavoro, di realizzare il proprio potenziale e la propria attitudine relazionale attraverso una sostenibile attività lavorativa. Negli ultimi 14 mesi poi la situazione è precipitata e già dall’anno scorso avevamo indicato come nell’inattività degli strumenti del reddito di cittadinanza e dell’assenza di produttività dell’Anpal gestita malamente la situazione era tragicamente precipitata .La creazione di lavoro passa oltre che dalla riforma degli ammortizzatori sociali e dalle riforme del welfare e delle nuove tecnologie dall’abbandono convinto del timore che lo sviluppo in quanto fonte potenziale di inquinamento, corruzione, evasione, minaccia alla privacy, violazione di diritti ed altro ancora, sia difficile .Ma anche da quello di coloro che ritengono inevitabile e razionale uno sviluppo concentrato sui poli efficienti del sistema riservando agli esclusi un pur adeguato sostegno al reddito affinché sopravvivano e non disturbino i più fortunati. Fare lavoro significa invece adottare quale priorità tutto ciò che incoraggia pervasivamente la propensione ad intraprendere e ad assumere sfruttando ogni nicchia dell’economia e della società. Occorre che ognuno faccia la sua parte e incoraggi attivamente e culturalmente la vitalità economica lasciando che non prevalgono nichilismo, scetticismo, antropologia negativa e interessi coatti. Per dare vitalità demografica, così necessaria per la crescita, è necessario non solo aspettare le provvidenze pubbliche sicuramente essenziali per la ripresa ma riappropriarci della cultura del lavoro per edificare una comunità della piena occupazione nel tempo delle tecnologie che potenzialmente capacitano la persona nella sua integralità e a fronte di una stagione di nuova responsabilità .E ovviamente il lavoro dignitoso presuppone un pavimento di poche ma fondamentali tutele per tutti fissate da leggi inderogabili ed anche capacità di dialogo confronto e visione strategica . E così come è necessario il duttile strumento contrattuale che può e deve garantire la condivisione delle conoscenze nell’ambito di ecosistemi formativi accessibili. E la remunerazione deve crescere flessibilmente con la professionalità e con i risultati . L’ossessione egualitaria diventa nemica del lavoro. E poiché questo 1 maggio è particolarmente curato dai sindacati e dalle associazioni datoriali legato alla prevenzione salute e sicurezza una riflessione opportuna è dedicata alla violenza verbale, fisica e/o psicologica che rappresenta per le aziende un potenziale pericolo. I singoli atti di violenza possono essere imprevedibili, ma esistono presupposti relazionali e caratteriali che possono aumentare la probabilità di episodi di violenza. Sappiamo bene che al di fuori dell’azienda, la tipologia di lavoro svolto può aumentare l’eventualità di essere soggetti ad aggressioni. Particolarmente a rischio, ad esempio, sono gli operatori che manipolano beni di valore, hanno frequenti rapporti con l’utenza, oppure che svolgono lavori di ispezione, controllo o esercizio di attività di pubblica autorità. In ogni caso le categorie maggiormente esposte al rischio sono le persone di genere femminile, le persone diversamente abili e le persone che operano da sole o in situazioni di isolamento. Le conseguenze comprendono lesioni, disturbi post-traumatici da stress, assenze per malattia e scarso rendimento sul lavoro e sono estremamente gravi sia per i singoli individui, sia per le organizzazioni. Pertanto, è compito del Datore di Lavoro di qualsiasi azienda o ambito lavorativo valutare anche questa tipologia di rischio specifico ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. 81/08 e successive integrazioni, dando a tutti i lavoratori potenzialmente esposti, insieme al medico competente gli opportuni strumenti di mitigazione dello stesso. Nei rischi fisici e psicosociali, il “fattore umano” è la variabile che fa la reale differenza e questo vale ancor di più per quanto riguarda il rischio violenza, dove l’essere umano è l’unica fonte generativa di rischio. Quindi è fondamentale formare adeguatamente le persone a leggere correttamente i segnali del contesto e quelli comportamentali, in modo da poter adottare le strategie di reazione più efficaci per ridurre il rischio di subire aggressione e violenza. Il Pnrr affronta questa tematica soprattutto trasversalmente nelle missioni elaborate: ognuno può fare la sua parte .Anche in questo faticoso 1 maggio.
Alessandra Servidori
Fare lavoro .E’ questa la promessa del Presidente Draghi che pervade tutta la stesura trasversale del Pnrr.Fare lavoro per risollevare l’Italia .Ancora troppi giovani, troppi adulti, troppe donne, troppi disabili sono esclusi per lunghi periodi dalla possibilità di provvedere ai bisogni propri e del proprio nucleo familiare attraverso un reddito da lavoro, di realizzare il proprio potenziale e la propria attitudine relazionale attraverso una sostenibile attività lavorativa. Negli ultimi 14 mesi poi la situazione è precipitata e già dall’anno scorso avevamo indicato come nell’inattività degli strumenti del reddito di cittadinanza e dell’assenza di produttività dell’Anpal gestita malamente la situazione era tragicamente precipitata .La creazione di lavoro passa oltre che dalla riforma degli ammortizzatori sociali e dalle riforme del welfare e delle nuove tecnologie dall’abbandono convinto del timore che lo sviluppo in quanto fonte potenziale di inquinamento, corruzione, evasione, minaccia alla privacy, violazione di diritti ed altro ancora, sia difficile .Ma anche da quello di coloro che ritengono inevitabile e razionale uno sviluppo concentrato sui poli efficienti del sistema riservando agli esclusi un pur adeguato sostegno al reddito affinché sopravvivano e non disturbino i più fortunati. Fare lavoro significa invece adottare quale priorità tutto ciò che incoraggia pervasivamente la propensione ad intraprendere e ad assumere sfruttando ogni nicchia dell’economia e della società. Occorre che ognuno faccia la sua parte e incoraggi attivamente e culturalmente la vitalità economica lasciando che non prevalgono nichilismo, scetticismo, antropologia negativa e interessi coatti. Per dare vitalità demografica, così necessaria per la crescita, è necessario non solo aspettare le provvidenze pubbliche sicuramente essenziali per la ripresa ma riappropriarci della cultura del lavoro per edificare una comunità della piena occupazione nel tempo delle tecnologie che potenzialmente capacitano la persona nella sua integralità e a fronte di una stagione di nuova responsabilità .E ovviamente il lavoro dignitoso presuppone un pavimento di poche ma fondamentali tutele per tutti fissate da leggi inderogabili ed anche capacità di dialogo confronto e visione strategica . E così come è necessario il duttile strumento contrattuale che può e deve garantire la condivisione delle conoscenze nell’ambito di ecosistemi formativi accessibili. E la remunerazione deve crescere flessibilmente con la professionalità e con i risultati . L’ossessione egualitaria diventa nemica del lavoro. E poiché questo 1 maggio è particolarmente curato dai sindacati e dalle associazioni datoriali legato alla prevenzione salute e sicurezza una riflessione opportuna è dedicata alla violenza verbale, fisica e/o psicologica che rappresenta per le aziende un potenziale pericolo. I singoli atti di violenza possono essere imprevedibili, ma esistono presupposti relazionali e caratteriali che possono aumentare la probabilità di episodi di violenza. Sappiamo bene che al di fuori dell’azienda, la tipologia di lavoro svolto può aumentare l’eventualità di essere soggetti ad aggressioni. Particolarmente a rischio, ad esempio, sono gli operatori che manipolano beni di valore, hanno frequenti rapporti con l’utenza, oppure che svolgono lavori di ispezione, controllo o esercizio di attività di pubblica autorità. In ogni caso le categorie maggiormente esposte al rischio sono le persone di genere femminile, le persone diversamente abili e le persone che operano da sole o in situazioni di isolamento. Le conseguenze comprendono lesioni, disturbi post-traumatici da stress, assenze per malattia e scarso rendimento sul lavoro e sono estremamente gravi sia per i singoli individui, sia per le organizzazioni. Pertanto, è compito del Datore di Lavoro di qualsiasi azienda o ambito lavorativo valutare anche questa tipologia di rischio specifico ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. 81/08 e successive integrazioni, dando a tutti i lavoratori potenzialmente esposti, insieme al medico competente gli opportuni strumenti di mitigazione dello stesso. Nei rischi fisici e psicosociali, il “fattore umano” è la variabile che fa la reale differenza e questo vale ancor di più per quanto riguarda il rischio violenza, dove l’essere umano è l’unica fonte generativa di rischio. Quindi è fondamentale formare adeguatamente le persone a leggere correttamente i segnali del contesto e quelli comportamentali, in modo da poter adottare le strategie di reazione più efficaci per ridurre il rischio di subire aggressione e violenza. Il Pnrr affronta questa tematica soprattutto trasversalmente nelle missioni elaborate: ognuno può fare la sua parte .Anche in questo faticoso 1 maggio.
