Ripristinare i vaucer si può si deve
startmag RIPRISTINARE I VAUCER SI PUO' SI DEVE
L’intervento di Alessandra Servidori, docente di politiche del lavoro, componente il Consiglio d’indirizzo per l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica presso la presidenza del Consiglio
Ripristinare i voucher significa rivitalizzare uno strumento di sostegno al reddito con il quale è possibile garantire opportunità di lavoro ad almeno 50mila giovani studenti, pensionati, cassintegrati, profughi e percettori di reddito di cittadinanza nelle attività stagionali in campagna.
I dati sulla disoccupazione diramati da Istat per gennaio 2022 segnalano un aumento della popolazione inattiva in età di lavoro e un aumento della disoccupazione della popolazione femminile: la crescita del numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (+0,6%, pari a +74mila unità) è frutto dell’aumento osservato tra le donne e tra chi ha meno di 50 anni. Il tasso di inattività sale al 35,0% (+0,2 punti).
Ovviamente preoccupa la situazione anche a fronte di manodopera richiesta da alcune categorie in particolare legate all’economia alimentare sopraffatta da crisi energetica e di approvvigionamento di materie prime.
Con l’arrivo nel nostro paese di profughi in gran parte donne e bambini che fuggono dalla guerra il governo si appresta ad organizzare l’assistenza, ma è evidente che la questione prevede un lungo e non breve periodo, dunque è necessario riflettere sulle opportunità di lavoro da offrire a questa popolazione, anche a fronte di una loro grande disponibilità a rendersi operativi.
In questo contesto il Governo valuti concretamente, come affermato anche da una categoria fortemente radicata sul territorio come Coldiretti, la reintroduzione del voucher “agricolo” strumento di sostegno al reddito con il quale è possibile garantire opportunità di lavoro ad almeno 50mila giovani studenti, pensionati, cassintegrati, profughi e percettori di reddito di cittadinanza nelle attività stagionali in campagna.
In una riunione operativa con la rappresentante Maria Cerabona come tavolo interistituzionale sulla prevenzione delle patologie professionali, si è convenuto che ora è fondamentale nell’ambito dell’allarme globale provocato dal coronavirus e l’attuale emergenza della guerra Ucraina l’emersione di una maggior consapevolezza sul valore strategico della filiera del cibo e delle necessarie garanzie di quantità, qualità e sicurezza, mettendone in evidenza tutte le fragilità sulle quali è necessario intervenire con misure di emergenza per salvare i raccolti.
Sicuramente l’Italia in questo momento non ha bisogno di posizioni ideologiche ma di scelte pragmatiche e i voucher in agricoltura servono subito per continuare a garantire le forniture alimentari di cui il Paese ha bisogno e non far marcire i raccolti nei campi ma anche per offrire un’occasione di integrazione del reddito alle tante persone con difficoltà occupazionali trasformando un problema in opportunità per il Paese.
In gioco ci sono le operazioni di raccolta primaverili ed estive, che vanno dalla frutta agli ortaggi, ma anche la vendemmia che tradizionalmente inizia in Italia ad agosto e continua in un percorso che prosegue a settembre e ottobre con la raccolta delle grandi uve rosse autoctone Sangiovese, Montepulciano, Nebbiolo e che si conclude addirittura a novembre con le uve di Aglianico e Nerello. Un settore da primato del Made in Italy con l’Italia che è il primo produttore mondiale davanti alla Francia.
Ricordiamo che i voucher sono stati per la prima volta introdotti in Italia solo per la vendemmia il 19 agosto 2008, con circolare Inps, con l’obiettivo di ridurre burocrazia nei vigneti e dare una possibilità di integrazione del reddito a studenti e pensionati che sono andate perdute in seguito all’abrogazione dovuta ai casi di abuso favorito ad un eccessivo allargamento ad altri settori e che in realtà non hanno riguardato il settore agricolo.
Nel corso degli anni successivi l’agricoltura è stata l’unico settore che è rimasto praticamente “incatenato” all’originaria disciplina “sperimentale” con tutte le iniziali limitazioni (solo lavoro stagionale e solo pensionati, studenti e percettori di integrazioni al reddito) che gli altri settori non hanno mai più conosciuto fino all’abrogazione. Non è un caso che il numero di voucher impiegati in agricoltura sia praticamente rimasto stabile con circa 2 milioni di tagliandi venduti nell’anno prima dell’abrogazione del 2017. Più o meno gli stessi dei 5 anni precedenti, per un totale di 350mila giornate di lavoro che potrebbero aiutare molti italiani e italiane , non solo, in difficoltà per la mancanza di lavoro.
Per Laura Massaro giustizia è fatta.L'alienazione genitoriale è una grande violazione dei diritti
ALESSANDRA SERVIDORI Per Laura Massaro giustizia è fatta
Laura Massaro dopo 9 anni , vittima di violenza dell’ex compagno,, ha lottato con la giustizia per non farsi portare via il figlio come richiesto dall'ex compagno e oggi finalmente ha vinto. La sentenza in Cassazione ha accolto 'in toto' il ricorso presentato dalla madre 42 anni, romana, accusata di essere mamma alienante e per questo in lotta da anni, nelle aule di tribunale per evitare che le venisse portato via il figlio oggi dodicenne come richiesto dall'uomo da cui è separata da quando il bimbo era piccolissimo. I giudici hanno ora annullato la decisione di decadenza dalla responsabilità genitoriale sul figlio minore e di trasferimento del bambino in casa-famiglia, ritenendo l'uso della forza in fase di esecuzione fuori dallo Stato di diritto. Secondo la Cassazione: l'alienazione parentale viene condannata e messa al bando, il superiore interesse del minore viene rimesso al centro anche rispetto al diritto alla bigenitorialità e viene detto che essi non sempre coincidono e che di fronte alla necessità per il bambino di ricostruire un rapporto con il padre bisogna sempre considerare il suo trauma nel distacco con l'unico affetto della mamma. Viene bandito l'uso della forza. In sostanza viene chiarito che se una bambina o un bambino esprime la volontà di stare con la madre si indaga e si mette al centro la sua volontà". la Cassazione ribadisce che "il richiamo alla sindrome d'alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre".La Suprema Corte, ha quindi cassato la decisione del tribunale che aveva disposto l'allontamento del bambino, la decadenza della responsabilità genitoriale e l'interruzione dei rapporti tra mamma e figlio "poiché ha inteso realizzare il diritto alla bigenitorialità rimuovendo la figura genitoriale della madre e ciò sulla base di apodittiche motivazioni che richiamano le consulenze tecniche, tutte volte all'accertamento dell'alienazione parentale, nonostante la stessa sia notoriamente un costrutto ascientifico".Nell'ordinanza si osserva che il diritto alla bigenitorialità, così come ogni decisione assunta per realizzarlo, non può rispondere a formula astratta "nell'assoluta indifferenza in ordine alle conseguenze sulla vita del minore, privato 'ex abrupto' del riferimento alla figura materna con la quale, nel caso concreto, come emerge inequivocabilmente dagli atti, ha sempre convissuto felicemente, coltivando serenamente i propri interessi di bambino, e frequentando proficuamente la scuola".La Cassazione, inoltre, ha ritenuto nullo il provvedimento dell'autorità giudiziaria di merito per non avere proceduto all'ascolto del minore. Quanto poi all'uso della forza per sottrarre il minore dal luogo ove risiede con la madre e collocarlo in una casa-famiglia, la Corte ha giudicato questa misura "non conforme ai principi dello Stato di diritto - riferisce Differenza Donna - in quanto prescinde del tutto dall'età del minore, ormai dodicenne, non ascoltato, e dalle sue capacità di discernimento, e potrebbe cagionare rilevanti e imprevedibili traumi per le modalità autoritative che il minore non può non introiettare, ponendo seri problemi, non sufficientemente approfonditi, anche in ordine alla sua compatibilità con la tutela della dignità della persona, sebbene ispirata dalla finalità di cura dello stesso minore".
La sfida di Marco Biagi di cui oggi c'è ancora più bisogno
LAVORO E POLITICA/ La sfida di Marco Biagi di cui oggi c’è ancora più bisogno
Pubblicazione: 16.03.2022 - Alessandra Servidori www.ilsussidiario.net
Sono 20 anni che Marco Biagi non è più con noi, ma le sue idee e proposte sul mercato del lavoro sono di un’attualità straordinaria
Sono 20 anni che il Prof. Marco Biagi non è più con noi. Ma ancora oggi, e ancora di più, i suoi lavori e le sue discipline di eccellente pragmatico studioso sono di un’attualità straordinaria incardinate nella realtà che viviamo nel mondo del lavoro al quale lui dedicò la sua opera e il suo sacrificio, che ancora oggi ci brucia sulla pelle, consumato dai brigatisti assassini perché lasciato solo dalle istituzioni per cui lavorava.
La ridefinizione di profili professionali interdisciplinari per far fronte alla richiesta di innovazione di un’economia massacrata dalla pandemia e dai ritardi di alcune riforme fondamentali di un mercato del lavoro ingessato, ci ricordano quello che lui ha proposto e scritto per “ciò che riguarda il profilo giuridico del mondo del lavoro e la conoscenza del dato legale che deve venire calata nella realtà economica e sociale in cui la regola è chiamata ad operare” (Diritto delle relazioni industriali, XII (2002), p. 3).
