UN DEF DEMENZIALE e 4 anime colpevoli
Alessandra Servidori
4 Anime : 1 in pena( Tria) 1 Spavalda( Conte) e 2 sciallate (Salvini e Di Maio).Dovrebbero andare a lavorare
Di DEF e dei deliranti contenuti se ne parla poco e soprattutto del fatto che il ministro Tria riconosca esplicitamente la responsabilità dell'Esecutivo nella crisi economico-finanziaria italiana, che verrà approvato dal Parlamento con una mozione voluta dai due vicepremier, che esprimono una linea diametralmente opposta appoggiata servilmente dal Premier.
E’ orribile la situazione in cui versiamo e drammatica sarà sicuramente dal 27 maggio in poi, quando il passaggio politico del voto europeo si sarà compiuto e anche gli italiani più disinvolti dovranno rendersi conto che l’alternativa è una sola : o sperare di dare un nuovo inizio alla legislatura o metterci fine. La così detta verità uscita finalmente come un coniglio spelacchiato dal cappello del Ministro del tesoro ha messo in luce le bugie, le falsità reiterate sulle reali condizioni di salute sia dell’economia che della finanza pubblica.I numeri sono lì nero su bianco e non si possono cambiare : una crescita tendenziale del pil quasi azzerata (+0,1%), e neanche sarà rinforzata dal minimo rimbalzo della produzione industriale registrato a febbraio perché si trattta di export e di merce di cui i magazzini sono ancora pieni dal fermo dell’occupazione in atto ,e non è scalfibile la stima di un decimo punto in più rispetto alle previsioni più negative che ipotizzano realmente un 2019 a -0,1% o addirittura a -0,2%. E questo reddito di cittadinanza sicuramente non sosterrà l’occupazione in quanto le furbizie si stanno già evidenziando. E’ il caso di chi si è dimesso da un posto di lavoro regolare che non può chiedere subito il “reddito di cittadinanza” ma per averlo subito basta far figurare un licenziamento invece che le dimissioni. Quanto alla possibilità di perdere il sussidio per il rifiuto di un’“offerta di lavoro congrua”, tutti sanno che è un rischio soltanto teorico perchè avendo stabilito che il rdc è di 780 euro , c’è la prospettiva seria che qualche milione di lavori a tempo parziale sparisca, o si inabissi nell’economia sommersa, portando con sé altrettanti matrimoni trasformati in convivenze non dichiarate. Così la quota 100 non significa più giovani al lavoro ma anzi impoverimento dei settori nevralgici come la sanità e l’istruzione, il reddito di cittadinanza appunto significa più lavoro irregolare , perché il Governo ha deciso di impostare l’intero schema del cosiddetto “reddito di cittadinanza” come misura di politica del lavoro, per sottrarne la gestione ai comuni. Come se non bastasse ha condizionato l’erogazione del sussidio alla disponibilità del beneficiario ad aderire “almeno alla terza offerta di lavoro congrua” che gli pervenga entro il primo anno. Nessuno, evidentemente, ha informato il Governo che da ormai mezzo secolo le aziende non comunicano più agli uffici di collocamento posti di lavoro che possano essere offerti a Tizio o a Caio indifferentemente: nessuna azienda offre un’assunzione “al buio”, prima di aver vagliato attentamente le attitudini e motivazioni del candidato. Tanto meno lo farebbe con la prospettiva di vedersi avviare una persona non qualificata, che per di più si presenterebbe solo perché costretta. Il meccanismo di “condizionalità”, previsto per limitare la natura assistenzialistica del sussidio, non può dunque funzionare. Quel che è peggio, però, è che nello stesso decreto è contenuta questa disposizione strabiliante: si esclude chi ha perso il posto, e sta godendo del trattamento di disoccupazione (NASpI), dal servizio di assistenza qualificata istituito nel 2015 e finanziato conl’assegno di ricollocazione e lo si riserva ai soli beneficiari del RDC, per i quali per lo più esso non può funzionare. Aggiungiamo che lo sblocca cantieri è bloccato e la decrescita è in atto. : il DEF è una dichiarazione di fallimento completa e reale. I 4 non solo non si fanno carico di un ciclo economico italiano, già così più basso di oltre un punto rispetto alla media Ue che ha una differenza ancor più larga con l’eurozona, ed è francamente offensivo per gli italiani continuare ad affermare che è colpa della Germania .E’ evidente, che il Def ci porta dritti dritti all’aumento dell’Iva, per il programmato ammontare di 23 miliardi nel 2020 e di 28 nel 2021 e la necessità di ottemperare all’obbligo delle clausole di salvaguardia europee facendo aumentare le aliquote Iva per un gettito complessivo di 23,1 e 28,7 miliardi. C’è poi in vista la promessa anch’essa demenziale che si vuole introdurre quella che impropriamente è stata chiamata flat tax, la quale prevedendo ben sei classi di aliquote tributarie altro non sarebbe che una riformina fiscale, dal costo di 17 miliardi di minori entrate (se avesse le caratteristiche prevista dalla proposta leghista) che sarebbero recuperate attraverso l’aumento del pil e quindi del gettito solo nel giro di qualche anno, sempre che gli effetti reali sulla base imponibile non si rivelino negativi. Il che, nel combinato disposto del non aumento dell’Iva e dell’entrata in vigore della manovra fiscale, farebbe salire il deficit 2020 fino al 4,1 del pil. Altro che procedura di infrazione ,un buco nero che ci porta in una crisi economica enorme e le tasche degli italiani completamente svuotate da questi irresponsabili.
Governo Irresponsabile
Alessandra Servidori
Questo governo non ha il pudore della responsabilità :sui conti pubblici noi italiani sicuramente siamo già più che allertati dalla situazione di emergenza in cui ci troviamo con i provvedimenti che sono stati adottati e che ci hanno portato giù nel declino e nel disastro. Martedì 9 aprile sarà la nuova manovra finanziaria, che ha un’anticipazione nel Def, il documento di programmazione, che il ministro Tria deve presentare appunto martedì prossimo, che chiarirà questa impresentabile disfatta. Perchè sarà la legge di bilancio autunnale, salvo la necessità di farla precedere da una manovra correttiva che riduca almeno un po’ lo scarto tra le indicazioni contenute nella legge finanziaria varata a dicembre scorso e la realtà delle condizioni del ciclo economico e della finanza pubblica. L’apice del programma di governo contenuto nel famoso “contratto” e il conseguente “stallo” che si è creato dentro l’esecutivo e nella maggioranza parlamentare che lo sostiene ha bloccato il nostro Paese. I due della banda Bassotti del governo, Lega e 5stelle, in totale dissenso su tutto, le liti anche sul piano delirante e il Presidente Mattarella pronto a “riparare” per quanto fosse possibile i danni enormi per la salvaguardia degli interessi del Paese che nel tutelare l’agibilità dei ministri cosiddetti tecnici ha finito, e meno male , per assumere un ruolo sempre più politico. Per nostra misericordia sono più gli italiani che giudicano negativamente la politica economica gialloverde fatta fin qui di quelli che l’approvano e dobbiamo augurarci che il ministro Tria, forte dell’appoggio del Quirinale, sia in grado e deciso nell’adottare una linea che sia di verità detta al Paese, di argine a derive populiste (vedi le banche), di rigore nella gestione della finanza pubblica e di spinta agli investimenti produttivi e infrastrutturali, a cominciare dalla Tav. Noi ci auguriamo che agisca in questo modo e riteniamo che sia anch’egli disgustato dagli attacchi personali che ha subito, ma non è l’unico e anche perché a chiederglielo, oltre che il Colle – e già sarebbe più che sufficiente, per lui – sono tutti gli interlocutori internazionali, europei e non, preoccupati che l’Italia salti in aria trascinando nuovamente l’eurozona, e con essa altre aree economiche e monetarie, nell’ennesima fase di crisi. E’ aumentato il livello di tensione dentro governo e maggioranza e la situazione è insostenibile : è indispensabile che la scelta di Tria sia di presentare un Def veritiero e non elettorale non cadendo nella scia deleteria di precedenti governi che in questi anni hanno adottato il criterio speculativo di fare del documento di programmazione un falso in bilancio, scrivendo previsioni virtuose, cui Bruxelles faceva finta di credere, che tutti sapevano non avrebbero retto a consuntivo. Ma che era anche, convenzionalmente, il modo per fare deficit spending: non dicendolo preventivamente, anzi. TerzaRepubblica capitanata da Enrico Cisnetto ha preso le previsioni del rapporto deficit-pil contenute nei vari Def e le ha confrontate con quanto successivamente consuntivato. Dal 2011 in poi sulle 22 previsioni contenute nei 7 Def presi in esame (escluso l’ultimo, scritto “a politiche invariate” dal governo Gentiloni dimissionario), solo una volta il deficit preventivato si è rivelato superiore o almeno uguale a quello poi riscontrato a consuntivo l’anno dopo. In tutti gli altri casi i governi sono sempre stati troppo “ottimisti”, con uno scarto che in media è risultato di quasi un punto percentuale (0,86 per la precisione).Ora è giunto il momento di non nascondere niente : abbiamo una condizione recessiva con una crescita del pil pari allo 0,1% ed è più probabile – perché largamente stimato dai maggiori centri di analisi internazionali – che davanti a quel decimo di punto ci sia il segno meno. Questo Governo vuole arrivare alle elezioni del 26 maggio negando ostentatamente la crisi ma comunque sia chi vorrà prendere a mano una nuova manovra che deve aumentare l’Iva per 52 miliardi e e’effetto accumulo dei problemi lasciati irrisolti da anni, e di tutte le bugie raccontate a quegli italiani che ci hanno creduto : chi incrementa oggi la sua storia retributiva sul versante pensionistico acquista solo dei diritti che NON saranno onorati dai giovani di oggi perché NON ci saranno le risorse e continuerà il blocco dell’adeguamento delle pensioni,anche perché gli andamenti demografici ci dicono che c’è un processo di invecchiamento e una denatalità inversamente proporzionale: le pensioni a quota 100 sono tutte lunghe e a scapito dei giovani e resta una bugia grossissima che andare in pensione prima rilancia l’occupazione.Circa 700 mila insegnanti e bidelli stanno scappando dalle scuole,il settore sanitario che rimane senza medici, e l’Italia si impoverisce sempre di più,perché anche il welfare soffre moltissimo e questo governo NON ha favorito il welfare aziendale che è la trasformazione di una parte della retribuzione tassata in retribuzione esente e la cui funzione principale è quella di conciliare il tempo di lavoro con il tempo per la famiglia.Senza un Piano nazionale vero per gli asili nido,senza un incentivo per negozi e aziende,attività produttive, se non si sostengono i distretti produttivi con i servizi per le famiglie compresi gli anziani, le coppie continueranno a non fare figli perché non sanno a chi lasciarli e gli anziani staranno sempre più soli e abbandonati e l'istruzione dei pochi bambini sarà lasciata a insegnanti sempre più avanti negli anni e stanchi.