Alessandra Servidori
Il Diario e ddl ZAN
https://www.ildiariodellavoro.it/considerazioni-sul-ddl-zan-in-punta-di-diritto-internazionale-e-nazionale/ ALESSANDRA SERVIDORI
24 Aprile 2021
La legge in discussione ha un elemento di confusione fondamentale : è sul capirci bene che cosa sia l’identità di genere, su cui il ddl si avventura posto che non solo non c’è ancora univocità scientifica costituzionalmente sulla definizione che assioma la parola identità genere in materia discriminatoria coniugandola con altre discriminazioni e violenze legate al sesso, all’orientamento sessuale,alla disabilità. Il DDL fa confusione sul concetto sesso con quello di genere contraddicendo l’articolo 3 della nostra cattedrale costituzionale per la quale ogni diritto è riconosciuto in base al sesso e non al genere termine sconosciuto dal diritto.
Se c’è da mettere mano a una legge è proprio sul Codice di Parità del 2006, libro IV pari opportunita’ tra uomo e donna nei rapporti civili e politici libro II pari opportunita’ tra uomo e donna nei rapporti etico-sociali e successive integrazioni Legge 27 dicembre 2017, n. 205 che ancora contiene dei vulnus antidiscriminatori.
Questo disegno di legge, che doveva essere di contrasto alla omofobia, purtroppo si è trasformato in un manifesto ideologico, che fa confusione, mette in secondo piano l’omofobia e invece riduce pesantemente diritti e interessi delle donne e anche la libertà di espressione. La difesa di questo ddl- che comunque a parer di scrive e parla – va modificato, si basa sull’affermazione che è necessario uniformarsi all’Europa. Ma oil Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, con la Raccomandazione n. 5 del 2010, ha invitato gli Stati membri ad «adottare misure adeguate per combattere qualsiasi forma di espressione, in particolare nei mass media e su internet, che possa essere ragionevolmente compresa come elemento suscettibile di fomentare, propagandare o promuovere l’odio o altre forme di discriminazione nei confronti delle persone lesbiche, gay, bisessuali o transessuali», premurandosi però di avvertire che tali misure debbono «rispettare il diritto fondamentale alla libertà di espressione”, conformemente all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e alla giurisprudenza della Corte.
Sebbene la repressione penale dell’omofobia, nelle sue molteplici configurazioni, accomuni diversi ordinamenti giuridici europei e non, ancora acceso è il dibattito sulla sua costituzionalità e, in particolare, sulla sua compatibilità con la libertà di espressione. La Corte di Strasburgo non pare essere ancora riuscita a delineare i confini entro i quali possono muoversi i legislatori nazionali, mentre spunti interessanti giungono dai giudici dell’Unione europea che, pronunciandosi sulla portata del divieto di discriminazione per orientamento sessuale, hanno suggerito soluzioni alternative per la repressione (civilistica) di alcune tipologie di esternazioni omofobe. Queste paiono particolarmente utili in considerazione della perdurante assenza, nell’ordinamento giuridico italiano, del reato di hate speech omofobico.
Vale la pena di ricordare che tutt’altro che agevole si sta però rivelando la scelta delle misure normative che il raggiungimento di tale obiettivo richiede di adottare: le esitazioni di alcuni legislatori statali, tra cui rientra senz’altro il Parlamento italiano, non sono solo da ascrivere a perplessità di natura politica riguardanti, ad esempio, l’utilità e l’opportunità di risposte penali alla domanda di protezione dalle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, oppure a tenaci resistenze dettate da tattiche partitiche o fanatismi di tipo ideologico-religioso , bensì, anche ai dubbi legittimi di costituzionalità che alcune misure normative possono sollevare: al riguardo, basti ricordare l’accidentato iter dei progetti di legge presentati la cui discussione si è interrotta in conseguenza dell’approvazione di diverse pregiudiziali di costituzionalità.
Ritengo legittimo sollevare dubbi di costituzionalità legati soprattutto alla compressione della libertà di pensiero che andrebbe a determinare , ma a suscitare le maggiori perplessità sul piano giuridico-costituzionale in relazione alla incompatibilità con i cataloghi di diritti nazionali e sovranazionali, quali la Convenzione europea dei diritti umani, è assai più frequentemente la repressione penale degli hate speeches, in ragione della loro supposta equiparabilità ai c.d. reati di opinione. La mia opinione è che se non emendato,il ddl Zan consuma una pericolosa sovrapposizione della parola ‘sesso’ con quella di ‘genere’ con conseguenze contrarie all’articolo 3 della Costituzione per cui i diritti vengono riconosciuti in base al sesso e non al genere e non in armonia con la normativa vigente, la legge 164/82, che «ammette e consente la transizione da un sesso a un altro sulla base non di una semplice auto-dichiarazione o di una individuale percezione di sé relativa al genere (come dichiara il ddl ) .
La definizione di ‘ identità di genere’ contenuta nel ddl Zan crea una forma di indeterminatezza che non è ammessa dal diritto, che invece ha il dovere di dare certezza alle relazioni giuridiche e di individuare le varie fattispecie .Inoltre sempre il ddl in oggetto con il suo articolo 3 introduce una clausola di salvaguardia dell’art. 21 della Costituzione. È singolare che una Proposta di legge, destinata – se approvata e promulgata – a diventare legge ordinaria, tuteli una norma costituzionale, la quale è sovraordinata a ogni legge ordinaria. La norma ordinaria deve essere conforme alla Costituzione. Non può proporsi la sua tutela. Siamo, evidentemente, in presenza di una «contraddizione tecnica», che la ratio dell’ordinamento liberal-costituzionale non dovrebbe tollerare. Tanto meno ammettere. Si assiste, così, al ribaltamento della gerarchia ordinamentale. Concludo ,per ora, affermando che sesso e orientamento sessuale secondo la proposta sarebbero la medesima cosa così come genere e identità di genere. Il suo linguaggio rivela un accoglimento del significato di sesso e di genere esclusivamente «culturale». È ignorato ogni riferimento biologico e antropologico.
Alessandra Servidori
Continuiamo a ragionare sul ddl ZAN stamane a Radio in Blu : https://www.radioinblu.it/streaming/?vid=0_kxanma2n intervista a cura di Chiara Placenti
Continuiamo a ragionare sul ddl ZAN stamane a Radio in Blu :
https://www.radioinblu.it/streaming/?vid=0_kxanma2n intervista a cura di Chiara Placenti
Questo disegno di legge che doveva essere di contrasto alla omofobia purtroppo si è trasformato in un manifesto ideologico, che fa confusione, mette in secondo piano l’omofobia e invece riduce pesantemente diritti e interessi delle donne e anche la libertà di espressione. La difesa di questo ddl che comunque a parer di scrive e parla va modificato, si basa sull’affermazione che è necessario uniformarsi all’Europa. Ma il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, con la Raccomandazione n. 5 del 2010, ha invitato gli Stati membri ad «adottare misure adeguate per combattere qualsiasi forma di espressione, in particolare nei mass media e su internet, che possa essere ragionevolmente compresa come elemento suscettibile di fomentare, propagandare o promuovere l’odio o altre forme di discriminazione nei confronti delle persone lesbiche, gay, bisessuali o transessuali», premurandosi però di avvertire che tali misure debbono «rispettare il diritto fondamentale alla libertà di espressione, conformemente all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e alla giurisprudenza della Corte. Sebbene la repressione penale dell’omofobia, nelle sue molteplici configurazioni, accomuni diversi ordinamenti giuridici europei e non, ancora acceso è il dibattito sulla sua costituzionalità e, in particolare, sulla sua compatibilità con la libertà di espressione. La Corte di Strasburgo non pare essere ancora riuscita a delineare i confini entro i quali possono muoversi i legislatori nazionali, mentre spunti interessanti giungono dai giudici dell’Unione europea che, pronunciandosi sulla portata del divieto di discriminazione per orientamento sessuale, hanno suggerito soluzioni alternative per la repressione (civilistica) di alcune tipologie di esternazioni omofobe. Queste paiono particolarmente utili in considerazione della perdurante assenza, nell’ordinamento giuridico italiano, del reato di hate speech omofobico. Vale la pena di ricordare che tutt’altro che agevole si sta però rivelando la scelta delle misure normative che il raggiungimento di tale obiettivo richiede di adottare: le esitazioni di alcuni legislatori statali, tra cui rientra senz’altro il Parlamento italiano, non sono solo da ascrivere a perplessità di natura politica riguardanti, ad esempio, l’utilità e l’opportunità di risposte penali alla domanda di protezione dalle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale , oppure a tenaci resistenze dettate da tattiche partitiche o fanatismi di tipo ideologico-religioso , bensì, anche ai dubbi legittimi di costituzionalità che alcune misure normative possono sollevare: al riguardo, basti ricordare l’accidentato iter dei progetti di legge presentati la cui discussione si è interrotta in conseguenza dell’approvazione di diverse pregiudiziali di costituzionalità. Ritengo legittimo sollevare dubbi di costituzionalità legati soprattutto alla compressione della libertà di pensiero che andrebbe a determinare, ma a suscitare le maggiori perplessità sul piano giuridico-costituzionale in relazione alla incompatibilità con i cataloghi di diritti nazionali e sovranazionali, quali la Convenzione europea dei diritti umani, è assai più frequentemente la repressione penale degli hate speeches, in ragione della loro supposta equiparabilità ai c.d. reati di opinione. La mia opinione è che se non emendato, il ddl Zan consuma una pericolosa sovrapposizione della parola 'sesso' con quella di 'genere' con conseguenze contrarie all’articolo 3 della Costituzione per cui i diritti vengono riconosciuti in base al sesso e non al genere e non in armonia con la normativa vigente, la legge 164/82, che «ammette e consente la transizione da un sesso a un altro sulla base non di una semplice auto-dichiarazione o di una individuale percezione di sé relativa al genere (come dichiara il ddl ) . La definizione di ' identità di genere' contenuta nel ddl Zan crea una forma di indeterminatezza che non è ammessa dal diritto, che invece ha il dovere di dare certezza alle relazioni giuridiche e di individuare le varie fattispecie .Inoltre sempre il ddl in oggetto con il suo articolo 3 introduce una clausola di salvaguardia dell’art. 21 della Costituzione. È singolare che una Proposta di legge, destinata – se approvata e promulgata – a diventare legge ordinaria, tuteli una norma costituzionale, la quale è sovraordinata a ogni legge ordinaria. La norma ordinaria deve essere conforme alla Costituzione. Non può proporsi la sua tutela. Siamo, evidentemente, in presenza di una «contraddizione tecnica», che la ratio dell’ordinamento liberal-costituzionale non dovrebbe tollerare. Tanto meno ammettere. Si assiste, così, al ribaltamento della gerarchia ordinamentale. Concludo ,per ora, affermando che sesso e orientamento sessuale secondo la proposta sarebbero la medesima cosa così come genere e identità di genere. Il suo linguaggio rivela un accoglimento del significato di sesso e di genere esclusivamente «culturale». È ignorato ogni riferimento «biologico».