Per Marco Biagi “è buona regola, prima di formulare le proposte concrete e dettagliate di tipo legislativo, presentare in forma di studio, con opzioni aperte, un programma che possa raccogliere suggerimenti, contributi e consigli da parte dei vari interlocutori” (Biagi, Libro bianco sul mercato del lavoro, presentazione alla consulta dell’Ufficio delle politiche sociali e del lavoro, Roma 25 gennaio 2002). Oggi siamo di fronte a un’ennesima sfida di modernizzazione del mercato del lavoro che ha sempre guidato l’impegno del nostro Professore strappato alla vita da menti e proiettili di terroristi, belve furiose. La sfida del Governo di oggi è ancora quella di 20 anni fa: l’importanza della competenza, della mediazione e del pluralismo nel campo del diritto del lavoro, che nell’opera di Biagi non riguarda solo i contenuti, ma il metodo, l’approccio culturale, il superamento della concezione tolemaica della giurisprudenza del lavoro per metterlo in relazione con le trasformazioni dell’economia, dei mercati e dell’organizzazione del lavoro.
Marco Biagi rifiutava l’idea e la concezione di un diritto immutabile, ormai ibernato nell’ideologia, proteso a escludere e a ignorare quanto non fosse riconducibile ai soliti canoni. La vera differenza, infatti, sta nel fare o nel non fare, nell’innovare con responsabilità e coraggio o nel conservare con egoismo e ostinazione. Vent’anni dopo la sua opera rappresenta la verità e la sua legge è ancora il Faro delle possibili riforme (ancorché disattese) necessarie al mercato del lavoro, alle politiche attive, al nostro Paese.
Lo spunto costruttivo di Marco rappresenta sicuramente il punto alto della sua instancabile ricerca di ciò in cui credeva fermamente: l’esistenza, come scrive nel 2001, di “un percorso innovatore che andasse ben al di là delle appartenenze politiche”. Hanno ucciso l’uomo, ma le sue idee vivono ancora forti insieme a noi.
Venerdì 18 marzo, alle 17:30, l’autrice modererà l’incontro “Il riformismo per la dignità del lavoro” (Sala degli anziani di Palazzo d’Accursio a Bologna) dedicato a Marco Biagi. Intervengono Matteo Lepore, Giuliano Cazzola, Bruno Tabacci, Marco Bentivogli e Romano Prodi. Previsto il saluto di S.E. Card. Matteo Zuppi.
Attenzione lo smart working si modifica
Alessandra Servidori Attenzione lo smart working si modifica
Salvo proroghe dell’ultimo minuto dello stato di emergenza da COVID-19, il cui termine è attualmente fissato al 31 marzo 2022, le aziende che fino ad oggi hanno fatto ricorso al lavoro agile semplificato e che intendano mantenerlo come modello organizzativo strutturale, dal 1° aprile, dovranno predisporre accordi individuali con i lavoratori, secondo le modalità dettate dagli artt. da 18 a 23 della L. 81/2017 e dal Protocollo nazionale sul lavoro agile nel settore privato, che definisce le linee di indirizzo per favorirne la regolamentazione da parte della contrattazione collettiva nazionale, aziendale e/o territoriale.
La disciplina “ordinaria” dello smart working, infatti, prevede che l’accordo (a tempo determinato o indeterminato) sia redatto in forma scritta, ai fini della regolarità amministrativa e della prova. Quanto al contenuto, le parti dovranno concordare i giorni settimanali durante i quali il dipendente potrà lavorare al di fuori dei locali aziendali (può trattarsi di un giorno o di tutta la settimana lavorativa) e le modalità di svolgimento della prestazione, che potrà essere inquadrata senza precisi vincoli di orario – purché entro i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale – o di luogo di lavoro e organizzata per fasi, cicli e obiettivi.
Tramite l’accordo individuale trovano regolamentazione anche l’esercizio del potere direttivo da parte del datore di lavoro, l’utilizzo degli strumenti di lavoro messi a disposizione del dipendente, nonché il tempo di riposo del lavoratore e le misure necessarie a garantirne il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni di lavoro.
Fino al prossimo 31 marzo, come anche chiarito da alcune FAQ pubblicate dal Ministero del Lavoro sul proprio sito istituzionale, il ricorso allo smart working resta semplificato (cfr. circolare del 2 gennaio 2022), ossia privo di accordo individuale con il lavoratore e con la possibilità per l’azienda di comunicare “massivamente”, tramite l’apposito applicativo informatico disponibile su Cliclavoro, i dati anagrafici dei lavoratori interessati, mediante l’invio di un unico file Excel; oltre ai nominativi dei lavoratori interessati, precisa il Ministero, occorre indicare anche la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile.
Si ricorda inoltre che, a seguito della conversione del DL n. 221/2021 con L. n. 11/2022, fino al 31 marzo 2022 i lavoratori fragili hanno diritto:
- a svolgere la prestazione lavorativa in smart working, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, così come definite dai contratti collettivi vigenti;
- a svolgere specifiche attività di formazione professionale, anche da remoto;
- se la prestazione non può svolgersi in modalità agile (sempre fino al 31 marzo), è prevista l’equiparazione del periodo di assenza dal servizio al ricovero ospedaliero.
Per ciò che concerne la gestione ordinaria dei lavoratori agili, giova ricordare che la decisione di optare per lo smart working è revocabile; le parti possono, infatti, recedere dall’accordo individuale e, quindi, tornare a rendere la propria prestazione “in presenza”, secondo le modalità tipiche del rapporto di lavoro subordinato.
In caso di accordo “a termine”, lo smart working cesserà alla scadenza indicata nell’accordo, mentre in caso di accordo a tempo indeterminato, il recesso è consentito rispettando un termine di preavviso di 30 giorni, elevato a 90 giorni nel caso in cui l’accordo venga stipulato con un lavoratore disabile, ex ART. 1 della L. n. 68/1999.
In presenza di un “giustificato motivo”, è invece possibile recedere liberamente:
- in caso di accordo a tempo determinato: senza il rispetto del termine prefissato;
- in caso di accordo a tempo indeterminato: senza il rispetto dei termini di preavviso.
In assenza di indicazioni normative, il recesso dall’accordo sul lavoro agile può essere esercitato sia in forma orale che scritta.
Tutti gli impatti del lavoro agile sulle donne www.startmagazin.it 8 marzo 2022
Alessandra Servidori
ALESSANDRA SERVIDORI
LA COMMISSIONE PER I DIRITTI DELLE DONNE E L'UGUAGLIANZA DI GENERE (FEMM) DEL PARLAMENTO EUROPEO ha realizzato uno studio in occasione della giornata dedicata alle donne SFIDE DEL LAVORO AGILE E SPECIFICO IMPATTO SULLA POPOLAZIONE FEMMINILE che ha illustrato il 3 marzo alla Camera e al Senato. Per l’8 marzo prossimo venturo ci auguriamo che il Parlamento esprima un suo parere e linee guida per ragionevolmente individuare le priorità del nostro paese. Un sintetico riassunto dello studio è il miglior modo per sostenere il nostro impegno.
Il lavoro da remoto è tradizionalmente considerato come un fattore di agevolazione dell'equilibrio tra lavoro e vita privata, essendo foriero di maggiore flessibilità oraria e spaziale e consentendo ai prestatori di lavoro la riduzione dei tempi dedicati allo spostamento ed una maggiore autonomia. A marzo 2020, con la prima ondata della pandemia da COVID-19 e la repentina introduzione di misure di isolamento sociale in funzione di tutela sanitaria, il numero dei lavoratori impegnati in attività di lavoro agile è aumentato in maniera esponenziale,ed ancora oggi a 2 anni dall’inizio continua ad essere una modalità molto usata dalle lavoratrici. Questa circostanza ha fatto emergere - in un contesto in cui la vita sociale era fortemente limitata - alcune sfide che il ricorso al lavoro agile comporta, descritte in dettaglio nel rapporto annuale sull'uguaglianza di genere nell'Unione europea per l'anno 2021 della Commissione europea. Lo svolgimento della prestazione lavorativa a distanza è stato infatti associato a specifici rischi psico-sociali, in relazione alle eventualità di maggiore intensità lavorativa, di orari più estesi di reperibilità, di incertezza dei confini tra vita professionale e familiare e di una sensazione di percepito isolamento4 . Possono quindi aver luogo forme di stress, depressione, esaurimento emotivo, burnout, ansia, ma anche difficoltà muscoloscheletriche, cefalea, stanchezza, disturbi del sonno o insonnia; sono stati anche segnalati nuovi fenomeni digitali quali il "presenteismo virtuale ", ovvero l'ansia di essere costantemente connessi con una disponibilità 24 ore su 24. Come evidenziato dal Parlamento europeo nella propria risoluzione del 21 gennaio 2021 (P9_TA(2021) 0021) sul diritto alla disconnessione tali effetti impongono ai datori di lavoro e ai sistemi di previdenza sociale un onere crescente e aumentano il rischio di violare il diritto dei lavoratori a condizioni di lavoro che rispettino la loro salute e sicurezza. Inoltre, dal punto di vista della progressione di carriera, si prospetta il rischio che il lavoratore diventi "invisibile" nella comunità di lavoro e che non abbia quindi accesso alle informazioni o a opportunità di promozione e formazione. Ancora maggiori sono risultate le sfide nel caso in cui le attività di lavoro agile abbiano avuto luogo contestualmente alla prestazione di assistenza non retribuita in un periodo caratterizzato dalla chiusura di scuole e di altre istituzioni di assistenza all'infanzia. In questo caso, l'impatto sulla popolazione femminile è stato particolarmente significativo. Il rapporto annuale sull'uguaglianza di genere nell'Unione europea per l'anno 2021 ha confermato come durante la pandemia le donne si siano fatte carico della gran parte dell'assistenza non retribuita e dei lavori domestici compreso il compito - del tutto nuovo - di supervisionare la didattica on-line. Il medesimo rapporto riporta alcuni dati, che suggeriscono come la crisi pandemica potrebbe avere accentuato il divario di genere preesistente: in media, durante la pandemia le donne dedicavano 62 ore settimanali alla cura dei bambini (contro le 36 ore degli uomini) e 23 ore settimanali ai lavori domestici (15 ore per gli uomini). Ancora, i sondaggi effettuati durante la pandemia hanno mostrato che il 29 per cento delle donne con bambini piccoli aveva difficoltà a concentrarsi sul lavoro a causa delle responsabilità familiari. Solo il 16 per cento degli uomini nella stessa situazione lamentava difficoltà analoghe. L'impatto è stato tale che alcuni osservatori temono che gli effetti della pandemia - e della crisi economica che ne è derivata - possano compromettere i progressi nell'uguaglianza di genere conseguiti negli ultimi decenni, tanto più che gli effetti della crisi sono stati più significativi nei settori che, tradizionalmente, impiegano un gran numero di forza lavoro femminile (salute, ospitalità, lavori domestici). La Commissione europea nel giugno 2021 ha pubblicato il Quadro strategico dell'UE in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021- 2027: sicurezza e salute sul lavoro in un mondo del lavoro in evoluzione (COM(2021) 323). Con specifico riferimento ai rischi del benessere psicosociale che possono derivare dal lavoro da remoto a tempo pieno, la Commissione ritiene necessario "un processo articolato in diverse fasi che implichi cambiamenti nell'ambiente di lavoro".