EUROPA SOSTANTIVO PLURALE FEMMINILE
https://formiche.net/2019/04/europa-sostantivo-plurale-femminile/
Alessandra Servidori EUROPA è sostantivo plurale anche femminile
In Slovacchia vince le presidenziali Zuzana Caputova, una donna che si è fatta strada lottando contro la corruzione e il degrado ambientale, portando avanti così gli stessi temi su cui era impegnato il giornalista Jan Kuciak, recentemente assassinato. La giovane signora si è dichiarata europeista e questo è di già una notizia eccezionale visto che la Slovacchia è uno di quei paesi che fino ad ora è stata governato con uno spirito molto antireupeista insieme alla Polonia, Repubblica Ceca, quel gruppo di Paesi detti di Visegrad, piccola città ungherese in cui fu costituito il blocco, nel 1991. l gruppo, nato dopo il crollo dell’Unione sovietica per rafforzare la cooperazione tra questi paesi, negli ultimi anni si è caratterizzato in particolare per sostenere posizioni euroscettiche, sovraniste e rigide in tema di immigrazione.Queste posizioni hanno portato a un avvicinamento tra l’alleanza e il governo dell’Austria, guidato dal premier di destra Kurz..Le relazioni con l’Italia sono state spesso difficili, soprattutto per la mancata disponibilità del gruppo a farsi carico dell’accoglienza dei migranti extra-europei. In Italia noi siamo sotto scacco di una premier ship sostanzialmente antireupeista e ,almeno nella destra,si fa sempre più concreta la possibilità che a guidare Forza Italia sia Mara Carfagna abile intelligente e colta europeista e che il triumvirato femminile Carfagna/Bernini/Gelmini del partito azzurro abbia fatto una alleanza formidabile per dare impulso allo storico partito berlusconiano che comunque ha sempre tenuto alto il dialogo con Merkel e la UE e ha garantito l’alleanza. Sappiamo bene che le conseguenze dei no decisi alla Ue ci stanno davanti agli occhi ed è già accaduto che un Paese membro ci ripensasse come appunto la Grecia. Potrebbe accadere anche al Regno Unito perché l’economia britannica si è ormai integrata troppo in quella del continente perché sia indolore tornare indietro. Perché il problema del confine tra Ulster e Irlanda, in caso di Brexit, appare insolubile e l’Ulster stesso potrebbe essere indotto a chiedere l’annessione all’Irlanda pur di rimanere nella UE. Perché gli scozzesi sono decisi a opporsi in tutti i modi all’uscita dalla UE, minacciando altrimenti la secessione. Di fronte ai danni economici si aggiunge questo sfaldamento drammatico della Gran Bretagna,il parlamento che non si mette d’accordo e anche la maggioranza degli inglesi potrebbe convincersi a tornare sui propri passi. Vero è che il danno, in termini di incertezza e paralisi, sarà comunque ingente. Ma il significato di un epilogo di questo genere, per il futuro dell’UE, sarebbe opposto a quello che la Brexit fa temere. È interesse primario anche della UE favorire questa soluzione. Dunque: niente ritorsioni, niente atteggiamenti arcigni, se e quando il figliol prodigo decidesse di tornare (anzi: rimanere) a casa. In questa situazione drammatica è intervenuto Macron sulla Brexit proponendo di lasciare il Regno Unito fuori, perché in questa fase delicata di rilancio dell’UE sarebbe solo un problema.I britanni pagheranno caro questo loro errore del 2016, (e questo sarà di monito per tutti gli euroscettici, così facilitando il processo di integrazione) ma l’errore lo pagheremo tutti quanti. Un divorzio traumatico UE/UK è stato ed è l’obiettivo pervicacemente perseguito dai servizi segreti di Putin e dal capo-stratega di Trump Steve Bannon, uomo di estrema destra e nemico giurato della democrazia europea: la hard Brexit sarebbe il trionfo di gente come questa. Viceversa un Regno Unito che dopo aver votato Leave finisse col Remain sarebbe la loro sconfitta; sarebbe la dimostrazione che non esiste una vera alternativa tra vecchia sovranità nazionale e nuova sovranità europea, perché quest’ultima è oggi l’unica sovranità possibile nel nostro continente. E così tutti noi comunitari potremo fare squadra contro il gioco tra USA, Russia e Cina.
Ci vuole lucidità per i cinesi e non pressapochismo
https://formiche.net/2019/03/cinesi-italia-cina-ue/
Alessandra Servidori Ragioniamo con lucidità sui cinesi sbarcati in Italia
Mentre in Italia hanno sventolato le bandiere cinesi e abbiamo accolto a cavallo l’ultimo imperatore- che lo sarà a vita- il Consiglio europeo sulla Cina, ha accusato il gigante asiatico di irregolarità commerciali, a cominciare dalla chiusura del suo mercato alle imprese estere; di dare sussidi a pioggia alle sue industrie, distorcendo la competizione; e di non proteggere in maniera adeguata i diritti di proprietà intellettuale. E questo è solo una parte delle politiche commerciali che la Commissione europea e il Servizio di azione esterna europeo (Seae) come incipit per il Consiglio europeo dello scorso 21-22 marzo. Vero è che per anni l’Europa era incapace di rispondere all’ascesa della potenza cinese e che anche quando una risposta comune veniva adottata, questa era solitamente debole e poco incisiva. Ora la risposta è arrivata, e molto forte. Nel suo ultimo documento – che servirà anche a preparare il Vertice Ue-Cina del 9 aprile – la Ue ha deciso di definire la Cina un ‘competitore economico’ e ‘rivale sistemico’. Contemporaneamente il Consiglio europeo ha discusso la questione della creazione dei cosiddetti ‘campioni nazionali’, una proposta dell’asso franco-tedesco fortemente sostenuta dalle elites politiche e industriali dei due paesi. Ricordiamo molto bene il manifesto di Macron nel quale il presidente francese dice chiaramente che per competere con potenze quali gli Stati Uniti, la Cina e la Russia, l’Europa deve dotarsi di politiche che difendano la sua sovranità tecnologica e creare industrie europee capaci di competere con le grandi imprese di stato cinesi.Un tassello fondamentale della sovranità tecnologica è la difesa delle imprese europee dagli investimenti predatori. In tal senso, il Consiglio europeo ha dato il via libera al meccanismo di scrutinio degli investimenti esteri nella Ue – il cosiddetto screening mechanism– indirizzato a impedire alle grandi imprese di stato cinesi di fare ‘shopping tecnologico’ in Europa –che porta con sé il rischio di de-industrializzazione dell’Europa nel medio-lungo periodo. Questa proposta che mira a difendere l’interesse nazionale degli stati membri dovrebbe essere accolta con favore dalla coalizione di governo in Italia, formata da due partiti che hanno fatto della difesa della sovranità (e delle aziende nazionali) la loro bandiera. Eppure, l’Italia prima che l’imperatore venisse a firmare il Memorandum in questi giorni ,il 5 marzo, durante la votazione sulla bozza del testo che ora permette alla Commissione europea e ai paesi membri di ‘scrutinare’ gli investimenti cinesi nella Ue, si era astenuta. Con lei solo la Gran Bretagna, che è già praticamente fuori dall’Unione e che commercia allegramente con la Cina.Il nuovo provvedimento legislativo inerente gli investimenti cinesi è parte dell’armamentario che il Consiglio europeo ha adottato per rispondere al progetto cinese di una Nuova Via della Seta (nota come Bri, acronimo inglese diBelt and Road Initiative).E’ bene sapere che una risposta al progetto della Bri l’Ue l’aveva data lo scorso settembre, con la pubblicazione del documento sulla Strategia per la connettività euro-asiatica, contiene norme e principi di ispirazione occidentale e ai quali spesso le aziende cinesi non si attengono. In questi giorni diversi paesi membri dell’Ue hanno avuto parole molto dure riguardo il progetto infrastrutturale di Pechino e l’ Italia invece ha sottoscritto il progetto cinese di Nuova Via della Seta durante la visita del presidente cinese Xi Jinping.. I nuovi “compagni” penta stellati con la copertura dei leghisti possono dire quel che vogliono e cioè che il Memorandum d’Intesa che l’Italia ha firmato con la Cina fa chiaro riferimento alla Strategia europea per la connettività euro-asiatica e rappresenta un modello anche per altri paesi avanzati. Anche no però perché non va dimenticato che una tale strategia può essere efficace nei confronti di Pechino solo se dietro si muove compatto l’intero blocco europeo, altrimenti singoli paesi – anche molto forti economicamente come la Germania – poco possono di fronte al gigante asiatico. Il Governo italiano con i bulimici sovranisti pentastellatileghisti ha agito da battitore libero ed è così che indebolisce l’area EURO in un momento storico dando anche i numeri a caso come per esempio che si sono sottoscritti per due miliardi di euro di accordi che “possono diventare 20 miliardi”.Ma noi ora siamo piccoli e deboli e l’attuale divisione dell’Europa porta immediati benefici a Pechino ma non sicuramente a noi nei confronti delle politiche commerciali della tigre asiatica e del rafforzamento dell’Unità europea.