Legge Zan : discriminazione subdola .Caos sull'identità di genere
Alessandra Servidori
https://www.ilsussidiario.net/news/ddl-zan-il-caos-sullidentita-di-genere-crea-una-discriminazione-ancora-piu-subdola/2159805/
Sulla cd Legge Zan in Commissione giustizia al Senato , approvata alla Camera è più che legittimo far emergere le contraddizioni che in questi giorni contraddistinguono i due schieramenti : o sei per la difesa del testo o sei contro la legge che punisce l’omofobia e la transfobia.Io non sono né l’una né l’altra e ritengo più che legittimo essendomi poi occupata di discriminazioni per decenni elencarne i difetti evidenti e problematici. La legge in discussione ha un elemento di confusione fondamentale : è sul capirci bene che cosa sia l’identità di genere,su cui il ddl si avventura posto che non solo non c’è ancora univocità scientifica costituzionalmente sulla definizione che assioma la parola identità genere in materia discriminatoria coniugandola con altre discriminazioni e violenze legate al sesso , all’orientamento sessuale,alla disabilità. Il DDL fa confusione sul concetto sesso con quello di genere contraddicendo l’articolo 3 della nostra cattedrale costituzionale per la quale ogni diritto è riconosciuto in base al sesso e non al genere termine sconosciuto dal diritto. Se c’è da mettere mano a una legge è proprio sul Codice di Parità del 2006 e successive integrazioni che ancora contiene dei vulnus antidiscriminatori. Su questa definizione ambigua in particolare si sono consumate negli ultimi anni forzature inconcepibili del diritto antidiscriminatorio in funzione di forzature politiche che dimostrano con superba idiozia di voler cancellare la differenza sessuale tra donne uomini negando una scientifica differenza antropologica creando ulteriormente visioni e conflitti rispetto alla autonomia femminile.La legge deve chiarire e bene senza confusioni che vuole tutelare le persone Lgtb dunque la libertà e il rispetto delle differenze di tutti noi : l’omonstrafobia sia culturalmente che civilmente e nel peggiore dei casi penalmente è corretto riconoscerla e introdurla nel vivere civilmente non conficcandola nel comune sentire abolendo i genitali di nascita e sostituendoli con una nuova identità autopercepita o negando che sono le donne che partoriscono o pretendendo che maschi che stanno compiendo la transessualità siano accolti nelle case rifugio destinate a donne vittime della violenza o affidando a presunti esperti corsi nelle scuole su Lgtbq e gravidanze affidati ad addomi in affitto. Se un adulto offende una persona omosessuale deve essere comunque oggetto di provvedimento ma sui giovani stiamo attenti molto attenti . Aumentano in questo periodo spaventosamente secondo il rapporto SINPA le richieste di ricovero per bambini e adolescenti non solo a causa della pandemia ma per disturbi neurologici che hanno aumentato lo stress e il sovraccarico per bambini e famiglie. Ecco occupiamoci di loro meglio e di più e non aumentiamo confusioni così da seguire i nostri giovani e offrire loro risposte equilibrate e appropriate.
Lampadina su Medicina di genere Start Mag
Il post di Alessandra Servidori Start Mag 19 Aprile 2 a lampadina su Medicina di genere
Covid e non solo, perché è importante la medicina di genere
La medicina per donne e uomini è diversa: attrezziamoci per il futuro prossimo anche nei rinnovi contrattuali. Ottime pratiche sviluppate nel resto del mondo possono esserci utili. Diamoci una mossa, siamo troppo indietro.
Il National Institutes of Health USA supporta la formazione con corsi on line sulla medicina di genere e la comunità europea aveva lanciato una Strategia per la Salute (Together for Health: A Strategic Approach for the EU 2008-2013) per rispondere a tre grandi sfide: l’invecchiamento della popolazione; le nuove minacce alla salute (cambiamento climatico, bioterrorismo, pandemie); l’utilizzo di nuove tecnologie nei sistemi sanitari — sottolineando nella Strategia per l’Eguaglianza tra Donne e Uomini 2010- 2015 la necessità di intervenire rispetto alle diseguaglianze nella salute e all’accesso alle cure.
Considerando il genere, dunque meglio tardi che mai anche l’Italia si è mossa e ci auguriamo anche oggi che ci sia un passo avanti nell’attività a livello nazionale e internazionale e che richiedono di portare informazione e formazione laddove si progettano i servizi sanitari e le tecnologie biomediche ed in particolare i Dispositivi Medici (DM) e gli studi preclinici e clinici a loro supporto.
La settimana scorsa un gruppo di eccellenti scienziate nostrane hanno pubblicato a loro spese su un importante quotidiano una pagina intera dedicata alle donne italiane spiegando a dovere la differenza tra i vaccini in commercio così superficialmente nominati dalla quotidiana confusione e i pericoli legati ad effetti collaterali soprattutto delle trombosi facendoci comprendere come appaia evidente che l’esperienza Covid-19 imponga anche in questo ambito clinico massima prudenza e necessità di monitoraggio costante del rapporto rischio/beneficio.Da parte dell’Osservatorio ancora nessun accenno alla situazione italiana e dobbiamo augurarci che i 37 esperti si interfaccino con The COVID-19 Sex-Disaggregated Data Tracker, che è il più grande database al mondo di dati disaggregati per sesso sugli esiti di salute del Covid-19. Il tracciamento attualmente raccoglie dati tra donne e uomini su test, casi confermati (anche tra operatori sanitari), ricoveri, ricoveri in terapia intensiva e morti. È anche un tracciamento sulla disponibilità di dati disaggregati per altre caratteristiche sociali e demografiche e di dati riguardanti le comorbidità preesistenti. I dati vengono raccolti direttamente da fonti nazionali ufficiali, compresi i siti web dei ministeri della salute, siti statistici nazionali, registri dei decessi e account dei social media dei governi. Il tracciamento viene aggiornato ogni due settimane.
The Sex, Gender and Covid-19 Project è una partnership con Global Health 50/50. È importante sapere che in questo progetto si stanno analizzando i dati disaggregati per sesso al fine di comprendere il ruolo svolto dal sesso e dal genere nell’epidemia e negli esiti di salute di Covid-19. Lo studio ha anche lo scopo di sostenere approcci efficaci genere-specifici per affrontare la pandemia di Covid-19.Sempre per essere positivi suggeriamo ai 37 componenti dell’Osservatorio appena insediatosi dopo 4 anni di lentezze burocratiche di collaborare ad un innovativo progetto: Gender-related sociocultural differences and COVID-19: what influence on the effects of the pandemic? Epidemiol Prev 2020; 44 Suppl 2:398-399. In questo lavoro gli autori sottolineano l’importanza di potenziare la raccolta e diffusione di dati disaggregati che studino i diversi effetti dell’infezione da SARS-CoV-2 in uomini e donne non solo da un punto di vista biomedico, ma anche sociale, considerando i fattori di rischio associati ai diversi ruoli che uomini e donne ricoprono nella società. Posto che il Covid non sarà un ospite momentaneo ma presumibilmente prenderà casa anche in Italia nei rinnovi dei contratti alla voce formazione salute e sicurezza è utile aggiornare le strategie. Noi TutteperItalia lo stiamo già facendo posto che anche sul lavoro l’impatto è diverso e se non attenzionato può generare ulteriori discriminazioni.
COVID e differenze di genere in medicina : dalla parte delle donne e del lavoro
Alessandra Servidori 19 Aprile 2021
COVID e differenze di genere in medicina : dalla parte delle donne e del lavoro
Iniziamo oggi con il supporto di medici esperti una raccolta di autorevoli analisi sulla SARS Covid 19 con l'obiettivo di informare e costruire ipotesi per la prevenzione salute e sicurezza sul luogo di lavoro anche nei rinnovi contrattuali
Covid e differenze di genere : Lampadina numero 1.C'è differenza eccome!