Oltre alla disponibilità di fondi europei dedicati (tra questi i fondi inerenti ai progetti Horizon, Magnet4Europe e Empower), si preannunciano le seguenti, principali iniziative specifiche: - l'aggiornamento, entro il 2023, del quadro legislativo in materia di salute e sicurezza sul lavoro relativo alla digitalizzazione, con la revisione della direttiva relativa alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro (direttiva 89/654/CEE del Consiglio) e della direttiva sulle attrezzature munite di videoterminali (direttiva 90/270/CEE del Consiglio); - l'avvio (anni 2023-2025), da parte dell'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, della campagna "Ambienti di lavoro sani e sicuri" per un futuro digitale sicuro e sano, che affronti specificamente i rischi psicosociali ed ergonomici; - la predisposizione, entro la fine del 2022, di un'iniziativa non legislativa in materia di salute mentale sul luogo di lavoro, la quale rechi orientamenti per le azioni in materia; - un seguito adeguato alla risoluzione del Parlamento europeo sul diritto alla disconnessione (sulla quale si veda oltre). Oltre ad esortare gli Stati membri ad aggiornare le legislazioni nazionali, a raccogliere dati e a monitorare la situazione, la Commissione europea ha anche invitato le parti sociali ad aggiornare, entro il 2023, gli accordi esistenti per affrontare le nuove questioni e a trovare soluzioni concordate per fare fronte alle sfide poste dal telelavoro. Anche il Parlamento europeo ha presentato proposte specifiche in due diverse risoluzioni, entrambe approvate il 21 gennaio 2021. Nella risoluzione sulla strategia dell'UE per la parità di genere ha rivolto tra l'altro: 18 1) l'invito alla Commissione europea a proporre un Care deal (patto di assistenza) per l'Europa, con l'adozione di un approccio globale nei confronti di tutte le esigenze e tutti i servizi di assistenza e la definizione di norme minime e orientamenti per la qualità dell'assistenza durante l'intero ciclo di vita, anche con riferimento ai bambini, agli anziani e alle persone con esigenze a lungo termine (par. 40); 2) l'esortazione agli Stati membri a recepire e attuare rapidamente e pienamente la direttiva sull'equilibrio tra attività professionale e vita familiare, anche con l'invito ad andare oltre le norme minime della direttiva stessa (par. 40); 3) la richiesta della predisposizione di servizi di assistenza all'infanzia e di assistenza a lungo termine, di qualità e a prezzi accessibili, che consentano - in particolare nel caso delle donne - il rientro al lavoro e che agevolino un buon equilibrio fra attività professionale e vita familiare (par. 41); 4) l'introduzione da parte degli Stati membri, per un breve periodo prestabilito, di crediti di assistenza, allo scopo di compensare le interruzioni di carriera per motivi di assistenza ai familiari, con il computo equo di tali crediti ai fini dei diritti pensionistici (par. 43); 5) la necessità di stimolare in modo significativo gli investimenti nei servizi, in particolare nell'assistenza sanitaria, nell'istruzione e nei servizi di trasporto, per far fronte alle esigenze della popolazione e contribuire all'indipendenza, all'uguaglianza e all'emancipazione delle donne (par. 51). Nella risoluzione sul diritto alla disconnessione il Parlamento europeo ha sostenuto il diritto dei lavoratori di non svolgere al di fuori dell'orario di lavoro mansioni o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali (telefonate, e-mail o altri messaggi). La risoluzione ha invitato la Commissione a predisporre un quadro legislativo al fine di stabilire requisiti minimi sul lavoro a distanza in tutta l'Unione e di garantire "che il telelavoro non pregiudichi le condizioni di impiego dei telelavoratori" (punto n. 14). In quest'ottica, la risoluzione contiene in allegato una proposta articolata di direttiva, che il PE chiede alla Commissione europea di fare propria; la proposta introduce "prescrizioni minime che permettano ai lavoratori di utilizzare strumenti digitali (...) e di esercitare il diritto alla disconnessione e che garantiscano il rispetto del diritto dei lavoratori alla disconnessione da parte dei datori di lavoro" (art. 1). Ciò comporta anche che i datori di lavoro istituiscano un sistema "oggettivo, affidabile e accessibile" per la misurazione della durata dell'orario di lavoro giornaliero, pur nel rispetto del diritto alla vita privata e alla tutela dei dati personali (articolo 3). La proposta contiene tra l'altro norme di tutela contro trattamenti sfavorevoli (articolo 5) e assicura il diritto di ricorso (articolo 6). Merita, inoltre, menzione il parere del Comitato economico e sociale europeo (CESE) del 21 marzo 2021 sul tema "Telelavoro e parità di genere". Nel testo si rileva che il lavoro agile, se non supportato da un'adeguata analisi di genere, rischia di costituire non una forma di superamento delle disparità di genere esistenti, ma di inasprimento delle stesse (par. 1.3). Mettendo in luce il ruolo importante che le parti sociali possono svolgere nel promuovere il lavoro agile in una forma che contribuisca alla parità (par. 1.5), il CESE ha poi individuato alcuni prerequisiti fondamentali per un telelavoro neutro dal punto di vista del genere. Tra questi si citano: 1) l'accessibilità delle tecnologie e delle strutture e l'acquisizione di competenze e formazione digitali; 2) la disponibilità e l'accessibilità, anche economica, di infrastrutture e servizi di assistenza per bambini, persone con esigenze particolari e anziani, tramite un "care deal" per l'Europa che garantisca la prestazione di servizi di migliore qualità per tutti durante l'intero arco della vita; 3) l'attenzione a donne appartenenti a categorie sociali vulnerabili (disabili, genitrici sole, anziane, migranti, rom) o vittime di violenza; Il CESE sottolinea infine l'importanza di esaminare impatto e prerequisiti del lavoro agile in condizioni in cui la pandemia non sia l'aspetto dominante (par. 5.8). Si segnala, infine, che è stata oggetto di dibattito l'opportunità di integrare il piano di ripresa post-pandemico - adottato con il programma "Next Generation EU" - con la promozione delle attività di sostegno al settore dell'assistenza e, in generale, di quelle rilevanti ai fini dell'uguaglianza di genere . Il suddetto programma, infatti, non contempla - a differenza di quanto previsto per gli investimenti nei settori verde e digitale - una specifica quantità di risorse da destinare alle attività di assistenza all'interno dei Piani nazionali di ripresa e resilienza.
Un 8 marzo sotto tono anzi sotto le macerie
Alessandra ServidoriI NUMERI/ La difficile festa della donna nel lavoro
Pubblicazione: 07.03.2022 - Alessandra Servidori
I dati sul mercato del lavoro diffusi recentemente dall’Istat non sono purtroppo incoraggianti riguardo l’occupazione delle donne.
