commenti utili :salario minimo / competenze
Raccolta commenti utili :salario minimo-competenze italiane
Alessandra Servidori Start Magazin
Sul salario minimo sono in corso audizioni informali alla Commissione Lavoro della Camera sulle varie proposte di legge , pd e terzo polo su un testo di legge , “in incerta sostanza” stanno trattando ma la questione è lontana dal trovare una equilibrata soluzione. Ovunque salario minimo legale copre tutti i lavoratori dipendenti?Nel PNRR lo si propone solo "per i lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva".Quindi non si vuole salario minimo perché tutti i lavoratori sono sulla carta coperti ? Bisogna evitare queste ipocrisie perché ben sappiamo da fonte certa Cnel come è la situazione reale. Partiamo dalla considerazione che la questione si pone in Italia dopo l’accordo sulla direttiva UE per il salario minimo,perchè questa comune regola europea aiuta i poveri che sono cresciuti ma purtroppo sono cresciuti anche i poveri che lavorano. Una volta si pensava che i poveri fossero solo i disoccupati, adesso lavorare ed essere poveri è veramente un paradosso intollerabile. Nella Direttiva si specificano due possibilità: o stabilire un salario minimo per legge come fanno già molti Paesi ma non l’Italia, o per i Paesi che non vogliono un intervento legislativo, si devono rafforzare i contratti collettivi nazionali, prevedendo salari giusti. Ora in Italia ci sono contratti ‘cosiddetti pirata’ che non danno nessuna garanzia. Addirittura alcuni lavoratori di settori deboli non sono coperti da contratti e quindi hanno un salario di 4-5 euro all’ora. C’è comunque una spinta nella direzione di adottare il salario minimo, anche da parte dei sindacati, ma guardare come ha agito la Germania, ad esempio, che ha alzato il salario minimo orario a 12 euro, la Francia ha una norma simile , si può dare forza ai contratti conclusi dalle parti maggiormente rappresentative, affinché si applichino a tutti. I salari minimi nei paesi Ocse variano tra il 40 e il 60 per cento del salario mediano. In Italia, vorrebbe dire tra i 5 e i 7 euro all'ora. Il livello sarebbe anche compatibile con i minimi tabellari fissati dalla contrattazione collettiva, che oggi partono dai 7 euro circa per i contratti principali. Su un testo di legge condiviso essenzialmente le obiezioni al salario minimo per legge attengono alla discussione se tale potere debba appartenere alle parti sociali che lo esercitano liberamente tramite la contrattazione collettiva o allo Stato che lo esercita tramite la legge. In realtà sono due cose diverse: un conto sono i minimi tabellari fissati dalla contrattazione nazionale, che incorporano una parte di redistribuzione della ricchezza creata: premiano quindi almeno in parte i risultati generali del comparto (una distribuzione più importante e articolata deve spettare alla contrattazione aziendale, che gestisce la premialità). Non a caso i minimi tabellari sono differenti a seconda dei comparti: non rappresentano un minimo vitale, ma la retribuzione minima per chi lavora in quel settore, relazionata alla ricchezza che il settore può redistribuire.Un salario minimo legale rappresenta invece una condizione minima garantita universalmente, con finalità di assicurare a chiunque lavori un trattamento che prescinda dalle condizioni contingenti dell’impresa e/o del comparto. Al Cnel sono depositati oltre 870 CCNL, di cui solo 1/3 firmati da CGIL CISL e UIL; anche a voler aggiungere a questi i Contratti stipulati da Sindacati autonomi dalle tre maggiori Confederazioni ma dotati di una vera base associativa e attori di pratiche sindacali “serie” è evidente che sono centinaia i CCNL che possiamo definire di comodo, che, formalmente legali, fissano però condizioni salariali al ribasso.Va tenuto conto anche di una percentuale difficile da definire con precisione, ma certamente non irrilevante, di lavoratori autonomi “economicamente dipendenti”, essenzialmente finte “partite IVA” o monocommittenze. Stiamo parlando di una platea di circa 5.300.000 lavoratori autonomi, per cui se parliamo di 3.000.000 di persone sottopagate tra autonomi e dipendenti ci avviciniamo alla realtà probabilmente per difetto. La contrattazione sindacale non basta perchè l’art.39 della Costituzione è rimasto inattuato: esso riconosce efficacia obbligatoria universale soltanto per gli accordi siglati da Sindacati Registrati che rappresentino la maggioranza degli addetti del settore cui si riferisce il CCNL. Purtroppo nessuna Organizzazione Sindacale è, per l’appunto, registrata, e comunque rimane ancora forte l’ostilità dei sindacati ad una legge applicativa dell’art. 39. L’accordo resta pertanto vincolante solo per chi lo sottoscrive, e nulla può vietare ad un’organizzazione che si autodefinisce sindacale tramite regolare procedura notarile di firmare un contratto con retribuzioni al ribasso, che poi qualunque impresa non aderente alle Associazioni Datoriali “ufficiali” può applicare ai propri dipendenti. E’ ben vero che la giurisprudenza consolidata , nel caso di contenzioso giudiziario, riconosce ai lavoratori la retribuzione fissata dai CCNL siglati dai Sindacati “maggiormente rappresentativi”, ma evidentemente non si tratta di un rimedio efficace, visto il numero dei lavoratori sottopagati..! Ancora più difficili le condizioni di quei lavoratori che per effetto di un “accordo” , ricevono sì una busta paga con le dovute retribuzioni contrattuali, ma sono costretti a restituirne una parte al datore di lavoro. Né si capirebbe perché il presidente di Legacoop, invoca il salario minimo per legge per difendersi dai ribassi anomali nelle gare di appalto.La gran parte dei sottopagati si colloca nelle aziende minori e nelle Regioni in cui il confine tra lavoro regolare e lavoro nero è poco netto, la presenza del sindacato è marginale, e quindi c’è poca propensione da parte dei lavoratori ad affrontare cause giudiziarie, dall’esito peraltro non sempre scontato, per reclamare una retribuzione equa. Ciò rende la “via giudiziaria” certamente praticabile ma insufficiente a risolvere radicalmente il problema. Se la retribuzione minima viene fissata a ridosso dei minimi tabellari previsti dai CCNL certamente potrebbe risultare depotenziata la Contrattazione Nazionale, perché occorre ricordare che il CCNL si occupa di altre cose oltre al salario base: maggiorazioni per straordinari, turni ecc., riposi, orari, inquadramento, formazione continua, diritti sindacali, permessi, ecc. E comunque non verrebbe minimamente limitata la contrattazione di secondo livello, aziendale o territoriale. Viceversa il rischio che fissando un minimo significativamente inferiore ai minimi contrattuali si possa indurre parte delle imprese ad adottarlo per risparmiare rispetto al CCNL. Le aziende che potrebbero essere interessate a quest’operazione sarebbero sostanzialmente le stesse che già oggi non applicano nessun CCNL o ne applicano uno di comodo, e che determinano un ribasso retributivo mediamente del 20%: si deve ragionare attorno a questa soglia per determinare effetti concreti. Scendere troppo significa creare le condizioni per un peggioramento e salire senza arrivare a ridossi dei minimi contrattuali dovrebbe concretamente migliorare le condizioni di quel 10% di dipendenti che sono sottopagati, per non dire degli “autonomi” che non godono neppure di una simulazione di contratto collettivo e sono in completa balia dei rapporti di forza con il committente.Del resto in Germania il minimo salariale di legge è attorno al 50% del salario mediano reale e ciò non ha minimamente intaccato il ruolo della contrattazione collettiva. Vero è che in Germania il tessuto di piccole imprese, che sono più propense ad eludere i CCNL, è molto inferiore all’Italia, e che la rappresentanza sindacale è più diffusa e soprattutto non frazionata. D’altra parte questo paragone deve tener conto di una condizione normativa molto differente: soltanto la piena attuazione dell’art.39 restituirebbe al Sindacato la potestà legale per fissare minimi retributivi con valore obbligatorio.I minimi contrattuali si applicano indifferentemente su tutto il territorio nazionale ma dati ben noti ci danno diversi livelli di sviluppo tra le regioni, il peso relativo dei minimi tabellari è diverso sia che li si compari al potere d’acquisto regionale sia rispetto al salario mediano regionale .Un livello ragionevole in una regione al nord potrebbe essere fuori mercato in molte zone del sud, e viceversa un livello accettabile al sud potrebbe essere irrisorio al nord. La soluzione è se si vuol fare un’operazione che abbia effetti reali sulle retribuzioni, sia opportuno individuare un minimo orario medio per poi riparametrarlo per aree territoriali.
In materia retributiva sarebbe meglio affidarsi alla contrattazione tra le Parti Sociali, ma è altrettanto vero che in una cornice normativa come la nostra questa contrattazione non può avere effetti erga omnes. Si sta cercando un accordo in Parlamento prima tra le parti sociali (la cui piena rappresentatività dovrebbe essere oggetto di una formale legittimazione) ma non si comprende per quale ragione non si dia attuazione all’art.39 della Costituzione che sarebbe la soluzione più chiara e coerente,ma la supplenza del legislatore però non può portare a sbagli madornali come i vari testi rappresentano in discussione. Ne segnalo 2 determinanti : Uno è quello cigiellino di comodo per i sindacati inerti ,che prevede un salario per legge non relativo al trattamento minimo lordo contrattuale ma al all’interno del trattamento economico , trattamento di fine rapporto ferie e premi di produzione, welfare compresi. Che significa segare la contrattazione privata centrale e quella aziendale,lasciando tutto alla politica. L’altro è la sanzione prevista a chi non rispetta la legge : sanzioni interno ai 100 euro,invogliano al nero ,quando invece sanzioni pesanti inducono ad un ripensamento dallo scavalcare la legge. Insomma la discussione è molto ma molto lontana da una soluzione ragionevole..
Alessandra Servidori Istat e competenze : l’Italia è indietro sulle competenze digitali. Che fare www,ilsussidiario.net
Nella società della conoscenza, la distinzione fra competenze disciplinari e trasversali non basta più: si creano dei profili professionali caratterizzati da diverse combinazioni di conoscenze e abilità, in cui decresce l’importanza della componente tecnico-professionale pura e cresce il peso delle competenze cognitive, sociali e contestuali: a fare la differenza non sono le conoscenze specialistiche, che vanno costantemente aggiornate e trasferite a contesti diversi, ma «le competenze che attengono alla sfera cognitiva e relazionale dei soggetti e alle caratteristiche più soggettive, come motivazioni e immagini di sé. Il potenziamento di un diverso insieme di competenze richiede di ripensare il ruolo della scuola, naturalmente della pubblica amministrazione e il cd mercato del lavoro, che nella prospettiva relazionale si devono confrontare continuamente con gli stimoli che provengono dalla società globale: le fasi e le agenzie educative e formative diventano nodi di una rete, e i concetti di educazione, socializzazione e comunicazione indicano dimensioni differenti dell’unico processo di formazione della persona, a cui concorre una molteplicità di relazioni in cui famiglia scuola, imprese, agenzie non sono più mondi autoreferenziali, ma stipulano un patto formativo, confrontandosi con il ruolo dei nuovi media (i social, le tecnologie mobili), sempre più pervasivi nella vita quotidiana. Il Sistema Nazionale di Certificazione delle Competenze nel suo complesso guarda certamente agli elementi di occupabilità delle persone. Per le Regioni e le P.A. si inserisce nel quadro dei servizi di orientamento/accompagnamento al lavoro/formazione/aggiornamento delle competenze. Proprio alla luce dell’“Approccio sostanziale” richiamato dalle Linee Guida nazionali, (decreto 5 gennaio 2021) https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Documents/2021/DI-del-05012021.pdf: l’attenzione alla completezza dei livelli attuativi dovrebbe quindi essere prioritaria. In logica integrata e lontano da impostazioni deterministiche di servizi e procedure: certamente il Sistema di Certificazione delle competenze è fortemente sollecitato in ogni territorio da strumenti innovativi come la Skill Gap Analysis. Essa è nata nell’ambito di GOL ma riserva potenzialità di sviluppo e di applicazione enormi, puntando ad analizzare nel dettaglio le competenze possedute da un soggetto con l’obiettivo di riparametrare il bagaglio di competenze in funzione del mercato del lavoro locale, attraverso l’individuazione di un set mirato di servizi di politica attiva. Ancora in ottica integrata, il Sistema volge lo sguardo verso il mondo digitale, che fornisce strumenti di raccolta degli attestati rapidi ed efficaci: è il caso dei c.d. “Digital Badges”.Questi pongono non solo una questione prettamente tecnologica: i Digital Badge raccolgono attestazioni di competenze acquisite con informazioni sintetiche relative al modo e ai risultati, e si fondano anche sul concetto di “referenza”. Questo rende non solo rapido ma anche “credibile” la condivisione delle competenze: il perimetro si traduce ad esempio in termini di approccio tipico del Sistema Duale. Sarebbe utilissima un relazione/monitoraggio delle varie regioni che hanno adottato e applicato le Linee guida nazionali per sostenere un metodo che aiuta il mercato del lavoro ad incontrare domanda e offerta di lavoro peraltro individuato nel PNRR . Il processo di individuazione, validazione e certificazione delle competenze (IVC) maturate in contesti formali, non formali e informali non può essere trattato semplicemente come un atto amministrativo, perché documenta anzitutto lo sviluppo dell’identità personale e contribuisce a promuovere l’autovalutazione e l’orientamento di ciascuno. L’IVC è un processo che possiede un altissimo valore formativo e pedagogico nel quale la persona viene posta al centro. C’è da augurarsi che il sistema di IVC, possa finalmente mettersi in funzione a pieno regime dato che, come precisa oltretutto il documento nazionale ,dall'adozione delle Linee guida non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e per la loro attuazione gli enti pubblici titolari provvedono nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. E il pnrr da’ una mano a chi fino ad ora non si è mosso in tal senso con l’alibi che non c’erano risorse.