L’attenzione alle questioni di genere si è diffusa nella comunità scientifica internazionale grazie alla pubblicazione di alcuni contributi particolarmente rilevanti, in relazione ad esempio alle discriminazioni subite da pazienti affette da patologie cardiache con minor numero di ricoveri e minori interventi rispetto agli uomini e ridotta presenza delle donne nei trials clinici per la sperimentazione dei farmaci e delle tecnologie diagnostiche, con un maggiore tasso di mortalità delle donne colpite da patologie cardiache. Quindi la discriminazione nella Salute espone decisamente a rischi. La COVID-19 – ci informano i Dott.Fortini e Meini- rappresenta una malattia pleiotropica: la maggior parte degli individui infettati da virus SARS-CoV-2 resta asintomatica o paucisintomatica, ma lo spettro clinico si può estendere a forme gravi di interessamento del tratto respiratorio inferiore, con insufficienza respiratoria e necessità di ospedalizzazione. Vari apparati oltre a quello respiratorio possono essere interessati, quali quello enterico, il cardiovascolare e il sistema nervoso centrale. In questa eterogeneità di manifestazioni, sin dai primi momenti della pandemia è apparsa peculiare la capacità del virus di provocare disturbi del gusto e dell’olfatto (disturbi chemosensoriali): la prevalenza di disfunzioni olfattorie risulta essere intorno al 53% e quella di gusto intorno al 44%, anche se i numeri assoluti differiscono a seconda delle casistiche pubblicate, diverse per gravità ed età dei pazienti1 . I disturbi chemosensoriali si manifestano precocemente entro la prima settimana, rappresentando il sintomo iniziale in circa un terzo dei pazienti, e talvolta restano sintomi isolati . Tali disturbi non necessariamente si associano a rinite, e questo porta a ipotizzare la presenza di un danno diretto dell’epitelio nasale o la presenza di un mediatore implicato nella trasmissione neurosensoriale, mentre appare meno probabile un danno neuronale (come nei classici deficit post-virali) che verosimilmente perdurerebbe ben oltre i tempi di poche settimane osservati in corso di COVID-19 . Tali sintomi sono talmente peculiari che attualmente ogni individuo che presenti un improvviso deficit chemosensoriale dovrebbe essere considerato infetto da SARS-CoV-2 fino a prova contraria. Termini come “gusto”, “sapore”, “odore” esprimono in realtà diversi aspetti di esperienze sensoriali molto complesse, caratterizzate da una significativa componente soggettiva. Per una più precisa definizione ogni deficit olfattorio o gustativo dovrebbe essere supportato da test specifici, ma la necessità di limitare gli esami non indispensabili ed i conseguenti rischi di contagio, ha reso spesso necessario riferirsi a quanto riferito soggettivamente dai singoli individui. Un ampio studio ha riportato una maggiore frequenza di disturbi chemosensoriali nel sesso femminile che potrebbe essere dovuta a differenze genere-correlate nel processo infiammatorio . Nella casistica effettuata dai due medici ,comprendente 100 pazienti (60 M e 40 F) dimessi da 3 centri ospedalieri e rivalutati a distanza di 1 mese dalla dimissione, 42 pazienti riferivano disturbi olfattivi e/o gustativi durante il ricovero, senza differenze significative tra i sessi (28/60 M=47% e 14/40 F=35%) 2 . Il tempo di recupero dai disturbi olfattivi e/o gustativi è risultato complessivamente rapido, avvenendo entro 4 settimane per la maggior parte dei pazienti; è comunque risultato significativamente più lungo nelle femmine che nei maschi (tempo di recupero medio 26 rispetto a 14 giorni, p = 0,009). Un recupero solo parziale dai disturbi di gusto, soggettivamente quantificato intorno al 30-50%, è stato riportato da circa il 10% dei pazienti, e solo una netta minoranza (3%) non ha riportato alcun tipo di miglioramento soggettivo a 1 mese. Una loro recente valutazione di 60 pazienti a distanza di 3-4 mesi dalla dimissione ospedaliera, ha mostrato la persistenza di un lieve-moderato grado di ageusia e di anosmia rispettivamente nel 17% e nel 15% dei casi (nel 10% persistevano entrambe), senza peraltro differenze significative tra femmine e maschi. In sintesi, i dati disponibili non sono univoci riguardo a differenze di incidenza dei disturbi del gusto e dell’olfatto tra i due sessi, che solo in alcuni studi risultano più frequenti nel sesso femminile. Questi disturbi si manifestano precocemente e, anche se isolati, devono far sospettare un’infezione da SARS-CoV-2. Il recupero avviene in genere entro 4 settimane, ma in circa il 15% dei casi sintomi lievi/moderati persistono per diversi mesi, senza differenza di genere.
COVID : un Opuscolo gratis da scaricare e distribuire con le ultime disposizioni
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SARS-CoV-2/Covid-19 Cosa dobbiamo sapere : 13 aprile 2021
Recenti disposizioni in merito alla vaccinazione e ai congedi per lavoratrici lavoratori datori di lavoro.
Il nostro intento è quello di sostenere l’informazione : riportiamo indicazioni rielaborate essenziali senza presunzione di completezza e nella speranza di essere utili. L’opuscolo è gratuito si può scaricare ed è costituito da istruzioni provenienti da sedi Istituzionali , Ministero del lavoro e delle politiche sociali , Ministero della Salute, Inps.
Guida alla lettura A* Pag 2 - B*Pag 6 - C* Pag 7
A* ) Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli- ambienti di lavoro 6 Aprile 2021 – Testo Integrale http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5383_0_file.PDF
B* ) Protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti SARS-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro- Testo Integrale http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5383_1_file.PD
Entrambi i Protocolli sono stati sottoscritti da Ministero del lavoro e delle politiche sociali Ministero della salute Ministero dello sviluppo economico Commissario Straordinario emergenza Covid – INAIL- CGIL CISL UIL- UGL- CONFSAL- CISAL- USB CONFINDUSTRIA- CONFAPI- CONFCOMMERCIO -Imprese per l’Italia - CONFESERCENTI CONFARTIGIANATO- CNA- CASARTIGIANI- ALLEANZA COOPERATIVE- ABI- ANIA CONFAGRICOLTURA- COLDIRETTI- CIA- CONFSERVIZI- FEDERDISTRIBUZIONE CONFPROFESSIONI –CONFIMI- CONFETRA
C*) Guida per i congedi parentali
A *)Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli- ambienti di lavoro 6 Aprile 2021
A 1 *) Informazione
L’azienda, attraverso le modalità più idonee ed efficaci, informa tutti i lavoratori, e chiunque entri in azienda, sulle disposizioni delle Autorità, consegnando e/o affiggendo depliants informativi all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali. Tra le informazioni:l’obbligo di restare a casa in presenza di febbre (oltre 37.5° C) o altri sintomi influenzali e di chiamare il proprio medico di famiglia e l’autorità sanitaria;la consapevolezza e l’accettazione del fatto di non poter fare ingresso o di poter permanere in azienda e di doverlo dichiarare tempestivamente laddove, anche successivamente all’ingresso, sussistano le condizioni di pericolo (sintomi di influenza, temperatura, provenienza da zone a rischio o contatto con persone positive al virus nei 14 giorni precedenti, etc.) in cui i provvedimenti dell’Autorità impongono di informare il medico di famiglia e l’Autorità sanitaria e di rimanere al proprio domicilio; l impegno a rispettare tutte le disposizioni delle Autorità e del datore di lavoro nel fare accesso in azienda (in particolare, mantenere la distanza di sicurezza, osservare le regole di igiene delle mani e tenere comportamenti corretti sul piano dell’igiene);l’impegno a informare tempestivamente e responsabilmente il datore di lavoro della presenza di qualsiasi sintomo influenzale durante 7 l’espletamento della prestazione lavorativa, avendo cura di rimanere ad adeguata distanza dalle persone presenti.
Accesso alla sede di lavoro-Modalità di ingresso in azienda
Il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro potrà essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5°C, non sarà consentito l’accesso ai luoghi di lavoro. Le persone in tale condizione - nel rispetto delle indicazioni riportate in nota - saranno momentaneamente isolate e fornite di mascherina chirurgica ove non ne fossero già dotate, non dovranno recarsi al Pronto Soccorso e/o nelle infermerie di sede, ma dovranno contattare nel più breve tempo possibile il proprio medico curante e seguire le sue indicazioni.Il datore di lavoro informa preventivamente il personale, e chi intende fare ingresso in azienda, della preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al virus SARS-CoV-2/COVID-19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS.La riammissione al lavoro dopo l’infezione da virus SARS-CoV-2/COVID-19 avverrà secondo le modalità previste dalla normativa vigente (circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020 ed eventuali istruzioni successive). I lavoratori positivi oltre il ventunesimo giorno saranno riammessi al lavoro solo dopo la negativizzazione del tampone molecolare o antigenico effettuato in struttura accreditata o autorizzata dal servizio sanitario. Qualora, per prevenire l’attivazione di focolai epidemici, nelle aree maggiormente colpite dal virus, l’autorità sanitaria competente disponga misure aggiuntive specifiche, come ad esempio l’esecuzione del tampone per i lavoratori, il datore di lavoro fornirà la massima collaborazione, anche attraverso il medico competente, ove presente.Al fine della prevenzione di ogni forma di affollamento e di situazioni a rischio di contagio, trovano applicazione i protocolli di settore per le attività produttive di cui all’Allegato IX al DPCM 2 marzo 2021.