Un 8 marzo molto sotto tono : niente feste ma nessuna rassegnazione
L’altalena dei numeri sparati da istat sono avvilenti ma non ci rassegniamo .Le donne occupate sono 9 milioni 650mila cioè il 50,5%, e altrettante quelle senza un lavoro, gli uomini 13,1 milioni vale a dire il 67,6%. A trainare la tiepida ripresa occupazionale italiana sono i contratti a termine anche e soprattutto per le donne e i lavoratori più giovani, mentre a bilanciare in negativo ci sono gli autonomi e gli ultracinquantenni che perdono posizioni. Il tasso di disoccupazione scende di un soffio al 9% (-0,1%) e in maniera più consistente tra i giovani, attestandosi al 26,8% (-0,7%). Anche la sostanziale stabilità del numero di inattivi è frutto della crescita osservata per uomini e ultra 50enni e della diminuzione tra donne e persone con meno di 50 anni di età. Il tasso di occupazione complessivo è stabile al 59%, tornato ai livelli pre-Covid, quello di disoccupazione è inferiore di 0,6 punti rispetto ai livelli pre-Covid ma quello di inattività è salito dal 34,6% al 35,1%. Bisogna capire se l'occupazione temporanea di donne e giovani si stabilizzerà nel prossimo futuro, quando verrà meno l'incertezza legata alla pandemia che ancora ci attanaglia. Quindi bisogna tenere l’attenzione sulle lavoratrici e i lavoratori a tempo che hanno bisogno di stabilizzazione o di politiche attive, per garantire a tutti diritti, tutele, formazione e la perdita di 320mila occupati tra gli e le indipendenti rappresenta un danno all’economia e alla ripresa e la tiepida ripresina dimostra che l’aumento dell’occupazione è insufficiente, e che la precarietà è la scelta quasi assoluta delle imprese. Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (Inapp), ci dice che, nel flusso delle nuove assunzioni, quelle a tempo indeterminato per gli uomini sono il 18%, mentre quelle a tempo indeterminato per le donne sono solo il 14,5%; e che a sud è più difficile per le donne ottenere un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Cresce anche il numero di donne assunte con contratto a tempo parziale, e – poiché sappiamo che si tratta in buona parte dei casi di part-time involontario – questa non è una buona notizia. Una parziale risposta al divario di genere può venire dal disegno di legge fiscale , che reca una misura di equità per le donne. Come è noto il cumulo dei redditi familiari previsto nel nostro ordinamento disincentiva l’occupazione femminile, che di regola costituisce la fonte del secondo reddito familiare. Agendo sul cuneo fiscale, con una riduzione dell’aliquota per il secondo percettore, la norma contenuta nel ddl in discussione in Parlamento delinea un sistema di detassazione selettiva sostanzialmente mirata a incentivare l'offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro dei giovani e dei secondi percettori di reddito, cioè principalmente delle donne. Intanto però l’assegno universale che dovrebbe essere erogato a fine marzo e di cui abbiamo ampiamente scritto ha bloccato le detrazioni previste dalla precedente normativa. Ci chiediamo se abbiamo motivo di attenderci una buona risposta positiva dell’offerta di lavoro femminile alla riduzione dell’Irpef ma siamo anche consapevoli che senza politiche attive concrete verso le donne, solo i fatti possono confermare queste attese. I fatti concreti appunto . Il 18 novembre scorso è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 162 che introduce modifiche in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, rispondendo a valori sanciti e perseguiti a livello europeo. Sono due le finalità principali: migliorare la trasparenza retributiva e incentivare le imprese al perseguimento della parità di genere attraverso l’istituzione di una certificazione che apre la via ad alcune forme di premialità. La trasparenza retributiva, e di tutti i meccanismi sottostanti (es.: criteri di selezione nelle assunzioni, nella formazione e nelle progressioni di carriera) può certamente aiutare ad individuare e perseguire situazioni di discriminazione,ma prima di tutto servirà alle imprese assistenza tecnica perchè va ricordato che la parità di genere nel lavoro non può essere ottenuta da una singola misura rivolta alle imprese (con oltre 50 dipendenti), ma richiede una combinazione di azioni in grado di incidere sulle possibili discriminazioni basate sul sesso che si manifestano attraverso l’operare del mercato del lavoro. Queste dipendono da fattori difficilmente aggredibili a livello di singola impresa e richiedono quindi interventi di sistema e responsabilità operativa di tutta la comunità.
I disabili in questa guerra sono ancora più fragili : andiamo avanti con le iniziative
Alessandra Servidori DARE FORMA E SOSTANZA ALLE INIZIATIVE IN EUROPA SULLA DISABILITA’ ancora di più oggi con la guerra in corso
L'European Social Network (ESN) di cui TutteperItalia è componente ha recentemente aderito alla European Disability Platform, per rappresentare la voce dei servizi sociali pubblici locali. La prima riunione del 2022 si è concentrata sulle azioni politiche in materia di disabilità della prossima presidenza ceca dell'UE nella seconda metà dell'anno, sul sostegno finanziario dell'UE ai servizi basati sulla comunità e sull'iniziativa della carta di disabilità dell'UE. La piattaforma sulla disabilità riunisce la Commissione europea, gli Stati membri dell'UE e le organizzazioni della società civile per facilitare l'attuazione di politiche sulla disabilità come la strategia dell'UE sui diritti dei disabili. In tale contesto, il governo ceco ha delineato le sue iniziative nel quadro della sua prossima presidenza dell'Unione europea, tra cui una conferenza sulla garanzia europea per l'infanzia per misurare il modo in cui viene affrontata la povertà infantile e una conferenza sul sostegno all'integrazione delle persone con disabilità nel mercato del lavoro. Sulla base della sua esperienza in materia di inclusione attiva e sostegno all'infanzia, ESN mira a contribuire attivamente a entrambi gli eventi.Attraverso la sua partecipazione alla piattaforma, ESN monitorerà e promuoverà le politiche dell'UE a sostegno dei servizi basati sulla comunità. In questa materia, la Commissione europea ha presentato come i diritti dei disabili e l'assistenza basata sulla comunità sono semplificati nei finanziamenti dell'UE. Ad esempio, i governi nazionali che attuano il Fondo sociale europeo+ dovrebbero includere misure per il passaggio dall'assistenza istituzionale a quella comunitaria nei loro programmi nazionali per l'inclusione sociale e la riduzione della povertà. La fornitura di servizi comunitari e familiari e le capacità umane incentrate sullo sviluppo di servizi sociali basati sulla comunità dovrebbero essere prioritarie (sostenute dal FSE+), prima degli sviluppi infrastrutturali sostenuti dal Fondo europeo di sviluppo regionale.La Commissione ha ricordato ai partecipanti il principio di partenariato che impone alle autorità di gestione di coinvolgere gli organismi pertinenti della società civile, come le organizzazioni che rappresentano le persone con disabilità, nell'elaborazione dei programmi di finanziamento dell'UE. ESN promuove il principio di partenariato e ha anche recentemente aderito alla Comunità europea di pratica sul partenariato (ECoPP) per contribuire allo scambio delle migliori pratiche da parte delle autorità nazionali e regionali coinvolte nei finanziamenti dell'UE per l'inclusione sociale.La Commissione ha inoltre presentato i progressi compiuti nello sviluppo di una carta europea di disabilità da utilizzare in tutta l'UE entro la fine del 2023. Attualmente i governi nazionali non riconoscono reciprocamente le carte di invalidità, portando a difficoltà quando le persone con disabilità viaggiano in tutta l'UE.Infine, quest'anno la Commissione creerà il centro risorse Dell'UE accessibile, riunendo le autorità nazionali responsabili dell'attuazione delle norme in materia di accessibilità con esperti e professionisti di tutti i settori dell'accessibilità, offrendo la possibilità di condividere le buone pratiche in tutti i settori. Il centro sarà aperto ad autorità, associazioni, università, aziende e organizzazioni della società civile che promuovono l'accessibilità.ESN spera che la piattaforma sulla disabilità diventi un ulteriore canale di impegno con l'UE e i governi nazionali per modellare le politiche sulla disabilità, in particolare quando si tratta dello sviluppo di servizi di assistenza e supporto nella comunità. In collegamento con organizzazioni come ESN, la piattaforma dovrebbe svolgere un ruolo chiave nella valutazione dell'uso dei fondi dell'UE per lo sviluppo di programmi di inclusione sociale per le persone con disabilità nella comunità.
La Guerra in Russia : l'imperialismo che dobbiamo conoscere
Alessandra Servidori
L’Italia è uno dei Paesi europei meno favorevoli ( dichiarazione di Draghi) all’imposizione di sanzioni dure contro la Russia. Abbiamo in Russia settori, aziende e istituti di credito molto presenti .
L’Italia è uno dei paesi dell’Unione europea maggiormente legato economicamente alla Russia e pertanto approva sanzioni limitate in risposta alle mosse di Vladimir Putin. Questa posizione ha tre spiegazioni: la volontà di proteggere gli importanti rapporti economici; la dipendenza dalle forniture di gas russo per il soddisfacimento del fabbisogno energetico; una certa attenzione storica politico-culturale, sia a destra che a sinistra, per la Russia e/o per Putin.L’Italia è molto dipendente dalle importazioni di gas russo, che rappresenta il 43 per cento degli acquisti dall’estero (dati 2020). Seguono a distanza quello algerino (circa 23 per cento), quello norvegese (11 per cento) e quello del Gatar (10 per cento).Il nostro, inoltre, è uno dei paesi europei più vulnerabili a un’interruzione delle forniture russe: sia per i volumi importati, sia perché è molto legato alle condotte russe che passano per l’Ucraina, ovvero quelle che più probabilmente verrebbero interrotte in caso di guerra. L’Italia condivide quest’ultima vulnerabilità con l’Austria, che infatti rientra nel blocco degli stati europei meno inclini alla durezza sanzionatoria verso Mosca.Le sanzioni sono rivolte verso tutti i membri della Duma di stato (la camera bassa del parlamento russo) che hanno votato a favore del riconoscimento dei territori separatisti, verso ventisette individui o entità che minacciano direttamente l’integrità territoriale ucraina e verso le banche che finanziano i ribelli del Donbass (la regione dell’Ucraina orientale dove si trovano le repubbliche in questione).Il Ministero dell’Economia attraverso l’agenzia Sace controlla gli investimenti esteri e la Russia è il quattordicesimo mercato di destinazione per le esportazioni italiane, nel 2021 l’export italiano in Russia è valso 8 miliardi di euro, leggermente superiore ai valori del 2019 e nettamente rispetto a quelli del 2020 (7,1 miliardi). Le previsioni al 2024 indicano un incremento progressivo su base annua, da 8,8 miliardi nel 2023 a 9,1 nel 2024.Nel 2020, a fronte di esportazioni per 7,1 miliardi, le importazioni italiane dalla Russia sono valse 9,1 miliardi. Sace possiede un portafoglio di attività in Russia dal valore di circa 3,2 miliardi di euro e i resoconti fissano la quota di mercato dell’export italiano in Russia al 4,4 per cento. Si tratta di un valore superiore a quelli di Francia (3,5 per cento) e Spagna (1,3 per cento), ma inferiore a quello della Germania (10,2 per cento). L’Italia esporta in Russia principalmente macchinari, abbigliamento, apparecchi elettronici e prodotti chimico-farmaceutici. Vi importa, invece, soprattutto prodotti minerari, petroliferi e metallurgici. La bilancia commerciale pende nettamente dalla parte della Russia .Secondo la valutazione della Sace, il rischio politico in Russia è medio (52/100). Ma il rischio di guerra e disordini civili è considerato più alto (61/100), così come quello di credito (61/100) e di mancato pagamento dalla controparte bancaria (68/100) e corporate (74/100).I settori più sofferenti sono il calzaturiero e l’abbigliamento , molte società energetiche, industriali, e reti bancarie.