E finalmente un già( il mio Ministro del lavoro Sacconi ) dalla parte del lavoro femminile : nero su bianco
E finalmente un già( il mio Ministro del lavoro Sacconi ) dalla parte del lavoro femminile : nero su bianco
Bollettino ADAPT 26 giugno 2023, n. 24
In un mercato del lavoro segnato visibilmente dal declino demografico, si evidenzia ancor più la significativa esclusione delle donne.
Il tasso di occupazione femminile è del solo 51,1% (inferiore di 18 punti rispetto a quello degli uomini e di 13 alla media Ue) mentre il 31,7% delle donne lavora a orario ridotto, spesso involontariamente, contro il 7,7% degli uomini. Il gap retributivo è intorno all’11% con maggiore rilevanza nelle fasce di reddito elevate. La maternità è tuttora penalizzante perché le madri hanno una probabilità quasi doppia di perdere l’impiego nei due anni successivi alla nascita del figlio e a 15 anni dal parto le retribuzioni medie sono circa la metà rispetto alle donne senza figli (fonte Banca d’Italia).
La ripresa economica deve essere quindi sostenuta dal recupero di questo serbatoio di inattive, inoccupate, disoccupate, sottoccupate. L’inclusione delle donne diventa il parametro della efficienza di un mercato del lavoro nel quale sono insufficienti gli intermediari capaci di accompagnare chi vuole lavorare ad una occupazione mentre molte imprese sono rattrappite dalla difficoltà di reclutamento. È l’ora di una spallata alle tradizionali politiche attive che si sono rivelate autoreferenziali. Le stesse organizzazioni di rappresentanza possono fare molto se, superando vecchi pregiudizi, decidono di dedicarsi al collocamento attraverso i patronati o gli enti bilaterali. Le risorse del Pnrr e del fondo sociale dovrebbero rapidamente essere riorientate alla dotazione dei disoccupati di “voucher” con i quali remunerare l’Intermediario che li occupa.
Contemporaneamente le imprese, direttamente o attraverso la bilateralità, sono chiamate ad una autentica responsabilità sociale attraverso comportamenti e sussidi in favore della maternità affinché questa diventi più che compatibile con il lavoro, a partire dalla continuità di carriera. Anche i congedi parentali, certamente necessari, non omologano uomini e donne ma sono funzionali al ruolo comunque originale delle madri, soprattutto nei primi anni di vita dei figli. Così come l’impegno contro la violenza sulle donne non riduce quello contro ogni delitto contro la persona ma riconosce la oggettiva debolezza femminile e la presenza di atavici problemi maschili nei rapporti affettivi. E la stessa, doverosa, volontà di inclusione di tutte le diversità nei luoghi di lavoro non può significare annullamento in esse dello specifico femminile. Istituzioni, parti sociali, imprese hanno il dovere di riconoscere il primario obiettivo della uguaglianza di genere per la crescita dell’economia e della società.
Per partecipare bisogna avere informazioni
Alessandra Servidori componente del Comitato di Indirizzo del Fondo per la povertà educativa (Presidenza del Consiglio dei Ministri) ed è importante avere le informazioni e fare partecipare !
Nuovo bando per il benessere psicologico e sociale degli adolescenti
Con i Bambini lancia un nuovo bando per il benessere psicologico e sociale degli adolescenti, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Il bando, rivolto agli enti del terzo settore, ha l’obiettivo di promuovere progetti a sostegno di ragazze e ragazzi in condizioni di disagio, con un’azione preventiva e di cura. A disposizione un ammontare complessivo di 30 milioni di euro. Scadenza: 20 settembre 2023
Un nuovo bando per il benessere psicologico e sociale degli adolescenti, per promuovere progetti a sostegno di ragazze e ragazzi in condizioni di disagio, con un’azione preventiva e di cura. È la nuova iniziativa promossa da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, rivolta agli enti del terzo settore. A disposizione un ammontare complessivo di 30 milioni di euro.
A fronte della diffusione sempre più accentuata di situazioni di disagio psicologico, soprattutto in contesti di marginalità sociale, il bando ha l’obiettivo di promuovere la salute e il benessere mentale degli adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 18 anni, attraverso la sperimentazione di modelli di intervento comunitari, integrati e sistemici nella prevenzione e nella cura della loro salute psicologica. Tali modelli dovranno intervenire prevalentemente nella fase evolutiva, in cui il disagio abbia un carattere ancora transitorio o comunque non grave e non già cristallizzato. Particolare attenzione verrà data alle proposte che agiscono in contesti territoriali socialmente fragili e privi di orientamento e supporto.
Gli interventi dovranno avviare, nei luoghi di vita e di socializzazione degli adolescenti, forme di presidio flessibili e prevalentemente non medicalizzanti, con un approccio di cura, laddove i casi lo consentano, centrato prevalentemente non su terapie farmacologiche e/o forme di ricovero, ma sul riconoscimento e la valorizzazione dei bisogni emotivi, educativi e sociali dei ragazzi e delle ragazze.
Per “presidi” si intendono spazi, preesistenti o da attivare, organizzati grazie alla presenza di équipe multi-professionali, capaci di rispondere ai diversi bisogni educativi e alle criticità ricorrenti entro i processi di socializzazione, diversificazione e identificazione propri degli adolescenti, e di porre un’attenzione dedicata e competente a ragazzi e ragazze in situazione di sofferenza psicologica.
L’équipe dovrebbe essere in grado di riconoscere segnali premonitori delle forme di disturbo più a rischio e, quindi, avvalersi di psicologi con comprovata esperienza con gli adolescenti, neuro-psichiatri infantili, medici, educatori con funzioni di prossimità e contatto con i contesti di aggregazione giovanile, operatori sociali, pedagogisti. Il lavoro dell’équipe multidisciplinare sarà sia di tipo comunitario (sull’intero gruppo di ragazzi), sia di tipo personalizzato, qualora fosse necessario intervenire con azioni mirate.
L’équipe multidisciplinare dovrà lavorare in stretta collaborazione con i servizi territoriali, sia integrando il lavoro in modalità gruppale (per i ragazzi già presi in carico dai servizi), sia segnalando i casi da indirizzare ai servizi. Tali presidi vanno pensati in un’ottica di mainstreaming, entro gli ordinari processi educativi dedicati alla crescita, rivolta sia a minori che vivono sofferenza e fragilità, sia a minori che non la vivono.
È possibile richiedere un contributo compreso tra 250 mila e 800 mila euro. La durata complessiva dei progetti deve essere non inferiore ai 36 e non superiore ai 48 mesi.
Le proposte devono essere presentate esclusivamente on line, tramite la piattaforma Chàiros, entro e non oltre le ore 13:00 del 20 settembre 2023.
PER SILVIO BERLUSCONI uomo leader
Alessandra Servidori
https://www.radioinblu.it//streaming/?vid=0_cx1naeya
Ebbene sì .Per Silvio Berlusconi è giusto siano celebrati i funerali di Stato. E’ Stato un leader che ha cambiato l’Italia e ha sdoganato una politica liberale democratica cattolica riformista e ha restituito una rappresentanza agli elettori moderati .E’ stato al centro delle dinamiche politiche per ben trentanni e non c’è leader al mondo che non abbia parole di stima e considerazione. E come ha detto Papa Francesco “ Protagonista per la tempra energica che ha saputo esprimere”. Silvio Berlusconi umanamente molto generoso ( moltissime donazioni a cominciare dall’Aquila per continuare in Tailandia ecc ) un politico garbato, capace di investire risorse in ambiti molteplici dal mondo delle imprese, allo sport,alla televisione.Delle sue travagliate vicende giudiziarie non voglio esprimermi dico solo che il potere di certa magistratura ha agevolato una persecuzione politica indecente, uomini di partiti incapaci di contrastarlo che hanno usato strumenti per attacchi personali per aspetti controversi della sua attività imprenditoriale che lo hanno portato in giudizio ,per la totalità assolto o in prescrizione e condannato per una unica accusa ,ripetutamente chiamato a rispondere fino ad arrivare ad accuse infamanti di mafia.
Personalmente l’ho incontrato tre volte e per il mio lavoro di tecnica, e ciò di cui sono profondamente grata è stata ,durante il suo governo con Maroni e Sacconi l’approvazione della legge cd Biagi nel 2003 .In quella legge così malamente e ideologicamente avversata si è aperta una storia nuova del diritto del lavoro. Le imprese che hanno deciso di introdurre i nuovi tipi di contratto per le assunzioni, hanno beneficiato di sconti contributivi e fiscali nonché di un maggiore fattore di ricambio del personale, ove quello assunto non si fosse giudicato adatto. Inoltre le forme contrattuali previste (i cosiddetti contratti atipici di lavoro) sono considerevolmente aumentate di numero per meglio venire incontro alle molteplici esigenze implicite di un mercato del lavoro eterogeneo e globalizzato. I primi anni di attuazione della legge Biagi hanno visto una generale riduzione del tasso di disoccupazione che è tornato ai livelli di quello del 1992.Inoltre col tempo, la situazione lavorativa di coloro che sono entrati nel mondo del lavoro con un contratto cosiddetto flessibile tende a stabilizzarsi e a concretizzarsi in un contratto a tempo indeterminato. Secondo il IX Rapporto AlmaLaurea, a cinque anni dalla laurea, risultano stabili 71 occupati su cento. Il grande balzo in avanti è dovuto in particolar modo all'aumento dei contratti a tempo indeterminato, che sono lievitati di 15 punti percentuali, raggiungendo quasi il 47% a cinque anni.La legge non introduce modifiche alle norme dei contratti a tempo indeterminato, e non doveva applicarsi al settore del pubblico impiego (art. 1), dove poi si è rivelato maggiore il ricorso ai contratti a termine e alla flessibilità. La legge introduceva alcune norme a tutela dei lavoratori in materia di esternalizzazione e lavoro in appalto.Belusconi aveva la visione di una destra che pare riesca a cambiare l’anno prossimo gli abituali equilibri politici dell’unione Europea. La politica è spietata e le donne che lo hanno accusato per la questione denigratoria delle cd Olgettine sono coloro che oggi approvano la Maternità surrogata : ma come non è sempre il corpo delle donne usato, mercificato ? Berlusconi aveva un modo di dire che mi piaceva : convincere e vincere. Sono grata al tanto lavoro politico che ha svolto : faccia buon viaggio Presidente ,leader che i libri di storia dovranno ricordare sempre.
