Sempre meno nascite in Europa e in Italia : una popolazione europea in declino e politiche italiane inadeguate.
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Alessandra Servidori
Sempre meno nascite in Europa e in Italia : una popolazione europea in declino e politiche italiane inadeguate.
Eurostat ha presentato il suo Rapporto allarmante sulla grave crisi demografica dell’Europa.Una popolazione in declino è una popolazione che invecchia ed è e sarà ancora di più il problema più radicale e il più grave che dovremo affrontare.L’unione ha raggiunto una popolazione di 509,4 milioni nel 2015 ma prevede che la sua popolazione raggiungerà i 518 milioni solo nel 2080- cioè tra 60 anni- scendendo a 407 milioni se non importerà persone perché senza migrazione calerà inesorabilmente.Perché a lungo l’impronta demografica dell’Europa verso il basso è stata nascosta dall’immigrazione e dagli aumenti della longevità :la popolazione è rimasta la stessa anche se le percentuali di natalità sono diminuite.La Germania ha la metà della popolazione con più di 47 anni con l’Italia e Austria che seguono e sono tra le più vecchie società del mondo.Il mezzo secolo in cui la fertilità nativa europea è stata al di sotto del rimpiazzo è stato anche un mezzo secolo di immigrazione di massa.La Svezia ha una popolazione musulmana dell’8,1% e raggiungerà il 30% entro il 2050.Gli Europei sono portati a trascurare o ignorare il problema demografico ma l’immigrazione soprattutto quella proveniente dall’Africa sarà inevitabile perché incontrollabile a causa di guerre mentre l’Africa e dunque i giovani africani sono destinati a raddoppiare la loro popolazione in quanto la questione demografica e sociale è evidentemente in grandissima .l’ungheria e l’italia combattono allo stesso odo per allontanare sia l’immigrazione che l’emigrazione chiudendo porti e confini crescita ma dobbiamo avere ben presente che per mantenere la popolazione attiva all’Italia serve e servirà milioni di immigrati . Il calo demografico nel 2018 nostrano è grande : dava al primo gennaio 2019 la popolazione italiana a 60 milioni cioè 391 mila persone in meno rispetto al l’anno precedente e abbiamo 2,2 milioni di italiani con più di 85 anni che sono il 3,6% dei residenti.Diminuiscono le nascite con 9.000 bambini in meno del 2017 e il tasso di fecondità pari a 1,32 figli per donna e sempre più avanti l’età della maternità intorno all’età media di 32 anni. Lo stato sociale del ventesimo secolo è ovviamente messo a dura prova perché il calo del numero dei lavoratori e lavoratrici e dunque contribuenti rende il debito pubblico più difficile da ripagare in particolare come da noi che siamo fortemente indebitati. Dobbiamo dunque renderci conto che viviamo in una epoca di migrazione di massa e dobbiamo gestire l’integrazione prima di tutto e non possiamo arrestare l’immigrazione e l’emigrazione dei nostri giovani sapendo, per fare numeri veri, che le uscite dal nostro pese continuano essere numerosissime così sono 120mila i nostri giovani partiti nel 2018 contro 47 mila rimpatriati .Mantenere costante il rapporto tra pensionati e lavoratori è un obiettivo irrinunciabile e occorrono milioni di persone in età lavorativa che mantengano vitale l’Italia.Incentivi per natalità,orari di lavoro flessibili e sostegno alle imprese senza investire in sviluppo economico non basta : ci vuole una politica di rilancio dell’occupazione giovanile, femminile e sostegno alla famiglia perché con stipendi medi al primo impiego di 830 euro il sussidio di 780 euro del “reddito di pigrizia” è un elemento di disincentivazione alla ricerca del lavoro con un rischio reale dei piccoli lavoretti offerti( mini jobs cocopro) e il resto compensato con il sussidio,e la diminuzione dell’occupazione che galoppa con i centri per l’impiego intasati da domande e percorsi solo sulla carta e irrealizzabili. Secondo Istat l’80% dei disoccupati non rientrerebbe nel reddito di cittadinanza( ma in Italia si stanno organizzando per le truffe sull’Isee incontrollabili) ma i lavoratori extra comunitari non residenti in Italia e tanti altri sono esclusi dal programma lotta alla povertà e potrebbero accettare salari rifiutati dai beneficiari del reddito del governo penta stellato, e sapendo che gli sconti per le aziende che assumono quelli che hanno il reddito penta stellato si applicano solo ai contratti dei tempi indeterminati,poco probabili per i lavoratori a bassa competenza che rappresentano il 64% dei beneficiari, dunque l’esclusione degli stranieri è uno svantaggio per tutti e per l’Italia. Il cambio di passo della politica deve essere immediato. Pena la distruzione del nostro paese..
RADIO IN BLU 14 FEBBRAIO 2019 straming https:// www.radioinblu.it/streaming/?vid=0_7m7kccy2
Coraggio : sosteniamo i valori e le idee libere e forti
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/un-patriottismo-inclusivo-italiano-e-anche-europeo
La premessa è che condivido la proposta di contribuire al confronto costruttivo sull’impegno dei cattolici italiani a servizio del paese solidale e coeso. Un dialogo e un percorso per rimuovere tutti gli impedimenti che si sovrappongono al pieno sviluppo della persona declinando i principi dell’uguaglianza sostanziale che connota le democrazie emancipate e impegnate a garantire e realizzare concretamente l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica economica e sociale del paese. Non sono la sola convinta che se la congiuntura continuerà ad essere negativa difficilmente aumenterà l'occupazione, e in particolare quella stabile dei nostri giovani: anzi, aver reso difficoltoso il ricorso al lavoro a termine comporterà il forte rischio che il saldo occupazionale sia significativamente negativo. Il cd Decreto Dignità non solo ha contribuito paradossalmente a invertire il tasso di crescita occupazionale, che fino alla sua entrata in vigore era in aumento, ma ragionevolmente costituirà un elemento di ostacolo alle assunzioni durante la congiuntura negativa, e ancor più in recessione creando ulteriore povertà. La modestia degli obiettivi perseguiti :pensioni a quota” 100 “ che costa un patrimonio a tutti gli italiani e interessa una esigua minoranza di lavoratori al Nord; sostegno al reddito che incrementa più la burocrazia che la domanda esterna ;assenza di investimenti pubblici e di sostegno alle imprese,velleitarie ipotesi di nazionalizzazione di aziende decotte come Alitalia ;disintermediazione caparbia delle forze e risorse sociali che ,per nostra fortuna, non hanno esaurito la vitalità dei corpi sociali. Se si intende come mi auguro prendere in mano la tradizione niente affatto disprezzabile delle aggregazioni popolari si deve farlo con la capacità di reinventarle in termini nuovi e cioè inclusivi e non ideologici e privi di pensieri unici di democrazia delle disuguaglianze e fantasiosi “beni comuni”; si deve riuscire ad avvicinare i cittadini italiani ad una idea di Italia ed Europa che rappresenta il riempire insieme di contenuti nuovi il diritto di cittadinanza per farne non una cittadinanza accessoria ma una vera pacificazione ,contemporaneamente anche della regione mediterranea attraverso nuove forme di cooperazione per garantire pace e stabilità favorendo un vero patto non solo simbolico ma costituente tra istituzioni e cittadini. L’Italia e L’Europa devono tenere in vita un welfare che garantisca la redistribuzione del reddito in forme tali che una vasta maggioranza di relativamente poveri possa condividere l’operato del governo e apprezzare l’investimento per lo sviluppo economico difendendo la società aperta e promuovendo azioni a difesa del pluralismo e del dialogo. L’identità sia italiana che Europea si rilancia sconfiggendo attraverso la discussione pubblica le paure fomentate da tanti allo scopo di rimettere in circolo culture e fedi sconfitte dalla storia con progetti politici in grado di affrontare le cause delle disuguaglianze che spesso costituiscono una scelta politica e non la conseguenza di uno stato di necessità. Bisogna aggiungere all’uguaglianza dei diritti l’uguaglianza delle opportunità e delle responsabilità essendo consapevoli che un sistema assistenziale che trae le proprie risorse sottraendole agli investimenti si autodistrugge. I sistemi di welfare devono incoraggiare il lavoro e non scoraggiarlo : si tratta di offrire agli italiani e italiane europei ed europee idee e progetti in grado di garantire una nuova dimensione politica dell’Italia e dell’Unione nel nome di un ritrovato patriottismo inclusivo ,economico, sociale , italiano ed europeo. Dunque un rinnovato Appello ai liberi e forti, che si riconoscono negli ideali di giustizia e libertà , rivolgendosi allo stesso tempo al ‘cuore’ e alla ‘testa’ degli italiani,ovvero in grado di mettere assieme ‘valori’ e ‘competenze’ e fede. che significa speranza.
Dalla Ue le Nuove Linee guida per educare all'uguaglianza di genere .
QUI EUROPA
Dal Parlamento Ue arrivano le Linee guida per educare all’uguaglianza di genere
www.ildiariodellavoro.it
Il Parlamento Europeo è impegnato a favore dell'uguaglianza di genere e della non discriminazione per motivi di genere e ha pubblicato l’aggiornamento delle Linee guida multilingue per un linguaggio neutrale rispetto al genere. L'uso di un linguaggio sensibile al genere è uno dei modi per attuare questo impegno. Le molte lingue e culture rappresentate in Parlamento significano che non esiste una soluzione "taglia unica" a questo riguardo, ma che occorre cercare soluzioni appropriate in ciascun contesto specifico, tenendo conto dei parametri linguistici e culturali pertinenti. Nel 2008, il Parlamento europeo è stato una delle prime organizzazioni internazionali ad adottare linee guida multilingue per un linguaggio neutrale rispetto al genere. Da allora, molte altre istituzioni e organizzazioni hanno adottato orientamenti simili. In occasione dell’undicesimo anniversario delle linee guida e al fine di riflettere gli sviluppi linguistici e culturali, il gruppo ad alto livello sulla parità di genere e la diversità ha chiesto ai servizi del Parlamento di aggiornare le linee guida linguistiche neutrali rispetto al genere, che forniscono consigli pratici in lingue ufficiali sull'uso di un linguaggio equo e inclusivo di genere.
Dunque, questa edizione aggiornata delle linee guida linguistiche di genere neutro, frutto di una stretta collaborazione tra i servizi linguistici e amministrativi competenti. Il Parlamento europeo continua a impegnarsi come sempre a utilizzare un linguaggio neutrale rispetto al genere nelle sue comunicazioni scritte e orali e ora invito i servizi competenti a sensibilizzare sugli orientamenti aggiornati e sull'importanza del loro uso nelle pubblicazioni e nelle comunicazioni parlamentari. Il linguaggio neutrale rispetto al genere o di genere è più che una questione di correttezza politica. Il linguaggio riflette e influenza in modo potente atteggiamenti, comportamenti e percezioni. Per trattare allo stesso modo tutti i generi, dagli anni '80 sono stati impiegati degli sforzi per proporre un uso del linguaggio neutro rispetto al genere / imparziale / non sessista, in modo che nessun genere sia privilegiato e i pregiudizi contro qualsiasi genere non siano perpetuati.