Contro il meeting di Verona.Ecco perchè.
Alessandra Servidori
Sono decisamente contro il raduno di Verona . La chiama” festa” il senatore Pillon quel seminario di tre e costosissimi lunghi giorni che ha come pretesto il dialogo sulla famiglia. Ma se c’è qualcuno che vuole proprio massacrare la famiglia sono coloro che mettono in difficoltà reale e concreta il rapporto tra genitori .Un rapporto molto privato che il disegno di legge di Pillon appunto prevede di normare conculcando la restaurazione di un diritto di famiglia obsoleto. Le mie opinioni sono fondate sui fatti.Con una recente decisione, la Corte di Cassazione, ribadendo numerose sue precedenti pronunzie, ha specificato che quando i genitori si lasciano il figlio ha il diritto di godere dell’apporto di entrambi (il c.d. diritto alla bigenitorialità).La Cassazione, che, è bene ricordarlo, sono i giudici più importanti e “alti in grado” in Italia, ha anche precisato che il diritto del minore alla bigenitorialità non è il diritto dei genitori a spartirselo a metà secondo i propri capricci o logiche, tipiche di molte coppie “scoppiate”, di vendetta trasversale. Questo non vuole dire che sia vietato prevedere che, in caso di rottura della coppia genitoriale, il figlio possa passare metà tempo con un genitore e metà con l’altro. Sarebbe però sbagliato, secondo questa e altre, numerosissime decisioni, fissare come regola generale quella del metà tempo: ogni famiglia e ogni bambino costituiscono un mondo a parte, con singolarità, storie, abitudini e specificità che devono essere rispettate anche, e soprattutto, se i genitori si lasciano. In alcuni casi la parità temporale è la soluzione ideale - pensiamo a due genitori che abitano vicini che hanno orari di lavoro simili o complementari - in altri no. Si tratta di un’interpretazione della norma in linea con quello che succede nella maggior parte dei paesi occidentali e che rispetta i diritti dei figli come stabiliti in tantissime Convenzioni internazionali che anche l’Italia ha firmato. D’altra parte, anche se qualcuno fatica a capirlo, i bambini non sono proprietà dei genitori che se li possono dividere a fette come le torte: il tempo di Salomone è finito da un pezzo. Mentre i media riportano quotidianamente storie di femminicidi, stupri, violenze e abusi, in una sequenza cronicizzata di orrore , non solo continuiamo a sentir parlare del problema come di un'emergenza sociale a dispetto dell'evidenza dei dati che dimostrano ampiamente come la violenza maschile contro le donne sia un problema strutturale e profondamente radicato nel nostro paese, ma registriamo l'avanzare indisturbato di proposte di legge che, se approvate, favorirebbero inevitabilmente il persistere della violenza, in particolare quella intrafamiliare". La Convention integralista di Verona, con questo viscido paternalistico motivo “festivo” intende dare una spallata al DDL 735 presentato dal senatore Pillon che rappresenta "la sistematizzazione di un processo di riappropriazione del potere maschile minacciato dalle nuove norme transnazionali e in particolare dalla Convenzione di Instanbul".Il disegno di legge "Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità" intende dare attuazione a quanto previsto in materia nel contratto di Governo attraverso una serie di modifiche normative, a partire dalla mediazione civile obbligatoria in tutte le separazioni in cui siano coinvolti i figli minorenni, prevedendo l'equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari nella cura e nell'educazione, e quindi affidamento congiunto e doppio domicilio per i minori.Il DDL Pillon prevede anche il mantenimento in forma diretta dei figli, senza automatismi nel riconoscimento di un assegno da corrispondere al coniuge attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al reddito e ai tempi di permanenza presso ciascun genitore del minore, e il contrasto dell'alienazione genitoriale "che, disconfermata dal mondo scientifico, rientra mal camuffata come supposta tutela dei 'diritti relazionali' dei minori"."Il DDL dimostra che chi ha redatto il testo sia completamente decontestualizzato e non tenga conto di cosa accade nei tribunali, nei territori e soprattutto tra le mura domestiche. Il testo sembra quasi completamente ignorare la pervasività e l'insistenza della violenza maschile che determina in maniera molto significativa le richieste di separazioni e genera le situazioni di maggiori tensioni nell'affidamento dei figli che diventano per i padri oggetto di contesa e strumento per continuare ad esercitare potere e controllo sulle madri.Ignora inoltre il persistente squilibrio di potere e di accesso alle risorse proponendo un'equiparazione tra i genitori, il doppio domicilio dei minori, l'eliminazione dell'assegno di mantenimento e dando per scontate disponibilità economiche molto spesso impossibili da garantire per le donne in un paese con elevatissimi tassi di disoccupazione femminile, dove è ancora presente il gap salariale, che continua ad espellere dal mercato del lavoro le madri, ne penalizza la carriera e garantisce sempre meno servizi in grado di conciliare le scelte genitoriali con quelle professionali, mentre scarica i crescenti tagli al welfare sulle donne schiacciate dai compiti di cura.Il dispositivo proposto appare dunque, una presa di posizione consapevole e di parte "che alimenta il senso di frustrazione e di rivalsa dei padri separati, rischia di sostenere gli interessi della parte peggiore di ordini professionali, oltre che supportare una cultura patriarcale e fascista che, fingendo di mettere al centro la famiglia come istituto astratto e borghese, tenta di schiacciare la soggettività e la libertà delle donne ancorché dei minori.La previsione, ad esempio, della mediazione civile obbligatoria (e onerosa) per le questioni in cui siano coinvolti figli minorenni, introdotta oltretutto con il dichiarato intento di 'salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia', rischia di produrre effetti opposti a quelli che vorrebbe perseguire, ossia l’alleggerimento del carico giudiziario per le questioni familiari e il contenimento dei costi per i coniugi separandi, visto che da un lato onera di un procedimento più farraginoso e di spese probabilmente più rilevanti tutte quelle coppie con figli minori che, fino a oggi, in condizioni di non conflittualità e reciproco accordo, potevano far ricorso a una snella e tutto sommato economica procedura giudiziaria di separazione consensuale; dall’altro perché nei casi opposti, ossia in quelle situazioni in cui la procedura di separazione è figlia di condizioni di forte conflittualità o addirittura di abusi e violenza di un coniuge nei confronti dell’altro, obbliga le due parti a mantenere frequenti e reiterati contatti, finalizzati alla definizione del 'piano genitoriale' previsto dalla nuova normativa, con il conseguente rischio di procrastinare e aggravare condizioni di disagio e di violenza, quantomeno psicologica, che finirebbero inevitabilmente per incidere anche sull’accordo fissato dal suddetto piano.Con questo DDl che sarà tema di appoggio sfrenato nella tre giorni Veronese si va contro a quell’affido condiviso che dalla L. 54/2006 è divenuto il provvedimento più applicato in sede giurisdizionale, in concreto poi non si realizza, in pratica rischia di innescare invece meccanismi di prevaricazione nei confronti del genitore socio-economicamente più debole (statisticamente le madri), specie in quelle situazioni di soggezione dovute a precedenti (e poi perduranti?) condotte vessatorie e violente che richiederebbero invece un allontanamento e un distacco fra gli ex coniugi, in primis a tutela dei figli, già provati da un clima di estrema conflittualità fra i genitori in costanza di matrimonio. Si va contro con un evidente e insanabile scollamento fra i tempi della giustizia civile, e tanto più della mediazione obbligatoria, e quelli dell’accertamento penale, e a proporre l’introduzione di una significativa modifica all’art. 572 del codice penale, ossia la norma che punisce il reato di maltrattamenti in famiglia, prevedendo che tali condotte debbano avere il connotato della 'sistematicità' in luogo della 'abitualità' oggi prevista, ossia essere pressoché continue, restringendo in modo significativo il campo di applicazione della fattispecie, la soppressione dell’assegno di mantenimento per il figlio minore (che di fatto toglie rilevanza anche al recentemente novellato art. 570 c.p. che sanziona penalmente l’inosservanza di tale contribuzione, aggravando così ulteriormente la posizione del coniuge debole) e la sua sostituzione con la previsione secondo cui ciascun genitore deve contribuire direttamente a livello economico per il tempo in cui il figlio gli è affidato e che il piano genitoriale debba contenere la ripartizione per ciascun capitolo di spesa, sia delle spese ordinarie che di quelle straordinarie. E dall’altro quelle dirette a neutralizzare