Nuovi diritti per le lavoratrici e lavoratori affetti da patologie oncologiche e gravi
Alessandra Servidori https://www.ildiariodellavoro.it/il-luogo-di-lavoro-come-comunita-di-tutela-per-le-persone-affette-da-patologia-oncologica/
Si sussegono ripetutamente sentenze del tribunale del lavoro contro datori di lavoro che, esaurito il periodo di comporto per motivi di malattia oncologica invalidante ingravescente licenziano la lavoratrice /lavoratore, senza applicare la norma che prevede di poter adottare secondo il CC 2087 e il dl 81/2008 provvedimenti ragionevoli e adibire il dipendente- peraltro non avvertito dello scadere del periodo di comporto- a mansioni non compatibili con il suo ridotto stato di salute e dunque incorrendo in grave discriminazione. La normativa che riguarda il trattamento del dipendente affetto da patologia grave è soggetta a molteplici interventi differenziati ma è bene ricordare che un terzo dei malati di cancro è in età lavorativa: nel 2022 oltre un milione e quatrocentomila lavoratori. Indagini sui costi sociali ed economici del cancro per i malati ed i caregiver hanno mostrato che il 70% dei malati ha difficoltà finanziarie e che per il 30% di loro la malattia ha influito negativamente sul lavoro fino a causarne, per alcuni, la perdita. I pazienti (e i caregiver) più penalizzati sono i lavoratori autonomi ed è ragionevole nella situazione attuale in cui si stanno ridefinendo le politiche integrate socio sanitarie che i diritti costituzionali alla salute ed al lavoro siano garantiti senza discriminazioni di genere o di tipologia di lavoro (subordinato o autonomo, pubblico o privato).Nella Missione 5 del PNRR sono stanziati 20 miliardi di euro per le politiche per il lavoro e in questo contesto vi sono riferimenti all’inserimento lavorativo di persone con disabilità. Supportare il malato oncologico che lavora è un investimento anche per la sostenibilità del sistema di welfare.La Commissione Lavoro della Camera ha avuto in esame cinque disegni di legge su “Disposizioni concernenti la conservazione del posto di lavoro e i permessi retribuiti per esami e cure mediche in favore dei lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche”.È necessario che le misure di sostegno del “lavoratore oncologico”, finora previste esclusivamente per i dipendenti (permessi e congedi retribuiti, contributi figurativi, smart working e telelavoro, accomodamenti ragionevoli), siano estese in modo omogeneo a sostegno dei lavoratori autonomi e liberi professionisti, la cui tutela è ancora inadeguata.I ddl portano le firme di Gatta –Rizzetto-Locatelli – Seracchiani –Comaroli,Cattoi,Giaccone - che avevano trovato un accordo di massima sull’Atto Camera 2098. A parere di chi scrive comunque e per agevolare il lavoro si suggerisce di attenzionare : una parificazione normativa per tutti i dipendenti del lavoro pubblico e privato e possibilmente anche autonomo; tutelare i lavoratori dipendenti pubblici e privati affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche affinché conservino il posto di lavoro per tutto il periodo necessario alle cure o ai trattamenti che comportano condizioni psicofisiche non compatibili con l’attività lavorativa e, comunque, per un periodo non superiore a ventiquattro mesi dalla certificazione medica specialistica, salvo, ovviamente, che i CCNL di categoria non prevedano norme di maggiore favore. Tale congedo deve essere compatibile con la concorrente fruizione di altri eventuali benefìci economici o giuridici e la sua fruizione decorre dall’esaurimento degli altri periodi di assenza giustificata e certificata, a qualunque titolo riconosciuti al dipendente, quali i periodi di congedo già oggi riconosciuti dalla contrattazione collettiva o da norme di legge in via generale per i casi di malattia; nei casi di malattie oncologiche, invalidanti e croniche che richiedono visite, esami strumentali e cure mediche frequenti, si propone di estendere a lavoratrici e lavoratori pubblici e privati le diciotto ore di permesso attualmente previste da CCNL a tali fini, ritenendo che queste attività facciano parte del percorso terapeutico del paziente; ai lavoratori /trici affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche, decorso il termine di congedo riconosciuto ai sensi della proposta di legge in esame, è concesso l’accesso prioritario alla modalità di lavoro agile, ove possibile, ai sensi della legge n. 81 del 2017. Con riferimento al lavoro autonomo, si prevede, al ricorrere delle suddette malattie, la possibilità per il lavoratore di sospendere l’esecuzione della prestazione dell’attività svolta in via continuativa per il committente per un periodo fino a trecento giorni per anno solare. Questo è un elemento di innovazione perché la legge n. 81 del 2017, all’articolo 14, comma 1, prevedeva centocinquanta giorni; per i lavoratori autonomi, prevedere la corresponsione di un indennizzo per un congruo periodo, superiore a quello attualmente previsto;Agli oneri di queste nuove norme si provvede mediante corrispondente Fondo del Bilancio dello Stato per gli anni 2025/2026 e autorizzando il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio ;successivamente con adeguato monitoraggio con i Fondi del Piano nazionale Oncologico ( decreto Milleproroghe Ministero Salute gennaio 2023) . Con apposita Convenzione Inail e Istituti di cura e ricerca promossa dal Ministero del Lavoro e politica sociale. Peraltro il Piano europeo di lotta contro il cancro: “Migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici e dei sopravvissuti”, presentato a febbraio 2021, al cap. 6 chiede azioni concrete tese a migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici e dei sopravvissuti anche in considerazione dell’allungamento della sopravvivenza. E’ stato adottato in Italia il 26 gennaio 2023 con Intesa in Conferenza Stato-Regioni il Piano Nazionale Oncologico che pone l’attenzione sulla centralità del malato e sulla riduzione o eliminazione delle disuguaglianze nell’accesso agli interventi di prevenzione e cura. Individua obiettivi e linee strategiche in coerenza con il Piano europeo contro il cancro e recepito con provvedimenti propri dalle Regioni e dalle Province autonome che adotteranno le soluzioni organizzative più idonee in relazione alle esigenze della propria programmazione. Per quanto riguarda la prevenzione primaria, nel documento, secondo quanto previsto anche dal Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025, viene dato ampio spazio al consolidamento delle azioni per favorire stili di vita salutari nei contesti di vita, partendo dall’ambiente scolastico fino ai luoghi di lavoro. Viene posta particolare attenzione al contrasto al tabagismo e al consumo dannoso e rischioso di alcol, nonché alla promozione dell’attività fisica e della sana alimentazione.Per quanto riguarda la prevenzione secondaria, nel Piano oncologico si prevede il potenziamento dei programmi organizzati di screening, anche avvalendosi delle nuove Case di Comunità previste dal PNRR e normate col DM 77. Tra gli obiettivi c’è quello di allargare le fasce d’età per gli screening e quello di identificare precocemente i soggetti a rischio eredo familiare, anche attraverso specifici PDTA.A fianco delle attività di promozione della salute e prevenzione, nel Piano oncologico viene, inoltre, favorita un’assistenza sempre più domiciliare e integrata con l’ospedale e i servizi territoriali, attraverso la razionalizzazione dei processi di presa in carico e la definizione dei relativi aspetti operativi, consentendo di erogare servizi anche a distanza mediante team multiprofessionali. Ampio spazio è, infatti, dedicato al percorso del malato oncologico con particolare attenzione all’integrazione del percorso diagnostico-terapeutico, alla continuità assistenziale sul territorio, alle reti oncologiche e alla rete nazionale dei tumori rari (tumori rari solidi dell’adulto, tumori onco-ematologici, tumori pediatrici) al fine di potenziare l’assistenza per chi è affetto da forme rare di tumore e per i pazienti fragili; alla riabilitazione per i malati oncologici, alle cure palliative, allo sviluppo e implementazione della psico-oncologia, al ruolo del supporto nutrizionale, al follow up e alla qualità della vita e reinserimento sociale dei malati e dei lungo viventi oncologici e dei guariti dal cancro. Contemporaneamente il coordinamento interistituzionale per la prevenzione delle patologie oncologiche coordinato dall’istituto Ramazzini ha redatto una proposta di legge per sostenere i caregiver (http://www.tutteperitalia.it/tutteperitalia/editoriali2/965-disegno-di-legge-per-i-cargiver) E’ evidente che il luogo di lavoro diventa dunque una comunità particolarmente attenzionata per approvare e applicare in tempi veloci nuove norme di tutela della persona affetta da patologia oncologica e le audizioni in corso su Disposizioni concernenti la conservazione del posto di lavoro e i permessi retribuiti per esami e cure mediche in favore dei lavoratori affetti da malattie oncologiche invalidanti croniche, sono particolarmente interessanti .
Disegno di Legge per i Cargiver
Per i/le cargiver italiani serve subito un profilo giuridico ,ea cura del Tavolo interistituzionale Malattie professionali abbiamo presentato un Testo a tutti i gruppi Parlamentari perché si favorisca il loro lavoro normativo.
Disegno di legge per l’introduzione e il riconoscimento economico di una indennità ai cargivers familiari. A cura del Tavolo interistituzionale Malattie professionali - Bologna 31/03/2023 Mandrioli Pannuti Servidori
La presente proposta di legge è finalizzata al riconoscimento, alla valorizzazione e alla tutela delle persone che si prendono cura di un familiare , persona cara, e a sostenere la conciliazione dell'attività di cura con la loro vita lavorativa e sociale e riconoscerne il fondamentale ruolo. Con l’auspicio che prioritariamente venga delineato, anche semplicemente per Decreto Ministeriale , per una questione di celerità nel dare risposte al cittadino, una prima fase per la “conta numerica” dei Caregiver familiari (la platea dei beneficiari) mediante un set appropriato di indicatori per una corretta valutazione anche del carico di cura individuale che genera l’assistenza prestata, in ragione delle condizioni di disabilità dell'assistito convivente, per poi passare ad una fase successiva - anche con legge parlamentare o di delega al Governo - per delineare sulla base della platea individuata , le misure minime di sostegno da erogare a livello nazionale e le risorse economiche stabilmente occorrenti, tenuto conto del progresso socio economico e dell’andamento demografico del Paese. Con la legge 205/2017, all’articolo 1, comma 255, è stata definita ed introdotta nel nostro Ordinamento Giuridico, la figura del caregiver familiare come colui che assiste e si prende cura del coniuge, dell'altra parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, di un familiare o di un affine entro il secondo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di se', sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata, o sia titolare di indennità di accompagnamento. Si fa notare che a tutt’oggi non si individuata omogeneamente la platea dei Caregiver familiari, e, nel caso di individui con disabilità multipla (plurinvalidi) possa considerarsi come questi necessitino di una assistenza globale e continua di lunga durata, ovvero del supporto del Caregiver familiare. L’ultimo dato comunque approssimativo sul numero dei caregiver a cui rifarsi è quello dell’indagine Istat del 2018 sulla "Conciliazione tra lavoro e famiglia" secondo cui sarebbero oltre 2 milioni e 800 mila (il 7,7% della popolazione) le persone che assistono regolarmente figli o altri parenti di 15 anni e più in quanto malati, disabili o anziani. Si tratta del 9,4% delle donne tra i 18 e i 64 anni e il 5,9% degli uomini nella stessa fascia d’età, mentre nella fascia 45-64 anni la percentuale d’impegno sale al 12,2%.E’ dunque necessario prioritariamente istituire un set di indicatori omogenei che consenta una valutazione multidimensionale e multidisciplinare del singolo beneficiario, per definire se abbia titolo ad essere riconosciuto "caregiver familiare”, occorre analizzare i bisogni generali e particolari ma anche i diritti e doveri, per poter poi definire un quadro di misure volte alla tutela del Caregiver familiare nel solco del dettato costituzionale e degli atti internazionali vincolanti e quindi predisporre le necessarie provvidenze economiche peraltro previste dalle risorse del Fondo istituito con il comma 254 della legge sopra richiamata, Fondo che grazie agli stanziamenti che dal 2018 si sono via via accumulati nel Fondo ,nel 2020, con l’art. 1 comma 334 della Legge 178, è stato istituito un nuovo fondo, speculare al precedente oramai svuotato ma in essere, e finalizzato alla realizzazione di interventi legislativi per il Caregiver familiare, con una dotazione di 30 milioni annui per il triennio 2021-2023. Vero è che con emendamento parlamentare la finalità del Fondo del comma 254 originale che risiedeva presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è ora “destinato alla copertura finanziaria di interventi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell'attivita' di cura non professionale del caregiver familiare” , eliminando quindi la parola “Legislativi” che opera una mutazione delle finalità del fondo si è proceduto all’erogazione alla Regioni delle somme allocate, (e non direttamente ai Caregiver familiari come era invece nello spirito del legislatore iniziale). Successivamente è stato istituito un fondo che ripercorreva la natura originaria del primo Fondo con l’art. 1, comma 334, della Legge 178/2020 “destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell'attivita' di cura non professionale svolta dal caregiver familiare”. Occorre ricordare dunque come le risorse disponibili sul capitolo di entrata n. 839 della Presidenza del Consiglio dei ministri intestato al "fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza al caregiver familiare" (comma 254 L, 205/17) sono cresciute sino a 70 milioni di euro per il triennio 2018-2020 ( nel corso del 2° Governo Conte con emendamento parlamentare furono destinati al Fondo ulteriori 10 milioni di euro) e successivamente di altri 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021 dall'articolo 1, comma 483, della legge n. 145 del 2018. A tutt’oggi in mancanza di corretta norma le risorse appaiono una palese distrazione del Fondo per un uso non consentito, tanto più se erogati alle Regioni e non direttamente ai caregiver familiari : a tutt’oggi le risorse trasferite alle Regioni che ammontavano a 68.314.662 euro, sono stati così suddivisi: per il 2018, 20.000.000 euro, per il 2019, 24.457.899 e per il 2020, 23.856.763.