Nell'ambito di questi sforzi, nell'ultimo decennio sono state sviluppate e implementate numerose linee guida a livello internazionale e nazionale. Istituzioni internazionali ed europee (come le Nazioni Unite, l'Organizzazione mondiale della sanità, l'Organizzazione internazionale del lavoro, il Parlamento europeo e la Commissione europea), associazioni professionali, università, importanti agenzie di stampa e pubblicazioni hanno adottato linee guida per l'uso non sessista di lingua, sia come documenti separati o come raccomandazioni specifiche incluse nelle loro guide di stile. Nell'Unione europea, molti Stati membri hanno anche discusso le politiche linguistiche e proposto tali orientamenti a vari livelli. Il principio dell'uguaglianza di genere e della non discriminazione per motivi di genere è saldamente radicato nei trattati e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ed è stato approvato dal Parlamento europeo in molte occasioni. La lingua utilizzata in Parlamento dovrebbe quindi riflettere questo.
A tal fine, l'obiettivo di tali orientamenti è di garantire che, per quanto possibile, il linguaggio non sessista e di genere sia utilizzato anche nei documenti e nelle comunicazioni del Parlamento in tutte le lingue ufficiali. Lo scopo di queste linee guida non è quello di costringere gli autori del Parlamento europeo a seguire una serie di regole obbligatorie, ma piuttosto a incoraggiare i servizi amministrativi a tenere in debita considerazione la questione della sensibilità di genere nella lingua ogni volta che scrivono, traducono o interpretano. Va ovviamente sottolineato che i traduttori sono tenuti a rendere i testi fedelmente e accuratamente nella propria lingua. Se un autore usa intenzionalmente un linguaggio specifico per genere, la traduzione rispetterà tale intenzione.
Ciò rende ancora più importante per gli autori di testi in Parlamento essere pienamente consapevoli dei principi del linguaggio neutro rispetto al genere. Per quanto riguarda l'interpretazione, i servizi del Parlamento sono pienamente impegnati a utilizzare un linguaggio neutrale rispetto al genere e ad abbracciare i principi associati di non discriminazione, riconoscimento e uguaglianza. Di conseguenza, queste linee guida sono rese disponibili online e fanno parte della preparazione di un interprete. Mentre gli interpreti sono consapevoli degli standard linguistici neutrali rispetto al genere nelle loro lingue di lavoro, ci sono alcuni vincoli, come l'elevata velocità con cui vengono pronunciati i discorsi, la necessità di rispettare la paternità e le intenzioni degli oratori, evitando interferenze editoriali, così come lo specifico caratteristiche della lingua parlata rispetto alla lingua scritta, che può rendere occasionalmente difficile incorporare un linguaggio neutrale rispetto al genere nell'interpretazione simultanea, un'attività molto rapida e molto intensa.
Questi orientamenti devono riflettere due aspetti specifici del lavoro del Parlamento: in primo luogo, il suo ambiente di lavoro multilingue e, in secondo luogo, il suo ruolo di legislatore europeo. (a) Contesto multilingue Nell'ambiente multilingue del Parlamento europeo, i principi di neutralità di genere nella lingua e nella lingua di genere richiedono l'uso di strategie diverse nelle varie lingue ufficiali, a seconda della tipologia grammaticale di ciascuna lingua. Per quanto riguarda il genere grammaticale nelle lingue ufficiali dell'Unione, è possibile operare una distinzione tra tre tipi di lingue e le strategie di accompagnamento per raggiungere la neutralità di genere: - Lingue di genere naturali (come il danese, l'inglese e lo svedese), dove personale i nomi sono per lo più neutrali rispetto al genere e ci sono pronomi personali specifici per ogni genere. La tendenza generale qui è quella di ridurre il più possibile l'uso di termini specifici per genere. In queste lingue, la strategia linguistica più utilizzata è la neutralizzazione.
Per evitare riferimenti di genere, si possono usare termini neutrali rispetto al genere, cioè parole che non sono specifiche per genere e si riferiscono alle persone in generale, senza riferimento a donne o uomini ("presidente" è sostituito da "presidente" o "presidente" "," poliziotto "o" poliziotta "di" ufficiale di polizia "," portavoce "di" portavoce "," hostess "di" assistente di volo "," preside "o" preside "di" direttore "o" preside ", ecc. ). Questa tendenza neutra rispetto al genere ha portato alla scomparsa delle forme femminili più anziane, con la precedente forma maschile che diventa unisex (ad esempio "attore" anziché "attrice"). Viene utilizzato anche il linguaggio Gender inclusive, sostituendo, ad esempio, "lui" come riferimento generico dai termini "lui o lei". - Lingue grammaticali di genere (come il tedesco, le lingue romanze e le lingue slave), in cui ogni sostantivo ha un genere grammaticale e il genere dei pronomi personali di solito corrisponde al nome di riferimento. Poiché è quasi impossibile, da un punto di vista lessicale, creare forme ampiamente neutre rispetto al genere dalle parole esistenti in quelle lingue, sono stati ricercati e raccomandati approcci alternativi nel linguaggio amministrativo e politico.
La femminilizzazione (cioè l'uso di corrispondenze femminili di termini maschili o l'uso di entrambi i termini) è un approccio che è diventato sempre più utilizzato in questi linguaggi, in particolare in contesti professionali, come i titoli di lavoro in riferimento alle donne. Poiché la maggior parte delle professioni sono state, per tradizione, grammaticalmente maschili, con poche eccezioni, tipicamente per lavori tradizionalmente femminili come "infermiera" o "ostetrica", il sentimento di discriminazione è stato particolarmente forte. Pertanto, iniziarono a essere create equivalenti femminili e sempre più utilizzate per praticamente tutte le funzioni del genere maschile ("Kanzlerin", "présidente", "sénatrice", "assessora", ecc.). Inoltre, la sostituzione del genere maschile generico con forme doppie per referenti specifici ("tutti i consiglieri e tutte le consigliere") è stata accettata in molte lingue. Pertanto, l'uso di termini generici maschili non è più la pratica assoluta, anche negli atti legislativi.
Ad esempio, nella versione tedesca del trattato di Lisbona, il termine generico "cittadini" appare anche come "Unionsbürgerinnen und Unionsbürger".Lingue senza genere (come estone, finlandese e ungherese), in cui non vi è alcun genere grammaticale e nessun genere pronominale. Queste lingue generalmente non richiedono una particolare strategia per essere inclusivi di genere, salvo per i casi molto specifici discussi nelle linee guida particolari per quelle lingue. (b) Il Parlamento europeo come legislatore Il modo in cui il principio della sensibilità di genere nel linguaggio si riflette in un testo dipende anche fortemente dal tipo e dal registro del testo coinvolto. Gli autori dovrebbero fare attenzione a garantire che la soluzione scelta sia appropriata per il tipo di testo e gli usi futuri a cui sarà destinata, garantendo allo stesso tempo una visibilità sufficiente per tutti i generi desiderati.
Ad esempio, ciò che può essere appropriato in un discorso ("Signore e signori") o una forma diretta di indirizzo ("Gentile Signore o Signora" nella parte superiore di una lettera) non soddisferà necessariamente i vincoli formali della legislazione, che deve essere chiaro, semplice, preciso e coerente, e non si presta bene a certe soluzioni redazionali finalizzate alla neutralità di genere che potrebbero creare ambiguità riguardo agli obblighi contenuti nel testo (come l'alternanza di forme maschili e femminili per il pronome generico o l'uso di solo la forma femminile in alcuni documenti e solo il maschile in altri). Pur rispettando la necessità di chiarezza, l'uso di una lingua che non è di genere inclusiva, in particolare il maschile generico, dovrebbe essere evitato per quanto possibile negli atti legislativi. Numerosi organi legislativi negli Stati membri hanno già adottato raccomandazioni in tal senso.
Sebbene i modi specifici per evitare il linguaggio sessista variano da una lingua all'altra, molti dei seguenti problemi sono comuni alla maggior parte delle lingue. La convenzione grammaticale tradizionale nella maggior parte dei linguaggi grammaticali di genere è che per i gruppi che uniscono entrambi i sessi, il genere maschile è usato come forma "inclusiva" o "generica", mentre il femminile è "esclusivo", vale a dire riferendosi solo alle donne. Questo uso generico o neutralizzante del genere maschile è stato spesso percepito come discriminante nei confronti delle donne. La maggior parte delle lingue di genere grammaticali ha sviluppato le proprie strategie per evitare tale uso generico.
Le strategie rilevanti sono descritte nelle linee guida specifiche alla fine di questo opuscolo. Le soluzioni che riducono la leggibilità di un testo, come i moduli combinati ('s / lui', 'lui / lei'), dovrebbero essere evitati. Inoltre, l'uso in molte lingue della parola "uomo" in una vasta gamma di espressioni idiomatiche che si riferiscono a uomini e donne, come la manodopera, il laico, l'uomo, gli statisti, il comitato dei saggi, dovrebbe essere scoraggiato. Con una maggiore consapevolezza, tali espressioni di solito possono essere rese neutrali dal punto di vista del genere. Combinando varie strategie (cfr. Orientamenti specifici), dovrebbe essere possibile, nella maggior parte dei casi, applicare il principio di neutralità di genere e di equità nei testi del Parlamento.
Quando si fa riferimento alle funzioni nei testi del Parlamento, i termini generici sono usati nelle lingue di genere naturali e nelle lingue di genere, mentre la forma maschile può essere usata eccezionalmente nelle lingue grammaticali di genere (ad esempio "chaque député ne peut") soutenir qu'une candidature '). Se il genere della persona è pertinente al punto che viene fatto, o quando si fa riferimento a singole persone, dovrebbero essere usati termini specifici di genere, in particolare nelle lingue di genere grammaticali (ad esempio "la haute représentante de l'Union pour les affaires étrangères et la politique de sécurité '). In linea generale, dovrebbero essere rispettati i desideri di una persona su come vorrebbe essere indirizzata o indirizzata (ad esempio "Madame le Président" o "Madame la Présidente"). Gli avvisi di posti vacanti dovrebbero essere redatti in un modo inclusivo di genere al fine di incoraggiare candidati sia maschili che femminili a presentare domanda.
In alcune lingue (ad esempio francese e tedesco), titoli come "Madame", "Mademoiselle", "Frau" o "Fräulein" indicavano in origine lo stato civile della donna a cui si applicava il titolo. Questo è cambiato nel corso degli anni e l'uso di tali titoli non riflette più tale stato. La pratica amministrativa sta seguendo questa tendenza. Il titolo "Mademoiselle" viene progressivamente cancellato dalle forme amministrative nei paesi francofoni, lasciando solo la scelta tra "Madame" e "Monsieur". Nei testi del Parlamento, titoli come "Monsieur", "Frau", "Ms", ecc. Vengono spesso semplicemente lasciati a favore del nome completo della persona. Anche il ruolo del Parlamento in quanto legislatore europeo deve essere preso in considerazione quando si cerca di ottenere un linguaggio neutrale rispetto al genere.