Modalità di accesso di fornitori esterni e visitatori
Per l’accesso di fornitori esterni, individuare procedure di ingresso, transito e uscita, mediante modalità, percorsi e tempistiche predefinite, al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale in forza nei reparti/uffici coinvolti.Se possibile, gli autisti dei mezzi di trasporto devono rimanere a bordo dei propri mezzi: non è consentito l’accesso agli uffici per nessun motivo. Per le necessarie attività di approntamento delle attività di carico e scarico, il trasportatore dovrà attenersi alla rigorosa distanza di un metro.Per fornitori/trasportatori e/o altro personale esterno individuare/installare servizi igienici dedicati, prevedere il divieto di utilizzo di quelli del personale dipendente e garantire una adeguata pulizia giornaliera.Va ridotto, per quanto possibile, l’accesso ai visitatori; qualora fosse necessario l’ingresso di visitatori esterni (impresa di pulizie, manutenzione, etc.), gli stessi dovranno sottostare a tutte le regole aziendali, ivi comprese quelle per l’accesso ai locali aziendali.Ove sia presente un servizio di trasporto organizzato dall’azienda, va garantita e rispettata la sicurezza dei lavoratori lungo ogni spostamento, in particolare mettendo in atto tutte le misure previste per il contenimento del rischio di contagio (distanziamento, uso della mascherina chirurgica, etc.).Le norme del protocollo si estendono alle aziende in appalto che possono organizzare sedi e cantieri permanenti e provvisori all’interno dei siti e delle aree produttive.In caso di lavoratori dipendenti da aziende terze che operano nello stesso sito produttivo (es. manutentori, fornitori, addetti alle pulizie o Vigilanza, etc.) che risultassero positivi al tampone COVID-19, l’appaltatore dovrà informare immediatamente il committente, per il tramite del medico competente, ed entrambi dovranno collaborare con l’autorità sanitaria fornendo elementi utili all’individuazione di eventuali contatti stretti, nel rispetto della normativa vigente in materia di trattamento dei dati personali.L’azienda committente è tenuta a dare, all’impresa appaltatrice, completa informativa dei contenuti del Protocollo aziendale e deve vigilare affinché i lavoratori della stessa o delle aziende terze che operano a qualunque titolo nel perimetro aziendale, ne rispettino integralmente le disposizioni.
Igiene in azienda-Pulizia e sanificazione
L’azienda assicura la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago.Nel caso di presenza di una persona con COVID-19 all’interno dei locali aziendali, si procede alla pulizia e sanificazione dell’area secondo le disposizioni della circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020 del Ministero della Salute e alla ventilazione dei locali.Va garantita la pulizia a fine turno e la sanificazione periodica di tastiere, schermi touch, mouse, con adeguati detergenti, sia negli uffici, che nei reparti produttivi, anche con riferimento alle attrezzature di lavoro di uso promiscuo.L’azienda, in ottemperanza alle indicazioni del Ministero della salute, può organizzare, secondo le modalità ritenute più opportune, interventi particolari/periodici di pulizia anche ricorrendo agli ammortizzatori sociali. Nelle aree geografiche a maggiore endemia o nelle aziende in cui si sono registrati casi sospetti di COVID-19, in aggiunta alle normali attività di pulizia, è necessario prevedere, alla riapertura, una sanificazione straordinaria degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni, come da circolare 22 febbraio 2020.
Precauzioni igieniche personali
È obbligatorio che le persone presenti in azienda adottino tutte le precauzioni igieniche, in particolare per le mani.E’ favorita la preparazione da parte dell’azienda del liquido detergente secondo le indicazioni dell’OMS.E’ raccomandata la frequente pulizia delle mani con acqua e sapone.I detergenti per le mani devono essere accessibili a tutti i lavoratori anche grazie a specifici dispenser collocati in punti facilmente individuabili.
Dispositivi di protezione individuale
Qualora l’attività lavorativa imponga una distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative è necessario l'uso delle mascherine e di altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici) conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie. È favorita la preparazione da parte dell’azienda del liquido detergente secondo le indicazioni dell’OMS.
Spazi comuni , spostamenti, e ingressi
L’accesso agli spazi comuni, comprese le mense aziendali, le aree fumatori e gli spogliatoi è contingentato, con la previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e con il mantenimento della distanza di sicurezza di un metro tra le persone che li occupano. Occorre provvedere all’organizzazione degli spazi e alla sanificazione degli spogliatoi, per lasciare nella disponibilità dei lavoratori luoghi per il deposito degli indumenti da lavoro e garantire loro idonee condizioni igieniche sanitarie. Occorre garantire la sanificazione periodica e la pulizia giornaliera, con appositi detergenti, dei locali mensa e delle tastiere dei distributori di bevande e snack. Si favoriscono orari di ingresso/uscita scaglionati in modo da evitare il più possibile contatti nelle zone comuni (ingressi, spogliatoi, sala mensa).Dove possibile, occorre dedicare una porta di entrata e una porta di uscita da questi locali e garantire la presenza di detergenti segnalati da apposite indicazioni. Gli spostamenti all’interno del sito aziendale devono essere limitati al minimo indispensabile e nel rispetto delle indicazioni aziendali.Non sono consentite le riunioni in presenza. Laddove le stesse fossero connotate dal carattere della necessità e urgenza, nell’impossibilità di collegamento a distanza, dovrà essere ridotta al minimo la partecipazione necessaria e, comunque, dovranno essere garantiti il distanziamento interpersonale, l’uso della mascherina chirurgica o dispositivi di protezione individuale di livello superiore e un’adeguata pulizia e areazione dei locali. Sono sospesi tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità in aula, anche obbligatoria, fatte salve le deroghe previste dalla normativa vigente. Sono consentiti in presenza gli esami di qualifica dei percorsi di IeFP, nonché la formazione in azienda esclusivamente per i lavoratori dell’azienda stessa, secondo le disposizioni emanate dalle singole regioni, i corsi di formazione da effettuarsi in materia di protezione civile, salute e sicurezza, i corsi di formazione individuali e quelli che necessitano di attività di laboratorio, nonché l'attività formativa in presenza, ove necessario, nell’ambito di tirocini, stage e attività di laboratorio, in coerenza con i limiti normativi vigenti, a condizione che siano attuate le misure di contenimento del rischio di cui al "Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione" pubblicato dall’INAIL. E’ comunque possibile, qualora l’organizzazione aziendale lo permetta, effettuare la formazione a distanza, anche per i lavoratori in lavoro agile e da remoto
Organizzazione aziendale
Turnazione, trasferte e lavoro agile e da remoto, rimodulazione dei livelli produttivi
Con riferimento a quanto previsto dal DPCM 2 marzo 2021, articoli 4 e 30, limitatamente al periodo dell’emergenza dovuta al COVID-19, le imprese potranno, avendo a riferimento quanto previsto dai CCNL e favorendo così le intese con le rappresentanze sindacali aziendali: disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso al lavoro agile e da remoto;procedere ad una rimodulazione dei livelli produttivi;assicurare un piano di turnazione dei lavoratori dedicati alla produzione con l’obiettivo di diminuire al massimo i contatti e di creare gruppi autonomi, distinti e riconoscibili;utilizzare il lavoro agile e da remoto per tutte quelle attività che possono essere svolte in tale modalità, in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione.Nel caso vengano utilizzati ammortizzatori sociali, anche in deroga, valutare sempre la possibilità di assicurare che gli stessi riguardino l’intera compagine aziendale, se del caso anche con opportune rotazioni del personale coinvolto; utilizzare in via prioritaria gli ammortizzatori sociali disponibili nel rispetto degli istituti contrattuali (par, rol, banca ore) generalmente finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione.Nel caso in cui l’utilizzo di tali istituti non risulti sufficiente, si utilizzeranno i periodi di ferie arretrati e non ancora fruiti. In merito alle trasferte nazionali ed internazionali, è opportuno che il datore di lavoro, in collaborazione con il MC e il RSPP, tenga conto del contesto associato alle diverse tipologie di trasferta previste, anche in riferimento all’andamento epidemiologico delle sedi di destinazione. Il lavoro agile e da remoto continua ad essere favorito, anche nella fase di progressiva ripresa delle attività, in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione, ferma la necessità che il datore di lavoro garantisca adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività (assistenza nell’uso delle apparecchiature, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause). E’ necessario il rispetto del distanziamento sociale, anche attraverso una rimodulazione degli spazi di lavoro, compatibilmente con la natura dei processi produttivi e degli spazi aziendali. Nel caso di lavoratori che non necessitano di particolari strumenti e/o attrezzature di lavoro e che possono lavorare da soli, gli stessi potrebbero, per il periodo transitorio, essere posizionati in spazi ricavati ad esempio da uffici inutilizzati o sale riunioni. Per gli ambienti dove operano più lavoratori contemporaneamente, potranno essere individuate soluzioni innovative come, ad esempio, il riposizionamento delle postazioni di lavoro adeguatamente distanziate tra loro, ovvero soluzioni analoghe. L’articolazione del lavoro potrà essere ridefinita con orari differenziati, che favoriscano il distanziamento sociale riducendo il numero di presenze in contemporanea nel luogo di lavoro e prevenendo assembramenti all’entrata e all’uscita con flessibilità degli orari È essenziale evitare aggregazioni sociali, anche in relazione agli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro e rientrare a casa (commuting), con particolare riferimento all’utilizzo del trasporto pubblico. Per tale motivo andrebbero incentivate forme di trasporto verso il luogo di lavoro con adeguato distanziamento fra i viaggiatori e favorendo l’uso del mezzo privato o di navette.
