Decreto Flussi ;vediamo un pò.......
FRANCESCO COMELLINI -FAC- Decreto flussi ...... vediamo un pò
Il nuovo decreto-legge in materia di immigrazione, approvato il 5 settembre scorso dal Consiglio dei Ministri, stando al testo visionato, pur introducendo misure di civiltà come l'ingresso fuori quota per l'assistenza a disabili e anziani previsto dall'articolo 5, nasconderebbe al suo interno una trappola procedurale che, in combinato disposto con le altre norme del testo, rischia di perpetuare una grave discriminazione. Vediamo quale.
Il problema risiede in un vizio d'origine mai sanato, un vero vulnus normativo annidato nella legge n. 76 del 2016 sulle unioni civili: l'ambigua architettura del comma 20 dell'articolo 1, che da un lato estende taluni diritti del matrimonio, subito dopo, con una clausola letale, nega l'applicazione alle norme del Codice Civile non espressamente richiamate. Tra queste figura proprio l'articolo 78 sull'affinità, il legame con i parenti del partner, creando così una discriminazione testuale che l'amministrazione pubblica ha faticosamente e solo parzialmente tentato di colmare. Ne è testimonianza l'operato dell'INPS che, per i soli permessi legati alla legge 104/92, è dovuta intervenire con ben due provvedimenti: prima con la Circolare n. 38 del 2017 per riconoscere il diritto al partner, e poi, solo dopo cinque anni di incertezza, con la Circolare n. 36 del 2022 per ammettere finalmente anche il vincolo di affinità, un rimedio settoriale (le Direttive si applicano ai soli amministrati INPS) tardivo, che evidenzia la gravità della lacuna legislativa voluta dall’allora maggioranza parlamentare. Ora, quella stessa lacuna si scontra con la rigidità del nuovo decreto: l'articolo 2, infatti, accelera le procedure imponendo una precompilazione delle domande e controlli di veridicità contestuali e automatizzati. Se il portale ministeriale non sarà programmato per riconoscere l'affinità derivante da unione civile, la domanda del datore di lavoro unito civilmente per l'assistenza a un proprio "affine" ai sensi del nuovo articolo 5 verrebbe bloccata all'origine, prima ancora di poter accedere al beneficio "fuori quota". Il diritto, quindi, verrebbe annichilito dalla procedura. L'assenza nel decreto di una norma di interpretazione autentica che risolva una volta per tutte la questione dell'affinità sancisce una discriminazione di fatto, non più rimediabile attraverso la lenta via giudiziaria. Un eventuale ricorso al giudice, seppur destinato al successo sulla scorta di un "diritto vivente" già affermatosi in sedi di merito, non potrebbe mai restituire al cittadino la tempestività del diritto. La discriminazione diventerebbe così definitiva e irrimediabile, se non attraverso un'ipotetica e complessa integrazione a posteriori delle quote o dei posti disponibili per le posizioni ingiustamente bloccate: un rimedio postumo e incerto che non sana la violazione iniziale. Il legislatore, omettendo di intervenire nel testo proposto, non solo rischia di ignorare le soluzioni già adottate in via giurisprudenziale e amministrativa, ma favorisce la creazione di un sistema normativo intrinsecamente illogico, dove un diritto solennemente concesso viene poi negato nei fatti da una burocrazia digitale cieca di fronte a un'uguaglianza non ancora pienamente codificata. Chi scrive auspica quindi che il testo possa essere corretto con una norma di interpretazione autentica del regime di affinità per le unioni civili, prima di giungere all'esame del Parlamento perché il rischio, nelle more dell'iter di conversione, sarebbe quello di negare un diritto obbligando il cittadino ad ottenere una vittoria di Pirro per l'esaurimento dei posti disponibili, magari dopo un estenuante calvario giudiziario.
Francesco Alberto Comellini
Componente del Comitato Tecnico Scientifico dell'Osservatorio Permanente sulla Disabilità