Non tutte le soluzioni che potrebbero altrimenti essere applicate possono essere utilizzate nel contesto della legislazione, che richiede chiarezza, semplicità, precisione e coerenza. Sarebbe utile che il Governo italiano traducesse queste linnee guida ( magari facendosi supportare da persone di buona volontà) e le pubblicizzasse sull’esempio di Papa Francesco che ha già dato l’imput per una educazione sessuale anche nelle scuole che sostenga il principio della non discriminazione.
http://www.europarl.europa.eu/cmsdata/151780/GNL_Guidelines_EN.pdf
Alessandra Servidori
PAPA FRANCESCO : "Nelle scuole bisogna un'educazione sessuale...." Non giusto.Giustissimo !
Alessandra Servidori PAPA FRANCESCO : "Nelle scuole bisogna dare un'educazione sessuale...." Non giusto.Giustissimo !
“Nelle scuole bisogna dare un’educazione sessuale, il sesso è un dono di Dio, non è un mostro, è un dono di Dio per amare. Che poi alcuni lo usino per guadagnare soldi o sfruttare è un altro problema. Ma bisogna dare un’educazione sessuale oggettiva, senza colonizzazione ideologica. Se inizi dando un’educazione sessuale piena di colonizzazione ideologica distruggi la persona”, ha detto Papa Bergoglio. Il Santo Padre dà una grande importanza all’educazione sessuale, che ha lo scopo di “far emergere il meglio dalle persone e accompagnarle lungo la strada”. L’importante è saper scegliere i testi giusti. Ma aggiungo, le persone giuste per trasmettere un insegnamento molto importante. Infatti educare alla sessualità e all’affettività significa fornire a giovani di tutte le età gli strumenti per meglio comprendere il sesso all’interno della società. Oggi non è obbligatoria nelle scuole italiane, ma può essere impartita dagli insegnanti, dagli educatori e dal personale ASL a partire dalle elementari. Ad ogni età viene proposto un approccio diverso alla tematica, adeguatamente alla maturità dei giovani . L’educazione sessuale prevede innanzitutto lezioni di biologia e anatomia, in cui si illustra ai ragazzi come avvengono la fecondazione e la nascita; successivamente, di solito in età adolescenziale, le lezioni vertono su argomenti più delicati e profondi, come le malattie sessualmente trasmissibili, la contraccezione e l’aborto. In Italia, dopo numerose proposte di legge non andate a buon fine, la Riforma “la Buona Scuola” intende promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado la parità tra i sessi e la prevenzione di ogni forma di discriminazione, senza tuttavia rendere obbligatoria l’educazione sessuale. L’argomento è oggetto di polemiche in quanto da un lato si hanno intellettuali che avvertono l’urgenza di parlare di sessualità con i ragazzi nelle scuole, dall’altro studiosi, esponenti religiosi e associazioni di genitori ritengono la materia troppo delicata per poter essere esposta in classe. Così si rischia di lasciare ancora e sempre di più soli i nostri giovani. Da alcuni studi fatti dall’OMS, dall’Unesco e da altri organismi internazionali risulta che i giovani hanno, nei confronti del sesso, un atteggiamento improvvisato. Cioè conoscono una serie di notizie che provengono dal loro stesso mondo o da internet. Se ne parla poco in famiglia, non se ne parla per niente a scuola. Le conseguenze sono gravi perché si verificano gravidanze indesiderate, è poco frequente l’uso del profilattico col rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili e ancora peggio si rischiano tutta una serie di comportamenti che portano all’abuso sessuale, alla prevaricazione dei sessi e all’intolleranza verso la diversità. Oggi poi la situazione è aggravata dall’esistenza dei social, che sono stati protagonisti di una spettacolarizzazione negativa del sesso: in più di una circostanza appaiono video o foto di stupri di gruppo e di atti sessuali con conseguenze devastanti per chi ne è stato vittima. Senza pensare solo agli aspetti negativi, anche solo parlare della masturbazione è ancora difficile. Rimane un atto che si compie in segreto, accettata forse tra i maschi. Ma per quanto riguarda le donne, una confidenza del genere è molto difficile da fare anche alla propria migliore amica. Sembra che tutte quelle conquiste ottenute nel corso degli anni passati per avere un clima più sereno nei confronti della sessualità si siano affievolite nelle mani delle nuove generazioni, che si ritrovano una libertà difficile da gestire e da comprendere. E’ dunque opportuno prevedere un’educazione sessuale a scuola perché evidentemente c’è bisogno di un sistema di insegnamento di alcune regole fondamentali, da proporre ad ogni nuova generazione in modo tale da creare una società omogenea nei valori e nel comportamento verso il sesso. Ci sono generazioni di donne e di uomini che hanno imparato a dialogare con il proprio corpo e con le sue esigenze, sono stati educati al rispetto reciproco e della diversità e della valorizzazione dei sentimenti; poi ci sono generazioni che sono state lasciate a se stesse, perché parlare di sesso non era più di moda, l’argomento si era esaurito e soprattutto i genitori erano e sono sovente distratti da alcuni problemi che loro stessi non sanno affrontare nell’ambito della coppia e della famiglia e della relazione . Dunque l’educazione sentimentale e sessuale è una forma di educazione che deve essere rinnovata nel tempo. Dobbiamo poi sapere che per quanto riguarda i paesi dell’Unione Europea tutti tranne Italia, Bulgaria, Cipro, Polonia, Romania hanno reso obbligatoria l’educazione sessuale nelle scuole. Nel Regno Unito nel febbraio 2015 i parlamentari inglesi hanno chiesto che l’educazione sessuale divenisse obbligatoria nella scuola primaria e secondaria. I primi della classe in materia sono i paesi scandinavi, l’Olanda, la Francia e la Germania. Questi paesi si sono dotati di programmi che puntano a ritardare l’età del primo rapporto sessuale, ridurre la frequenza di attività non protette, incrementare l’uso di precauzioni per evitare gravidanze non volute e malattie. Ma anche a riconoscere e smontare gli stereotipi alla base delle discriminazioni di genere e quelli legati all’orientamento sessuale, ad acquisire consapevolezza dei diritti umani, avere rispetto ed empatia per gli altri, costruire relazioni basate sul rispetto. In Italia le proposte però non hanno portato mai a nulla di fatto. Bisogna educare i giovani alla complementarietà tra uomo e donna e alla valorizzazione di un rapporto umano e rispettoso tra i sessi e fare della scuola una comunità inclusiva volta al “superamento di tutte le discriminazioni”.Il comma 16 della legge 107/2015di Riforma su “La Buona Scuola” così recita: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. Tre righe che hanno scatenato l’inferno e tuttora è al lavoro una commissione occupata a delineare delle linee guida che riempiano questo testo di significato. Nel frattempo tutto il discorso sull’educazione sessuale nelle scuole è nelle mani dei singoli dirigenti scolastici.Ma tutto si risolverebbe con una buona alleanza tra territorio e scuole e dunque tra aziende sanitarie e istituti scolastici di ogni ordine e grado promuovessero nell’ambito di una saggia e rinnovata educazione civica una vera e propria educazione sentimentale scientifica , pratica e priva di deleterei silenzi e omissioni.
I giovani ci salveranno dai nuovi barbari
QUI EUROPA: i giovani salveranno l’Europa dai "nuovi barbari’’
Alessandra Servidori 31 gennaio 2019
I giovani salveranno l’Europa dalla devastazione dei nuovi barbari: rafforziamo il Corpo Europeo di solidarietà. Questo, in sintesi, il messaggio di una comunicazione della Commissione Ue.
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Un corpo europeo di solidarietà, del 7.12.2016 [COM(2016) 942 finale].
La comunicazione della Commissione europea "Un corpo europeo di solidarietà", del 7 dicembre 2016 , ha avviato la prima fase del corpo europeo di solidarietà e ha ribadito l'obiettivo di vedervi partecipare 100 000 giovani europei entro il 2020. Nel corso di quella fase iniziale sono stati attivati otto diversi programmi dell'UE per offrire ai giovani dell'Unione opportunità di volontariato, tirocinio o lavoro nell'Unione. Poiché è possibile sviluppare ulteriormente la solidarietà nei confronti delle vittime di crisi e calamità nei paesi terzi, la proposta che sarà votata il 4 febbraio 2019 prevede di estendere l'ambito del corpo europeo di solidarietà al sostegno di operazioni di aiuto umanitario nei paesi terzi, compresi quelli situati nel vicinato delle regioni ultraperiferiche dell'UE. Come dimostrato dalla valutazione ex ante che accompagna la proposta per il triennio prossimo, questa estensione servirebbe a più scopi, come l'istituzione di uno "sportello unico" per le attività di solidarietà.
Sarà incluso così il volontariato da parte dei volontari nel settore degli aiuti umanitari, attività attualmente sostenuta dall'iniziativa Volontari dell'Unione per l'aiuto umanitario. Questa iniziativa contribuisce agli sforzi volti a rafforzare la capacità dell'Unione di fornire un'assistenza umanitaria fondata sulle esigenze e le capacità e la resilienza delle comunità vulnerabili o afflitte da calamità nei paesi terzi. Estendendo il suo ambito di attività e la sua portata geografica in questo settore, la presente proposta fornisce il quadro giuridico affinché il corpo europeo di solidarietà aumenti le opportunità a disposizione dei giovani per impegnarsi in attività di solidarietà. Ciò contribuirà ad affrontare non solo le necessità sociali insoddisfatte in Europa, ma anche le sfide umanitarie in paesi terzi.
La proposta promuoverà anche lo sviluppo personale, formativo, sociale, civico e professionale dei giovani. In questo contesto il corpo europeo di solidarietà mira a rafforzare la partecipazione di giovani e organizzazioni ad attività di solidarietà accessibili e di elevata qualità. Il corpo europeo di solidarietà è un mezzo per contribuire a rafforzare la coesione, la solidarietà e la democrazia in Europa e all'estero e per affrontare le sfide sociali e umanitarie sul campo, con particolare attenzione alla promozione dell'inclusione sociale. Per conseguire questo obiettivo generale, il corpo europeo di solidarietà offrirà ai giovani occasioni facilmente accessibili di impegnarsi in attività di volontariato, tirocini o lavori in settori connessi alla solidarietà, come l'economia sociale, e per elaborare e sviluppare progetti di solidarietà di propria iniziativa. Migliorando le abilità e competenze dei giovani, quest'ultima possibilità contribuisce anche al loro sviluppo personale, sociale e professionale, così come alla loro occupabilità.