il rischio della c.d. alienazione genitoriale, ossia il trauma psicologico subito dal figlio minorenne in caso di condotta di uno dei genitori tesa a ostacolare i contatti con l’altro (effetto peraltro ancora assai discusso in ambito scientifico), con la previsione di una possibilità d’intervento coercitivo e fortemente invasivo del Giudice anche laddove tale rischio sia soltanto denunciato ma non dimostrato (gli articoli 17 e 18 del ddl dicono infatti che se il figlio minore manifesta 'comunque' rifiuto, alienazione o estraniazione verso uno dei genitori, 'pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori' stessi, il giudice può prendere dei provvedimenti d’urgenza: limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale, inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore e anche il 'collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata'). Dunque in buona sostanza i TRE GIORNI VERONESI dobbiamo ben capire cosa stanno producendo. Sicuramente sono più che fondate le preoccupazioni e le proteste delle numerose associazioni a tutela della donna (come già detto statisticamente parte debole a livello socio-economico nelle procedure di separazione), ma anche da diverse associazioni di avvocati, psicologi e operatori che si occupano di famiglia e minori, da giuristi, anche cattolici, da giudici minorili, dai centri antiviolenza, dai movimenti femministi e anche dalle relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne, in ordine alla possibile entrata in vigore di una siffatta normativa. E poi prendiamoci il tempo per scoprire questa oligarchia di Dio legata alla Lega dei rapporti tra Lega e Russia , relatori al congresso della famiglia come Alexey Komov integralista cristiano partners del Fondo Bonifacio insieme a Molofeev che ha trattato per conto insieme a Gianluca Savoini –fedelissimo di Salvini-a Mosca per ottenere finanziamenti per Salvini in vista delle elezioni Europee. Tutto documentato dal luglio del 2018. Tutto documentato i finanziamenti a Nuova Terrae Fondazione che si nutre di tesorerie russo-azere,capitanata da Luca Volontè – oggi sotto processo per corruzione- attraverso documenti bancari completi , che mostrano fondi di offshore attraverso la Fondazione hanno finanziato quasi tutte le organizzazioni del meeting di Verona compresi Filippo Savaresi che guida la costola italiana di Le manif pour tous ovvero generazione famiglia,Mario Sberna, Gianfranco Amato, ecc tutti relatori a Verona .A cominciare appunto dal world congress of famiglie l’ultimo dei quali in Moldavia e ora arrivato poco felicemente tra di noi. E avrà ben un senso se anche la CEI ne ha preso garbatamente le distanze.
Dati Istat : donne e servizi per l'infanzia : desolante situazione italiana
ALESSANDRA SERVIDORI www.ilsussidiario.net 22 marzo 2019
Istat ha reso noti i dati censiti per l’anno scolastico 2016/2017 dei servizi socio-educativi per l’infanzia che in Italia sono 13.147, con solo 354.000 posti autorizzati al funzionamento, pubblici in poco più della metà dei casi. L’analisi consegna il trend significativo storico per cui a partire dall’anno scolastico 2011/12 si registra un calo dei bambini iscritti nei nidi comunali e convenzionati e dal 2012 si riducono anche le risorse pubbliche disponibili sul territorio rimanendo nel triennio 2014-2016 sostanzialmente stabili sia gli utenti serviti, sia la spesa dei Comuni. Il parametro europeo fissato dall’Unione è del 33% per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la percentuale di posti disponibili nel nostro Paese, coprendo solo il 24% del numero di bambini residenti fino a tre anni, è desolatamente inadeguata.Consideriamo che la crisi economica ha comportato un accrescimento dei bisogni di cura, inclusione e contrasto alla povertà, e la dinamica della spesa socio-assistenziale, invece di segnare un incremento, ha registrato nel periodo 2013/2017 una tendenziale stagnazione, pur se con andamenti altalenanti, e peraltro si è andata riducendo in particolare proprio nella componente più importante del welfare territoriale e dei servizi. Tra i fattori che determinano la maggiore incidenza della povertà nelle famiglie con figli minori ci sono l’insufficienza e la frammentazione di prestazioni e servizi pubblici a sostegno dei figli, che siano capaci di favorire la piena occupazione dei genitori, in particolar modo delle donne.
Sono necessarie pertanto politiche di conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari che intervengano in maniera coordinata su congedi e permessi, sull’organizzazione del lavoro, su istituti innovativi disciplinati dalla contrattazione collettiva e, soprattutto, sul sistema dei servizi all’infanzia, che risultano ancora troppo scarsamente diffusi. In confronto ai Paesi Ue, l’Italia investe molto meno per l’esclusione sociale rispetto al proprio Pil (0,77% contro 1,8%), per la famiglia e i minori (5,98% contro 8,08%) (dati Eurostat 2018). Secondo la Corte dei Conti, infatti, nel 2017 la spesa per prestazioni assistenziali della Pubblica amministrazione era composta per 38,2 miliardi da misure in denaro e soltanto per poco più di 10 miliardi in servizi, per lo più a carico dei Comuni.Oltretutto si conferma la disomogeneità della spesa media dei servizi per gestire i servizi pubblici o privati convenzionati, molto variabile tra regioni con un minimo di 88 euro l’anno per un bambino calabrese e un massimo di 2.209 euro per bambino trentino con un’ulteriore crescita delle disuguaglianze tra territorio ed ente locale. Fondamentale è l’adozione di politiche pubbliche per l’inclusione educativa, sociale e lavorativa che operino in stretto coordinamento tra loro con la pluralità di strumenti, prestazioni e servizi necessari a ciascuna politica, a partire dalla diffusione e qualificazione del sistema di servizi per le famiglie con carichi di assistenza e cura e per la prima infanzia (integrato con lo 0-6 e il tempo pieno per l’inclusione educativa) e dal rafforzamento degli strumenti per il contrasto alla povertà assoluta e delle politiche attive per l’inserimento lavorativo. Mentre la realtà è che gli interventi verso la famiglia sono scarsi e insufficienti, complessivamente incoerenti, diseguali per categoria lavorativa e rapporto di lavoro, per area territoriale (nord-sud, città-provincia), e in alcuni casi variano in virtù del tipo di legame che unisce la coppia, più che rispetto alla presenza di minori/figli e, d’altronde, il modello preferenziale di riferimento delle politiche continua a essere quello della famiglia di tipo tradizionale per legami, composizione, preferenze, condizione lavorativa dei partner.
Uno degli effetti maggiormente inquietanti di questa situazione è il tasso di povertà appunto delle famiglie con minori che è il più alto in Europa, cresce al crescere del numero di figli, nelle situazioni in cui vi sia un unico percettore di reddito (specie ne casi in cui la madre è molto giovane) e in caso di genitore solo. Il sistema di trasferimenti italiano è il meno efficace nel ridurre la povertà tra i minori e inoltre in Italia non esiste a tuttoggi una tutela universale, né un programma universale virtuoso di sostegno al reddito.Gli studi comparati hanno dimostrato come i paesi che hanno avuto la miglior performance nel ridurre i livelli di povertà tra i minori siano quelli scandinavi che nel corso degli anni ‘90 hanno puntato su: politiche di piena occupazione, in particolare finalizzate a incrementare quella femminile; qualificate politiche sociali (che hanno il merito anche di aver creato un ampio sostegno politico); diritti sociali basati sulla cittadinanza e non sullo status occupazionale; un forte investimento in servizi di cura per l’infanzia per facilitare l’occupazione femminile; una forte enfasi su una migliore redistribuzione della ricchezza; un forte accento posto sulle questioni di equità di genere; un’attenzione sul bilanciamento tra lavoro e famiglia (quindi congedi parentali, educazione e cura per i bambini più piccoli in modo da supportare l’occupazione femminile); una forte volontà di sostegno a livelli di tassazione e spesa sociale elevati.Gli strumenti utilizzati in Italia, spesso di natura economica e associati alle misure di contrasto alla povertà, sono invece stati realizzati attraverso una molteplicità di strumenti sui quali è unanime il giudizio di farraginosità, categoricità, scarsa efficacia distributiva. È fondamentale una misura universale di sostegno al costo dei figli, di reddito minimo in grado di tutelare il cittadino dai rischi sociali, e che sia di supporto non solo alle fasce più deboli ma anche a quelle a rischio di povertà e di esclusione sociale. Allo stesso modo la disponibilità di servizi di cura dell’infanzia, che aiutano in modo sostanziale la conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa, consentendo il rientro a lavoro della donna e quindi riducendo la penalizzazione del lavoro della madre.