La genitorialità condivisa NON è condivisa
Alessandra Servidori La genitorialità condivisa non è condivisa https://www.ilsussidiario.net/news/genitorialita-condivisa-il-grande-assente-nella-riforma-della-giustizia/2294488/
La riforma della giustizia italiana all’attenzione di questi giorni sia per il ddl Cartabia approvato dal CDM sia per l’esito dei referendum sottoposti alla Suprema Corte tralascia colpevolmente una legge che a giudizio di maggioranza e opposizione ,va assolutamente modificata”.E’la 54/2006 che disciplina il principio ‘per cui entrambi i genitori hanno il diritto e il dovere a provvedere all’educazione, l’istruzione e il mantenimento dei figli, anche al di fuori del matrimonio’. Ma ‘al IV comma del articolo 337ter c.c. (nuovo articolo 155 c.c., ) e’ indicato che per provvedere ai bisogni dei figli, ciascun genitore fornisce quello che gli serve in proporzione delle risorse e l’assegno viene disposto soltanto ove sia necessario, per rispettare le proporzioni tra redditi e oneri. Tutti i tribunali hanno adottato un protocollo firmato dalla I sezione civile del Lazio e nel provvedimento del giudice, ‘sui compiti di cura previsti dalla legge, non viene indicato alcunche’, quindi spesso a causa di liti tra genitori ,il problema si scarica sui minori a cui viene a mancare il diritto al mantenimento. Contemporaneamente il minore non viene neanche ascoltato tradendo la legge che indicava, ad esempio, che il giudice disponesse l’ascolto del minore’, poiché successivamente nel 2013 con il decreto legislativo 154/2013 al Governo, con delega del Parlamento, e’ stato chiesto di prendere delle decisioni solo circa ‘l’equiparazione della filiazione naturale a quella legittima, e in questo caso il Governo ha incaricato addirittura il potere giudiziario’poiché è’ stato aggiunto: salvo che il magistrato ‘non lo ritenga contrario all’interesse del minore o manifestatamente superfluo’. Cosi’, a tradurre il linguaggio giuridico, tutti i frequenti mancati ascolti dei bambini in caso di affido diventano legittimi. Dove prima era obbligatorio ascoltare il minore’, adesso non lo e’ piu’. ‘La bigenitorialita’ non e’ un principio astratto, ma un valore posto dell’interesse del minore che deve essere adeguato ai tempi e al benessere del bambino’. Il rifiuto di un bambino di frequentare un genitore, ‘non e’ certamente un fatto fisiologico, denuncia un malessere che puo’ avere diverse origini’.La legge inoltre indica ‘una volonta’ di rendere realmente pari la condizione della donna anche all’interno della famiglia. Per quanto riguarda i Servizi Sociali, si deve porre attenzione alla genitorialità nel suo complesso e alle situazioni di separazione/divorzio, anche se in ritardo rispetto all'Europa e al resto del mondo. L'Italia ha un concetto di famiglia che risolve i problemi al suo interno e non richiede l'aiuto del sociale e fino a poco tempo fa si poteva contare su una serie di aiuti da parte della famiglia allargata , che adesso non esiste più e il sociale deve attivarsi per sostenerla ma in modo efficiente e corretto, posto che negli ultimi periodi si sono verificati degli abusi poi perseguiti giudizialmente di alcuni servizi ,e vero è che nelle politiche familiari non vengono individuati interventi specifici relativi ai genitori separati, a livello nazionale. Nel momento in cui è scardinato il principio regolatore dell’affidamento condiviso,ossia il riconoscimento paritetico dei diritti e dei doveri di entrambi i genitori nell’educazione e crescita dei figli la discriminazione tra genitore collocatario e non collocatario reintroduce quelle differenze che, soprattutto inizialmente, rendono più appetibile il primo ruolo rispetto al secondo,preferendo la soluzione del contenzioso a quello della mediazione. La società civile manifesta da lungo tempo un disagio crescente e insostenibile, senza riscontri significativi da parte delle istituzioni e dopo aver depositato numerosi disegni di legge per la riforma della legge 54/2006 tradita.
Nuova Professionalità Innovazione e pari opportunità.Ripresa post covid e gender gap
Rubriche NUOVA PROFESSIONALITÀ _III/3 (2022) ISSN 2704-7245 17 Innovazione e pari opportunità Ripresa post-pandemica e gender gap
a cura di Alessandra Servidori** Componente del Consiglio d’indirizzo per l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
L’Inapp a fine dicembre ha presentato un rapporto sulla ripresa post pandemica dalla quale è risultato che mentre il PNRR promette un’attenzione trasversale alla parità di genere in tutti i campi, la ripresa non sta favorendo le donne. Prevalenti i contratti precari e a orario ridotto, ancora pesante la gestione dei carichi familiari. La ripresa della post pandemia è, dunque, all’insegna della precarietà e della discontinuità occupazionale per le donne: sono a tempo indeterminato solo il 14% dei nuovi contratti e solo il 38% delle stabilizzazioni da altre forme contrattuali. Il 49,6% di tutti i contratti femminili, inoltre, è a tempo parziale, contro il 26,6% degli uomini. Si ampliano quindi i gap di genere (di occupazione e di retribuzione) e allo stesso tempo si acuiscono i divari territoriali. In questo anno e mezzo di pandemia, secondo il Gender Policies Report elaborato dalla Struttura Mercato del Lavoro dell’INAPP, le donne hanno dovuto affrontare uno stress test particolare dovendo moltiplicare gli sforzi e spesso trovandosi di fronte al bivio di scegliere tra lavoro e famiglia. Vero è che l’aumento delle diseguaglianze di genere è cresciuto e parte da un dato strutturale dell’occupazione che vede al 67,8% il tasso di occupazione degli uomini e al 49,5% quello delle donne. La pandemia non ha fatto che allargare questo divario, per questo occorre intervenire non tanto con bonus o iniziative spot ma iniziando a adottare, sin dalla fase di progettazione, una valutazione di quali possono essere gli effetti su uomini e donne di politiche concepite come universali e quindi neutre. Un metodo e una sfida che l’Europa ci chiede dal 2006 e che di recente ha ribadito lo stesso Parlamento europeo nella Risoluzione sul Next Generation EU. Purtroppo, la questione della scarsa quantità e qualità dell’occupazione femminile nel nostro Paese continua ad essere percepita come una questione di parte: la questione non è solo di pari opportunità di genere, ma di sviluppo economico di un Paese che continua a lasciare in panchina metà della sua formazione vincente. Nel Rapporto si evidenzia come nel primo semestre del 2021 (ma la tendenza è in atto anche per i mesi successivi e ancora mentre scriviamo) i nuovi contratti attivati sono 3.322.634 di cui 2.006.617 a uomini e -Rubriche NUOVA PROFESSIONALITÀ _III/3 (2022) ISSN 2704-7245 1.316.017,- (ossia il 39,6% del totale) a donne. Il 35,5% sono rivolti a giovani under 30, mentre oltre il 45% si colloca tra i 30 e i 50 anni senza rilevanti differenze di genere. Prevalgono per entrambi le forme contrattuali a termine, ma l’incidenza della precarietà e discontinuità per le donne è maggiore, con un ruolo prevalente della piccola impresa fino a 15 dipendenti. La ripresa inoltre non avviene alla stessa velocità e con lo stesso modello in tutte le regioni italiane. Dato comune è che in tutte le regioni i contratti stipulati a donne sono sempre inferiori a quelli degli uomini: le donne sono un terzo del totale in Basilicata, Sicilia e Calabria. Sono sotto il 40% in Calabria, Molise, Puglia, Lombardia, Abruzzo e Lazio; tutte le altre si collocano tra il 41% e il 46,5%. L’ incidenza più elevata viene registrata in Trentino-Alto Adige. Rispetto alla “quantità” di nuova occupazione creata, l’Italia presenta 4 scenari diversi: Con oltre i 100.000 contratti a donne si collocano Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Veneto; dalle 50.000 alle 100.000 attivazioni Toscana, Piemonte, Campania, Puglia e Sicilia; dai 15.000 ai 50.000 contratti a donne: Trentino A. Adige, Marche, Sardegna, Liguria, Abruzzo, Friuli, Calabria e Umbria e al di sotto delle 15.000 attivazioni sono Basilicata, Valle d’Aosta e Molise. «Ma – si legge nel Rapporto – se si associa questo dato alla percentuale di stabilità e alla quota di part time, si evidenzia che maggiore occupazione non sempre determina automaticamente maggiore stabilità o maggiore redditività». Per questo è importante guardare alla ripresa nelle sue reali potenzialità di sostenere una buona occupazione nel lungo periodo. Questo scenario presenta, al momento, una conferma e una sorpresa: la conferma a livello regionale, del dato nazionale circa il traino sull’occupazione creata dalle forme a termine e discontinue e dall’elevata presenza del tempo parziale come condizione di ingresso. La sorpresa è il ruolo delle Regioni del Mezzogiorno, che pur a fronte di un numero di attivazioni al di sotto delle 80.000 unità presentano un’incidenza del tempo indeterminato superiore alla media nazionale e superiore a quella di diverse regioni del Centro Nord. Meno contratti e più stabili, testimonierebbe il caso della Campania ad esempio con oltre 75 mila contratti e il 21,4% a tempo indeterminato. O la Sicilia con 59.230 contratti di cui il 17,7% a tempo indeterminato o la Calabria, in cui i 20.373 contratti presentano una quota stabile del 18%. Attenzione tuttavia, ad un dato che riduce l’ottimismo – concludono i ricercatori e le ricercatrici - Proprio in queste regioni, accanto alla ridotta nuova occupazione continua a registrarsi la quota di tempo parziale femminile tra le più alte d’Italia, fattore che rappresenta una delle cause dei già elevati differenziali retributivi tra uomini e donne. Si tenga conto che proprio per contrastare il differenziale retributivo è entrata in vigore il 3 dicembre 2021, la legge sulla parità salariale che premia l’impegno di due direttrici della riforma: contrastare il salary gap tra uomo e donna e favorire la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e -Rubriche NUOVA PROFESSIONALITÀ _III/3 (2022) ISSN 2704-7245- riguarda le aziende oltre i 50 dipendenti. Vengono previsti un documento di certificazione delle politiche e misure adottate per ridurre il divario di genere, sgravi per le aziende virtuose e sanzioni e verifiche ad opera dell’Ispettorato del lavoro per quelle che violassero la norma. La legge 5 novembre 2021 n. 162 è un punto di partenza per