Il corpo europeo di solidarietà sosterrà inoltre attività di rete per le organizzazioni e i partecipanti. Queste mirano a promuovere uno spirito del corpo europeo di solidarietà e un senso di appartenenza a una comunità più ampia dedita alla solidarietà e a incoraggiare lo scambio di pratiche ed esperienze utili. L’iniziativa di solidarietà mira inoltre a garantire che: · le attività di solidarietà offerte ai giovani partecipanti contribuiscano ad affrontare sfide sociali concrete, alle operazioni di aiuto umanitario fondate sulle esigenze e a rafforzare le comunità; e · i risultati dell'apprendimento derivanti dalla partecipazione dei giovani a tali attività vengano debitamente convalidati.
La nuova proposta prevede come data di applicazione il 1º gennaio 2021 ed è riferita a un'Unione di 27 Stati membri, avendo il Regno Unito notificato al Consiglio europeo, il 29 marzo 2017, l'intenzione di recedere dall'Unione europea e dall'Euratom in forza dell'articolo 50 del trattato sull'Unione europea. Il corpo europeo di solidarietà offrirà nuove opportunità nel settore dell'aiuto umanitario che non saranno più sostenute dall'iniziativa Volontari dell'Unione per l'aiuto umanitario (che giungerà al termine nel 2020) e semplificherà l'accesso di organizzazioni e giovani interessati. Continuerà ad avere un unico punto di accesso facilmente accessibile attraverso il portale e punterà a garantire la più ampia divulgazione possibile alle organizzazioni e ai giovani coinvolti. Svilupperà e migliorerà inoltre la formazione disponibile prima dell'attività e il sostegno appropriato e la convalida dei risultati dell'apprendimento dopo di essa. Nella prima e nella seconda fase del corpo europeo di solidarietà – 2016/2017- 2017/2018 è stata attivata una serie di diversi programmi dell'Unione per offrire ai giovani dell'UE occasioni di volontariato, tirocinio o lavoro nell'Unione.
La nuova proposta stabilisce le basi per una terza fase del corpo europeo di solidarietà, la cui dotazione ben definita permetterà di sviluppare tutte le attività di solidarietà applicando la stessa serie di norme e condizioni, indipendentemente dal settore cui si rivolge l'azione. Poiché il nuovo ambito esteso include attività a sostegno delle operazioni di aiuto umanitario, il corpo europeo di solidarietà beneficerà di contributi aggiuntivi a sostegno del nuovo ambito di attività. Queste attività saranno attuate in stretto coordinamento con i servizi interessati della Commissione. La proposta della Commissione per il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 ha fissato un traguardo più ambizioso per l'integrazione delle questioni climatiche in tutti i programmi dell'UE, stabilendo l'obiettivo generale di dedicare il 25 % della spesa di bilancio dell'UE a sostegno degli obiettivi in materia di clima coinvolgendo soprattutto i giovani . Il contributo del programma al conseguimento di tale obiettivo generale sarà monitorato mediante un sistema dell'UE di indicatori climatici al livello opportuno di disaggregazione, compreso il ricorso a metodologie più precise, se disponibili.
Per sostenere appieno il potenziale del programma di contribuire al raggiungimento degli obiettivi in materia di clima, la Commissione si adopererà per individuare azioni pertinenti durante l'intero processo di preparazione, attuazione, riesame e valutazione del programma. Lo spirito d'iniziativa dei giovani è una risorsa importante per la società e per il mercato del lavoro. Il corpo europeo di solidarietà contribuisce a promuovere questo aspetto offrendo ai giovani l'opportunità di elaborare e attuare progetti propri volti ad affrontare sfide specifiche a beneficio della comunità locale. Tali progetti costituiscono un'occasione per sperimentare idee e sostenere i giovani a essere promotori di iniziative di solidarietà. Essi servono anche da trampolino di lancio per un ulteriore impegno in attività di solidarietà e costituiscono un primo passo per incoraggiare i partecipanti al corpo europeo di solidarietà a intraprendere un lavoro autonomo o a dedicarsi alla fondazione di associazioni, organizzazioni non governative o altri organismi attivi nei settori della solidarietà, del non profit e dei giovani. Il corpo europeo di solidarietà è rivolto ai giovani di età compresa tra 18 e 30 anni e la partecipazione alle attività offerte dovrebbe richiedere la previa registrazione nel portale del corpo europeo di solidarietà.
Particolare attenzione dovrebbe essere prestata affinché le attività sostenute dal corpo europeo di solidarietà siano accessibili a tutti i giovani, in particolare quelli più svantaggiati. Dovrebbero essere attuate misure speciali per promuovere l'inclusione sociale e la partecipazione dei giovani svantaggiati e per tenere conto dei vincoli imposti dalla lontananza di una serie di aree rurali, delle regioni ultraperiferiche dell'Unione e dei paesi e territori d'oltremare. Analogamente, i paesi partecipanti dovrebbero adoperarsi per adottare tutte le misure adeguate a rimuovere gli ostacoli giuridici e amministrativi al corretto funzionamento del corpo europeo di solidarietà. Ciò dovrebbe comprendere la risoluzione, ove possibile e fatto salvo l'acquis di Schengen e la normativa dell'Unione in materia di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi, delle questioni amministrative che generano difficoltà in relazione all'ottenimento di visti e permessi di soggiorno e il rilascio di una tessera europea di assicurazione sanitaria in caso di attività transfrontaliere all'interno dell'Unione europea.
I rappresentanti Italiani in Commissione ci tengano informati per irrobustire le iniziative per il futuro del nostro Paese e dei nostri giovani e sostenere , almeno per i nostri nipoti , una Europa solidale e sociale.
Arriva il MIO Manager Innovazione Opportunità
https://www.ildiariodellavoro.it/adon.pl?act=doc&doc=71092#.XEicQVxKhPY
TECNOLOGIA E LAVORO
Arriva MIO, certificherà i manager per l’innovazione e le opportunità
Autore: Alessandra Servidori
I cambiamenti della legge di bilancio sui finanziamenti del Piano Industria 4.0 pongono non pochi problemi con una virata inaspettata che lascia il segno proprio sul tema delle competenze. Nella nuova versione del piano 4.0 restano le agevolazioni per l’Iperammortamento pur con l’inserimento del tetto massimo per gli investimenti di 20 milioni di euro che penalizza ovviamente le grandi imprese, ma è la scelta di ridimensionare fortemente gli incentivi per la formazione, quella che più preoccupa, perché uno dei pilastri del progetto di digitalizzazione delle imprese che puntava a sviluppare le competenze del personale a fronte della sempre più innovativa tecnologia richiesta dalle organizzazioni per restare competitive. Infatti, significa snaturare l’impianto stesso del piano originale che prevedeva due linee di intervento: da una parte gli incentivi per aiutare le aziende ad acquistare le tecnologie e dall’altra quelli per sostenere le imprese a utilizzare soluzioni digitali sempre più complesse. Il bonus formazione, sotto forma di credito di imposta per le spese di formazione tecnologica del personale rispetto alla disciplina del 2018,nella legge di Bilancio 2019 introduce una differenziazione dell’agevolazione in funzione della dimensione dell’impresa, nelle misure che variano dal 50% al 30% delle spese ammissibili.
Cambia il tetto massimo: 300.000 euro per le Pmi e 200.000 euro per le grandi imprese. La proroga prevede infatti che il credito di imposta per la formazione – inserito un anno fa in via sperimentale per il 2018 e quindi valido fino al 31 dicembre – venga poi dismesso in favore delle agevolazioni per le assunzioni temporanee dei manager chiamati a occuparsi di innovazione digitale. Avevamo puntato molto sul credito di imposta sulla formazione, perché consideravamo l’assenza delle competenze 4.0 in azienda come il vero collo di bottiglia per gli investimenti. Questa scelta è un importante messaggio politico da non sottovalutare: Ciò che traspare è il disinteresse nei confronti della formazione e quindi delle persone. L’inversione di tendenza rischia di compromettere i primi benefici del piano 4.0, visto che tecnologie e competenze dovrebbero procedere in sintonia e con la stessa velocità.
Ciò che è a rischio è addirittura la produttività delle imprese: secondo i dati del Politecnico, le aziende 4.0 hanno ottenuto un risultato di +25% in termini di produttività rispetto ai competitor che non si sono aggiornati. La formazione dovrebbe essere una priorità per la società e investire nelle tecnologie digitali vuol dire fare politiche per la crescita e il lavoro. La proroga del Piano è mirata alle Piccole e medie imprese che sull’innovazione hanno vissuto un pericoloso periodo di inerzia. La revisione delle aliquote è una scelta che privilegia le PMI, ma la proroga di un anno di Impresa 4.0 non basta per sostenere una trasformazione culturale del sistema-impresa che richiede un tempo ben più lungo.
Inoltre, si rischia di alimentare la preoccupazione legittima per la perdita di posti di lavoro generata dall’introduzione di tecnologie sempre più sviluppate e indebolire la prospettiva che l’effetto disoccupazione legato all’innovazione digitale sarebbe stato colmato dalla necessità di dotarsi di ‘operatori 4.0’ della digitalizzazione in grado di ottenere performance dalle macchine, visto che si affievoliscono egli stimoli a fare formazione. Il rischio vero è di avere aziende che possono dotarsi di strumenti molto evoluti, ma senza personale capace di sfruttarne tutte le potenzialità, almeno fino a quando la scuola non sarà in grado di soddisfare la domanda di competenze proveniente dalle aziende. La stessa quarta rivoluzione industriale infatti impone una formazione continua, visto che le 10 posizioni più richieste oggi dal mercato neppure esistevano fino a meno di un decennio fa. Non basta neppure la soluzione di orientare i fondi che prima erano destinati alla formazione all’assunzione di manager dell’innovazione. È una scelta sicuramente buona,ma che non risolve il problema, perché in questo modo si inserisce in azienda una sola persona con le competenze, ma più manageriali che tecniche. E se le nuove aliquote del piano vanno nella direzione di aiutare le PMI ,questa decisione di puntare su un unico ‘innovatore’ e concentrare l’investimento per l’innovazione su una sola persona non ha lo stesso impatto sulla produttività rispetto alla formazione di 10 persone.
Come Ceslar –Centro Studi dell’Università di Modena e Reggio Emilia, TutteperItalia, insieme a Bureau Veritas e Cepas abbiamo predisposto un corso di certificazione del manager dell’innovazione e delle opportunità – MIO- che amplia di molto la platea delle persone che frequentandolo possono ottenere la certificazione delle competenze possedute e dunque aspirare anche a collocarsi con una possibilità in più nel mercato del lavoro e soprattutto attraverso la Rete di imprese anche piccole o medie dotarsi di informazioni e managerialità innovative dal punto di vista organizzativo e produttivo.