Gestione di una persona sintomatica in azienda
Nel caso in cui una persona presente in azienda sviluppi febbre (temperatura corporea superiore a 37,5° C) e sintomi di infezione respiratoria o simil-influenzali quali la tosse, lo deve dichiarare immediatamente all’ufficio del personale e si dovrà procedere al suo isolamento in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria e a quello degli altri presenti, dai locali; l’azienda procede immediatamente ad avvertire le autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza per il COVID-19 forniti dalla Regione o dal Ministero della salute. II lavoratore o la lavoratrice, al momento dell’isolamento, deve essere subito dotato - ove già non lo fosse - di mascherina chirurgica. L’azienda collabora con le Autorità sanitarie per la definizione degli eventuali “contatti stretti” di una persona presente in azienda che sia stata riscontrata positiva al tampone COVID-19, anche con il coinvolgimento del MC. Ciò al fine di 15 permettere alle autorità di applicare le necessarie e opportune misure di quarantena. Nel periodo dell’indagine, l’azienda potrà chiedere agli eventuali possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente lo stabilimento, secondo le indicazioni dell’Autorità sanitaria.
Sorveglianza sanitaria, Medico competente e RLS
La sorveglianza sanitaria rappresenta una ulteriore misura di prevenzione di carattere generale: sia perché può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l’informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio. La sorveglianza sanitaria deve tendere al completo, seppur graduale, ripristino delle visite mediche previste, a condizione che sia consentito operare nel rispetto delle misure igieniche raccomandate dal Ministero della salute e secondo quanto previsto dall’OMS, previa valutazione del medico competente che tiene conto dell’andamento epidemiologico nel territorio di riferimento, in coerenza con la circolare del Ministero della salute del 29 aprile 2020 e con la circolare interministeriale del 4 settembre 2020.
Il medico competente collabora con il datore di lavoro e RLS (Rappresentante dei lavoratori alla sicurezza) / RLST (Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale) e segnala all'azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e l'azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy. Il medico competente collabora con l’Autorità sanitaria, in particolare per l’identificazione degli eventuali “contatti stretti” di un lavoratore riscontrato positivo al tampone COVID-19 al fine di permettere alle Autorità di applicare le necessarie e opportune misure di quarantena. In merito ai “contatti stretti”, così come definiti dalla circolare del Ministero della salute del 29 maggio 2020, è opportuno che la loro identificazione tenga conto delle misure di prevenzione e protezione individuate ed effettivamente attuate in azienda, ai fini del contenimento del rischio da SARS-CoV-2/COVID-19.
La riammissione al lavoro dopo infezione da virus SARS-CoV-2/COVID-19 avverrà in osservanza della normativa di riferimento. Per il reintegro progressivo dei lavoratori già risultati positivi al tampone con ricovero ospedaliero, il MC effettuerà la visita medica prevista dall’articolo 41, comma 2, lett. e-ter del d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni (visita medica precedente alla ripresa del lavoro a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi), al fine di verificare l’idoneità alla mansione - anche per valutare profili specifici di rischiosità - indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia.
B 1 *)Indicazioni ad interim per la vaccinazione anti-SARS-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro, da applicare sull’intero territorio nazionale per la costituzione, l’allestimento e la gestione dei punti vaccinali straordinari e temporanei nei luoghi di lavoro. Con decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, all’articolo 3 è stata esclusa espressamente la responsabilità penale degli operatori sanitari per eventi avversi nelle ipotesi di uso conforme del vaccino.
Sintesi essenziale :
L’iniziativa oggetto del presente Protocollo, è finalizzata in particolare a realizzare l’impegno delle aziende e dei datori di lavoro alla vaccinazione diretta dei lavoratori che a prescindere dalla tipologia contrattuale prestano la loro attività in favore dell’azienda, costituisce un’attività di sanità pubblica che si colloca nell’ambito del Piano strategico nazionale per la vaccinazione anti-SARS-CoV-2/Covid-19. I datori di lavoro, singolarmente o in forma aggregata e indipendentemente dal numero di lavoratrici e lavoratori occupati, con il supporto o il coordinamento delle Associazioni di categoria di riferimento, possono manifestare la disponibilità ad attuare piani aziendali per la predisposizione di punti straordinari di vaccinazione anti SARS-CoV-2 (Covid-19) nei luoghi di lavoro destinati alla somministrazione in favore delle lavoratrici e dei lavoratori che ne abbiano fatto volontariamente richiesta. A tal fine, i datori di lavoro interessati si attengono al rispetto delle Indicazioni ad interim per la vaccinazione anti-SARS-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro . Allegate al Protocollo. La vaccinazione potrà riguardare anche i datori di lavoro o i titolari. Nell’elaborazione dei piani aziendali , i datori di lavoro assicurano il confronto con il Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole contenute nel Protocollo del 24 aprile 2020. I piani aziendali sono proposti dai datori di lavoro, anche per il tramite delle rispettive Organizzazioni di rappresentanza, all’Azienda Sanitaria di riferimento, delle eventuali indicazioni specifiche emanate dalle Regioni e dalle Province Autonome per i territori di rispettiva competenza. All’atto della presentazione dei piani aziendali il datore di lavoro specifica altresì il numero di vaccini richiesti per le lavoratrici e i lavoratori disponibili a ricevere la somministrazione. I costi per la realizzazione e la gestione dei piani aziendali, ivi inclusi i costi per la somministrazione, sono interamente a carico del datore di lavoro, mentre la fornitura dei vaccini, dei dispositivi per la somministrazione (siringhe/aghi) e la messa a disposizione degli strumenti formativi previsti e degli strumenti per la registrazione delle vaccinazioni eseguite è a carico dei Servizi Sanitari Regionali territorialmente competenti. Tutte le Parti sottoscrittrici si impegnano a fornire le necessarie informazioni alle lavoratrici e ai lavoratori, anche attraverso il coinvolgimento degli attori della sicurezza e con il necessario supporto del medico competente, anche promuovendo apposite iniziative di comunicazione e informazione sulla vaccinazione anti SARS-CoV-2/Covid-19. Le procedure finalizzate alla raccolta delle adesioni dei lavoratori interessati alla somministrazione del vaccino dovranno essere realizzate e gestite nel pieno rispetto della scelta volontaria rimessa esclusivamente alla singola lavoratrice e al singolo lavoratore. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sui vantaggi e sui rischi connessi alla vaccinazione e sulla specifica tipologia di vaccino, assicurando altresì l’acquisizione del consenso informato del soggetto interessato, il previsto triage preventivo. La somministrazione del vaccino è riservata ad operatori sanitari in grado di garantire il pieno rispetto delle prescrizioni sanitarie viene eseguita in locali idonei . Per l’attività di somministrazione del vaccino il medico competente potrà avvalersi di personale sanitario in possesso di adeguata formazione e assicura la registrazione delle vaccinazioni eseguite mediante gli strumenti messi a disposizione dai Servizi Sanitari Regionali. In alternativa alla modalità della vaccinazione diretta, laddove i datori di lavoro intendano collaborare all’iniziativa di vaccinazione attraverso il ricorso a strutture sanitarie private, possono concludere, anche per il tramite delle Associazioni di categoria di riferimento o nell’ambito della bilateralità, una specifica convenzione con strutture in possesso dei requisiti per la vaccinazione, con oneri a proprio carico, ad esclusione della fornitura dei vaccini che viene assicurata dai Servizi Sanitari Regionali territorialmente competenti. I datori di lavoro che, ai sensi dell’articolo 18 comma 1, lettera a) del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, non sono tenuti alla nomina del medico competente ovvero non possano fare ricorso a strutture sanitarie private, possono avvalersi delle strutture sanitarie dell’INAIL. Gli oneri restano a carico dell’INAIL. Se la vaccinazione viene eseguita in orario di lavoro, il tempo necessario alla medesima è equiparato a tutti gli effetti all’orario di lavoro. Ai medici competenti ed al personale sanitario e di supporto coinvolto nelle vaccinazioni di cui al presente Protocollo è offerto, attraverso la piattaforma ISS, lo specifico corso di formazione realizzato anche con il coinvolgimento dell’INAIL che contribuirà altresì, in collaborazione con il Ministero della salute e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, alla predisposizione di materiale informativo destinato ai datori di lavoro, alle lavoratrici e ai lavoratori e alle figure della prevenzione.