cambiare la cultura, seppure in Italia, su 4,4 milioni di imprese, solo 29mila siano sopra i 50 dipendenti (Fonte Istat 2019). La legge istituisce, dal 1° gennaio 2022, una certificazione della parità di genere il cui possesso consentirà alle imprese di beneficiare di un esonero dal versamento dei contributi previdenziali, nel limite dell’1% e di 50.000 euro annui per ciascuna azienda. Il documento di certificazione vuole attestare le politiche e le misure concretamente adottate dal datore di lavoro per ridurre il divario di genere, quali, ad esempio, le opportunità di crescita in azienda, l’uguaglianza salariale a parità di mansioni, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità. Sarà, in seguito, il Presidente del Consiglio dei Ministri, mediante apposito decreto/i, a stabilire: (i) i parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere da parte delle aziende; (ii) le modalità di acquisizione e di monitoraggio dei dati trasmessi dai datori di lavoro e resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali; (iii) le modalità di coinvolgimento nel controllo e nella verifica, del rispetto dei parametri indicati, delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla L. n. 56/2014; (iv) le forme di pubblicità della certificazione della parità di genere. Inoltre, verrà istituito, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un Comitato tecnico permanente sulla certificazione di genere nelle imprese. Come ricordato, a partire dall’anno 2022, alle aziende private in possesso della certificazione della parità di genere sarà accordato un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, nel limite dell’1% e di 50.000 euro annui per ciascuna azienda, tenuto conto che l’esonero sarà riadeguato e applicato su base mensile, con un apposito decreto da adottare entro il 31 gennaio 2022. Le risorse pubbliche stanziate annualmente dovrebbero essere pari a 50 milioni di euro e, al riguardo, è utile precisare come lo sgravio in parola sia in misura differente rispetto a quello già attualmente in vigore per le assunzioni di donne. Alle aziende private che, alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento, siano in possesso della certificazione della parità di genere la norma riconosce un punteggio premiale per la valutazione, da parte delle Autorità di volta in volta competenti, della concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici in genere. Peraltro, anche nell’ambito dei bandi di gara, negli avvisi o negli inviti relativi a procedure per l’acquisizione di servizi, forniture, ecc., il possesso di una certificazione di parità di genere dal punteggio più alto determinerà un miglior posizionamento in graduatoria dell’azienda partecipante. La legge sulla parità -Rubriche NUOVA PROFESSIONALITÀ _III/3 (2022) ISSN 2704-7245 salariale introduce l’obbligo per le aziende pubbliche e private con “oltre 50” dipendenti (prima la soglia era pari a “100”) di redigere un rapporto, da inviare entro il 31 dicembre, ogni due anni, sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni. La relazione dovrà riguardare anche gli ambiti della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica e segnalare anche l’equa applicazione tra uomo e donna delle misure straordinarie, quali licenziamenti collettivi, ammortizzatori sociali, prepensionamenti e pensionamenti ecc. La violazione di detto obbligo può comportare sanzioni e verifiche ad opera dell’Ispettorato del lavoro. Alessandra Servidori
Lunedì 7 febbraio in piazza con l'ombrello per sostenere le madri alle quali tolgono i figli
Alessandra Servidori
UN LUNEDI 7 FEBBRAIO IN PIAZZA CON L’OMBRELLO PER SOSTENERE LE MADRI ALLE QUALI VIENE INGIUSTAMENTE LEVATO IL PROPRIO FIGLIO –
Modifichiamo insieme la legge 54 del 2006 C’è una legge, anzi la sua applicazione, che scoraggia le donne dal denunciare le violenze in famiglia, una legge che le espone al ricatto attraverso le sofferenze che vengono inflitte ai figli. E’ la 54 del 2006 – Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento – con cui si equiparano la figura materna e paterna, cancellando la differenza e l’importanza della relazione affettiva primaria con la madre, specie nei primi anni di vita del figlio e lasciando spazi per una suddivisione del figlio tra i genitori separati, noncurante dell’esigenza di stanzialità del figlio, del suo habitat, del suo equilibrio. Da quel momento inizia il calvario per molte donne e i loro figli perché la legge diventa uno strumento di controllo e di addomesticamento delle vittime di violenza in famiglia; è sufficiente accusare la madre di PAS, una sindrome inesistente, ma che ha trovato cittadinanza nei Tribunali italiani, per vedere i figli strappati, letteralmente, alle madri dalle forze dell’ordine, neanche fossero dei criminali, per essere depositati in casa famiglia o ancora peggio collocati con i padri e affidati al servizio sociale.Più precisamente, e per chi non ne ha mai sentito parlare, la PAS è un acronimo che sta per “sindrome di alienazione parentale”, una teoria nata in America che individua nella madre la principale responsabile del pessimo rapporto tra padre e figli. Non si valutano le responsabilità paterne, si puniscono le madri per l’agito sbagliato paterno! Quindi se la donna denuncia o sottolinea la violenza subita nel corso di una causa civile per l’affido dei figli, passa dalla parte del torto. Le contestano di essere responsabile di creare un conflitto, di essere una madre malevola. Teoria sconfessata dalla sentenza 13274 del 2019 con cui la Cassazione stabiliva che l’affido esclusivo di un minore a un genitore non si può fondare solo sulla diagnosi di sindrome dell’alienazione parentale (PAS) o sindrome della ‘madre malevola’. Dalla Suprema Corte arriva un altro verdetto destinato a fare giurisprudenza nella sconfessione di un istituto, di cui viene spesso messa in dubbio la scientificità, ma che continua a essere utilizzato, talvolta sotto altri nomi o evocato con altri giri di parole, nei Tribunali, con l’esito di allontanare i bimbi dalle loro madri. Grazie alla invocazione della PAS sono diverse e ormai note le storie delle donne punite per aver denunciato abusi, infatti, oltre al danno la beffa di essere considerate madri malevole se, com’è ovvio, un figlio rifiuta di vedere il padre che ha visto picchiare la madre. Madri accusate di influire sul comportamento del figlio che viene collocato in casa famiglia dove sarà addomesticato a sua volta per ‘accettare’ il genitore che rifiuta e di cui ha paura. Madri che, nel frattempo, vengono travolte da un giro infernale di carte bollate, di consulenze tecniche, di colloqui con gli assistenti sociali… L’esperienza di chi ha subito questo trattamento scoraggia tante donne dal denunciare il compagno o marito violento per paura di perdere i figli o di farli soffrire. Le leggi che dovrebbero tutelare soggetti a rischio come donne e bambini, si sono rivelate inefficaci ( o male applicate) e sono diventate strumenti micidiali nelle mani di chi ha più potere e più denaro, e non si tratta quasi mai di donne, ma di uomini che, in nome della bigenitorialità, si vendicano. In questi anni, però, abbiamo imparato a conoscere le donne che si sono sottratte allo statuto di vittime e hanno risposto con determinazione e coraggio agli atti di guerra maschili. Donne e cittadine che sostengono il conflitto con azioni politiche mirate, che organizzano presìdi e sit-in, nelle piazze e davanti ai Tribunali. Donne che parlano alle donne e alla società civile, a quanti hanno occhi per vedere e orecchie per sentire, come noi che firmiamo questo documento.Mentre gran parte della politica e delle istituzioni sono, ancora una volta, cieche e sorde, ma sempre molto sensibili alle varie lobby che spingono per avere il controllo sul corpo generativo e sessuato delle donne. E il potere di decidere dei figli come moderni pater familias. L’unica e lodevole eccezione la “Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere” che sta conducendo un’indagine sulla vittimizzazione secondaria. Noi siamo con le mamme che hanno coraggio perché donne. E vogliamo contrastare la progressiva scomparsa delle donne e delle madri, del valore sociale della maternità e della relazione di attaccamento madre figlio: questi sono i presupposti per negare l’importanza del collocamento prevalente dei figli con la madre, dell’esigenza di stanzialità dei minori contro un collocamento paritario o a terzi.Dobbiamo fare – vogliamo fare – quanto è possibile per individuare strumenti e azioni politiche per agire di conseguenza. Le responsabilità sono tante e diverse, a cominciare dallo Stato per la falsa applicazione dell’art.31 della convenzione di Istanbul che prevede in merito alla custodia dei figli in casi di violenza che di ciò si tenga conto nelle decisioni relative all’affidamento. Attualmente i tribunali applicano invece il diritto alla bigenitorialità (etico, ovvero non codificato) come prevalente rispetto al benessere del minore e della relazione con la madre genitore accudente e tutelante, giungendo ad allontanarlo dalla stessa. NOI A BOLOGNA IN PIAZZA NETTUNO DALLE 11 ALLE 12
4 febbraio 2022 Noi contro il Cancro
ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO (ILO)
“ESPOSIZIONE OCCUPAZIONALE A SOSTANZE CHIMICHE PERICOLOSE ED EFFETTI SULLA SALUTE: UNA REVISIONE GLOBALE”
Autori
Manal Azzi (ILO)
Halshka Graczyk (ILO)
Daniele Mandrioli (Istituto Ramazzini)
Pubblicazione
7 Maggio 2021, Ginevra, ILO
SOMMARIO
Introduzione
I lavoratori di tutto il mondo stanno affrontando una crisi sanitaria globale a causa dell'esposizione professionale a sostanze chimiche tossiche. Ogni anno più di 1 miliardo di lavoratori è esposto a sostanze pericolose, inclusi inquinanti, polveri, vapori e fumi nei loro ambienti di lavoro. Molti di questi lavoratori perdono la vita a causa di queste esposizioni in seguito a malattie mortali, tumori e avvelenamenti, o in seguito a lesioni mortali derivate da incendi o esplosioni. Dobbiamo anche considerare l'onere aggiuntivo che i lavoratori e le loro famiglie devono affrontare in seguito a lesioni non mortali con conseguenti disabilità, malattie croniche debilitanti e altre sequele, che purtroppo in molti casi restano invisibili. Tutti questi morti, infortuni e malattie sono del tutto prevenibili.
L' Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha da tempo riconosciuto che la protezione dei lavoratori da sostanze chimiche pericolose è essenziale per garantire la salute e ambienti sostenibili. Tuttavia, i lavoratori continuano a essere esposti in modo sproporzionato a sostanze chimiche in quasi tutti settori lavorativi. La produzione di prodotti chimici e il numero di industrie che li utilizzano sono in espansione, il che significa un alto potenziale per un aumento di esposizioni professionali. Inoltre, a causa della continua introduzione di nuovi prodotti chimici ogni anno, le strategie per regolare l'esposizione, quali ad esempio l'implementazione di limiti d’esposizione professionale, fanno fatica a tenere il passo. Vi è quindi un urgente bisogno di agire e di attuare misure efficaci per prevenire danni ai lavoratori, alle loro famiglie e alla comunità.
In risposta alla crescente preoccupazione internazionale per la sicurezza chimica, è stato sviluppato lo Strategic International Chemicals Management (SAICM) che funge da quadro per le politiche di promozione della sicurezza chimica. Le considerazioni sull'esposizione professionale sono al centro del programma SAICM Beyond 2020 e sono necessarie misure ancora più forti in questo nuovo quadro per proteggere i lavoratori dalle esposizioni alle sostanze chimiche.
Questa revisione globale è stata intrapresa al fine di fornire una solida base di prove per gli sforzi politici. Come tale, rappresenta un'analisi necessaria e completa delle tendenze e delle priorità recenti quando si tratta della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori dalle esposizioni chimiche professionali.
Principali risultati
Le principali esposizioni chimiche identificate come prioritarie includono:
1. Amianto
2. Silice
3. Metalli pesanti
4. Solventi
5. Coloranti
6. Nanomateriali artificiali (MNM)
7. Sostanze perfluorurate (PFAS)
8. Interferenti endocrini (EDC)
9. Pesticidi
10. Inquinamento atmosferico sul posto di lavoro
Per la stragrande maggioranza delle esposizioni chimiche, non esistono dati a livello locale, regionale e globale e il numero di lavoratori esposti non può nemmeno essere stimato.
- Solo un numero limitato di esposizioni professionali a sostanze chimiche è considerato, monitorato e regolamentato nei luoghi di lavoro. A causa della mancanza di informazioni complete sull'esposizione chimica dei lavoratori e i rispettivi effetti come morte, cancro, ecc., il carico globale di malattia è spesso mancante o gravemente sottovalutato.
- Sebbene alcune sostanze chimiche pericolose siano state gradualmente eliminate, numerose sostanze tossiche vengono ancora utilizzate a livello globale, e i lavoratori dei paesi a basso e medio reddito (LMIC) sono particolarmente esposti.
- Il cancro è la principale causa di morte correlata al lavoro e più di 200 sostanze diverse sono state identificate come cancerogeni umani noti o probabili e molte di queste esposizioni si verificano sul posto di lavoro.
- L'esposizione professionale a sostanze chimiche ha effetti tossici su diversi sistemi corporei, inclusi quelli riproduttivi, sistema cardiovascolare, respiratorio e immunitario, nonché su organi specifici, come il fegato e cervello.
Azioni prioritarie
La presente revisione dimostra chiaramente la necessità di un'azione tempestiva per proteggere i lavoratori nei diversi settori economici in tutto il mondo. Le azioni chiave per garantire la protezione dei lavoratori e gli sforzi di prevenzione includono rigorosi limiti di esposizione professionale basati sull'evidenza scientifica, misure sul posto di lavoro che seguano la gerarchia di controllo, e l'eliminazione graduale e le restrizioni di alcune sostanze chimiche. Ulteriori punti chiave sono:
*Le politiche per una efficace gestione delle sostanze chimiche dovrebbero sempre seguire un approccio sistemico, come indicato nella Convenzione n.187 del quadro promozionale dell'ILO per la sicurezza e la salute sul lavoro.
- Gli standard internazionali del lavoro sono fondamentali per rispondere alla crisi della salute sul lavoro posta da sostanze chimiche. Convenzioni chiave dell'ILO relative alla gestione sicura delle sostanze chimiche, inclusa la Convenzione ILO n.170 sui prodotti chimici e la Convenzione ILO n 174 per prevenzione degli incidenti industriali maggiori, devono essere ratificate ed attuate in via prioritaria.
- Una cultura della prevenzione in salute e sicurezza dovrebbe essere implementata a livello nazionale e sul posto di lavoro, con le diverse parti interessate coinvolte a tutti i livelli.
- Limiti di esposizione professionale (OEL) armonizzati e basati sull'evidenza scientifica devono essere stabiliti, aggiornati, implementati ed applicati per tutte le principali sostanze chimiche pericolose.
- Sul posto di lavoro, si raccomanda un approccio programmatico per una efficace gestione delle sostanze chimiche, così come una strategia sul posto di lavoro che includa l'identificazione delle sostanze chimiche, una valutazione di rischio globale e l’attuazione delle misure di controllo.
- Le misure preventive devono essere implementate seguendo la Gerarchia dei Controlli, come stabilito in Guida dell'ILO.
- C'è un urgente bisogno di archivi e banche dati globali armonizzati sull'esposizione occupazionale a sostanze chimiche e i conseguenti effetti sulla salute dei lavoratori.
- Ulteriori ricerche sulle malattie non trasmissibili (NCD) dovrebbero essere considerate una priorità, così come sul rapporto tra esposizioni chimiche e malattie infettive. La pandemia di COVID-19 ha evidenziato la necessità di sviluppare sforzi politici reattivi che prendano in considerazione gli aspetti multidimensionali di salute e sicurezza sul lavoro.
- Sono necessari sforzi per generare dati disaggregati per genere per identificare e prevenire le esposizioni e i relativi impatti sulla salute che risultano amplificati a causa del genere e da fattori biologici.
- Il dialogo sociale è essenziale per promuovere una comunicazione trasparente e attiva tra le parti interessate a tutti i livelli.
- C'è bisogno di un maggiore coinvolgimento degli stakeholder del mondo del lavoro in SAICM e in altri sforzi politici internazionali in materia di sostanze chimiche, nonché lo sviluppo di un solido quadro di governance.
Sebbene gli effetti sulla salute di alcune esposizioni chimiche professionali siano ben stabiliti, è probabile che gli impatti sulla salute a lungo termine di alcune sostanze chimiche diventino evidenti solo negli anni a venire. Tuttavia, ciò che è chiaro è che l'utilizzo di sostanze chimiche pericolose nei prodotti di consumo e nei processi industriali continuerà ad aumentare nei prossimi anni, portando ad un maggior carico di malattie ed effetti negativi per l'ambiente. Non possiamo più permetterci di essere compiacenti nella nostra cattiva gestione globale dei prodotti chimici[AS1] ed è urgentemente necessario un nuovo approccio per proteggere i miliardi di lavoratori esposti ogni giorno. Sistemi per la gestione delle sostanze chimiche che siano efficaci e basati sulle evidenze scientifiche devono essere implementati con urgenza sia a livello nazionale che sul posto di lavoro.