Alessandra Servidori
Non è un Paese per bambini
Alessandra Servidori Non è un paese per bambini
Un’ indagine nazionale denuncia che molti bambini sono ricoverati nelle pediatrie per patologie (pare ) curabili a domicilio : una ospedalizzazione under 18 è sicuramente uno dei sintomi che il territorio non è in grado di rispondere alle esigenze di visite e terapie farmacologiche nelle abitazioni. Peraltro trovare un medico di base pediatra che quando i piccoli si ammalano con alterazione febbrile consistente si rechi a casa del piccolo è ormai impossibile. Esperienza personale,amicale ma anche solo scambio di informazioni tra cittadini, la prassi di rivolgersi ad un pediatra che retribuito nelle 12 ore dalla chiamata presta la sua professionalità è diventata normale, ma anche , e non di rado addirittura neanche facilissimo da trovare.Vero forse è che gli ospedali fanno ricorso al ricovero anche se non è indispensabile, ma con le famiglie giustamente in panico e il rischio di avere denunce penali per mancanza di assistenza, porta i sanitari a ricoveri precauzionali consistenti. La verità è che i servizi materno infantili soffrono-nonostante in Italia vi sia un sistema tra i migliori a livello internazionale- a tagliare le risorse e gli ospedali si difendono come possono per garantire con il sistema del finanziamento riferito al bilancio dell’anno precedente, a garantirsi le medesime prestazioni economiche. La cittadinanza infantile è il bene più prezioso a cui una società responsabile deve garantire cure di buon livello rafforzando il rapporto tra territorio e presidi ospedalieri e premiando i pediatri che “ricominciano” a rendersi disponibili a visite e terapie domiciliari. Così come i recenti fattacci che vengono scoperti negli asili e nelle scuole dell’infanzia di operatrici che massacrano i piccoli a parole e botte è una vergogna ripugnante che va punita severamente . Le cosidette “maestre o maestri” in età matura non sono più adatti a stare con i piccoli e la normativa dovrebbe prevedere l’utilizzo del personale sia insegnante che operativo di modificare il rapporto di lavoro ed essere utilizzato presso uffici scolastici o comunque amministrativi perché per contrastare maltrattamenti bisogna puntare sulla riqualificazione del personale e prevedere piani di decompressione perché il rapporto con i bambini può provocare problemi di aggressività degli insegnanti. Il lavoro a contatto con i bambini richiede visite periodiche per accertare la presenza costante dei requisiti necessari per prendersi cura dei piccoli e soprattutto un organico adeguato di supporto .Certo è che è un problema che coinvolge sia la scuola pubblica che quella privata . E in questo periodo di iscrizioni la scelta del tipo di scuola è delicato e non può esserci competitività fra sistema pubblico e privato anche come rette di frequenza. La scuola primaria è comunque necessaria, perchè è ‘maestra’ nel sempre tanto avversato tempo pieno,necessita di un alto livello inclusivo e professionale, nonché la sua specificità didattica multietnica e dell’integrazione dei diversamente abili, è quella che può rispondere sempre più alle necessità di sussidiarietà tra un sistema e l’altro per un diritto di cittadinanza che faccia crescere i piccoli cittadini in armonia. Gli anni da zero a sei, sono fondamentali nello sviluppo della persona, più ancora di quelli successivi: eppure in questo segmento si interviene in modo frammentato, spesso deprofessionalizzato e lo si tratta come ‘servizio’ semplicemente custodialistico. Dando applicazione ad una vecchia norma già contenuta del decreto 81/del 2008 sulla sicurezza si è previsto di intervenire sul fenomeno del burnout dei docenti, mediante apposite rilevazioni e corsi di formazione; operazioni previste dalla legge ma non adeguatamente finanziate. Il nodo principale è e rimane quello della formazione iniziale e del reclutamento. E’ necessario per insegnare soprattutto per i più piccoli possedere lauree direttamente abilitanti, con un biennio obbligatoriamente ad indirizzo metodologico-didattico, almeno un anno di tirocinio tutorato in sede universitaria, tesi ad indirizzo metodologico-didattico ed esami di psicologia dell’età evolutiva; assunzioni direttamente dalle graduatorie di merito universitarie ed un anno di prova tutorato direttamente nella scuola ove si viene assunti.
Aderiamo a Donne e Elezioni Europee
Per le Elezioni europee 2019:
Le donne vincono periodicamente e vanno incontro ciclicamente a sconfitte, anche per loro responsabilità. Un periodo cominciato con una loro inedita presenza, sia nella politica che nella società, si è concluso riproiettando il vecchio film: solo uomini sulla scena pubblica che s’incontrano, discutono, si insultano, decidono e non si accorgono di stare in una fotografia che sembra scattata in Arabia Saudita.
La maggioranza delle donne andate al potere non ha usato la propria forza per battersi e imporre la nostra agenda riformatrice, è stata subalterna agli uomini e alla fine ha perduto tutta la forza conquistata. E nella società, come per altre grandi questioni politiche, ha prevalso anche sul fronte femminile una visione datata, vecchia di intendere la libertà, il potere e il loro reale effettivo esercizio.
Non essendo per esempio riuscite a imporre come tema politico di prima grandezza, la maternità,l’accesso delle donne al lavoro resta limitato e troppo spesso ingiustamente mortificato, non abbiamo avuto congedi parentali degni di questo nome e nemmeno asili nido. Sempre più faticosa è diventata la nostra vita. E anche questo è un vecchio film.
La maternità, il lavoro delle donne, la condivisione non sono solo argomenti delle donne e non possono essere risolti sostituendo l’assenza di servizi con la famiglia. La procreazione, spostata sempre più in là, diventa di fatto impossibile e viene discreditata fino a rendere accettabile l’idea che madri e bambini si possano acquistare sul mercato.
La nostra politica continua a essere considerata secondaria e marginale, senza la dignità di questione generale. Mentre la rivoluzione delle donne è un tema fondamentale come la globalizzazione, è una delle cause più potenti della rottura del vecchio impianto della società, della famiglia e del lavoro.Se non si capisce la portata di questo cambiamento, non si può intravedere la possibilità di nuove relazioni sociali, familiari e umane, e neanche la crescita economica dell’Italia, la sua futura modernità.
Non si tratta di “difendere i diritti delle donne”, perché le donne non sono una minoranza, che rivendica ruoli, chiede riconoscimenti oppure si chiama fuori. Le donne sono il nuovo soggetto della politica riformista del nostro tempo, come indicano chiaramente il voto americano e le nuove piazza italiane convocate da donne. E se non si trasforma l‘idea di futuro, si torna fatalmente indietro, come sta accadendo.
Insomma, ci ritroviamo in una situazione per certi versi analoga a quella che ci spinse a dar vita a Se non ora quando? nel 2011, con una differenza notevole però: non siamo più innocenti e il mondo intorno è noi è stato terremotato.
Sono a rischio i valori democratici ed europeisti che hanno consentito la crescita dell’autonomia e della libertà femminile in Italia e in Europa. Non possiamo più stare a guardare, dando deleghe in bianco a chi affronterà, nelle elezioni europee del maggio 2019, una sfida decisiva per le sorti nostre e dell’Europa.
Le donne devono esserci: nelle liste, certo, ma soprattutto nella politica e nei programmi delle forze democratiche ed europeiste. Devono contribuire a ridefinirne visione, profilo e agenda. Questa è la sola via per costruire un progetto unitario, all’altezza del tempo e capace di opporsi al messaggio disgregatore populista. La forza del cambiamento viene dalla nostra libertà.
Rita Cavallari, Cristina Comencini, Licia Conte, Antonella Crescenzi, Fabrizia Giuliani, Francesca Izzo, Francesca Marinaro, Donatina Persichetti, Silvia Pizzoli, Anna Maria Riviello, Simonetta Robiony, Cecilia Sabelli, Serena Sapegno, Sara Ventroni; aderisce Alessandra Servidori
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Un buon anno non si nega a nessuno ma il 2018 si è chiuso con una manovra da delirio
Alessandra Servidori
Né rigore né crescita. Il governo giallo verde ha perso la scommessa contro l’Europa, e “vince” quella contro l’economia :tassa le forze produttive e sussidia la gente per non lavorare. E’ così che questo Governo massacra quell’Italia civile, educata, rigorosa, autenticamente democratica, aperta al mercato, sottoposta alla dura ma premiante legge del merito e della concorrenza, che giocoforza si contrappone ad un’Italia qualunquista, integralista, bigotta, incompetente, che campa di spesa pubblica, avversa la scienza e si esalta per ogni forma di giustizialismo salvo quando non è a proprio danno. Questo governo non solo predica “male” – nel senso che vellicano i bassi istinti infarcendo i loro discorsi di fake news – ma razzolano peggio, come hanno dimostrato in questi 7 mesi di governo, e in particolare portando a casa il record di tre fiducie di seguito per approvare la legge di Bilancio come nessun governo nelle 18 legislature della Repubblica era mai riuscito a fare.La spesa pubblica corrente usata per comprare consenso a fronte di pochissimi investimenti in conto capitale e nessuno strategico, la pelosa “generosità” nell’abbassare (anziché elevare) l’età della quiescenza sottacendo che così i giovani si ritroveranno pensioni da fame, il welfare declinato in chiave assistenziale con distruzione di risorse a pioggia, oggi sotto forma di reddito di cittadinanza. Disastrosa la gestione della manovra. Disastrosa per i contenuti della finanziaria, che da manovra per lo sviluppo che doveva essere – e che non è mai stata – è diventata, con tagli per quasi 10 miliardi tutti dal lato degli investimenti, manovra pro recessione, visto che la previsione di crescita per il 2019 dello 0,9% – peraltro ottimistica – è del 40% inferiore all’1,5% indicato nella Nota di aggiornamento al Def di settembre e riconfermato nella prima stesura della legge di bilancio. Disastrosa per la modalità con cui il governo si è rapportato all’Europa, della serie dovevamo suonargliele e siamo stati suonati. E disastrosa adesso, a cose fatte, per l’evidente incapacità che i due vice e Conte stanno dimostrando di saper riconoscere gli errori commessi, ignorando che per gli italiani, più smaliziati di quanto non si pensi, è molto peggio tentare di gabbare una sconfitta per una vittoria che non ammettere l’insuccesso. Le evidenze negative più clamorose rispetto ad una manovra contro lo sviluppo è la stretta sul credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo(comma 70): il tetto massimo scende a 10 milioni di euro (dai precedenti 20 milioni), e l’aliquota resta al 50% solo per alcune attività e tipologie di spesa (ad esempio, il personale), ma scende al 25% per altre. Per le imprese che investono in Industria 4.0 non c’è più il superammortamento sull’acquisto di beni strumentali nuovi, mentre resta l’iperammortamento sugli investimenti 4.0, con una rimodulazione che è favorevole alle PMI ma non alle altre imprese. Proroga 2019 inserita nel corso del passaggio parlamentare anche per il credito d’imposta alla formazione 4.0, che viene a sua volta rimodulata, sempre a vantaggio delle PMI: passa al 50% per le piccole imprese, resta al 40% per le aziende di media dimensione, in entrambi i casi con tetto a 300mila euro, mentre scende al 30% per le grandi imprese, con limite di spesa a 200mila euro. E ancora : tagli agli investimenti per oltre un 1 miliardo nel 2019,aumentano le tasse alle aziende per più di 7 miliardi,aumentano le tasse locali: più care IMU, TASI e addizionali IIRPEF ; tagli a ricerca, cultura, editoria,tagli alle pensioni da 1.200 euro;raddoppiano le tasse per il volontariato,tagli di 2,3 miliardi di euro per le ferrovie e di 300 milioni al trasporto pubblico locale,tagli ai fondi per musei, cinema, teatri, biblioteche,Condono fiscale per gli evasori,Meno trasparenza per gli appalti pubblici. Insomma la riduzione degli investimenti, il blocco delle assunzioni, il mancato adeguamento delle pensioni al costo della vita, l’aumento della tassazione sul volontariato, il disinvestimento nella scuola e nella sanità pubblica sono solo alcuni dei punti di maggiore sofferenza di una manovra che non servirà al Paese e che farà pagare un prezzo enorme ai lavoratori, alle famiglie e alle imprese.