L'ultimo decreto di riparto delle risorse, relativo al 2021 è stato utilizzato non nei confronti di chi si occupa a tempo pieno dei propri cari con gravissima disabilità e che da molto tempo chiede attenzione. I caregiver familiari, le persone che accudiscono i propri cari, chiedono una maggiore integrazione dei servizi stessi che ruotano intorno alla persona, alla famiglia, ai loro bisogni; chiedono di non rimanere invisibili e che il Fondo possa servire al loro sollievo.E’ oltremodo importante sottolineare che le condizione di sofferenza e disagio di chi ricopre tale ruolo ricade sul sistema economico e sanitario della regione e dello stato. Uno stato prolungato di difficoltà sfocia anche in patologie fisiche e psichiche delle quali dovrà farsi carico il sistema sanitario e assistenziale con impegno economico significativo.
Vero è che e il completamento della regolamentazione del “caregiver familiare” assicurando agli aventi diritto concrete misure di sostegno economico non lascia dubbi sul fatto che la tutela e quanto ne consegue in termini di benefici, contrariamente a quanto fatto in passato, si sposta dalla persona con disabilità la cui gravità era il discrimine per la fruizione dei sostegni, al caregiver familiare ove il peso della cura della persona con disabilità va interpretato come una componente - ma non la sola - per la definizione della condizione del caregiver familiare e quindi per la gradualità dei sostegni economici a questi destinati.
La definizione con legge della figura del Caregiver Familiare avvenuta nel 2017, tuttavia ad oggi non è stata seguita dall’emanazione di una norma nazionale attuativa di natura regolamentare in grado definire la procedura per dare attuazione a detto riconoscimento anche tenendo conto che il 3 ottobre 2022, il Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità ha riscontrato la mancanza, nell'ordinamento giuridico nazionale, di misure efficaci per il sostegno dei caregiver familiari ed entro il 6 aprile per non essere soggetti a sanzioni dobbiamo presentare a ONU una legge sui caregivers e le risorse sono ferme al Ministero del Lavoro.
Relazione tecnica della proposta
Ponendo l’accento sul soggetto giuridico della norma del 2017 che è il caregiver fa miliare e non il suo assistito, la presente proposta di disegno di legge introduce alcune innovazioni, anche nel rispetto degli articoli 2, 3, 13, primo comma, 31, 32, 33, primo, secondo e quarto comma, 34, 35, primo e secondo comma, 36, 38, 117, secondo comma, lettere m), n), o), p) e 118, quarto comma, 119, quinto comma della Costituzione, in conformità alla Carta dei diritti fondamentali del l’Unione europea del 7 dicembre 2000 e alla legge 27 maggio 1991, n. 176, recante ratifica ed esecuzione della Convenzione sui di ritti del fanciullo, New York il 20 novembre 1989, alla legge 3 marzo 2009, n. 18, recante ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, nonché all’articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 2017, n. 24, e in armonia con il quadro delle raccomandazioni del Consiglio d’Europa in materia di disabilità. All’articolo 1, comma 1, si delinea la finalità della norma e il quadro di riferimento normativo che deve essere tenuto in considerazione per il raggiungimento dell’obiettivo di determinare una misura indennitaria diretta al caregiver familiare come descritta nei commi successivi. Viene quindi introdotta, al medesimo comma, l’indennità di cura ed assistenza per i caregiver familiari. Con il comma 2 si stabilisce che l’assegno ha natura indennitaria esclusivamente soggettiva ed è corrisposto al caregiver familiare, a domanda, ed è a titolo di riconoscimento del lavoro di cura da questi tivamente prestato in favore dell’assistito, o di più assistiti. Con il comma 3 si stabilisce la procedura con la quale, attraverso decreti del Presi dente del Consiglio dei ministri, o dell’autorità politica da questi delegata, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il parere degli altri Ministri eventualmente interessati, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabiliti i criteri e le modalità per l’erogazione ai caregiver familiari, in possesso dei requisiti previsti e nei limiti delle risorse annuali disponibili, di un assegno annuale unico, il cui importo è rideter minabile annualmente. Al comma 4 si definiscono i criteri per l’emanazione dei decreti di cui al comma 3 con i quali si provvede, in particolare: alla lettera a) all’individuazione dell’organismo che attiva la procedura di ascolto permanente di cui all’articolo 4, comma 3, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, e definisce le modalità di individuazione e nomina del caregiver familiare, purché convivente con l’assistito con disabilità, nonché i requisiti soggettivi che devono essere posseduti dal caregiver familiare ai fini della valida presentazione della domanda per la fruizione dell’assegno, oltre alla definizione del quadro dei bisogni individuali e generali del caregiver familiare, utile alla adozione o alla nuova attivazione, di ulteriori misure di sostegno da parte dei servizi territoriali alla persona nei confronti dei caregiver familiari. Con la lettera b) si prevede l’individuazione dell’organismo competente per la definizione del modello per la rilevazione dei dati di contesto del quadro di riferimento socio-economico territoriale, nonché dei servizi di sostegno alla persona che svolge la funzione di caregiver familiare, eventualmente disponibili, adattabili o di nuova istituzione, utili ad integrare i processi di verifica e di valutazione; alla lettera c) si prevede la definizione della procedura di verifica dei requisiti di cui alla lettera a), integrati dal quadro di riferimento di cui alla lettera b), necessari per la valutazione individuale, multidimensionale e multidisciplinare del caregiver familiare, successiva alla domanda a seguito della quale, mediante formazione di una graduatoria basata anche sull’effettivo carico di cura sostenuto dal caregiver familiare nei confronti di uno o più assistiti, lo stesso è ammesso alla fruizione dell’assegno annuale o all’accesso alle misure di sostegno individualizzate da verificare con cadenza periodica. Inoltre, alla lettera c), si stabilisce che la valutazione individuale di cui alla lettera c) è necessaria alla definizione delle ulteriori misure di sostegno individualizzate destinate al caregiver familiare anche se non ammesso al beneficio dell’assegno per carenza di uno o più requisiti soggettivi. Con il comma 5 si stabilisce che l’assegno non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all’articolo 8 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ed è corrisposto dall’INPS entro il 31 dicembre di ogni anno. Con il medesimo comma si individua nell’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) il soggetto unico che, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, provvede all’esecuzione delle attività ad essa demandate, alla ricezione delle domande, alla comunicazione di accoglimento della domanda all’interessato, all’erogazione del l’assegno indennitario o, in caso di diniego della misura indennitaria, alla comunicazione di accesso alle eventuali misure di sostegno individualizzate come definite all’e sito della valutazione individuale, multidimensionale e multidisciplinare del caregiver familiare. Il comma 6 attribuisce all’INPS il compito di provvedere al monitoraggio delle domande accolte entro il 31 ottobre di ogni anno, inviando una relazione mensile al Presidente del Consiglio dei ministri, o all’autorità politica da questi delegata, al Ministro dell’economia e delle finanze e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Con il comma 7 si provvede a dettare norme per la determinazione annuale del l’importo dell’assegno. All’articolo 2, con il comma 1 si provvede ad una adeguata integrazione del Fondo di cui all’articolo 1, comma 254, della legge 27 dicembre 2017, n. 205. Con il comma 2 si provvede alla copertura dell’integrazione di cui al comma 1 con risorse derivanti dal Fondo per la disabilità e la non autosufficienza di cui all’articolo 1, comma 330, della legge 27 dicembre 2019, n. 160. All’articolo 3 si dettano norme per l’efficientamento del riparto delle risorse del Fondo di cui all’articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in quanto misure che, sebbene dirette all’assistito, rappresentano un sostegno indiretto all’attività di cura prestata dal caregiver familiare in ambito domiciliare. All’articolo 4, al fine di dare piena attuazione all’articolo 4, comma 3, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’INPS è integrato con un rappresentante dell’Associazione nazionale di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 23 aprile 1965, n.458.
Note : Si ritiene utile, per opportuna considerazione, inserire anche un possibile aspetto previdenziale che a parere della scrivente comporterebbe un plafond riformatore complicato allo stato attuale e con le difficoltà che il sistema dovrebbe reggere : Per esempio Al caregiver familiare è riconosciuta la copertura di contributi figurativi, equiparati a quelli da lavoro domestico, a carico dello Stato per il periodo di assistenza e di cura effettivamente svolto in costanza di convivenza, a decorrere dal momento del riconoscimento della disabilità grave del soggetto assistito. In maniera interlocutoria per esempio : introdurre alcune misure di carattere previdenziale in favore della madre lavoratrice e del padre lavoratore, del caregiver familiare e dei soggetti che svolgono, senza vincolo di subordinazione, lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari. Inoltre considerate le particolari condizioni usuranti dell'attività di caregiving familiare che determinano un'aspettativa di vita ridotta, il diritto di accedere al pensionamento anticipato e senza penalizzazioni al raggiungimento di trenta anni di contributi, a prescindere dall'età anagrafica, o al compimento di sessanta anni di età anagrafica e al raggiungimento di almeno venti anni di attività come caregiver familiare.
La proposta in questione dovrebbe essere meglio coordinata con le innovazioni legislative post pandemia, in particolare per una valutazione omogenea sul territorio nazionale delle procedure per la formazione delle graduatorie per l’accesso alle misure di sostegno.
31 Marzo 2023
Maternità ceduta : un nuovo schiavismo
https://www.ilsussidiario.net/news/maternita-surrogata-lo-schiavismo-fatto-passare-per-diritto/2546569/
Alessandra Servidori
Utero in affitto, maternità surrogata, gestazione per altri, ci sono molti modi per definire la questione lacerante tra chi è a favore e chi contrario. La verità è che una volta che il bambino nato da maternità surrogata viene in Italia, inizia la lotta per l’iscrizione all’anagrafe. Non è facile trovare un accordo nella proposta di legge in discussione ma è corretto che almeno ai figli siano riconosciuti diritti e pari dignità come gli altri. Anche la Corte di Cassazione distingue tra il no alla fecondazione surrogata e i diritti dei nati da tale pratica. Comunque, non è in discussione il fatto di consentire la maternità surrogata anche in Italia ma solamente di dare ai figli nati da queste procedure una legalità identica agli altri, di non creare cittadini con meno diritti tra chi è venuto al mondo in quel modo, non per sua scelta e di provvedere a una sanatoria per chi è già ricorso a questa pratica perché la tutela del bambino è prioritaria; ha diritto a un certificato di nascita, lo stato di cittadino italiano, di godere di assistenza sanitaria, diritto allo studio ecc. I bambini e le bambine hanno diritto anche di avere dei modelli genitoriali del ruolo materno e paterno che sono la maggioranza della società italiana di cui fanno parte senza scadere nella genderizzazione ostinata che in alcune scuole e dunque comunità istituzionali si tenta di far transitare violentemente come diritti di cittadinanza. I bambini sono figli di almeno uno dei due coniugi eterosessuali ,e comunque la pratica è già fuori legge da noi e perseguibile penalmente, ed è difficile solo pensare di voler decidere sulle leggi degli altri paesi, mentre una soluzione ragionevole può rendere perseguibile per il nostro Paese, la maternità surrogata anche se commessa all’estero. Altra questione su cui lavorare è quella di chiedere che l’Italia si adoperi presso le Nazioni Unite per arrivare a una Convenzione universale che si esprima contro l’utero in affitto . Sta di fatto che ospitare nel proprio utero un embrione sviluppato attraverso le tecniche di fecondazione in vitro, favorirne lo sviluppo fino alla fine della gravidanza compreso il parto e consegnare il bambino ai committenti è una pratica che non è detto che garantisca che sia lei la madre biologica, perché l’ovulo di solito ospita un ovocita già fertilizzato con uno spermatozoo di altri due donatori. Le coppie di donne possono fare la fecondazione eterologa all’estero, ormai facilmente accessibile in Europa, e poi partorire in Italia. I padri omosessuali per avere figli devono o adottarne uno o ricorrere alla maternità surrogata, che è una procedura estremamente costosa e quindi preclusa ai più. E possono farlo solo in Canada e negli Stati Uniti, gli unici due Paesi in cui la gestazione per altri è legale per le coppie di uomini non residenti. La scelta di un Paese piuttosto che un altro, si basa sul fatto che la gestazione d’appoggio, segue regole diverse. In Repubblica Ceca, Olanda, Romania e Armenia, la pratica è “tollerata”, quindi priva di una regolamentazione esplicita ed effettuata con criteri stringenti solamente in strutture pubbliche. InIndia, Cambogia, Thailandia, Russia e Messico, le donne possono affittare il proprio utero ma non donarlo. Gli aspiranti genitori devono pagare. In Brasile, Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda e Inghilterra, la maternità surrogata è consentita solo se la gestante non ci lucra sopra, non ricevendo alcun pagamento. NON è solo una questione amministrativa, né un problema ideologico, poiché non ne sono coinvolte solo“coppie” omosessuali : questa pratica della maternità surrogata riguarda più del 90% famiglie eterosessuali, con problemi ad avere figli. La mercificazione del corpo femminile e dei bambini è una distorsione che porta ad una mancata ragionevolezza sulla evidente strumentalizzazione del genere umano, anche perché è necessario rendere più semplice il percorso di adozione per tutti . La maternità comprata non è né un atto di libertà né un atto d’amore, la ritengo una forma di schiavismo, nessun esser umano può essere ridotto a mezzo: è un principio fondativo della nostra civiltà francamente irrinunciabile.