La spesa locale – essendo il livello locale quello che ha il compito prevalente di erogare servizi e in particolare servizi sociali – è in generale infatti molto bassa rispetto a quella centrale; inoltre, la legislazione, e la cultura stessa dei giuristi italiani – e le ideologie da cui sono ancora influenzati -, sono rimaste a lungo connotate da una legislazione blanda rispetto alla realtà socio-economica, alle mutate condizioni di vita delle famiglie, limitandosi a slogan che dimostravano quanto il Pil sarebbe stato premiato dalla presenza di lavoratrici sul mercato del lavoro ma non procedendo sulle riforme necessarie. Oggi è urgente realizzare politiche di conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa, ovvero il set di interventi che possono utilmente rendere più armoniosa e bilanciata la gestione congiunta dei due ambiti anche recuperando le direttive Ue e le indicazioni comunitarie in riferimento alle politiche di conciliazione e di sostegno alla genitorialità, che nel corso degli ultimi anni si sono andate consolidando e fatte più incisive. La Commissione ha adottato nell’aprile 2017 la sua proposta per una direttiva sul bilanciamento tra vita familiare e lavorativa come parte di uno dei tre pacchetti di iniziative connesse Pilastro Sociale. Il tema oggetto di questa proposta, oltre a essere riconducile al principio n. 2 (parità di genere) e al principio n. 3 (parità di opportunità), è infatti esplicitamente richiamato dal principio n. 9 del Pilastro che sancisce “il diritto per i genitori e le persone con responsabilità̀ di assistenza a un congedo appropriato, modalità̀ di lavoro flessibili e accesso a servizi di assistenza e di cura. Gli uomini e le donne hanno pari accesso ai congedi speciali al fine di adempiere le loro responsabilità̀ di assistenza e sono incoraggiati a usufruirne in modo equilibrato”. In buona sostanza dagli odierni dati Istat emerge quante energie il lavoro di cura (materno per definizione, nel nostro Paese) draga dalla partecipazione al mercato del lavoro, e possibilmente da un mercato del lavoro che consista in un impiego full-time. La mancanza di servizi per la cura e le conseguenze che tale mancanza ha sull’occupabilità delle donne è certamente significativa, in un’ottica lavoristica oggi è opportunamente ben sostenuta dalle stesse lavoratrici che non si rassegnano a essere costrette all’interruzione dell’attività lavorativa dopo la nascita del figlio per mancanza di servizi di nido; comunque è sconcertante il dato che dal Rapporto annuale del ministero del Lavoro sulle dimissioni emerge: una donna su quattro lascia il lavoro dopo la maternità.
Perchè l'analisi costi benefici non può essere oggettiva
GRANDI OPERE www.ildiariodellavoro.it
Perché l’analisi costi-benefici non può essere oggettiva
La vicenda del blocco scriteriato delle grandi opere che sta ingessando l’Italia è incardinato su uno slogan “l’analisi costi benefici”. Una tecnica con la quale chiunque può dimostrare una cosa e il suo contrario. Che impostazioni metodologiche diverse e parametri diversi portino a risultati diversi è cosa nota: fin dal 2008, perciò, la Commissione europea ha elaborato linee guida, divenute più articolate e obbligatorie nel 2014. Anche il ministero delle Infrastrutture, per gli stessi motivi, ne ha emesse di proprie, coerenti con quelle europee. Bisogna seguire queste indicazioni per rendere comparabili i risultati e ridurre le possibilità di manipolare lo strumento. L’analisi costi benefici si compone di due parti e non solo di una. L’analisi finanziaria, che analizza i flussi di cassa, cioè gli spostamenti di denaro, e che guarda il progetto da un’ottica particolare, in genere quella del promotore, ma che può anche essere quella dei diversi stakeholder, tra cui lo stato.
È in questa parte di analisi che devono trovare adeguata rappresentazione e valutazione fenomeni come le variazioni del fatturato delle imprese (per esempio, autostrade o ferrovie) o del gettito fiscale. Una seconda parte è l’analisi economica, che prescinde dai flussi monetari e contabilizza i “costi” e i “benefici”: guarda il progetto nell’ottica dell’intera comunità di riferimento, trascurando gli effetti di redistribuzione prodotti dal progetto, già messi in evidenza nell’analisi finanziaria. I “costi” non sono le “spese”: sono il consumo di risorse scarse sottratte a un uso alternativo. C’è una complessa metodologia per valutare i costi a partire dalle spese: queste vanno depurate da ciò che non è consumo di risorsa, come le tariffe o le imposte (che semplicemente trasferiscono una somma tra due soggetti della comunità), ma anche dagli effetti distorsivi che le imperfezioni del mercato possono causare nel sistema dei prezzi.
Se il progetto trasferisce una parte di traffico da un modo all’altro, sarà necessario contabilizzare con cura le variazioni di consumo di risorse che avvengono in entrambi i modi. Ben più complessa è la valutazione dei “benefici”, cioè dell’utilità che i vari soggetti della comunità complessivamente ottengono dalla realizzazione del progetto. Poiché l’analisi usa come metrica la moneta, tutti gli effetti devono essere espressi in valuta: ciò è più facile per i beni e servizi trattati nel mercato, che hanno un prezzo rilevabile; più difficile per gli effetti non di mercato, come molte esternalità. Si usa quindi la “disponibilità a pagare” quale indicatore indiretto del beneficio (per valutare quanto sia fastidioso il rumore, utilizziamo la spesa che viene affrontata per ridurlo). Il passaggio comporta innanzitutto una grave semplificazione: presuppone infatti che tutti i soggetti della comunità abbiamo la stessa capacità di spesa.
Ciò però non è ovviamente vero. Nel dibattito sull’analisi costi benefici della Tav, si è detto che i sussidi pubblici portano a scelte inefficienti. Può essere vero, se sono assegnati in modo errato, tuttavia la loro motivazione corretta è proprio “compensare” la diseguale capacità di spesa, rendendo accessibili servizi essenziali o utili, come il trasporto, a chi non ha sufficiente disponibilità economica. La prima riflessione è che non è uno strumento scientifico di misurazione se non si premette che uno strumento di misurazione di un fenomeno è scientifico quando fornisce lo stesso risultato se viene utilizzato un numero infinito di volte da diversi utilizzatori. Il paradigma costi benefici che serve a valutare la convenienza di un’opera pubblica, invece si basa su un sistema di variabili soggettive.
È competenza, infatti, di chi la utilizza di stabilire sia il metodo da seguire per realizzarla, sia le componenti di costi e benefici da prendere in considerazione, sia l'attribuzione dei valori di questi. Molti di tali valori devono essere valutati perché non tutti i beni hanno un mercato nel senso tradizionale del termine, cioè non tutti i beni hanno un prezzo che si forma nel momento della loro acquisizione. Vi sono, infatti, dei beni che sono pubblici e che non hanno un reale mercato. Questo accade perché tali beni, pur essendo soggetti ad una domanda e ad una offerta, non sono oggetto del diritto di proprietà e, quindi, non possono avere un prezzo di mercato. In questo caso si parla, appunto, di fallimento del mercato. Per esempio tutti i beni ambientali non soggetti a estrazione, come il petrolio, il carbone o i diamanti, sono beni pubblici, in quanto non sono oggetti di diritti di proprietà. Come tali questi beni non hanno un prezzo di mercato e il loro valore deve essere stimato.
La stima monetaria di un qualsiasi bene che, per sua natura non ha un prezzo, è imperfetta in quanto non è oggettiva. Questo accade perché la valutazione dipende dal soggetto che la fa, dal contesto economico, sociale ed ambientale in cui viene fatta, e dal metodo con cui viene fatta la valutazione. L’incertezza della valutazione sui costi benefici di un’opera deriva anche dal fatto che al momento della sua compilazione coloro che la predispongono non possono conoscere quello che sarà, nel lungo periodo, la struttura economica di un paese e le tecnologie presenti nel futuro. Se viene fatta da due gruppi diversi, che non possono avere contatti tra di loro, i risultati potranno essere anche molto diversi e parlando di TAV, che peraltro è stata criticata da molti economisti, dovrebbe essere affidata ad almeno due gruppi di lavoro distinti e valutata con un certo distacco dai politici che sono quelli a cui spetta la decisione finale sull'opera.