Quota 100 a tutti i costi? No grazie!
Alessandra Servidori Quota 100 a tutti i costi ? Facciamo due conti dicembre 2018
La Riforma Pensioni, nota come Riforma Fornero ed entrata in vigore nel gennaio 2012, ha apportato profondi cambiamenti al nostro sistema pensionistico sia di carattere sociale, come la questione esodati, che sono quei lavoratori che hanno subito, retroattivamente, l’innalzamento dell’età pensionabile pur avendo già stipulato accordi di incentivo all’esodo (prepensionamento) o pur trovandosi a pochi anni dalla pensione di vecchiaia o anzianità contributiva. Otto le salvaguardie INPS finora approvate per tutelare i lavoratori rimasti ancora senza pensione né stipendio. Le pensioni oggi sono ancora soggette a novità,regole, controversie e l’attuale legge di bilancio, sia pur attraverso un ddl, prevede ulteriori modifiche. La ormai famosa quota 100 ossia per richiedere il pensionamento occorre la somma di 38 anni di contributi e 62 anni di età, manca ancora oggi di una definizione chiara ma soprattutto è già certa una ricaduta deleteria sul sistema pensionistico. Intanto è fuorviante – nel bene come nel male – mettere a confronto i 62 anni di Salvini con i 67 attribuiti alla riforma Fornero.Non è vero, infatti, che, con le norme del 2011 sia richiesto a tutti un requisito anagrafico pari a 67 anni (in crescita automatica in corrispondenza della dinamica dell’attesa di vita). Ciò vale per il pensionamento di vecchiaia (quando è sufficiente il concorso di 20 di versamenti per andare in quiescenza), mentre i 62 anni annunciati (come età minima per raggiungere quota 100) si riferiscono al trattamento anticipato di anzianità. Infatti si è fatta molta confusione tra pensione di vecchiaia e pensione di anzianità. Si tratta di due istituti distinti anche nelle finalità: la vecchiaia ha come parametro principale l’età anagrafica; nell’anzianità contano i versamenti effettuati o riconosciuti spesso a prescindere dall’età (come adesso) oppure con un correttivo anagrafico più ridotto. Non è plausibile, quindi, che nel nuovo ordinamento previsto dalla riforma gialloverde, venga soppressa le pensione di vecchiaia, perché se così fosse vi sarebbe una gran parte del mondo del lavoro (pensiamo alle donne che in grande maggioranza sono costrette ad avvalersi della prestazione di vecchiaia perché hanno storie contributive più brevi e discontinue, in media pari a 25,5 anni) che non riuscirebbe mai a varcare l’agognata soglia. Ciò premesso, anche nell’ordinamento vigente, è possibile anticipare l’accesso al pensionamento (tanto che attualmente è superiore – soprattutto tra i lavoratori maschi e residenti al Nord – il numero di coloro che si avvalgono dell’anticipo rispetto a coloro che ricorrono al trattamento ordinario di vecchiaia: nel lavoro dipendente privato, nei flussi correnti, su 100 pensioni di vecchiaia ve ne sono 201 di anzianità). In sostanza, nel 2019-2020, secondo la normativa vigente, è possibile andare in pensione anticipata a 43 e 2 mesi se uomini (a 42 e 2 mesi donne) a prescindere dall’età anagrafica. Vero è che l’età effettiva alla decorrenza in media è risultata essere – è un dato di fatto non un requisito – intorno ai 62 anni. Inoltre, se vi fosse un tetto per la contribuzione figurativa utile a ”fare anzianità” non v’è chi non veda come i periodi richiesti, oggi e domani, tendano ad avvicinarsi e quasi a coincidere. Va poi ricordato che ora vi è un contesto complessivo che ha mutato l’assetto delineato dalla riforma Fornero. L’Ape sociale (che avrebbe bisogno di rifinanziamento ma ancora incerto ) consente ai disoccupati e agli appartenenti a 15 categorie di lavori disagiati o soggetti a condizioni familiari particolari, di ritirarsi a 63 anni (con una contribuzione ridotta). Con l’Ape volontaria si può ottenere un prestito conveniente, in anticipo sul trattamento spettante, a 63 anni con 20 anni di versamenti. Se coloro che hanno diritto all’Ape sociale fossero anche ”precoci” (titolari di 12 mesi di versamenti prima dei 19 anni di età) potrebbero avvalersi dell’uscita dal lavoro con 41 anni di contributi. Normative più favorevoli valgono per i lavoratori sottoposti a mansioni usuranti. A regime 200mila lavoratori fruiranno, poi, del trattamento riservato ai c.d. esodati (ovvero vanno in quiescenza con le regole vigenti prima della riforma Fornero).Ma la questione vera oggi sono e rimangono le risorse per finanziare la quota 100, che in prima battuta alla Camera prevedeva 7 miliardi per il 2019 e 8 miliardi per il 2020 che comunque dovrà essere attuata con un altro provvedimento, sia esso un disegno di legge collegato (il quale non si avvale del contingentamento riservato alla sessione di bilancio) o un decreto legge successivo all’approvazione della manovra, sempre che gli sia riconosciuto il carattere di urgenza. Inoltre, si ribalta un concetto di diritto costituzionale : non si può condizionare il riconoscimento di un diritto soggettivo all’interno di un limite di spesa,perché o si accontenta chi arriva prima fino a quando le risorse non sono finite, oppure è un provvedimento sperimentale perché strumenti di gestione finanziaria eccezionali sono stati previsti in altre occasioni, ma si trattava però di piccoli gruppi di persone interessate. Diventerebbe, insomma, molto complesso applicare questo metodo in un’operazione che coinvolge centinaia di migliaia di persone. La maggior parte delle persone che potranno aderire a quota 100 nel triennio 2019-2020-2021 ( ammesso che sia strutturale la norma e appunto a termine) non vedrà l'ora di andare in pensione e l'impatto sarebbe difficilmente sostenibile - mentre dal 2022 la maggior parte di quelli che andranno in pensione avranno la quota più rilevante della pensione calcolata col sistema contributivo (il 65% dell'assegno) e quindi avrà un abbattimento reale del 20% rispetto alla quota maturata ai 67 anni. Il che significa che le persone ci ragioneranno un po' di più .E come giustamente afferma Tito Boeri è escluso che si possa evitare un aumento dell'età pensionabile. Una soglia che, legata per legge alla speranza di vita, dovrebbe arrivare nel 2019 a 67 anni, cinque mesi in più rispetto a ora. Se saltasse l'adeguamento ci sarebbe un impatto sui conti stimabile in 141 miliardi di euro. Ma non sarebbe solo un problema di tenuta dei conti pubblici visto che le pensioni sarebbero più basse: quindi questo stop all’aumento progressivo dell’età pensionabile non è neanche nell’interesse dei lavoratori più deboli.
TRASFORMAZIONI TECNOLOGICHE, FORMAZIONE E LAVORO
PROBLEMI E PROPOSTE Professionalità - n. 2/2018 - Anno XXXIV - ISSN: 0392-2790
TRASFORMAZIONI TECNOLOGICHE, FORMAZIONE E LAVORO di Alessandra Servidori
I nuovi modelli organizzativi e la digitalizzazione spinta dei processi produttivi interpellano la politica, chiamata a far fronte ad un cambiamento che, pur senza indulgere a previsioni apocalittiche (le macchine non potranno mai sostituire la competenza umana), se non governato adeguatamente, potrebbe avere un impatto pesante sulla tenuta delle nostre società. Stessa cosa dicasi per il sindacato.