Povertà minorile : approvato Bando per contrastare il disagio psicologico in adolescenza
ALESSANDRA SERVIDORI Notizie dal Comitato Interministeriale strategico per il contrasto alla povertà educativa minorile.
Approvato il "Bando disagio psicologico in adolescenza", risultato di una forte sinergia e spirito di collaborazione tra istituzioni, fondazioni di origine bancaria e privato sociale. Grazie ai 30 milioni di euro del Fondo per il Contrasto della Povertà Educativa Minorile, sono previsti progetti triennali proiettati alla promozione del benessere e prevenzione del disagio psicologico degli adolescenti. L’approvazione del bando è frutto di un fattivo dialogo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ACRI, l'Impresa sociale Con i Bambini e tutto il Comitato di Indirizzo Strategico del Fondo, per dare risposte concrete al benessere in adolescenza rendendo protagoniste le comunità educanti, mediante il coinvolgimento delle famiglie, delle scuole, delle parrocchie, dei servizi sociali territoriali e delle realtà del Terzo Settore.
Contratti a termine e decreto lavoro
Alessandra Servidori DECRETO LAVORO : CONTRATTI A TERMINE E D’INTORNINEL DECRETO LAVORO - 23 MAGGIO 2023 ORE 06:00
Contratti a termine: utilizzo più flessibile per le imprese. Con quali effetti? Quotidiano IPSOA
Consentire un utilizzo più flessibile dei contratti a termine da parte delle imprese mantenendo comunque fermo il rispetto della direttiva UE sulla prevenzione degli abusi. E quanto previsto dal decreto Lavoro che individua nuove causali per legittimare il contratto a termine oltre i 12 mesi in sostituzione di quelle attualmente in vigore. In particolare, i contratti potranno avere una durata superiore a 12 mesi, ma non a 2 anni, solo nei casi previsti dalla contrattazione collettiva, per esigenze tecniche, organizzative o produttive e in caso di sostituzione di altri lavoratori. Quali possono essere gli effetti delle nuove disposizioni sul mondo del lavoro?
Il governo ha modificato, ammorbidendoli , alcuni vincoli sull’utilizzo dei contratti a tempo determinato. Peraltro ricordo che proprio la Direttiva Ue rivolta a liberalizzare l’uso del contratto a termine del lavoro ingessato dai vincoli delle varie legislazioni fu recepita dall’Italia nel 2001. Sul tema nel decreto lavoro pubblicato il 4 maggio 2023 sulla Gazzetta Ufficiale è previsto un provvedimento che allenta le restrizioni del Decreto Dignità. In particolare, sono individuate nuove causali per legittimare il contratto a termine oltre i 12 mesi in sostituzione di quelle attualmente in vigore. L’intervento va a modificare quello arrivato nel 2018 con il cosiddetto Decreto Dignità, DL n. 87/2018, per cui era stata imposta una stretta all’utilizzo del lavoro a termine. Con il nuovo dl i contratti potranno avere una durata superiore a 12 mesi, ma non a 2 anni, solo nei casi previsti dalla contrattazione collettiva, per esigenze tecniche, organizzative o produttive e in caso di sostituzione di altri lavoratori. In particolare, sono state modificate le causali da indicare nei contratti di durata compresa tra i 12 e i 24 mesi, individuate all’ art 19 , comma 1, lettere a), b), b-bis), del decreto legislativo n. 81 del 2015, il Testo Unico sui contratti di lavoro. Un provvedimento pensato per contrastare la precarietà, scoraggiando il ricorso di contratti a termine e spingendo le aziende ad avviare più contratti a tempo indeterminato, che però spesso ha avuto l’effetto contrario, cioè quello di scoraggiare le assunzioni. Il Governo, dunque, è intervenuto per consentire un utilizzo più flessibile della tipologia contrattuale, mantenendo comunque fermo il rispetto della direttiva europea sulla prevenzione degli abusi. Pertanto, i contratti a termine nella diversificazione temporale sono regolamentati nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51;nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;in sostituzione di altri lavoratori. Come si legge nel testo del decreto, le nuove causali non si applicano ai contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni;ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle università private, istituti pubblici di ricerca, società pubbliche che promuovono la ricerca e l’innovazione;ai contratti stipulati da enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how, di supporto all’innovazione, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione. A questi, infatti, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore del Decreto Dignità. L’obiettivo principale del governo pare essere la causale, di cui si ritarda l’entrata in vigore rispetto all’inizio del contratto, limitandone quindi il campo di azione: è necessaria non più dopo un anno, come da decreto Dignità, ma dopo due, con la possibilità di modificare il limite in sede di contrattazione collettiva. Vero è che la causale è percepita come un costo rilevante da parte delle imprese e lo spostamento del limite di entrata in vigore della causale potrebbe comportare un aumento della durata dei contratti a tempo determinato. Sarebbe utile monitorare la quota di contratti con una durata di oltre un anno considerando la durata effettiva del contratto (proroghe incluse) e contemporaneamente monitorare i contratti appena sotto un anno, a indicare la rilevanza della causale, e quelli di durata inferiore a un mese, presumibilmente utilizzati per soddisfare la domanda residua di lavoro causata dall’assenza di contratti più prolungati. Si avrebbe la risposta certa se le imprese hanno di fatto rinunciato all’utilizzo di contratti a tempo determinato di durata superiore a un anno. Probabilmente dipende anche dalla grandezza delle imprese : le imprese più grandi e più produttive tendono a ricorrere meno al tempo determinato, e offrono in media contratti a tempo determinato di durata più lunga e con una più alta probabilità di trasformazione e saranno queste aziende più interessata dal nuovo intervento legislativo ma dipende anche dai settori : i determinati di lunga durata sono più concentrati nella manifattura, mentre le durate medie sono inferiori nel terziario (soprattutto nei comparti a basso valore aggiunto), dove pertanto ci si può attendere una reazione meno accentuata a eventuali cambiamenti. Certo è che nel clima economico favorevole che ha fatto seguito al duro periodo pandemico, molti dei giudizi espressi in merito alla ripresa occupazionale registrata hanno portato l’accento sulla preponderante quota (sul totale del lavoro dipendente) di lavoro temporaneo che l’ha caratterizzata ma è evidente che il calo sistematico dei contratti a tempo indeterminato negli ultimi anni hanno risentito dei molti cambiamenti che hanno modificato un diverso assetto dell’occupazione: la crescente internazionalizzazione dei mercati con il ridisegno della catena globale del valore e l’ingresso di nuovi player, unitamente alla grande crisi economica del 2008 e poi la crisi pandemica e sociale hanno determinato un riassetto del sistema produttivo, con un ridimensionamento del settore manifatturiero ed una forte espansione di quello terziario. A ciò si sono aggiunti gli interventi normativi che in maniera non sempre coerente hanno ridefinito di volta in volta le convenienze nelle scelte contrattuali per il reclutamento della manodopera. Pensare ad una generalizzata stabilizzazione del lavoro in settori a forte stagionalità come quello agricolo , agro alimentari e turistico risulta sicuramente difficile, così come regolare le prestazioni lavorative nella scuola non è un problema di mercato. È vero che il tempo determinato pesa parecchio da solo per le assunzioni e anche la somministrazione ha un suo bacino , ma una volta che si escludano le quattro fattispecie il peso delle assunzioni “pure” con contratti a termine scende come risultato della forte domanda di somministrazione e della ricostituzione del bacino di tempo determinato “prosciugato” dalle stabilizzazioni incentivate. Il peso delle assunzioni a Ctd “genuine” subisce nel tempo delle oscillazioni molto modeste , che è all’interno di questo insieme che avviene il maggior numero di trasformazioni contrattuali a tempo indeterminato, con un ruolo quasi di prova lunga e riducendo l’aurea di precarietà della forma contrattuale iniziale. Novità anche per i contratti cd a voucher :si alza da 10mila a 15mila euro la soglia entro cui sono ammesse le cosiddette prestazioni di lavoro occasionale, ma solo per chi opera nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e parchi di divertimento. La misura è prevista per le imprese che “hanno alle dipendenze fino a 25 lavoratori subordinati a tempo indeterminato”, innalzando quindi il limite precedente che era di 8 unità. La facoltà di utilizzare i voucher o buoni lavoro era già stata ampliata con la manovra 2023 che aveva elevato a 10mila euro il precedente limite annuo di 5mila euro. Sparisce il limite dei 29 anni di età per i contratti di apprendistato dei soli settori turistico e termale (e per un massimo di 3 anni). Certo è che va comunque seguita la questione che pone l’interrogativo se il livello dei contratti a termine complessivo sia eccessivo e ingiustificato e quanto siano valide le sottostanti ragioni: sostituzione di personale in malattia, maternità o altro, picchi produttivi, stagionalità strutturale, surrettizi periodi prova. Vanno monitorate le singole “funzioni” dei contratti a termine e l’effettiva esistenza di “posti di lavoro a termine” che non possono certamente dar luogo a “assunzioni a tempo indeterminato”. Ci sono poi anche gli abusi: quote non rispettate, reiterazione di contratti contro le norme e così via. Qui si apre la partita dei controlli: che non sono difficili se si punta sui limiti quantitativi. E molto si può fare, oltre che con le ispezioni, con la vigilanza documentale che implica lo sviluppo e il miglioramento delle competenze pubbliche nel trattamento dei numerosi dati che l’amministrazione possiede (e usa scarsamente, aiutata anche dalla scusa della privacy).
E noi per la Conferenza nazionale per l'economia circolare
Alessandra Servidori 17 maggio 2023 https://www.startmag.it/circular-economy/economia-circolare-alessandra-servidori/
5 a Conferenza nazionale sull'economia circolare, organizzata dal Circular Economy Network, in collaborazione con ENEA e con il patrocinio del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, del Ministero delle imprese e del made in Italy e della Commissione europea.