Alessandra Servidori
15 Marzo 2019
NON c'è niente da festeggiare
8 Marzo 2019 – Se il Word Economic Forum afferma che solo fra 108 anni il divario di genere si attenuerà non c’è niente da festeggiare e ancora molto da fare.
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Eurostat recentemente segnala che in Italia oltre al carico di lavoro a casa, in media superiore a quello degli uomini, le difficoltà lavorative delle donne, nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 49 anni, aumentano in corrispondenza dell’aumento del numero di figli e a questo incremento corrisponde una diminuzione del tasso di occupazione: dal 62,2% per le donne italiane senza figli si scende al 58,4% per le donne con un figlio (percentuale ben lontana dalla media europea, pari al 72,5%), fino ad arrivare al 41,4% nel caso di donne con tre e più figli, dimostrando così come la situazione del lavoro femminile in Italia sia ancora fortemente connessa a quella familiare. La legge di bilancio 2019 (L. 145/2018) non ha introdotto ulteriori misure volte alla conciliazione vita – lavoro rispetto a quelle preesistenti . Anzi l'articolo 1, c. 485 riconosce alle lavoratrici la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo il parto, entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico competente attesti che tale opzione non porti pregiudizio alla salute della donna e del bambino e questo francamente pone dei problemi e ritengo che questa modifica sia sbagliata. Se è vero che la gravidanza non è una malattia e che moltissime donne, hanno lavorato fino all’ultimo mese perché godevano di buona salute e avevano una professione che glielo consentiva, questa modifica è tutta a carico della lavoratrice che rischia così di trovarsi di fronte a un ricatto. La scelta di quanto e come lavorare, non è completamente in capo al lavoratore e da qui deriva il forte rischio di trasformare la possibilità prevista in un obbligo. Tre mesi di maternità dopo il parto spesso risultano insufficienti, considerando lo stato dei servizi all’infanzia in gran parte del nostro Paese. L’idea di far scegliere alle donne quando assentarsi prima del parto è sicuramente il modo peggiore di affrontare una questione assai complessa come quella della maternità per le donne lavoratrici. Prima andrebbero adeguati i servizi e cambiata la normativa sul lavoro e soprattutto, andrebbe cambiata quella mentalità che considera le madri lavoratrici delle professioniste a metà. Al contrario una mamma che lavora è una donna che moltiplica tutto ma non bisogna cadere piuttosto nella trappola della ‘superdonna’. Semplicemente le donne, se vogliono, fanno figli. Un governo non aiuta le donne con un mese in meno di maternità, ma con servizi in più. Con questo provvedimento del Governo si svalutano importanti diritti conquistati in passato dalle donne. Lo spirito è quello di un orientamento individualista e non di una tutela sociale della maternità, con la conseguente svalutazione dei significati simbolici legati all’evento. Da tempo nel nostro Paese si assiste ad un calo demografico inarrestabile : si registra una media di 1,32 figli per donna, con 449mila nascite nel 2018, 120mila in meno rispetto a dieci anni fa. Annualmente l’Ispettorato Nazionale del Lavoro pubblica il monitoraggio nazionale delle convalide delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri che dà conferma della stretta correlazione tra maternità e disoccupazione. Dall’ultimo report fine 2018, nel corso del 2017 il numero complessivo di dimissioni e risoluzioni consensuali convalidate a livello nazionale è stato pari a 39.738 (dato in crescita del 5% rispetto a quello rilevato nel 2016, pari a 37.738), di cui 37.248 dimissioni volontarie che hanno riguardato soprattutto le lavoratrici madri, a cui sono riconducibili 30.672 provvedimenti (il 77% del totale); di contro, 9.066 riguardano i lavoratori padri, un numero contenuto anche se in aumento in termini assoluti. Un altro provvedimento discutibile e “no buono”della legge finanziaria è l'articolo 1, c. 486 che pone a carico dei datori di lavoro, pubblici e privati, che stipulano accordi per lo svolgimento dell'attività lavorativa in modalità agile (smart working), l'obbligo di dare priorità alle richieste delle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del congedo di maternità, ovvero ai lavoratori con figli disabili che necessitino di un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale. Questo - al di là del fatto che snatura lo smart working, che non è innanzitutto una soluzione di conciliazione famiglia-lavoro ma uno strumento di innovazione dei processi organizzativi - rischia di innescare meccanismi che, invece di favorire le donne, accentuino ancora di più l’onere della cura sulla sfera femminile. Non è chiaro infatti perché in caso di figli con disabilità si vogliano favorire (giustamente) entrambi i genitori, mentre per la cura destinata alla prima infanzia l’attenzione sia esclusivamente sulle madri. Altro provvedimento sicuramente non dalla parte delle donne è “ quota 100”. Inps ci consegna dati certi da cui si evince come una manovra 'maschile' e 'settentrionale', ovvero una manovra la cui platea di beneficiari è composta principalmente da uomini, e in secondo luogo da uomini e donne residenti nelle regioni del Nord Italia. Riforme previdenziali opportune per garantire sostenibilità al sistema dei conti pubblici, non possono subito rimediare alle 'imperfezioni' di un mercato del lavoro in cui la componente femminile ha numerose difficoltà in termini di accesso, equità retributiva, segregazione orizzontale e verticale, difficoltà di work life balance e dunque scarsa contribuzione e basse pensioni. Ma quota 100 e opzione donna oltre a non sanare, in fase di ritiro dal lavoro, i gap di genere connessi alle differenti storie lavorative di uomini e donne li ribadiscano, favorendo ancora una volta una ridotta platea di beneficiari maschi.
LA LEZIONE DI DRAGHI : studiate giovani, studiate!
EUROPA IL DIARIO DEL LAVORO
Cronaca di una lezione magistrale di Mario Draghi
In una atmosfera maestosa, degna dell’illustre ospite, solo lontanamente disturbata dalla manifestazione dei centri sociali e degli studenti (che in sostanza ce l’avevano con il Ministro dell’Istruzione Bussetti, il quale peraltro ha disertato l’appuntamento), l’Università di Bologna ha conferito la laurea ad honorem in giurisprudenza a Mario Draghi. Tra le motivazioni “Ha difeso i principi e i valori dei Trattati dell’Unione Europea e l’interesse pubblico”. Toni pacati e delle grandi occasioni, in una atmosfera di grandi eventi,Bologna la Dotta ha incoronato colui che ha difeso con coraggioso ingegno la razionalità economica di una costruzione comunitaria fondata 20 anni fa su un mercato e una moneta concepiti come obiettivi di cogliere i frutti dell’apertura dell’economia strettamente legati a quelli di attutirne i costi per i più deboli e come recuperare, negli anni delle crescenti disuguaglianze, oggi rappresenti la sfida delle classi dirigenti degne di questo nome.
La lezione magistrale di Mario Draghi si è aperta ricordando che si è celebrato il ventesimo anniversario della nascita dell’euro. Sono stati due decenni molto particolari. Nel primo si è esaurito un ciclo finanziario espansivo globale durato trent’anni; il secondo è stato segnato dalla peggiore crisi economica e finanziaria dagli anni ’30. Da entrambi possiamo trarre utili lezioni, per ciò che occorre ancora fare. L’unione monetaria è stata un successo sotto molti punti di vista. Dobbiamo allo stesso tempo riconoscere che non in tutti paesi sono stati ottenuti i risultati che ci si attendeva, in parte per le politiche nazionali seguite, in parte per l’incompletezza dell’unione monetaria che non ha consentito un’adeguata azione di stabilizzazione ciclica durante la crisi. Occorre ora disegnare i cambiamenti necessari perché l’unione monetaria funzioni a beneficio di tutti i paesi e realizzarli il prima possibile, ma spiegandone l’importanza a tutti i cittadini europei e soprattutto ai nostri giovani.
La globalizzazione ha complessivamente accresciuto il benessere in tutte le economie, soprattutto di quelle emergenti, ma è oggi chiaro che le regole che ne hanno accompagnato la diffusione non sono state sufficienti a impedirne profonde distorsioni. Ma dal 1973 al 1985 la risposta dei governi alla bassa crescita fu di aumentare i deficit di bilancio : i disavanzi pubblici furono in media il 3,5% del PIL nei futuri paesi dell’area dell’euro a 12, il 9% in Italia. Negli stessi paesi la disoccupazione salì in media dal 2,6 al 9,2% e dal 5,9 all’8,2% in Italia. Per rilanciare la crescita, l’Europa aveva già a disposizione uno strumento efficace: il mercato unico che puntava a rilanciare la crescita e l’occupazione. Ma non si esauriva in ciò, perché mirava anche a garantire una rete di protezione capace di sostenere i costi sociali del cambiamento che ne sarebbe inevitabilmente derivato e creava il terreno politicamente più favorevole per far avanzare il processo di integrazione europea, anch’esso reso più arduo dalla crisi degli anni ’70. Fu proprio il progetto del mercato interno-ha ricordato Draghi- che consentì all’Europa, a differenza di quello che accadeva su scala globale, di imporre i propri valori al processo di integrazione, di costruire cioè un mercato che fosse, per quanto possibile, libero ma giusto. La regolamentazione dei prodotti poteva essere utilizzata non solo per tutelare i consumatori dai bassi standard qualitativi vigenti in altri paesi e per proteggere i produttori dalla concorrenza sleale, ma anche per porre un freno al dumping sociale ed elevare gli standard delle condizioni di lavoro.