La paura di una sostituzione dei lavoratori da parte delle macchine e di conseguenza di una crescente disoccupazione è molto antica e fin dalla prima rivoluzione industriale portò disorientamento e proteste sociali. I pareri tra gli economisti sono diversi ma alcuni studi recenti1 sostengono che il progresso tecnologico sarà minore e che i lavoratori fronteggeranno un rischio di sostituzione modesto. Naturalmente siamo consapevoli dei problemi reali e concreti che già stiamo affrontando con la nuova rivoluzione digitale e la preoccupazione del ritardo in cui operiamo rispetto al Piano nazionale Industria 4.0 e nella consapevolezza che l’introduzione delle nuove tecnologie richiede, per renderle efficienti e operative, la piena e convinta adozione di modelli di relazione tra impresa e lavoratori di tipo partecipativo e cooperativo. Un nuovo modello produttivo. Il nostro grado di conoscenza dei cambiamenti intervenuti – o che a breve interverranno – nella catena di creazione del valore e che tanto incidono e ancor più incideranno, nei prossimi anni in ambito formativo e giuslavoristico è in verità relativo poiché multiforme: lo dobbiamo approfondire nelle interconnessioni tra produttori (impresa e lavoro) e consumatori; nelle interrelazioni tra ricerca, progettazione, produzione e sviluppo; nell’intreccio tra manifattura e servizi; nell’incedere della economia della condivisione e delle logiche di rete su scala globale e locale anche all’interno della manifattura e della produzione di beni al punto da rendere tendenzialmente irrilevante il nodo della dimensione di impresa, dato peculiare del caso italiano. Soprattutto nello sviluppo e nell’approvvigionamento di adeguate competenze professionali attraverso un rinnovato raccordo tra sistema educativo, formativo e sistema produttivo perché nasceranno e si svilupperanno nuove professioni legate alle moderne tecnologie per le quali le imprese dovranno individuare a seconda delle proprie esigenze i fabbisogni formativi e le competenze specifiche anche trasversali: variabilità di mansioni, rotazione dei ruoli, cooperazione delle persone con i macchinari intelligenti, capacità di comunicazione, condivisione, apprendimento, decision making con strumenti e modalità didattiche in grado di formarle e trasferirle e tecniche di valutazione e remunerazione del saper fare in una rivoluzione che sostituisce i vecchi parametri retributivi in uno scambio salario-lavoro. Skills mismatch Inoltre, è proprio di questi giorni uno studio di Confindustria che denuncia sulle figure professionali emergenti il gap tra domanda e offerta formativa. Entro il 2022 mancheranno solo in Emilia-Romagna 90 mila laureati e diplomati tecnico-scientifici, tra di loro ingegneri e tecnici che le aziende stanno già cercando, figure importantissime per l’avvenire del sistema imprese, per cui è fondamentale ripensare l’orientamento per migliorare la percezione sociale dei profili tecnici fra i giovani e le famiglie per sviluppare anche una cultura industriale. Tra i profili fondamentali c’è nella meccatronica il product market innovation manager, nell’automazione il tecnico in progettazione software per le macchine della motoristica, tecnico esperto di analisi dati, e gestioni produttive. Quale politica per far fronte al cambiamento? La tecnologia avanzata quella che serve alla nostra industria vede nella Legge di bilancio inviata a Bruxelles il dimezzamento dei fondi del Piano industria 4.0 e questo è un provvedimento che ovviamente rende debolissimo il nostro sistema. Secondo la Oxford University quello di receptionist o addetti agli uffici informazioni è uno dei lavori più a rischio a di sostituzione del settore retail: in tutto il mondo si stanno moltiplicando infatti le casse automatiche a self-service e il processo è destinato a proseguire. Il mondo della tecnologia, con le app per smartphone e i “chioschi digitali”, sta minacciando concretamente queste occupazioni; il mondo dei consulenti finanziari fisici, sempre più in difficoltà rispetto ai consulenti low cost “a distanza” delle piattaforme internet di financial advisor. Un fenomeno poco sentito in Italia, almeno per ora, ma già tangibile nel mondo anglosassone. Mentre la formazione via internet è una realtà ormai consolidata, ma passeranno molti anni prima che qualcuno progetti un robot in grado di sostituire una maestra elementare. Il mix di qualità psicologiche e affettive indispensabili per insegnare ai bambini non è facile da replicare. Così per i chirurghi anche in questo caso la precisione, la capacità analitica e di reazione rapida in situazioni difficili non può prescindere dalle capacità dell’uomo. Essere sotto i ferri di un robot non è ancora una prospettiva entusiasmante; il robot avvocato non è dietro l’angolo, ma attenzione: a rischio secondo lo studio britannico sono gli assistenti legali (94% di possibilità di essere sostituiti da macchine), le cui mansioni possono essere in parte replicate dall’insieme delle tecnologie future. La responsabilità di proteggere l’occupazione rimarrà in mano alla politica: non soltanto dovrà formare le persone alle nuove tipologie di lavoro che il progresso tecnologico schiuderà, ma dovrà anche interferire sulla velocità di applicazione dei sistemi robotici, specificando in sede legislativa una quantità minima di lavoro umano che debba mantenersi in ogni processo di automatizzazione. Secondo un report di Manpower Us, nove imprenditori su dieci dichiarano che assumere maestranze altamente formate è la chiave per far crescere la propria impresa nei prossimi dieci anni. Un trend che riguarda in prima persona milioni di giovani che vorranno affacciarsi nel mercato del lavoro, così come disoccupati che oggi hanno necessità di riqualificarsi. Secondo Pwc in Europa le aziende che vogliono investire in queste tecnologie sono il 19%, un’importante fetta del nostro sistema produttivo. Superiorità del lavoro umano Il progresso tecnologico non avrà in futuro, come non ha mai avuto nella storia, il potere di rendere definitivamente inutile il lavoro umano: questo, se sapremo valorizzarlo, continuerà ad avere campi sconfinati nei quali rispondere a esigenze delle singole persone e della società. E sarà la stessa disponibilità di lavoro umano generata dalla scomparsa dei vecchi mestieri a stimolare la capacità di inventarne di nuovi, in una rincorsa continua tra invenzione di macchine capaci di sostituire il lavoro e invenzione di mestieri che le macchine non saranno in grado di svolgere, la globalizzazione promossa dalle nuove tecnologie amplia la possibilità per i lavoratori di cercare, sia individualmente sia collettivamente, l’imprenditore più capace di valorizzare il loro lavoro: per cui una concorrenza più intensa nel mercato sul lato della domanda, dalla quale può conseguire un rafforzamento del potere contrattuale dei lavoratori. Un nuovo ruolo per il sindacato. Un nuovo mestiere che il sindacato deve imparare a svolgere in tutte le situazioni di crisi occupazionale sarà quello di guidare i lavoratori nella ricerca e nella valutazione degli imprenditori disponibili su scala mondiale, dei piani industriali che essi propongono, e poi nella negoziazione con quello considerato migliore la scommessa comune sulla nuova impresa. Probabilmente la nuova frontiera del diritto del lavoro del Ventunesimo secolo si colloca qui: non tanto in un radicale ridisegno della disciplina inderogabile del rapporto di lavoro tradizionale, quanto nella costruzione di un diritto soggettivo al sostegno efficace nella transizione dal vecchio al nuovo lavoro. Che è essenzialmente il diritto alla formazione e alla riqualificazione continua e congrua in relazione all’evoluzione delle esigenze del tessuto produttivo. Vero è che il sindacato deve saper sviluppare il suo potenziale con la contrattazione di prossimità sapendo che un accordo negoziale di autoregolamentazione non può risolvere i problemi della proliferazione dei contratti collettivi, ma sicuramente rappresenta un punto fermo per imprese e lavoratori. L’Accordo interconfederale siglato il 9 marzo 2018 guarda ad una rappresentatività misurabile e misurata, ritenuta per i firmatari strumento necessario per dare piena efficacia ai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali più rappresentative. L’Accordo, inoltre, offre un’apertura importante: l’efficacia generalizzata dei contratti collettivi di lavoro costituisce un elemento che qualifica il sistema di relazioni industriali. Infatti, esordisce il testo dell’Accordo, «un sistema di relazioni industriali più efficace e partecipativo per qualificare e realizzare i processi di trasformazione e di partecipazione e di digitalizzazione nella manifattura e nei servizi innovativi, tecnologici e di supporto all’industria».È cresciuta ovunque in Europa la propensione al primato della contrattazione territoriale e aziendale in quanto più idonea a definire il sinallagma tra salari e produttività come i termini del reciproco adattamento tra imprese e lavoratori. E nel concreto di quell’azienda o di quel territorio non potremo non considerare tutti i soggetti più rappresentativi anche se non coincidenti con quelli nazionali. La sfida vera oggi è quella della effettiva diffusione e applicazione erga omnes dei contratti territoriali o aziendali. I lavoratori hanno interesse innanzitutto a condividere le modalità di ingresso delle nuove tecnologie, a partecipare dei risultati attraverso adeguati incrementi retributivi li ove sono misurabili, ad accedere alle conoscenze, competenze e abilità che li rendono occupabili, a modulare l’orario di lavoro in relazione alle loro esigenze. E le imprese hanno lo stesso interesse.
Alessandra Servidori Università di Modena e Reggio-Emilia- Professionalità - n. 2/2018 - Anno XXXIV - ISSN: 0392-2790
Quel fumo di Londra che contagia l'Italia
Alessandra Servidori IL DIARIO DEL LAVORO
L’Unione europea, nel triennio appena passato , ha subito un frenata inaspettata dal referendum britannico che ha decretato il leave del Regno Unito, lasciando nella squadra europea la sola Irlanda. La frattura, che formalmente si realizzerà nella primavera 2019 dopo il prescritto periodo di Brexit negotiations, ha prodotto negativi effetti economico- finanziari interni all’UK, ma soprattutto si è abbattuta sulle già fragili Istituzioni europee, inducendo nuovi o latenti rigurgiti nazionalistici anche in numerosi altri paesi membri dell’Unione. Le ondate migratorie hanno favorito l’emergere di questi nazionalismi che si sono tradotti in un forte apprezzamento dei partiti c.d. sovranisti, sostenitori dell’idea di un’Unione Europea minimalista e flessibile, dotata di poteri residuali di indirizzo e sorveglianza economica e di competenze regolative e sanzionatorie più limitate e circoscritte. Questo scenario politico, economico ed industriale di crescita ed innovazione tecnologica più contenuto rispetto a quello registrato in altre parti del mondo e drammaticamente declinante in Italia, ha determinato un rallentamento delle politiche sociali europee e delle correlate iniziative sia di hard sia di soft law, con un progressivo ripiegamento delle stesse entro i confini già definiti e sperimentati (con alcune importanti eccezioni quali la nuova direttiva sul distacco transnazionale n. 2018/957/UE del 28 giugno 2018). Ci soffermiamo allora sull’accordo Ue-UK, e quali sono i possibili scenari da qui alla scadenza ultima per Brexit, e sopratutto quali i possibili rischi per l’Italia che attraverso sirene irresponsabili,pensano di trascinarci in fondo al dirupo mettendoci in conflitto con la Commissione per le note perdenti manovre di bilancio.E’ bene infatti ricordare che all’uscita dell’ UK hanno pesato e dunque contribuito molto positivamente le regole già scritte nei Trattati europei, che nei casi di uscita di un paese dall’Ue prevedono un negoziato centralizzato e guidato dalla Commissione. Ma i singoli stati avrebbero comunque potuto “sabotare” il processo se, per esempio, non avessero raggiunto un accordo preciso sul mandato negoziale da conferire alla Commissione nelle varie fasi delle trattative. Cosa che invece hanno fatto. E meno male perché la Brexit non è affatto conclusa e restano passaggi fondamentali. L’Ue è rimasta inflessibile sulle proprie red lines, a partire dal fatto che a May non è stato concesso di fare cherry picking, ovvero di conservare i benefici dell’Ue (per esempio l’accesso al mercato unico) senza farsi carico dei suoi costi (contributi finanziari al bilancio, libertà di circolazione delle persone e dei capitali, incluso un apparato regolatorio troppo ingombrante in alcuni settori). In estrema sintesi: o si è dentro o si è fuori. Il governo tory da tempo aveva scelto la strada di uscire, salvo poi dover trovare un escamotage per mantenere uno stretto rapporto con l’Ue ed evitare un confine fisico tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. Dalla data del referendum a oggi la sterlina ha perso oltre il 7 per cento nei confronti dell'euro e ancora di più nei confronti del dollaro, sebbene quest'ultimo si sia, a sua volta, svalutato nei confronti della moneta europea. La conseguenza immediata è stata la crescita del tasso d'inflazione, che ha toccato quota 3,1 per cento. Quasi il doppio delle medie europee. Ne è derivata una decisa contrazione dei consumi, visto che i salari sono rimasti bloccati. E che oggi si collocano all'ultimo posto tra i 32 Paesi dell'Ocse. Prospettiva che non si è accompagnata a un aumento del tasso d'occupazione. Il cambiamento dello scenario internazionale ha poi avuto un impatto negativo su un'economia, come quella inglese, che si era già isolata dal contesto europeo. A dimostrazione di quanto sia importante appartenere ad un'area monetaria più vasta, capace di ammortizzare eventuali shock provenienti dall'estero. Se gli inglesi hanno dovuto imparare a loro spese, quanto possa divenire pesante il costo dell'isolamento, evitiamo di percorre la stessa strada in Italia. La cui struttura complessiva, non solo dal punto di vista economico e finanziario, non è certo comparabile con quella che si è sviluppata al di là della Manica. Il problema maggiore per Roma proviene dal rischio contagio, ovvero la possibilità che eventi che aumentano l’incertezza sui mercati si ripercuotano sulla percezione della solidità dell’Italia. In un momento in cui lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi è salito da quota 150 a maggio andando a 300 negli ultimi mesi, qualsiasi “disruption” in Europa rischia di far aumentare la volatilità dei rendimenti, complicando ulteriormente un quadro già critico. n piu’ l’Italia ha un consistente surplus commerciale (oltre 10 miliardi l’anno) con la Gran Bretagna, peraltro in aumento negli ultimi anni. L’ipotesi hard Brexit ,che non è ancora del tutto superata in quanto si attende il passaggio di metà dicembre per ratificare l’accordo a Westmister, avrebbe dunque un impatto sull’economia italiana, in particolare su alcuni settori di punta del nostro export, come la meccanica strumentale, il tessile, il chimico e l’agroalimentare. Incrociamo le dita perché il fumo di Londra non ci rechi danni di più di quelli che l’attuale governo ci ha portato.