La Commissione europea nel 2022 ha presentato una proposta di Direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori: una delle iniziative previste nel Piano d’azione per l’economia circolare per offrire ai consumatori la possibilità di una maggiore partecipazione all’economia circolare, in particolare fornendo loro informazioni migliori in merito alla durabilità e alla riparabilità di determinati prodotti e tutelandoli maggiormente dalle pratiche commerciali sleali. Il 23 marzo del 2023 ha quindi presentato la proposta di Direttiva (Green claims) sulle dichiarazioni green riportate nelle etichette dei prodotti e nella pubblicità. La finalità è contrastare le pubblicità che forniscono informazioni ambientali false, non provate, ingannevoli sulle caratteristiche di un prodotto o di un’azienda, ossia contro il cosiddetto greenwashing. La necessaria attenzione, fortemente sottolineata a livello europeo ma in verità un po’ sottovalutata nel nostro dibattito nazionale, alle scelte informate dei consumatori, quale fattore rilevante delle trasformazioni dell’economia in direzione circolare, è il focus di questa Conferenza , approfondito con un’accurata indagine che si è realizzata in partership. A che punto è l’Italia? I dati aggiornati confermano un buon posizionamento europeo del nostro Paese nella direzione della circolarità dell’economia: il tasso di utilizzo circolare dei materiali al 18,4% è ben più alto della media UE, per la produttività delle risorse siamo davanti alle altre principali economie europee con 3,2 euro generati per ogni kg di materiale consumato e anche nella percentuale di riciclo sul totale dei rifiuti prodotti, speciali e urbani, siamo in testa con un 72%. Attenzione però ai trend, che potrebbero portare a perdere questa nostra leadership europea. Nel tasso di utilizzo circolare abbiamo peggiorato le performance: eravamo al 19,5% nel 2019 e siamo scesi al 18,4% nel 2021. Nella classifica della circolarità fra le cinque principali economie europee (Italia, Germania, Francia, Spagna e Polonia) restiamo in testa, ma in quella sulle performance degli ultimi cinque anni perdiamo posizioni perché altri stanno cambiando più velocemente. Anche per questo non possiamo permetterci di stare seduti sugli allori dei risultati raggiunti, né frenare rispetto alle nuove iniziative europee in direzione della circolarità, ma al contrario mirare a continuare ad avere un ruolo di punta.Dopo un anno di lavoro delle aziende e associazioni che fanno parte del www.circulareconomynetwork.it. si è svolta la Conferenza nazionale sull’economia circolare dove abbiamo assunto importanti impegni per irrobustire la strategia europea.Rispettare il cronoprogramma e recepire tempestivamente le misure dell’Unione europea come dare piena e tempestiva attuazione alle azioni e alle misure previste, rispettando il cronoprogramma e integrando la Strategia con quanto previsto dai provvedimenti dell’Unione europea in via di adozione. Rafforzare il sostegno agli investimenti delle imprese nell’ambito della legge di riforma degli incentivi presentata dal Governo (Codice degli incentivi) finalizzare in maniera netta e incisiva allo sviluppo dell’economia circolare il credito di imposta previsto da Transizione 4.0 e altre misure di politica industriale, con particolare attenzione alle PMI. Prevedere misure di fiscalità ecologica nella legge delega Prevedere nella legge delega di riforma del sistema fiscale, colmando una lacuna del testo presentato dal Governo, misure di incentivazione per l’utilizzo di materie prime seconde, il riciclo e la riparazione, e sopprimere sussidi ambientalmente dannosi che ostacolano l’economia circolare. Sviluppare l’economia circolare delle materie prime critiche In linea con gli obiettivi indicati dal Critical material raw act dell’Unione europea, adottare misure nazionali in materia di ecodesign e di recupero e riciclo delle materie prime critiche, necessarie per la transizione energetica e digitale, anche utilizzando a tal fine risorse del piano REPowerEU. Garantire la realizzazione degli impianti previsti dal PNRR Accelerare i tempi di realizzazione degli impianti di riciclo e dei “progetti faro” già finanziati dal PNRR, lavorando ulteriormente per colmare le disparità tra il CentroSud e il Nord del Paese e garantire un’adeguata dotazione impiantistica con elevati standard tecnologici. Eventuali risorse aggiuntive dovranno essere destinate a progetti di alta qualità tecnologica e filiere strategiche per la circolarità. Dare piena attuazione al Programma nazionale di gestione dei rifiuti Implementare le azioni previste dal PNGR e aggiornare entro la fine del 2023, laddove necessario, i Piani regionali per raggiungere gli obiettivi di riciclo e di riduzione dello smaltimento in discarica previsti dalle direttive europee. Istituire nuovi sistemi EPR e dunque istituire sistemi di responsabilità estesa del produttore in ulteriori settori, quali il tessile, le costruzioni, l’arredamento, i veicoli e loro componenti, l’industria e la distribuzione alimentare. Accelerare e semplificare le normative sull’End of Waste Garantire il riconoscimento della cessazione della qualifica di rifiuti per materiali il cui riutilizzo può contribuire a sviluppare l’economia circolare, in un contesto in cui la rapida evoluzione delle tecnologie e delle possibilità di riciclo richiede una altrettanto rapida e costante evoluzione normativa. Particolarmente urgente è il provvedimento sui rifiuti da costruzione e demolizione, nonché quelli su plastiche miste, tessili, pile e accumulatori, terre da spazzamento stradale. Sviluppare la simbiosi industriale Promuovere la simbiosi industriale attraverso reti di impresa con finalità circolari, rigenerazione di “brown areas” in distretti circolari, piattaforme digitali per favorire l’incontro di domanda e offerta di materie prime seconde, procedure semplificate per il riconoscimento della qualifica di sottoprodotto. Promuovere la prevenzione e la riduzione dei rifiuti Adottare entro il 2023 il nuovo Programma nazionale di prevenzione e riduzione dei rifiuti. Il Circular Economy Network, promosso da un gruppo di imprese e di organizzazioni in collaborazione con la Fondazione per lo sviluppo sostenibile, opera per sostenere la transizione a un’economia circolare. A tal fine: costituisce una rete di dibattito, di scambio di informazioni e buone pratiche, per dare forza a una visione condivisa e a un’azione comune sui vari aspetti dell’economia circolare; effettua analisi delle criticità e delle barriere che frenano la transizione ecologica; elabora proposte per valorizzare le potenzialità di sviluppo dell’economia circolare in Italia; produce studi e ricerche, con attenzione all’elaborazione e all’iniziativa europea e internazionale, sui vari aspetti dell’economia circolare, con particolare attenzione alle sue ricadute positive per nuove possibilità di sviluppo, di benessere e di occupazione, per il risparmio di risorse naturali, per il clima, l’innovazione e la digitalizzazione; elabora proposte di strategie, politiche e misure, rivolte ai decisori politici, promuovendo una costante e costruttiva interlocuzione con le istituzioni ai vari livelli.E’ il senso concreto di un impegno civile che il gruppo porta avanti con grande determinazione
dl Lavoro StartMag e Radio in blu
Obiettivi e misure del decreto governativo approvato per il Primo Maggio. L’intervento di Alessandra Servidori Start Mag e Radio in Blu htpps://www.radioinblu.it/straming/?vid=0_widJ0990
Abbiamo impegnato un po di tempo a studiare la Bozza che oggi dovrebbe festeggiare il 1 Maggio dopo una giornata di riflessione amara su quella dedicata agli incidenti sul lavoro che come tutti gli anni si “arricchiscono” di promesse “mai più”. A mio parere si continua a confondere la funzione di assicurazione contro il rischio disoccupazione e la funzione sociale per contrastare la povertà.
I soldi non basteranno lo stesso e molte scelte sono rinviate a sistema poiché la riduzione del cuneo contributivo sul lavoro e il sostegno fiscale alle famiglie con figli a carico e disabili finanziate con una tantum temporale e sottoposte a controlli ravvicinati con la minaccia di togliere se non a norma il beneficio e comunque deludendo le aspettative perché caricate sui conti pubblici dei prossimi anni.
Ci si affida oggi a nuove piattaforme che nel recente passato non hanno funzionato per accreditare un raccordo funzionale digitale tra INPS e ANPAL (denominata nel Decreto SIISL) sollevando i centri per l’impiego di colpe e caricando le funzioni su percorsi di formazione per giovani e donne fortemente penalizzati da politiche inadeguate e soprattutto senza mettere mano purtroppo alle competenze confuse tra Stato e Regioni in materia di lavoro che crea sistematicamente deficit.L
a bozza del decreto rappresenta un documento complicatissimo da leggere e ancor più da applicare che farà faticare parecchio i patronati e i commercialisti. E mi chiedo quanto di ciò che OIL (Organizzazione internazionale del Lavoro) che il 24 Aprile aveva accolto con favore la Dichiarazione dei ministri del lavoro e dell’occupazione del G7, incentrata sulla necessità di investire nel capitale umano e nel lavoro dignitoso, ritroverà nel Decreto del Governo del 1 maggio.
La Dichiarazione infatti si focalizza sulla necessità di promuovere il lavoro dignitoso e la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, l’apprendimento permanente e gli investimenti nello sviluppo delle competenze, un mercato del lavoro inclusivo e l’eguaglianza di genere, come pure il congedo di paternità nei luoghi di lavoro e nell’economia sociale e solidale. Essa sottolinea la situazione di incertezza per il futuro che i lavoratori, le lavoratrici e le loro famiglie si trovano a dover affrontare in un contesto segnato da una ripresa disomogenea dalla pandemia di COVID-19, dai cambiamenti climatici, dall’inflazione, dall’erosione dei salari reali e dai cambiamenti strutturali come le trasformazioni digitali e verdi e demografiche.
Sono convinta che per “rispondere a queste sfide, è importante investire nel capitale umano, in particolare nello sviluppo delle competenze e di un mercato del lavoro inclusivo, al fine di promuovere il lavoro di qualità e garantire il lavoro dignitoso, anche lungo le filiere globali di approvvigionamento, senza che nessuno sia lasciato indietro”, si legge nella Dichiarazione. Vero è che l’impatto delle diverse crisi sul mondo del lavoro che hanno prodotto maggiori disuguaglianze, in particolare per le donne e i giovani e questo particolarmente in Italia e lo sappiamo bene.
OIL ha sottolineato l’importanza di massimizzare l’offerta di lavoro attraverso lo sviluppo di mercati del lavoro inclusivi, anche per i lavoratori senior e le persone con disabilità. Rafforzare la partecipazione al lavoro attraverso il lavoro dignitoso è necessario per prevenire e ridurre le disuguaglianze, soprattutto quelle causate dai redditi reali e dall’alto tasso di inflazione. Garantire salari e retribuzioni adeguati, in particolare per i lavoratori sottopagati, salari minimi, legali o contrattati, sono fondamentali per garantire livelli di vita adeguati, limitare le disuguaglianze salariali e innalzare i redditi dei più poveri. Determinante la relazione tra la crescita salariale e la produttività e l’impatto della contrattazione collettiva sull’innalzamento della produttività, evidenziando la necessità di promuovere ambienti di lavoro sicuri e salubri, la conciliazione tra lavoro e vita privata, la diversità e l’inclusione, lo sviluppo delle carriere e l’apprendimento permanente.
Il “Piano d’azione adottato dai Ministri del lavoro del G7 compreso il nostro Ministro include impegni per: sostenere i lavoratori e le imprese nel miglioramento della partecipazione al lavoro e promuovere il lavoro dignitoso attraverso misure volte a ridurre le disuguaglianze; promuovere salari adeguati; garantire la salute e sicurezza sul lavoro; promuovere il benessere lavorativo; migliorare la gestione delle risorse umane e sostenere lo sviluppo delle carriere e delle professioni; promuovere il lavoro di qualità nel settore dell’assistenza e della cura; garantire il rispetto dei principi e dei diritti fondamentali del lavoro; sviluppare delle filiere globali di approvvigionamento più resilienti e sostenibili.
Dobbiamo andare oltre dunque questo decreto del 1 Maggio 2023 perché di aspettative ce ne sono tante di concretezza meno. Ma come dice la Presidente Meloni abbiamo davanti a noi oltre quattro anni di lavoro per mettere in cantiere tutto ciò che il Governo si è impegnato a realizzare, per adesso dobbiamo amaramente consolarci con quel poco che si può fare?
SICUREZZA SUL LAVORO : Cambiare per avere certezze
Alessandra Servidori https://www.ilsussidiario.net/news/sicurezza-sul-lavoro-i-segnali-che-chiedono-al-parlamento-una-riforma-organica/2528179/
28 aprile giornata internazionale per la prevenzione sicurezza salute sul lavoro
Nella sezione “Open data” del sito Inail sono disponibili i dati analitici delle denunce di infortunio – nel complesso e con esito mortale – e di malattia professionale presentate all’Istituto entro il mese di febbraio. Nel primo bimestre di quest’anno si registra, rispetto all’analogo periodo del 2022, una riduzione delle denunce di infortunio in complesso (dovuta soprattutto al notevole minor peso dei casi di contagio da Covid-19), un calo di quelle mortali e una crescita delle malattie professionali che sono state 10.399, 2.319 in più rispetto allo stesso periodo del 2022 (+28,7%). La nuova norma per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) conferma l'importante legame fra il PNRR e la tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Secondo un Decreto, l’INAIL con appositi protocolli di intesa con "aziende e grandi gruppi industriali" impegnati nella esecuzione dei singoli interventi previsti dal PNRR, promuove l’attivazione, tra gli altri di programmi straordinari di formazione in materia di salute e sicurezza che, fermi restando gli obblighi formativi spettanti al datore di lavoro, mirano a qualificare ulteriormente le competenze dei lavoratori nei settori caratterizzati da maggiore crescita occupazionale in ragione degli investimenti programmati. Sappiamo che è fondamentale potenziare al massimo la capacità di registrazione, elaborazione ed analisi delle informazioni raccolte sulle malattie da lavoro, al fine di individuare sempre meglio fattori di rischio e di esposizione e di porre in essere adeguate e mirate misure di prevenzione.E ci sarebbe anche un Piano nazionale di prevenzione sulle Malattie professionali per favorire la crescita delle conoscenze e competenze finalizzate ad incidere sui comportamenti di tutti i soggetti coinvolti. Sappiamo che le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, quelle del sistema nervoso e dell’orecchio continuano a rappresentare, anche nel primo bimestre del 2023, le prime tre malattie professionali denunciate, seguite dalle patologie del sistema respiratorio e dai tumori. In tema di ispezioni sul lavoro sono recentemente giunte alcune interessanti novità, dettagliate dall’INL-Ispettorato Nazionale Lavoro - nel Documento di programmazione della vigilanza per il 2023 con principali aggiornamenti in materia. L’Ispettorato ha rimarcato la crescente importanza assegnata alla tempestività delle risposte alle richieste, che arrivano direttamente dai lavoratori e dai soggetti che li rappresentano. Ecco perché l’Ispettorato ha inteso rafforzare lo “sportello utenza”, includendo anche la modalità “online” e spingendo ad un maggior utilizzo degli istituti previsti a tutela del dipendente come la conciliazione. Nel quadro delle novità contenute nel Documento , per quanto attiene all’attività di controllo sui percorsi di formazione/orientamento nell’ambito dei tirocini,in particolare sarà assegnata primaria importanza agli aspetti connessi alla salute e sicurezza nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro, ed alla relativa formazione. Ciò permetterà di evitare incidenti anche gravi, come purtroppo già successo ,perciò speciale attenzione sarà riservata all’attività di prevenzione come anche agli iter di valutazione dei rischi, degli infortuni e delle malattie professionali. Inoltre, e ce lo auguriamo, si prevedono azioni mirate effettuate dall’Ispettorato per la rilevazione ed il contrasto delle violazioni della legge in tema di parità di genere, pari opportunità e discriminazioni sul luogo di lavoro. La programmazione della vigilanza per il 2023 vede edilizia, agricoltura, logistica e trasporti come i settori principali verso cui indirizzare i controlli relativi a salute e sicurezza nell’ambito della vigilanza cosiddetta di iniziativa. E in assenza almeno per ora di una unitaria Agenzia Nazionale ( presente sulla carta ma non operativa nei fatti ), si continua a trascurare l’irrinunciabile coordinamento tra gli ispettori dei molteplici, distinti organi di vigilanza (Inl,Inps,Asl,Vigili del fuoco) che continuano a non raccordarsi tra di loro e a non scongiurare le diverse applicazioni e persino interpretazioni delle leggi spesso lamentate dalle imprese a seconda della zona di intervento. Il nuovo Parlamento deve mettere mano ad una riforma organica. Nuove norme si rendono necessarie nel Testo Unico sulla sicurezza del lavoro e negli stessi codici penali e di procedura penale, anche per chiudere i varchi aperti da una giurisprudenza diventata purtroppo meno severa rispetto al passato.