Per questi motivi il mercato interno si accompagnò, a metà degli anni Ottanta, a un rafforzamento delle regole comuni nella CE e dei poteri di controllo giurisdizionale. All’apertura dei mercati si accompagna la protezione della concorrenza leale con la creazione dell’antitrust; gli standard regolamentari divennero più cogenti, ad esempio con l’obbligo dell’indicazione della provenienza geografica per prodotti alimentari specifici. Le clausole di salvaguardia fondamentali del modello sociale europeo furono progressivamente incorporate nella legislazione comunitaria, nelle aree di competenza di quest’ultima. La Carta dei diritti fondamentali ha impedito una corsa al ribasso dei diritti dei lavoratori. È stata introdotta una specifica legislazione per limitare le pratiche di lavoro scorrette, come è avvenuto ad esempio recentemente con la revisione della direttiva sui lavoratori distaccati. La legislazione europea tutela le persone a maggior rischio occupazionale, come nel 1997 la direttiva sui lavoratori a tempo parziale e a tempo determinato. Un anno fa le istituzioni europee hanno sottoscritto il pilastro europeo dei diritti sociali, riguardante le pari opportunità e l’accesso al mercato del lavoro, l’equità delle condizioni di lavoro, la protezione sociale e l’inclusione.
Circa mezzo milione di lavoratori italiani partecipa ai processi produttivi di imprese che risiedono in altri paesi europei ed esportano nel resto del mondo. Dal canto loro, le imprese italiane partecipano, esse stesse, in misura significativa alle catene di valore, con effetti positivi sulla produttività del lavoro. È spesso attraverso questo legame con le catene di valore che specialmente la piccola-media impresa italiana, caratteristica del nostro sistema produttivo, riesce a sopravvivere e a crescere, conservando al Paese, in un mondo sempre più orientato alle grandi dimensioni, una sua caratteristica fondamentale. L’Italia è attraverso il mercato unico e con la moneta unica, strettamente integrata nel processo produttivo europeo. Fra il 1990 e il 1999, prima dell’introduzione dell’euro, l’Italia registrava il più basso tasso di crescita cumulato rispetto agli altri paesi che hanno aderito fin dall’inizio alla moneta unica. Lo stesso accadde dal 1999 al 2008 sempre rispetto a tutti i paesi dell’area. Dal 2008 al 2017 il tasso di crescita è stato superiore solo a quello della Grecia. E, andando indietro nel tempo, la crescita degli anni ’80 fu presa a prestito dal futuro, cioè grazie al debito lasciato sulle spalle delle future generazioni. La bassa crescita italiana è dunque un fenomeno che ha inizio molti, molti anni prima della nascita dell’euro. Si tratta chiaramente di un problema di offerta, evidente del resto anche guardando alla crescita nelle varie regioni del paese. In assenza di presidi adeguati a livello dell’area dell’euro, i singoli paesi dell’unione monetaria possono essere esposti a dinamiche auto-avveranti nei mercati del debito sovrano. Ne può scaturire nelle fasi recessive l’innesco di politiche fiscali pro-cicliche, producendo così un aggravamento della dinamica del debito, come nel 2011-12.
Sono quindi i paesi strutturalmente più deboli ad avere più bisogno che l’UEM disponga di strumenti che prima di tutto diversifichino il rischio delle crisi e che poi ne contrastino l’effetto nell’economia. Nei paesi, quali l’Italia, giunti alla crisi indeboliti da decenni di bassa crescita e senza spazio nel bilancio pubblico, una crisi di fiducia nel debito pubblico si è trasformata in una crisi del credito con ulteriori pesanti riflessi sull’occupazione e sulla crescita. Una maggiore condivisione dei rischi nel settore privato attraverso i mercati finanziari è fondamentale per prevenire il ripetersi di simili eventi. Negli Stati Uniti circa il 70% degli shock viene attenuato e condiviso tra i vari Stati attraverso mercati finanziari integrati, contro appena il 25% nell’area dell’euro. È perciò interesse anche dei paesi più deboli dell’area completare l’unione bancaria e procedere con la costruzione di un autentico mercato dei capitali. I bilanci pubblici nazionali non perderanno mai la loro funzione di strumento principale nella stabilizzazione delle crisi. Nell’area dell’euro gli shock sulla disoccupazione sono assorbiti per circa il 50% attraverso gli stabilizzatori automatici presenti nei bilanci pubblici nazionali, molto di più che negli Stati Uniti.
L’uso degli stabilizzatori automatici da parte dei paesi dipende, tuttavia, dall’assenza di vincoli connessi al loro livello del debito. Occorre dunque ricreare il necessario margine per interventi di bilancio in caso di crisi. Occorre un’architettura istituzionale che dia a tutti i paesi quel sostegno necessario per evitare che le loro economie, quando entrano in una recessione, siano esposte al comportamento prociclico dei mercati. Ma ciò sarà possibile solo se questo sostegno è temporaneo e non costituisce un trasferimento permanente tra paesi destinato a evitare necessari risanamenti del bilancio pubblico, tantomeno le riforme strutturali fondamentali per tornare alla crescita.
Ogni paese ha la sua agenda, ma è solo con esse che si creano le condizioni per far crescere stabilmente: salari, produttività, occupazione, per sostenere il nostro stato sociale. È un’azione che in gran parte non può che svolgersi a livello nazionale, ma può essere aiutata a livello europeo dalle recenti decisioni di creare uno strumento per la convergenza e la competitività. Per affrontare le crisi cicliche future, occorre che i due strati di protezione contro le crisi – la diversificazione del rischio attraverso il sistema finanziario privato da un lato, il sostegno anticiclico pubblico attraverso i bilanci nazionali e la capacità fiscale del bilancio comunitario dall’altro – interagiscano in maniera completa ed efficiente. Quanto maggiore sarà il progresso nel completamento dell’unione bancaria e del mercato dei capitali, tanto meno impellente, sebbene sempre necessaria, diverrà la costruzione di una capacità fiscale che potrà talvolta fare da completamento agli stabilizzatori nazionali. L’inazione su entrambi i fronti accentua la fragilità dell’unione monetaria proprio nei momenti di maggiore crisi; la divergenza fra i paesi aumenta. L’unione monetaria, conseguenza necessaria del mercato unico, è divenuta parte integrante e caratterizzante, con i suoi simboli e i suoi vincoli, del progetto politico che vuole un’Europa unita, nella libertà, nella pace, nella democrazia, nella prosperità. Le sfide che si sono presentate hanno sempre più carattere globale; possono essere vinte solo insieme, non da soli. Per questo che il nostro progetto europeo è oggi ancora più importante. È solo continuandone il progresso, liberando le energie individuali ma anche privilegiando l’equità sociale, che lo salveremo, attraverso le nostre democrazie, ma nell’unità di intenti. Onore al grande, grandissimo Draghi.
Alessandra Servidori
25 Febbraio 2019
Seminario 18 marzo 2019 Bologna
Si terrà a Bologna, il prossimo 18 marzo 2019, il seminario dal titolo "I diritti delle persone fragili e inabili. Dalla parte del lavoro".
Il seminario - organizzato dal Tavolo interistituzionale sulle malattie professionali, TutteperItalia e il Comune di Bologna - sarà un importante momento di riflessione sui diritti delle persone disabili, oltre che un'occasione per presentare l'accordo di programma tra il Comune di Bologna e il Tavolo interistituzionale.
Il seminario si terrà dalle 9.30 alle 16.30 presso Sala Cappella Farnese, Palazzo D’Accursio, Piazza Maggiore 6, Bologna.
Ricordiamo che aderiscono al Tavolo interistituzionale sulle malattie professionali: Tutteperitalia, Istituto Ramazzini di Bologna, Comune di Bologna, Ceslar (università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) e le rappresentanze regionali di INAIL, lINPS, CGIL, CISL e UIL.
Avvenire Cattolici orgogliosi e vivacemente in pista!