La certificazione di genere : non sprechiamo le risorse
Alessandra Servidori start mag
https://www.startmag.it/economia/certificazione-genere-legge-bilancio/
La questione femminile è sempre molto all’attenzione dell’impegno, soprattutto quando ci troviamo in situazioni imbarazzanti ( per usare un eufemismo) in occasione dell’uso in generale per i nomi usati inutilmente per l’elezione del Presidente della Repubblica, ed in particolare per le “due donne” agitate come obiettivo innovativo e poi rinnegate durante la sofferta settimana scorsa. Una questione mi preme approfondire ed è riferita alla legge di bilancio 2022 e legata a doppio filo sui progetti del Pnrr per quanto riguarda gli strumenti finanziati per aumentare l’occupazione femminile. Si tratta della “Certificazione di genere” in quanto i datori di lavoro virtuosi, cioè certificati, potranno ottenere, a partire dal 2022, uno sgravio contributivo in misura pari all’1% delle somme da versare, con il limite massimo di 50mila euro annui, con una dotazione prevista di 50 milioni di euro complessivi se adotteranno lo” strumento certificatorio” delle buone prassi che assicurano pari opportunità e contrasto alle discriminazioni. Verrà anche riconosciuto un «premio di parità» consistente nell’attribuzione, alle imprese dotate di certificazione, di un punteggio aggiuntivo per la partecipazione ad appalti e gare indetti dalle Pubbliche amministrazioni e per finanziamenti europei, nazionali e regionali.Di certificazioni di genere, come ho richiamato più volte, negli anni passati ne abbiamo eseguite ben due ,una nel 2008 ( che ha partorito un pseudo bollino rosa ) e una nel 2014 ,entrambe realizzate con ingenti somme che non hanno dato i risultati attesi e soprattutto “premiato”le solite grandi aziende .Ora si riprova ma rimango ancora oggi fortemente dubbiosa sulla realizzazione e soprattutto sulla utilità per le piccole aziende che già oggi soffrono di difficoltà evidenti. Infatti la questione è legata alle risorse impegnate poiché ,tranne in alcuni casi, gli aiuti di Stato sono vietati dalla normativa europea e dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea che disciplina la materia agli articoli 107 e 108. Il Dipartimento Politiche Europee, attraverso l'Ufficio per il Coordinamento in materia di aiuti di Stato, cura il rapporto tra tutte le amministrazioni centrali e regionali per assicurare il rispetto delle norme europee. Gli aiuti di Stato (concessi per via amministrativa o per legge) possono determinare distorsioni della concorrenza, favorendo determinate imprese o produzioni. Possono essere compatibili con il Trattato di Lisbona, solo se realizzano obiettivi di comune interesse chiaramente definiti. Con la COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Modernizzazione degli aiuti di Stato dell’UE /* COM/2012/0209 final si è ulteriormente approfondita la materia */omissis .” Un controllo degli aiuti di Stato più incisivo e più mirato può incoraggiare la definizione di politiche che stimolano la crescita e garantire che le distorsioni della concorrenza rimangano limitate, in modo che il mercato interno resti aperto e concorrenziale. Un controllo di questo tipo può altresì contribuire a migliorare la qualità delle finanze pubbliche. Un quadro più mirato consentirà agli Stati membri di dare un migliore contributo sia all'attuazione della strategia Europa 2020 per la crescita sostenibile che al consolidamento di bilancio. La modernizzazione del controllo degli aiuti di Stato è necessaria per migliorare la qualità dell'analisi della Commissione e fare di tale strumento un mezzo in grado di promuovere un impiego adeguato delle risorse pubbliche e l'attuazione di politiche orientate alla crescita, limitando le distorsioni della concorrenza che metterebbero a rischio le condizioni di parità nel mercato interno. L'attuale complessità delle norme sostanziali e del quadro procedurale, che si applicano nello stesso modo sia ai casi più piccoli che a quelli più grandi, rappresenta una sfida per il sistema di controllo degli aiuti di Stato. Vi sono anche altri elementi che corroborano la necessità di un ampio pacchetto di misure di modernizzazione di tutta la politica degli aiuti di Stato dell’UE tra cui la preparazione del quadro finanziario pluriennale dell’UE e delle norme sui fondi strutturali dell'UE per il periodo 2014-2020; e, non da ultimo, il rafforzamento del sistema di sorveglianza economica e di bilancio, nel quadro del semestre europeo. Il compito dello Stato membro è quello di cercare di contemperare l'esigenza nazionale di accrescere l'efficienza del mercato dal punto di vista economico con le esigenze di equilibrio dei mercati sotto il profilo della concorrenza. Ogni progetto di norma che preveda la concessione di un nuovo beneficio deve essere tempestivamente notificato, insieme a tutte le informazioni necessarie, dallo Stato membro interessato alla Commissione UE che adotta in merito una decisione con la quale stabilisce se l'agevolazione in questione è compatibile con le regole del Trattato. Per la cd “certificazione di genere” è prevista una cabina di regia per la quale si è tuttavia in attesa dei decreti interministeriali attuativi con i quali verranno stabiliti i parametri minimi per il conseguimento della certificazione nonché le modalità di acquisizione e monitoraggio dei dati e di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e dei consiglieri di parità. Non sono conosciuti i criteri e i requisiti minimi per la certificazione, né quali saranno gli organi preposti alla certificazione. C’è da attendersi che si sviluppi un nuovo ramo di consulenza aziendale forse allineato alla ISO 30415:2021 HR Management – Diversity and Inclusion.Ci chiediamo se lo strumento di cui si discute sia un ulteriore inutile adempimento burocratico o consenta effettivamente di fare un passo avanti nel percorso verso un’effettiva parità di genere. Per non distrarre energie ricordo che nel mese di maggio 2021, l’ISO (International Standard Organization) ha pubblicato la prima Certificazione Internazionale sulla Diversity & Inclusion, la ISO 30415:2021 Human Resource Management -Diversity and Inclusion.
MOBBING : ci vuole la legge
ALESSANDRA SERVIDORI https://www.ilsussidiario.net/news/mobbing-la-legge-necessaria-per-tutelare-i-lavoratori/2284255/
Il Mobbing : Reato del Codice penale e Convenzione Oil
In questo periodo di pandemia ,ora sempre di più di epidemia, si intensificano le denunce sul lavoro di discriminazioni e di mobbing. Per la Cassazione, il mobbing consiste in un insieme di comportamenti vessatori e/o persecutori, prolungati nel tempo e lesivi della dignità personale e professionale del lavoratore nonché della salute psicofisica dello stesso, perpetrati nei suoi confronti da parte di superiori e/o colleghi.Scopo del mobbing è l’isolamento del/della dipendente,la sua emarginazione,l’umiliazione. Il mobbing è innanzitutto un illecito civile che potrebbe comportare una malattia professionale indennizzabile nell’ambito del cosiddetto danno biologico. Spetta al dipendente che contesti la presenza di mobbing dimostrare la nocività dell’ambiente lavorativo, il danno subito e la riconoscibilità di tale danno all’ambiente lavorativo. In Italia il reato di mobbing si avvale di sentenze giurisprudenziali non alimentate da una apposita specifica norma. La prima sentenza inizia nel 2001 a cura della Corte di Appello -il 12 marzo n. 10090- che avvalendosi di una segnalazione della Procura di Torino condanna il delitto di maltrattamento da parte di datore di lavoro in danno di persone sue dipendenti. Per ben 10 anni si ripetono queste denunce e sentenze ,seguite da sentenze di Cassazione nel 2018 condannando condotte vessatorie e comportamenti persecutori, svolti con carattere sistematico e duraturo diretti a danneggiare il lavoratore /lavoratrice al fine di estrometterlo dal lavoro,richiamando l’art 612-bis del codice penale. Cosi’ come la successiva sentenza del 9 novembre 2020 reiterando accuse di plurimi atteggiamenti che esprimono ostilità verso la vittima dipendente nell’ambiente di lavoro sia idonea a cagionare eventi di norma incriminatrice e dunque penale. Oil nella Convenzione del 21 giugno 2019 sull’eliminazione delle violenze e molestie sul luogo di lavoro, esecutiva peraltro in Italia dal gennaio 2021, indica nelle molestie di genere persecutorie che causano danno fisico,psicologico sessuale od economico l’introduzione di sanzioni . Alla Camera dei Deputati e contestualmente al Senato sono depositate dal 2019 proposte di legge che prefigurano,prevedendo articolati comportamenti perseguibili,sanzioni penali integrando l’art del cp 612-bis a sua volta intitolato 612-ter “Atti vessatori in ambito lavorativo” che compromettono la salute o la professionalità o la dignità della persona in forza del quale il reato è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Ora non esiste nella legislazione vigente uno specifico reato di mobbing. Tuttavia, considerata la varietà di forme che le condotte persecutorie possono assumere nei casi concreti, alcuni dei comportamenti posti in essere potrebbero talvolta integrare fattispecie criminose previste dal codice penale a tutela dell’incolumità individuale, dell’onore, della libertà personale e morale, ecc.Il lavoratore/lavoratrice vittima di mobbing dovrà quindi in particolar modo dimostrare che le condotte poste in essere nei suoi confronti non rientrano nell’esercizio dei normali poteri di organizzazione e controllo delle attività riconosciuti al datore di lavoro, né si limitano a semplici e tutto sommato fisiologici episodi di conflittualità sul luogo di lavoro, ma integrano al contrario una vera e propria strategia persecutoria finalizzata a porre la persona che ne è bersaglio in uno stato di grave e profondo disagio. Attendiamo dunque una legge che ne chiarisca la norma di riferimento così che la vittima acquisita la prova delle condotte vessatorie, la sussistenza di determinate poste di danno (in particolare alcune tipologie di danno non patrimoniale tradizionalmente indicate come danno morale e come danno esistenziale) non sarà solo essere desunta dal giudice anche solo in via presuntiva, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto dedotto alla sua attenzione, ma di chiaro riferimento legislativo e dunque punibile.