ALESSANDRA SERVIDORI - 28 Aprile giornata internazionale per la prevenzione e salute sul lavoro . Gli infortuni sul lavoro NON sono una fatalità www.startmag
Ogni giorno ci sono infortuni nelle fabbriche, cantieri e scuole lavoro, dove muoiono ragazzi di 18 anni. Dato che non dobbiamo mai rassegnarci, bisogna porsi ma soprattutto porre delle domande. Noi dobbiamo chiedere al parlamento di oggi ciò che dal 2022 si chiede a quello di ieri: in primis bisogna fare funzionare bene tutti gli organi di vigilanza. Bisogna poi cambiare alcune norme dello stesso codice penale perché serve fare una Procura nazionale sulla sicurezza nei luoghi di lavoro specializzata e con competenze estese. La riduzione degli infortuni mortali sul lavoro deve passare attraverso una precisa organizzazione aziendale che definisca ruoli, responsabilità e compiti per la gestione della sicurezza. Un tema importante perché per le imprese vuol dire organizzare i ruoli di ciascun lavoratore e fare in modo che chi ha delle responsabilità, abbia anche i poteri per realizzare misure di sicurezza adeguate. E’ così, infatti, che si vede la serietà di un’impresa. Le lacune nella gestione della sicurezza aziendale si traducono inevitabilmente in un incremento degli infortuni mortali sul lavoro. Implementare la gestione della sicurezza e definire ruoli, compiti e responsabilità, significa prevenire. E la prevenzione è l’unico modo che abbiamo per invertire la tendenza degli infortuni mortali sul lavoro. Una indagine condotta dall’Osservatorio di Accredia in collaborazione con il Censis ci aiuta a comprendere come l’organizzazione della sicurezza aziendale rappresenti lo snodo cruciale per attuare una corretta ed efficace politica di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. E così, se ogni azienda fosse certificata con un sistema di gestione a norma si registrerebbero 80.000 incidenti in meno all'anno, con un risparmio in termini di costi sociali pari ad almeno 4 miliardi di euro. Di questi, circa 1,1 miliardi di euro riguarderebbero il settore delle costruzioni, 410 milioni quello tessile, 300 la metallurgia e 270 i trasporti. L’Ispettorato nazionale del lavoro INL, con la nota n. 1095 del 2023, ha indicato ai propri Uffici del territorio le priorità dell’attività di vigilanza nel corso del corrente anno e indicate nel documento di programmazione. In particolare, le azioni saranno dedicate alla prevenzione e promozione della sicurezza e della legalità mediante attività informative rivolte anche agli studenti prossimi all’inserimento nel mondo del lavoro, al contrasto dei fenomeni di irregolarità che pregiudicano i diritti dei lavoratori particolarmente vulnerabili, nonché, alla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro con azioni di contrasto al lavoro “nero”. Il documento di programmazione dedica, inoltre, una specifica sezione alle vigilanze mirate al recupero contributivo e assicurativo, e alle azioni di contrasto alle irregolarità relative alle misure di integrazione salariale e sostegno al reddito. Non solo contrasto agli infortuni sul lavoro e lavoro “nero” ma - come è consuetudine a dire il vero - l’obiettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro è quello di orientare prioritariamente l’attività di vigilanza verso tutti i fenomeni illeciti di particolare disvalore socio-economico.E’ evidente che l’Ispettorato vuole inoltre ricordare l’opportunità, se non la necessità, di coltivare collaborazioni e sinergie con altre autorità e altri organi di controllo, nonché “con le organizzazioni attive a presidio e tutela dei diritti dei lavoratori, della legalità e del corretto funzionamento del mercato del lavoro.” Del resto, le collaborazioni garantiscono da sempre una maggior efficacia degli accertamenti, se non altro per evitare sovrapposizioni di intervento e per garantire un razionale presidio del territorio.Il che non è proprio quello che accade perché i vari organismi raramente collaborano efficacemente. Vero è , seppure in aumento, l’organico ispettivo a disposizione dell’Agenzia non è ancora a livelli ottimali. Il documento di programmazione conta circa 1.600 ispettori effettivamente adibiti alla attività di vigilanza, dei quali soltanto 215 tecnici, ossia specializzati nella vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro. A questi si aggiungono 884 ispettori dell’INPS, 210 ispettori dell’INAIL, 477 militari dell’Arma, questi ultimi prevalentemente destinati a funzioni di polizia giudiziaria. Ebbene, alla platea ispettiva dell’Agenzia - con esclusione quindi del personale INPS e INAIL - è chiesto di effettuare 75.000 accessi, con un incremento di circa il 18% delle ispezioni attivate nel corso del 2022. E’ lecito chiedersi se è credibile .Il documento di programmazione è sostanzialmente diviso in tre parti: una prima parte fornisce indicazioni sulle attività di prevenzione e promozione della sicurezza e della legalità; una seconda parte dedicata alla attività di accertamento avviata a seguito di specifica richiesta di intervento e una terza parte - la più cospicua - dedicata alla vigilanza di iniziativa. E’ da sottolineare l’importanza che merita l’attività di vigilanza che se avviata su denuncia, l’Ispettorato porrà prioritaria attenzione ai lavoratori particolarmente “vulnerabili”. In particolare, si chiede maggiore attenzione “al contrasto dei fenomeni di irregolarità che pregiudicano i diritti dei lavoratori minori, disabili e provenienti da Paesi terzi, nonché delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri. Per quanto riguarda la materia prevenzionistica i settori prioritari sui quali indirizzare la vigilanza nel corso del 2023 sono l’edilizia, l’agricoltura, la logistica e i trasporti. Per quanto concerne le azioni di contrasto al lavoro “nero” gli interventi avverranno prioritariamente nei settori in cui, sulla base dei dati statistici in possesso e tenuto conto di particolari situazioni territoriali (es. vocazione turistica-stagionalità), si riscontra mediamente una maggiore presenza di lavoro sommerso. In tale ambito l’Ispettorato dovrà peraltro dare applicazione al Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso attenzionando - così riporta il documento di programmazione - le attività svolte nell’ambito degli eventi fieristici e di intrattenimento, nonché le attività svolte in orario serale e notturno, nei fine settimana e nelle festività. Il documento di programmazione pone assoluta attenzione anche a tutti i fenomeni legati alle esternalizzazioni illecite dei processi produttivi ed ai distacchi illeciti “nonché ai fenomeni elusivi della responsabilità datoriale connessi ai nuovi modelli di organizzazione del lavoro e alla diffusione delle diverse tipologie lavorative proprie della GIG economy” e, chiaramente, a tutti i fenomeni di caporalato, per i quali si sottolinea ancora una volta la necessità di un approccio multi-agenzia e “in collaborazione sinergica con tutte le autorità competenti e le organizzazioni interessate al contrasto allo sfruttamento lavorativo”.Inoltre è importante ricordare la necessità di attenzionare tutte le forme di lavoro “grigio” (diversa qualificazione del rapporto di lavoro/corretto inquadramento/regime orario), il lavoro prestato attraverso piattaforme informatiche (in particolare quello prestato dai cc.dd. rider) - con specifico riferimento al rispetto delle norme prevenzionistiche ed al contrasto di possibili forme di discriminazione connesse al funzionamento degli algoritmi - ed i fenomeni illeciti con aspetti transfrontalieri.Il documento di programmazione dedica, una specifica sezione alle vigilanze mirate al recupero contributivo e assicurativo, entrambe indirizzate prioritariamente nei confronti di alcuni specifici ambiti settoriali (manifatturiero, logistica, trasporto aereo, GIG economy, grandi aziende e cooperative di produzione e servizi, agricoltura ecc. per quanto riguarda il recupero contributivo; settore servizi pubblicitari, fabbricazione e manutenzione di apparecchi di sollevamento e di macchine e macchinari, settore costruzione di navi e imbarcazioni, attività connesse alle sale da gioco ecc. per quanto concerne il recupero assicurativo).Ricordiamo che con la Legge 215/2021, pubblicata nella G.U. del 20 dicembre 2021 n. 301, è stato convertito in legge, con modificazioni, il Decreto Legge 146/2021, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili. Stiamo parlando del cosiddetto “Decreto Fiscale” (o anche “Fisco Lavoro”), che contiene anche modifiche rilevanti al D. Lgs. 81/08, il ben noto Testo Unico Sicurezza sul Lavoro. Con l'entrata in vigore del decreto sono state introdotte misure preventive per una più efficace e professionale valutazione dei rischi, anche in merito alla sorveglianza sanitaria negli ambienti di lavoro, soprattutto nei cantieri, a tutela dei lavoratori. Le principali novità a partire da Gennaio 2022 sono la formazione adeguata e specifica dei datori di lavoro(già prevista per i dirigenti e i preposti) che diventa obbligatoria con aggiornamento periodico, così come stabilito nell'Accordo adottato in Conferenza Stato-Regioni;il rafforzamento della figura del preposto. Si definisce i due obblighi del datore di lavoro non delegabili: la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) la designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi (RSPP).Dunque l’Ispettorato nazionale del lavoro con il documento di programmazione si impegna ad una attività stringente che, ci auguriamo possa portare ad un netto miglioramento della situazione , rimarcando che è fondamentale la collaborazione di tutte le strutture e gli organismi anche attraverso una piattaforma unica dei dati in possesso dei singoli uffici.