C 1*) Guida ai Congedi parentali
Con il Decreto legge 30 del 13 marzo 2021 - Gazzetta Ufficiale Testo Integrale , sono state introdotte nuove “Misure urgenti per fronteggiare la diffusione del COVID-19 e interventi di sostegno per lavoratori con figli minori in didattica a distanza o in quarantena”, validi fino al 30 giugno 2021. Il DL 30/2021, dunque, interviene anche su quanto previsto dalla normativa, sulla base di cui l’INPS aveva dato indicazioni procedurali. Il comma 1 dell’Art. 2 stabilisce che un genitore di figlio convivente minore di anni sedici, lavoratore dipendente, alternativamente all'altro genitore, ha diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile per un periodo corrispondente in tutto o in parte alla durata della sospensione dell’attività didattica in presenza del figlio, alla durata dell'infezione da SARS Covid-19 del figlio, nonché alla durata della quarantena del figlio disposta dal Dipartimento di prevenzione della azienda sanitaria locale (ASL) territorialmente competente a seguito di contatto ovunque avvenuto. Il comma 2 tocca invece la fattispecie in cui la prestazione non sia svolgibile in modalità agile. In questo caso il genitore lavoratore dipendente di figlio convivente minore di anni quattordici, alternativamente all'altro genitore (che vuol dire un genitore per volta, mai entrambi contemporaneamente), può astenersi dal lavoro per un periodo corrispondente in tutto o in parte alla durata della sospensione dell’attività didattica in presenza del figlio, alla durata dell'infezione da SARS Covid-19 del figlio, nonché alla durata della quarantena del figlio.Lo stesso beneficio è riconosciuto anche ai genitori di figli con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi della Legge 104/92, iscritti a scuole di ogni ordine e grado per le quali sia stata disposta la sospensione dell’attività didattica in presenza o ospitati in centri diurni a carattere assistenziale per i quali sia stata disposta la chiusura.
Ricordiamo che, secondo quanto previsto dall’Art. 43 del Dpcm 2 marzo2021, nelle zone rosse “Resta salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario […] mantenere una relazione educativa che realizzi l'effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali”. Un genitore di figlio con bisogni speciali e didattica garantita, spesso solo per poche ore a settimana, secondo la normativa non ha diritto al congedo ma come dovrebbe fare a gestire adeguatamente esigenze scolastiche e lavorative? Dalla parte dei Rari - Sportello legale OMAR - Osservatorio Malattie Rare Per domande specifiche rivolgersi a Sportello Legale Dalla parte dei Rari - Sportello legale OMAR - Osservatorio Malattie Rare
Solo In caso di figli di età compresa fra 14 e 16 anni, uno dei genitori, alternativamente all'altro, ha diritto, ai sensi del comma 5, ad astenersi dal lavoro senza corresponsione di retribuzione o indennità né riconoscimento di contribuzione figurativa, con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Con il Messaggio n°1276 del 25/03/2021 Inps ha precisato che "il requisito della convivenza e il limite di 14 anni di età non si applicano per la cura di figli con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, iscritti a scuole di ogni ordine e grado, per le quali sia stata disposta la sospensione dell’attività didattica in presenza, o ospitati in centri diurni a carattere assistenziale per i quali sia stata disposta la chiusura". Pertanto, per ottenere il congedo devono sussistere tutti i seguenti requisiti: a) il genitore deve avere un rapporto di lavoro dipendente in essere; b) il genitore deve svolgere una prestazione lavorativa per la quale non è prevista la possibilità di svolgimento della stessa in modalità agile; c) il figlio, per il quale si fruisce del congedo, deve essere riconosciuto disabile in situazione di gravità ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge n. 104/1992, e iscritto a scuole di ogni ordine e grado o ospitato in centri diurni a carattere assistenziale; d) deve sussistere una delle seguenti condizioni in relazione al figlio per il quale si fruisce del congedo: 1) l’infezione da SARS Covid-19; 2) la quarantena da contatto (ovunque avvenuto) disposta con provvedimento del Dipartimento di prevenzione della ASL territorialmente competente; 3) la sospensione dell’attività didattica in presenza; 4) la chiusura del centro assistenziale diurno.
Ai sensi del comma 3 per i succitati periodi di astensione dall’attività lavorativa è riconosciuta, in luogo della retribuzione e nei limiti di spesa di 282,8 milioni di euro per l'anno 2021 (cfr comma 8), un’indennità pari al 50% della retribuzione stessa. I suddetti periodi sono coperti da contribuzione figurativa. Rimane il quesito : se ogni qualvolta è consentito lo svolgimento del lavoro in modalità agile il genitore non ha diritto ad assentarsi, come dovrebbe fare quest’ultimo a gestire contemporaneamente le proprie incombenze professionali, la dad , in generale, la gestione dei figli, magari con disabilità e necessitanti di terapie, fisioterapia e supporto h24?Lo smart working dovrebbe essere il lavoro caratterizzato da elasticità oraria e “condotto per obiettivi”, sappiamo però che per la maggior parte dei dipendenti di fatto si tratta di telelavoro - un’esecuzione dislocata delle stesse mansioni in presenza, con tanto di orari fissi e meccanismi di controllo, incompatibile con la cura dei bambini più piccoli o con la DAD dei grandicelli. Rimane il quesito se un genitore si trovi in regime di smart working, con figlio disabile grave a casa e didattica digitale attivata: come dovrebbe essere in grado di svolgere il proprio compito sdoppiandosi tra le incombenze lavorative e quelle del figlio con esigenze speciali?
Il comma 6 stabilisce che i lavoratori iscritti alla gestione separata INPS, i lavoratori autonomi, il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, impiegato per le esigenze connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, i lavoratori dipendenti del settore sanitario, pubblico e privato accreditato, appartenenti alla categoria dei medici, degli infermieri, dei tecnici di laboratorio biomedico, dei tecnici di radiologia medica e degli operatori socio-sanitari, per i figli conviventi minori di anni 14, possono scegliere la corresponsione di uno o più bonus per l'acquisto di servizi di baby-sitting nel limite massimo complessivo di 100 euro settimanali, erogati mediante il libretto famiglia, da utilizzare sempre in caso di didattica sospesa, quarantena o malattia del figlio. A tal proposito si segnala anche il Messaggio n. 950 del 05/03/2021 dell’INPS con cui l’Istituto proroga il termine per l’appropriazione del bonus e per l’inserimento nel Libretto Famiglia al 30 aprile 2021.In alternativa, il bonus può essere erogato direttamente al richiedente per la comprovata iscrizione ai centri estivi, ai servizi integrativi per l'infanzia, ai servizi socio-educativi territoriali, ai centri con funzione educativa e ricreativa e ai servizi integrativi o innovativi per la prima infanzia. La fruizione del bonus per servizi integrativi per l'infanzia di cui al terzo periodo è incompatibile con la fruizione del bonus asilo nido.
Il bonus è altresì riconosciuto ai lavoratori autonomi non iscritti all'INPS, subordinatamente alla comunicazione da parte delle rispettive casse previdenziali del numero dei beneficiari. In qualsiasi caso, il bonus di cui al comma 6 può essere fruito solo se l'altro genitore non accede ad altre tutele o al congedo di cui al comma 2 (congedo per lavoratori dipendenti).Il Messaggio INPS n. 1296 del 26 marzo 2021 descrive beneficiari, misura e caratteristiche del bonus e rimanda a una circolare di prossima pubblicazione per maggiori dettagli, anche relativamente alla presentazione delle domande. Inps ha confermato "la linea di interpretazione adottata nella fase emergenziale legata all’epidemia da Covid–19 per queste categorie di sanitari, sebbene non abbiano un rapporto di lavoro di natura strettamente dipendente con le ASL di appartenenza". Ai fini del diritto al beneficio, infatti, si è inteso per “medici dipendenti” non solo i medici con contratto di lavoro subordinato con la ASL ma anche i medici convenzionati col Servizio Sanitario Nazionale (SSN), consentendo la presentazione della domanda di bonus anche da parte di medici di base e pediatri di libera scelta. Ai sensi del comma 7, per i giorni in cui un genitore svolge la prestazione di lavoro in modalità agile, fruisce di uno dei congedi suesposti, non svolge alcuna attività lavorativa o è sospeso dal lavoro l'altro genitore non può fruire dell'astensione di cui ai commi 2 e 5, o del bonus di cui al comma 6, salvo che sia genitore anche di altri figli minori di anni quattordici avuti da altri soggetti che non stiano fruendo di alcuna delle agevolazioni.
In base a quanto previsto dal comma 4, gli eventuali periodi di congedo parentale già fruiti dai genitori - a decorrere dal 1° gennaio 2021 e fino alla data di entrata in vigore del decreto - durante i periodi di sospensione dell’attività didattica in presenza del figlio, di durata dell'infezione da SARS Covid-19 del figlio, di durata della quarantena del figlio, possono essere convertiti, in fase di domanda, nel succitato congedo (comma 2) e non sono computati né indennizzati a titolo di congedo parentale. l'INPS ha comunicato che "sta adeguando le procedure amministrative e informatiche di presentazione delle domande riferite al nuovo congedo. È, comunque, già possibile fruire del congedo in argomento con richiesta al proprio datore di lavoro, regolarizzando la medesima, successivamente, presentando l’apposita domanda telematica all’INPS. Con successivo messaggio sarà comunicato il rilascio del nuovo sistema per la presentazione delle domande, che potranno essere presentate anche con effetto retroattivo".