Welfare aziendale e produttività: troppo pochi gli accordi
Alessandra Servidori - Produttività ,welfare aziendale e contrattazione : ancora troppo pochi gli accordi,al di là della bontà ideologica dell’istituto della contrattazione di prossimità e della produttività.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha pubblicato i dati sull’attività della contrattazione di secondo livello in merito al monitoraggio degli accordi della Banca dati del Ministero al 14 novembre 2018.Il report si compone di due parti :la prima dà una indicazione del trend della misura e della sua diffusione territoriale,la seconda invece fa il monitoraggio dei soli contratti attivi alla data del 14 mc.Ricordiamo che a seguito del decreto interministeriale del marzo 2016,relativo alla detassazione dei premi di produttività la procedura per il deposito telematico dei contratti territoriali e aziendale è attiva e interessante posto che è stato possibile registrare anche quelli sottoscritti sin dal 1 gennaio 2015. La materia ha avuto un percorso legislativo basilare nel 2007 con la legge n,247 che ha dato vita al Fondo per gli sgravi contributivi e fiscali legati alla produttività di prossimità, proseguendo con innovazioni della legge n. 92 del 2012 e dal 2015 le leggi di stabilità ne hanno impresso una accelerazione . Partendo dagli obiettivi che attraverso questo istituto possono essere raggiunti e cioè quello del benessere personale e organizzativo-gestionale; quello del miglioramento dell’immagine e della credibità aziendale; quello della maggior produttività e della costruzione del welfare mix associato all’implementazione di un sistema di relazioni industriali con maggior impronta partecipativa, il fine ultimo è senz’altro quello di interventi che favoriscono una maggiore fidelizzazione all’impresa, miglioramento dei sistemi produttivi che a loro volta possono generare aumenti di produttività e dare in contemporanea una spinta alla competitività dell’impresa. E’ sicuramente uno strumento di politica retributiva in quanto con i mutamenti fiscali e contributivi intervenuti,incide e non poco sul costo del lavoro. Il report dà notizie del trend del deposito dei contratti collettivi aziendali o territoriali e dunque della dichiarazione di conformità previste dalla legge( in totale 39.287 di cui il 78% al nord,il 16% al centro e il 6% al sud)) e di quelli attivi a tutt’oggi 16.367 di cui facciamo una disamina mirata. Infatti di questi contratti attivi 12.885 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività,9709 di redditività,7840 di qualità ,mentre 2.302 prevedono un piano di partecipazione e solo 7,553 prevedono misure di welfare aziendale. Per i 16. 367 dei contratti attivi dei quali 13.352 aziendali e 3015 territoriali ,il 76% è al Nord,17% al centro, 7% al sud. Per settore di attività economica abbiamo il 59% nei servizi,il 40% nell’industria e solo il 1% in agricoltura. Per dimensione aziendale otteniamo il 51% con meno di cinquanta dipendenti, il 34% con numero maggiore di cento dipendenti, e il 15% con numero di dipendenti da cinquanta a novantanove. Le considerazioni in merito a questi dati sono per l’auspicio di un potenziamento sella contrattazione aziendale e decentrata come terreno in cui si realizzano le migliori possibilità di creare effetti positivi diretti sulla qualità dell’occupazione e sui risultati aziendali. Dunque l’impresa sostenibile, aiutata anche e soprattutto dai corpi intermedi e dunque dai sindacati,dal mondo dell’associazionismo è chiamata a farsi carico dei problemi emergenti della società di cui lo Stato non riesce più a far fronte da solo,non solo per accrescere la propria competitività e al tempo stesso creare valore per il territorio in cui si inserisce generando un miglioramento del benessere generale in armonia e sussidiariamente rispetto con i servizi offerti dal tessuto sociale.Il welfare aziendale in particolare è uno strumento indispensabile sotto molteplici aspetti della vita aziendale e socio-economica del Paese perché l’impresa può porre attenzione e sviluppare una capacità di dialogo con i soggetti presenti sul territorio puntando ad una valorizzazione delle risorse umane e dunque delle persone e il sindacato deve spostare non solo culturalmente ma anche politicamente il baricentro della contrattazione dai temi più classici del salario,orario,a questioni come la conciliazione vita e lavoro,la formazione,le politiche attive del lavoro ai margini,fin ora, di una significativa parte delle parti sociali e anche dei lavoratori. Una contrattazione dunque generativa, che significa mettere in atto relazioni di lavoro attente al benessere organizzativo e sociale tenendo presente alcuni vincoli aziendali e favorendo così il welfare partecipativo alla vita dell’impresa.
Donne e violenza:Europa in movimento.Italia Immobile
QUI EUROPA
Donne e violenza, l’Europa in movimento, l’Italia immobile
Per il 25 novembre giornata internazionale dedicata alla lotta alla violenza sulle donne a Bruxelles due Commissioni, la Commissione per i problemi economici e monetari e la Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere,il 21 scorso hanno presentato due importantissime proposte avanzate come Risoluzione al Parlamento Europeo: una sul potenziamento delle risorse su progetti sulla parità di genere e l’altra sulle politiche fiscali, nell'Unione europea, che hanno come scopo di introdurre modifiche importantissime al programma sui diritti e i valori incluso nel nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) per il 2021-2027. Viste le conclusioni del Consiglio del 16 giugno 2016 sull'uguaglianza di genere (00337/2016), – e il patto europeo per la parità di genere per il periodo 2011-2020, allegato alle conclusioni del Consiglio del 7 marzo 2011 (07166/2011), il Parlamento deve coerentemente passare dalle parole scritte ai fatti. L’obiettivo è rafforzare le disposizioni della proposta sull'uguaglianza di genere, con una nuova sezione che finanzia la promozione dell'uguaglianza e l'integrazione della dimensione di genere.
Aggiungendo la promozione e l'attuazione della Convenzione di Istanbul quale ulteriore elemento centrale della linea del Progetto Daphne, che dovrebbe concentrarsi sulla violenza di genere. Il Progetto si occupa già della violenza contro altri gruppi per i Diritti e Valori. Il nuovo filone sull'uguaglianza di genere dovrebbe avere un'assegnazione separata nell'ambito della parità e dei diritti, rispettivamente del 20% e del 50%. La proposta è stata adottata con la maggioranza dei voti favorevoli. Anche perché, proprio in concomitanza con la giornata internazionale dedicata ai bambini che subiscono la povertà , la violenza domestica è una violazione dei diritti dei bambini sia che siano loro stessi vittime o testimoni di violenza in famiglia. La violenza domestica ha un effetto dannoso sullo sviluppo dei bambini. L'esposizione alla violenza di genere nega ai bambini il diritto a un ambiente domestico sicuro e stabile. La violenza domestica contro i bambini ha molte manifestazioni diverse e può essere sotto forma di violenza sessuale, violenza fisica e / o psicologica,tragedia tremenda quando i bambini sono vittime di violenza di genere, sia come testimoni o vittime dirette e, in alcuni casi, perdono la madre uccisa dal padre.
L’altra proposta, considerando che l'assenza di una prospettiva di genere nelle politiche fiscali dell'UE e nazionali esacerba gli attuali divari di genere (occupazione, reddito, lavoro non retribuito, pensioni, povertà, ricchezza ecc.), crea disincentivi all'ingresso delle donne nel mercato del lavoro e alla loro permanenza nello stesso e riproduce i tradizionali ruoli e stereotipi di genere; invita la Commissione a sostenere l’uguaglianza di genere in tutte le politiche fiscali, e a emanare linee guida e raccomandazioni specifiche per gli Stati membri, inclusa la realizzazione di audit di genere delle politiche fiscali al fine di eliminare le discriminazioni di genere in ambito fiscale e garantire che non si introducano nuove imposte, leggi di spesa, nuovi programmi o nuove pratiche che aggravano il divario di genere relativo al reddito di mercato o al reddito al netto delle imposte o che rafforzano il modello familiare in cui il capofamiglia rappresenta l'unica fonte di reddito. Si invita il Parlamento e gli Stati membri a effettuare valutazioni dell'impatto di genere delle politiche fiscali sia prima che dopo la loro attuazione; a favorire l'integrazione degli aspetti di genere nell'ambito delle valutazioni relative alla progettazione delle politiche fiscali fondamentali effettuate nell'ambito del semestre europeo; sottolinea che le revisioni dei sistemi fiscali degli Stati membri nel quadro del semestre europeo, nonché le raccomandazioni specifiche per paese, richiedono un'analisi approfondita riguardante gli effetti sui divari di genere socioeconomici, il divieto di discriminazione e la promozione della sostanziale parità di genere e dovrebbero anche tener conto della necessità di misure istituzionali adeguate a livello degli Stati membri.
Gli Stati membri devono adottare un approccio sensibile al genere per la definizione del bilancio, in modo da identificare esplicitamente la quota di fondi pubblici destinati alle donne e garantire che tutte le politiche per la mobilitazione delle risorse e l'assegnazione della spesa promuovano l'uguaglianza di genere.
Come già avevamo segnalato, l'uguaglianza di genere non era stata riconosciuta come priorità orizzontale nel quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027. Dunque si esorta l'UE a integrare immediatamente il bilancio di genere, relativamente alle entrate e alle uscite, nel processo di bilancio, in linea con l'obbligo di integrazione delle questioni di genere dell'Unione europea come già deliberato:infatti vi è la necessità di realizzare ulteriori ricerche e garantire una migliore raccolta dei dati disaggregati in base al genere che riguardano gli effetti distributivi e allocativi del sistema di tassazione differenziati in base al genere poiché la discriminazione e la violenza sulle donne si vincono se alla cultura del rispetto e della valorizzazione del ruolo femminile si dedicano risorse e non solo parole. E anche in Italia dovremmo imparare a incalzare tenacemente il Governo perché sulla violenza passi dalle celebrazioni ai fatti concreti, uscendo dalle segrete stanze delle promesse e degli slogan, delle ridicole e inconcludenti “cabine di regia”, e infine dagli spot televisivi della Presidenza del Consiglio, che sono ormai insopportabili e offensivi.
Alessandra Servidori - 22 Novembre 2018 IL DIARIO DEL LAVORO