LA NUOVA CONTRATTAZIONE DEL DIRITTO DEL LAVORO
Alessandra Servidori LA NUOVA CONTRATTAZIONE DEL DIRITTO www.ildiariodellavoro.it 13 aprile 2023
Fuori dal recinto e dentro ad un perimetro tutelato
Quando invochiamo formazione e competenza per i l nostro sistema aziendale dobbiamo uscire dagli schemi del lavoro all’interno della azienda massificata e fordista. Dentro all’innovazione e la nuova sfida che stiamo affrontando sempre più vistosamente complessa dobbiamo anche impostare il nuovo diritto del lavoro suffragato da una contrattazione che non ha solo la subordinazione come accesso a un sistema di tutele perché la contrattazione individuale rivolta alla lavoratrice e al lavoratore deve essere agganciata ad un contesto lavorativo che si incardina soprattutto e prioritariamente sulla formazione e competenza della persona. La formazione è il bene primario a partire dalla scuola fino al termine della propria attività professionale. E’ chiaro che comporta molti investimenti ma questa è la risposta da una occupazione che soddisfi la persona e il mercato. Dobbiamo offrire alle aziende e dunque all’imprenditore e alle persone per avere maggiore e buona occupazione anche per affrontare cambiamenti rapidissimi contratti di lavoro incardinati sulle competenze delle persone che soddisfino le esigenze e utilizzati da aziende cd certificate cioè con una organizzazione del lavoro e dei sistemi permanenti di formazione . Riconoscere il ruolo e le competenze è fondamentale perché significa verificare lo stato effettivo di capacità professionali all’interno della comunità aziendale incardinando l’organizzazione alla formazione che accompagna l’evoluzione delle competenze a favore dell’occupabilità. Un sistema contrattuale che parta dallo Statuto dei lavori e che si cala sulla verifica dell’organizzzazione a cominciare dal management per tutta la trasversale dorsale aziendale per contrattualizzare individualmente la lavoratrice e il lavoratore è fondamentale. E’ evidente che a cominciare dal vertice aziendale le competenze possedute e dunque il suo riconoscimento è il valore aggiunto della competitività e della concorrenza ovviamente a patto che sia in grado di coinvolgere tutta la catena umana in attività sia produttive che di benessere personale. Ci stiamo domandando cosa si può fare per offrire e trattenere le persone nella aziende senza privarci di talenti e per fidalizzarli e dunque il contratto aggiuntivo è la soluzione al fianco della contrattazione collettiva. Piani di partecipazione produttiva legata ad obiettivi e remunerazioni adeguate ovviamente con cluasole di stabilità reciproca per azienda e persone che garantiscono la continuità del rapporto laddove soprattutto si è investito in formazione e contrastino i recessi. Da questo punto di vista il welfare aziendale incardinato su valori di sostenibilità è uno strumento importantissimo indirizzato su servizi per la qualità del lavoro e vita privata poiché le professionalità acquisite in azienda non passino ad altri facendo ovviamente un salto di qualità.
L'Italia è sempre più un Paese che non ama le donne
Rubriche NUOVA PROFESSIONALITÀ _ IV/4 (2023) ISSN 2704-7245
Innovazioni e Pari opportunità Gender GAP. Italia in ritardo a cura di Alessandra Servidori
Il World Economic Forum (WEF), analizza dal 2006 il fenomeno del gender gap attraverso un indice, il Gender Gap Index, che viene poi pubblicato annualmente nel Gender Gap Report. I progressi verso la parità di genere vengono misurati su una scala da 0 a 1, dove 1 rappresenta la piena parità e 0 la piena disparità. Il report confronta lo stato attuale e l’evoluzione della parità di genere in quattro dimensioni chiave: Partecipazione economica e opportunità, Rendimento scolastico, Salute e sopravvivenza, Rappresentanza politica. L’edizione 2022 ha analizzato i progressi verso la parità di genere in 146 Paesi, e i risultati mostrano che la corsa verso la parità di genere non si sta riprendendo dopo lo shock della pandemia, e con l’aggravarsi delle crisi internazionali il rischio di un regresso della parità di genere globale si intensifica ulteriormente e nei 146 paesi coperti dall’indice 2022, il divario di genere maggiore si mostra nelle dimensioni della partecipazione economica e opportunità (60,3%) e nella dimensione della rappresentanza politica (22%); I risultati più vicini alla parità sono in materia di salute e sopravvivenza (95,8%) e rendimento scolastico (94,4%).Tra le macro-regioni considerate, l’Europa ha il secondo livello più alto di parità di genere (76,6%, dopo il Nord America che ha chiuso il 76,9% del gap), e sulla base delle previsioni dovrebbe colmare il divario entro 60 anni. Il Paese Ue migliore è la Finlandia, che è seconda al mondo dopo l’Islanda, con un punteggio pari a 86%, mentre l’Italia, con un punteggio di 72%, si colloca al 63esimo posto e si tenga conto che il monitoraggio della parità di genere è effettuato, a livello esclusivamente europeo, anche dall’European Institute For Gender Equality (EIGE) , e comparando i vari dati dei vari Rapporti compreso quello di Osservatorio JobPricing scopriamo che il tasso di crescita dei vari indici europei negli ultimi dieci anni ci dice che l’Italia è, dopo il Lussemburgo, il Paese che ha compiuto progressi all’interno dell’area considerata; al contrario Repubblica Ceca e Ungheria sono i Paesi che mostrano meno progressi nell’arco temporale considerato. Tuttavia, restringendo l’analisi agli ultimi 5 anni l’Italia è tra i Paesi che crescono più lentamente rispetto all’indice generale proposto dall’EIGE; in particolare, i miglioramenti del nostro Paese sono complessivamente inferiori rispetto alla media dei Paesi del sud Europa. Mentre l’Osservatorio JobPricing nostrano ci dice che le dimensioni in cui questi sono più significativi sono potere (meglio della media UE, ma peggio della media del sud Europa) e salute (meglio della media UE e della media del sud Europa): insomma non è facile farsi una idea compiuta perché ognuno utilizza criteri particolari e indici analizzati dal WEF ed EIGE sintetizzano il gender gap utilizzando degli indicatori diversi. Comunque, gli indicatori che più incidono nel totalizzare un punteggio inferiore rispetto alla media europea sono la partecipazione al mercato del lavoro, il potere sociale e la partecipazione e livello di istruzione conseguito. La partecipazione al mercato del lavoro combina due indicatori: il tasso di occupazione equivalente a tempo pieno (ETP) e la durata della vita lavorativa; il potere sociale, presentato per la prima volta, include invece dati sul processo decisionale nelle organizzazioni di finanziamento della ricerca, nei media e nello sport; il livello di istruzione conseguito e partecipazione prende infine in considerazione la percentuale di donne e uomini laureati e la partecipazione di donne e uomini all’istruzione e alla formazione formale e non formale nel corso della vita. Quello che emerge dalla lettura storica dei vari indici è che, sebbene il numero di donne con istruzione terziaria sia aumentato più degli uomini, meno donne hanno avuto la possibilità di partecipare ad attività di istruzione formale e informale durante l’anno della pandemia. Il vero divario di genere nell’ambito della conoscenza, così come misurato dall’EIGE, sta nella scelta delle aree disciplinari già alle scuole superiori, che si acuisce poi con la scelta delle università. È evidente che questa tipologia di divario ha un impatto molto forte su quanto accade nella fase successiva della vita delle donne: la carriera lavorativa. Le laureate sono maggiormente concentrate nelle discipline umanistiche. Gli ambiti disciplinari di Insegnamento, Linguistico e Psicologico vedono le donne superare l’80% di presenze, contro solo meno del 20% degli uomini. Gli ambiti disciplinari che registrano la parità tra i titoli conseguiti sono quelli di economia e di agraria e veterinaria, mentre si avvicina l’architettura e l’ingegneria civile. Le discipline informatiche ed ingegneristiche osservano invece una prevalenza maschile che, pur non arrivando agli stessi livelli delle discipline a maggior concentrazione femminile, si attesta tra il 70% e l’80%. Nonostante le differenze di scelta di corsi però, le donne ottengono voti più alti non solo a livello medio, ma in quasi tutte le aree disciplinari, ad eccezione di quello letterario e dell’Informatica e tecnologie ICT: ecco perché quando si parla di povertà educativa bisogna intervenire subito sull’orientamento scolastico delle ragazze verso le materie stem perchè agire efficacemente sul gender gap, dunque, significa far avvicinare le bambine e le ragazze alle materie STEM superando gli stereotipi che, ad oggi, portano le giovani a scegliere percorsi di tipo umanistico che nell’economia odierna ne potrebbero limitare le opportunità professionali. Dai dati Invalsi sappiamo che in matematica dalla seconda elementare la differenza rilevata non risulta statisticamente significativa, ma al quinto anno delle scuole primarie il divario di genere raggiunge l’ampiezza massima: 13 punti di distacco. Un dato che ci ricorda dell’importanza di investire sull’educazione alla parità e allo sviluppo delle capacità fin dai primi anni di scuola. Anche in terza media l’Italia è uno dei 6 stati su 39 rilevati dove i maschi vanno meglio delle ragazze nelle scienze. In 18 non vi sono differenze rilevanti, in altri 15 al contrario sono le studentesse a performare meglio. E poi vero è che fondamentale investire sulla valorizzazione delle potenzialità di tutte e tutti, a prescindere dal genere. Sono i dati Ocse a indicare che le ragazze che hanno maggiore fiducia nelle proprie capacità raggiungono risultati analoghi a quelli dei compagni nei test di matematica, ma in gran parte dei Paesi e delle economie che partecipano all’indagine Pisa, le ragazze ottengono risultati meno buoni rispetto ai ragazzi in matematica. Generalmente, le ragazze hanno meno fiducia rispetto ai ragazzi nelle proprie capacità di risolvere problemi di matematica o nel campo delle scienze esatte. Tuttavia, quando si confrontano i risultati di matematica tra ragazzi e ragazze con livelli simili di fiducia in sé stessi e di ansia rispetto alla matematica, il divario di genere scompare. Tali differenze possono essere ricostruite partendo dai dati della rilevazione Invalsi 2020/21, disaggregati per macroaree. Solo per citare alcuni dati in terza media, si attestano al livello di competenza 1 in matematica (il più basso) mediamente il 22,3% delle ragazze italiane (20,9% tra i maschi). Questa percentuale è più contenuta nel nord-est, dove scende al 15,1% e si attesta comunque al di sotto della media nel nord-ovest (17,5%) e nel centro (18,3%). Mentre sale al 30,9% nella ripartizione “sud” e al 34,6% in quella “sud e isole”. Ora la polarizzazione del lavoro e la crescente domanda di professionisti in ambito digitale e tecnologico implicano la crescente necessità di competenze che si ottengono prevalentemente nei percorsi STEM. L’autoesclusione sistematica delle ragazze da queste discipline è quindi un fattore che potenzialmente incrementerà la disoccupazione femminile e il gender pay gap di domani. L’occupazione femminile rimane anch’essa congelata: il ricorso al part-time non è solo frutto di una scelta volontaria, collegata alla necessità di conciliazione tra lavoro e vita familiare, ma nel mercato del lavoro italiano, negli ultimi anni, è stata più spesso una scelta delle imprese – più che per esigenze di lavoratori e lavoratrici – effettuata come mezzo di sostegno ai periodi di crisi economica. Secondo ISTAT però, il part-time cosiddetto involontario presenta l’ennesimo gap di genere: viene imposto maggiormente alle donne e, in generale, è più diffuso nei settori ad alta concentrazione femminile, quale ad esempio, i servizi alle famiglie. Altro fondamentale criterio per la misurazione del gender gap è il differenziale salariale. Il differenziale salariale di genere viene di solito definito come la differenza tra i salari medi degli uomini e i salari medi delle donne. Le ragioni per l’esistenza di questa differenza sono molteplici, molte di queste osservabili. Il gap sulle ore lavorate, ad esempio, è una di queste: se si considera il salario di un uomo che lavora full-time e di una donna che, pur svolgendo lo stesso ruolo, lavora part-time, il loro salario mensile sarà differente in quanto vi è un gap di tempo dedicato al lavoro. Ed è dimostrato che conducendo, attraverso Rubriche NUOVA PROFESSIONALITÀ _ IV/4 (2023) ISSN 2704-7245 16 specifiche tecniche, analisi più approfondite ed accurate è comunque possibile dimostrare come spesso esista un differenziale salariale che non è riconducibile a nessuna caratteristica osservabile degli individui, e che quindi è potenzialmente riconducibile a mera discriminazione. In un progressivo rafforzamento delle azioni a livello istituzionale, sia nazionale che internazionale, è necessario attivare percorsi virtuosi, a tutti i livelli della cd. “società civile”: in famiglia, all’interno delle scuole e delle università, fino ad arrivare alle imprese. Proprio le imprese possono svolgere un ruolo centrale, attraverso iniziative interne di formazione e sensibilizzazione, attraverso l’introduzione o la modifica di policy in senso inclusivo, e attraverso il ruolo di promotrici di cambiamento che possono ricoprire all’interno della comunità. Ma attenzione alla cultura del business che è stata introdotta dalla Certificazione della Parità di Genere sui luoghi di lavoro, e il suo derivante strumento di misurazione dettato dalle linee guida UNI/PDR 125:2022 o dagli strumenti di misurazione proposti da altri Enti certificatori sbocciati come funghi e altri ancora, che pubblicizzano questa certificazione a pagamento come punta avanzata di un approccio che dovrebbe cambiare le cose ma porta in dote solo decontribuzioni alle imprese, perché la discriminazione femminile si supera con la cultura dell’organizzazione e non con premi per chi dimostra di non discriminare platealmente ma applica nei fatti l’esclusione delle donne che sempre più spesso difficilmente ricorrono in giudizio. Alessandra Servidori