Ma siamo informati sulla situazione finanziaria delle imprese e delle famiglie??
https://www.startmag.it/blog/come-aiutare-le-imprese/
Il giorno sab 10 apr 2021 alle ore 11:00 Alessandra Servidori < Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. > ha scritto:
Alessandra Servidori
Li abbiamo visti in Piazza Montecitorio sofferenti e in preda a disperazione e mi sono chiesta se siamo informati noi tutti della situazione finanziaria che sta massacrando le imprese italiane e dunque la vita di tante famiglie cadute in povertà. Le imprese italiane sono in grande sofferenza perché già negli ultimi 10 anni, i prestiti delle banche italiane alle imprese sono crollati di oltre 186 miliardi di euro. Il calo, che in media è pari a quasi 20 miliardi l'anno, e' stato del 21,79%, dagli 856 miliardi di luglio 2010 ai 669 miliardi di luglio 2020.Tre osservatori autorevoli il Centro studi di Unimpresa, Istat e Abi hanno ratificato la enorme difficoltà del sistema poichè che sono scesi bruscamente i finanziamenti alle imprese a breve termine, con una riduzione di 135 miliardi e sono diminuiti di 79 miliardi quelli di lungo periodo: variazioni negative solo in parte compensate dai crediti a cinque anni, saliti di 28 miliardi. Estendere la proroga delle garanzie delle gestione sofferenze che sono garanzie concesse dallo Stato, in conformità a decisioni della Commissione europea, finalizzate ad agevolare lo smobilizzo dei crediti in sofferenza dai bilanci delle banche e degli intermediari finanziari con sede legale in Italia(cd cartolarizzazioni) e anche ad altre probabili inadempienze e dunque mitigare la rigidità delle norme sulla definizione di default per le imprese e mantenere le moratorie tutto il tempo necessario, diventa fondamentale in questo periodo di forte crisi per attivare strumenti e misure volti a rafforzare il capitale e diversificare le fonti di indebitamento, realizzare un ambiente normativo favorevole per lo sviluppo della finanza sostenibile. ABI durante l’audizione tenuta il 7 aprile presso la Commissione Finanze della Camera sugli sviluppi della pandemia e gli effetti sul sistema bancario italiano,ha ripetuto quanto già sottolineato dai banchieri italiani, ossia che in questa situazione pandemica occorre da un lato evitare che l’avvitamento delle rigide misure europee (ad esempio, la definizione di default) restringa il flusso del credito all’economia, e dall’altra che le risorse disponibili (soprattutto quelle del Recovery Fund europeo) vengano disperse in mille rivoli e in investimenti non produttivi. ABI ha evidenziato l’opportunità di un rafforzamento delle misure volte a incentivare l’investimento e l’aumento di capitale dell’impresa, come l’aiuto alla crescita economica (ACE) rinnovata e rafforzata, condividendo le norme ESG (fattori di rischio) per le banche più chiare e certe, perché “lo sviluppo della finanza sostenibile richiede un ambiente normativo favorevole che abbia standard chiari per orientare le attività economiche delle imprese ed i flussi finanziari. Occorre una completa definizione della Tassonomia europea per le attività sostenibili. La nuova normativa richiederà alle banche di rendicontare e di incrementare la quota parte delle proprie esposizioni verso attività e progetti allineati con la Tassonomia.Istat infatti dimostra che l’insolvenza costituisce il principale rischio nei mesi prossimi per il settore produttivo italiano aumentando già ora l’esposizione del sistema bancario a possibili trasmissioni dello shok dal segmento non finanziario. Secondo Istat la crisi pandemica ha inciso anche sulle strategie di finanziamento delle imprese che, per fronteggiare la crisi di liquidità, hanno utilizzato un insieme di strumenti e il credito bancario ha rivestito un ruolo centrale. In generale, sulla base delle indicazioni fornite dalle imprese per il 2021, le modifiche ai canali di finanziamento "appaiono transitorie e legate per lo più all’…emergenza sanitaria".A fine 2020 quasi un terzo delle imprese considerava a rischio la propria sopravvivenza, oltre il 60% prevedeva ricavi in diminuzione e solo una su cinque riteneva di non avere subito conseguenze o di aver tratto beneficio dalla crisi. Le prospettive di ripresa per il 2021 sono giudicate limitate: meno di una impresa su cinque prevedeva una normale prosecuzione dell’attività nella prima metà dell’anno. La crisi ha colpito soprattutto le unità di piccola e piccolissima dimensione: a fine 2020 si dichiaravano a rischio oltre il 33% delle microimprese (3-9 addetti), il 26,6% delle piccole (10-49 addetti), il 15,1% delle medie (50-249 addetti) e il 10,7% delle grandi (250+ addetti). Per il 58,1% delle imprese con almeno 3 addetti il principale vincolo alla ripresa nel primo semestre del 2021 è la diminuzione della domanda interna; per il 19,2% quella della domanda estera, per il 34,1% il rischio di liquidità, cui provvedere anche attraverso nuove fonti di finanziamento, e tra queste nuovo credito bancario. Infine, chi opera sui mercati esteri resiste meglio alla crisi: forme di internazionalizzazione avanzate (esportazione su scala globale, appartenenza a gruppi multinazionali) si associano a minori rischi di chiusura, problemi di liquidità, di domanda o di approvvigionamento. Ma sappiamo bene che in Italia la nostra forza è sempre stata l’impresa artigianale familiare e se mancano gli ordinativi manca il lavoro e la povertà ci strozza.
Il trucidismo di ERDOGAN molesto e volgare
Alessandra Servidori IL TRUCIDISMO DI ERDOGAN molesto e volgare
In diplomazia la forma sarà anche sostanza ma soprattutto la volgare arroganza del presidente turco Tayyip Erdogan e la scorrettezza beota del presidente del Consiglio Ue Charles Michel - ad Ankara, nei confronti della Presidente Europea Ursula von der Leyen è un’azione che ha umiliato tutti noi civili cittadini comunitari e certamente non nobilita il resoconto dell’incontro che è stato proficuo a detta della nostra Presidente poiché , dopo mesi di tensione con la Turchia,l’ha inaugurato con grande determinazione affermando a chiara voce , rivolgendosi al truce Erdogan , che la Turchia deve rispettare i diritti umani e che la scelta di ritirare la nazione dalla Convenzione di Istambul contro la violenza delle donne è preoccupante. Il colloquio gestito dalla Presidente Eu ha affrontato le questioni più delicate dall’invasione nelle acque internazionali cipriote e greche alla questione migratoria, pedine aggressive di Erdogan di cui conosciamo la baldanza contro persino i propri cittadini che tali non sono ma evidentemente sudditi. Quello che più ci infastidisce è la sudditanza dimostrata da Charles Michel che non ha ceduto rispettosamente la sua sedia alla von der Leyen, rivelando così una alleanza machista davanti al mondo che francamente è più che molesta, addirittura volgare e sconfessa ogni protocollo istituzionale. Il dittatore ha le sue radici politiche fondate su valori radicali islamici, ottomani , non crede affatto nell’uguaglianza di genere, crede invece nei valori familiari come descritti dalle regole islamiche, e per lui il ruolo sociale della donna si sviluppa all’interno della famiglia. L’islam radicale e l’emancipazione delle donne sono ideologicamente agli antipodi, sconfessando così le riforme del predecessore Kemal Atatürk che avevano posto l’uguaglianza di genere tra le leggi, ed era stato siglato la Convenzione internazionale sui diritti umani, entrando a far parte dell’Ilo.La convenzione di Istanbul era diventata il simbolo dell’impegno della Turchia nei confronti dell’Unione e dei suoi valori. Oggi si vive un messaggio opposto e il dittatore sacrifica la Convenzione di Istanbul per ottenere il sostegno dei conservatori. I quali però hanno più voce che peso numerico, controllano i media che hanno venduto la Convenzione come una minaccia ai valori della famiglia ma, nonostante questo, solo il 17 per cento dei turchi è d’accordo sull’uscita dalla Convenzione, il 19 è indeciso e il 64 per cento è nettamente contrario. La violenza contro le donne è aumentata terribilmente negli ultimi dieci anni e ancora di più con l’epidemia. In Turchia si contano ormai almeno due femminicidi al giorno. L’uscita dalla Convenzione farà crescere ancora questo numero. Più in generale, tutta la situazione femminile sta peggiorando: maggiore disoccupazione e meno partecipazione al mondo del lavoro e della vita politica. Vero è che purtroppo il 40 per cento delle donne che non lavora sostiene Erdogan. Lo vedono come il liberatore del velo: ha permesso di indossarlo anche nella sfera pubblica, “restituendo loro dignità e rispetto”.Ma sulle giovani ha molta meno influenza e si stanno organizzando in rete attraverso le nuove tecnologie. Tutta la solidarietà possibile a von der Leyen ma un po’ di barriere al trucidismo turco è meglio piazzarlo.