ALESSANDRA SERVIDORI AVVENIRE Febbraio 2019
La premessa è che condivido la proposta di contribuire al confronto costruttivo sull’impegno dei cattolici italiani a servizio del paese solidale e coeso. Un dialogo e un percorso per rimuovere tutti gli impedimenti che si sovrappongono al pieno sviluppo della persona declinando i principi dell’uguaglianza sostanziale che connota le democrazie emancipate e impegnate a garantire e realizzare concretamente l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica economica e sociale del paese. Non sono la sola convinta che se la congiuntura continuerà ad essere negativa difficilmente aumenterà l'occupazione, e in particolare quella stabile dei nostri giovani: anzi, aver reso difficoltoso il ricorso al lavoro a termine comporterà il forte rischio che il saldo occupazionale sia significativamente negativo. Il cd Decreto Dignità non solo ha contribuito paradossalmente a invertire il tasso di crescita occupazionale, che fino alla sua entrata in vigore era in aumento, ma ragionevolmente costituirà un elemento di ostacolo alle assunzioni durante la congiuntura negativa, e ancor più in recessione creando ulteriore povertà. La modestia degli obiettivi perseguiti :pensioni a quota” 100 “ che costa un patrimonio a tutti gli italiani e interessa una esigua minoranza di lavoratori al Nord; sostegno al reddito che incrementa più la burocrazia che la domanda esterna ;assenza di investimenti pubblici e di sostegno alle imprese,velleitarie ipotesi di nazionalizzazione di aziende decotte come Alitalia ;disintermediazione caparbia delle forze e risorse sociali che ,per nostra fortuna, non hanno esaurito la vitalità dei corpi sociali. Se si intende come mi auguro prendere in mano la tradizione niente affatto disprezzabile delle aggregazioni popolari si deve farlo con la capacità di reinventarle in termini nuovi e cioè inclusivi e non ideologici e privi di pensieri unici di democrazia delle disuguaglianze e fantasiosi “beni comuni”; si deve riuscire ad avvicinare i cittadini italiani ad una idea di Italia ed Europa che rappresenta il riempire insieme di contenuti nuovi il diritto di cittadinanza per farne non una cittadinanza accessoria ma una vera pacificazione ,contemporaneamente anche della regione mediterranea attraverso nuove forme di cooperazione per garantire pace e stabilità favorendo un vero patto non solo simbolico ma costituente tra istituzioni e cittadini. L’Italia e L’Europa devono tenere in vita un welfare che garantisca la redistribuzione del reddito in forme tali che una vasta maggioranza di relativamente poveri possa condividere l’operato del governo e apprezzare l’investimento per lo sviluppo economico difendendo la società aperta e promuovendo azioni a difesa del pluralismo e del dialogo. L’identità sia italiana che Europea si rilancia sconfiggendo attraverso la discussione pubblica le paure fomentate da tanti allo scopo di rimettere in circolo culture e fedi sconfitte dalla storia con progetti politici in grado di affrontare le cause delle disuguaglianze che spesso costituiscono una scelta politica e non la conseguenza di uno stato di necessità. Bisogna aggiungere all’uguaglianza dei diritti l’uguaglianza delle opportunità e delle responsabilità essendo consapevoli che un sistema assistenziale che trae le proprie risorse sottraendole agli investimenti si autodistrugge. I sistemi di welfare devono incoraggiare il lavoro e non scoraggiarlo : si tratta di offrire agli italiani e italiane europei ed europee idee e progetti in grado di garantire una nuova dimensione politica dell’Italia e dell’Unione nel nome di un ritrovato patriottismo inclusivo ,economico, sociale , italiano ed europeo. Dunque un rinnovato Appello ai liberi e forti, che si riconoscono negli ideali di giustizia e libertà , rivolgendosi allo stesso tempo al ‘cuore’ e alla ‘testa’ degli italiani,ovvero in grado di mettere assieme ‘valori’ e ‘competenze’ e fede che significa speranza.
Sempre meno nascite in Europa e in Italia : una popolazione europea in declino e politiche italiane inadeguate.
BLOG www.formiche.net
Alessandra Servidori
Sempre meno nascite in Europa e in Italia : una popolazione europea in declino e politiche italiane inadeguate.
Eurostat ha presentato il suo Rapporto allarmante sulla grave crisi demografica dell’Europa.Una popolazione in declino è una popolazione che invecchia ed è e sarà ancora di più il problema più radicale e il più grave che dovremo affrontare.L’unione ha raggiunto una popolazione di 509,4 milioni nel 2015 ma prevede che la sua popolazione raggiungerà i 518 milioni solo nel 2080- cioè tra 60 anni- scendendo a 407 milioni se non importerà persone perché senza migrazione calerà inesorabilmente.Perché a lungo l’impronta demografica dell’Europa verso il basso è stata nascosta dall’immigrazione e dagli aumenti della longevità :la popolazione è rimasta la stessa anche se le percentuali di natalità sono diminuite.La Germania ha la metà della popolazione con più di 47 anni con l’Italia e Austria che seguono e sono tra le più vecchie società del mondo.Il mezzo secolo in cui la fertilità nativa europea è stata al di sotto del rimpiazzo è stato anche un mezzo secolo di immigrazione di massa.La Svezia ha una popolazione musulmana dell’8,1% e raggiungerà il 30% entro il 2050.Gli Europei sono portati a trascurare o ignorare il problema demografico ma l’immigrazione soprattutto quella proveniente dall’Africa sarà inevitabile perché incontrollabile a causa di guerre mentre l’Africa e dunque i giovani africani sono destinati a raddoppiare la loro popolazione in quanto la questione demografica e sociale è evidentemente in grandissima .l’ungheria e l’italia combattono allo stesso odo per allontanare sia l’immigrazione che l’emigrazione chiudendo porti e confini crescita ma dobbiamo avere ben presente che per mantenere la popolazione attiva all’Italia serve e servirà milioni di immigrati . Il calo demografico nel 2018 nostrano è grande : dava al primo gennaio 2019 la popolazione italiana a 60 milioni cioè 391 mila persone in meno rispetto al l’anno precedente e abbiamo 2,2 milioni di italiani con più di 85 anni che sono il 3,6% dei residenti.Diminuiscono le nascite con 9.000 bambini in meno del 2017 e il tasso di fecondità pari a 1,32 figli per donna e sempre più avanti l’età della maternità intorno all’età media di 32 anni. Lo stato sociale del ventesimo secolo è ovviamente messo a dura prova perché il calo del numero dei lavoratori e lavoratrici e dunque contribuenti rende il debito pubblico più difficile da ripagare in particolare come da noi che siamo fortemente indebitati. Dobbiamo dunque renderci conto che viviamo in una epoca di migrazione di massa e dobbiamo gestire l’integrazione prima di tutto e non possiamo arrestare l’immigrazione e l’emigrazione dei nostri giovani sapendo, per fare numeri veri, che le uscite dal nostro pese continuano essere numerosissime così sono 120mila i nostri giovani partiti nel 2018 contro 47 mila rimpatriati .Mantenere costante il rapporto tra pensionati e lavoratori è un obiettivo irrinunciabile e occorrono milioni di persone in età lavorativa che mantengano vitale l’Italia.Incentivi per natalità,orari di lavoro flessibili e sostegno alle imprese senza investire in sviluppo economico non basta : ci vuole una politica di rilancio dell’occupazione giovanile, femminile e sostegno alla famiglia perché con stipendi medi al primo impiego di 830 euro il sussidio di 780 euro del “reddito di pigrizia” è un elemento di disincentivazione alla ricerca del lavoro con un rischio reale dei piccoli lavoretti offerti( mini jobs cocopro) e il resto compensato con il sussidio,e la diminuzione dell’occupazione che galoppa con i centri per l’impiego intasati da domande e percorsi solo sulla carta e irrealizzabili. Secondo Istat l’80% dei disoccupati non rientrerebbe nel reddito di cittadinanza( ma in Italia si stanno organizzando per le truffe sull’Isee incontrollabili) ma i lavoratori extra comunitari non residenti in Italia e tanti altri sono esclusi dal programma lotta alla povertà e potrebbero accettare salari rifiutati dai beneficiari del reddito del governo penta stellato, e sapendo che gli sconti per le aziende che assumono quelli che hanno il reddito penta stellato si applicano solo ai contratti dei tempi indeterminati,poco probabili per i lavoratori a bassa competenza che rappresentano il 64% dei beneficiari, dunque l’esclusione degli stranieri è uno svantaggio per tutti e per l’Italia. Il cambio di passo della politica deve essere immediato. Pena la distruzione del nostro paese..
RADIO IN BLU 14 FEBBRAIO 2019 straming https:// www.radioinblu.it/streaming/?vid=0_7m7kccy2
Coraggio : sosteniamo i valori e le idee libere e forti
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/un-patriottismo-inclusivo-italiano-e-anche-europeo
La premessa è che condivido la proposta di contribuire al confronto costruttivo sull’impegno dei cattolici italiani a servizio del paese solidale e coeso. Un dialogo e un percorso per rimuovere tutti gli impedimenti che si sovrappongono al pieno sviluppo della persona declinando i principi dell’uguaglianza sostanziale che connota le democrazie emancipate e impegnate a garantire e realizzare concretamente l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica economica e sociale del paese. Non sono la sola convinta che se la congiuntura continuerà ad essere negativa difficilmente aumenterà l'occupazione, e in particolare quella stabile dei nostri giovani: anzi, aver reso difficoltoso il ricorso al lavoro a termine comporterà il forte rischio che il saldo occupazionale sia significativamente negativo. Il cd Decreto Dignità non solo ha contribuito paradossalmente a invertire il tasso di crescita occupazionale, che fino alla sua entrata in vigore era in aumento, ma ragionevolmente costituirà un elemento di ostacolo alle assunzioni durante la congiuntura negativa, e ancor più in recessione creando ulteriore povertà. La modestia degli obiettivi perseguiti :pensioni a quota” 100 “ che costa un patrimonio a tutti gli italiani e interessa una esigua minoranza di lavoratori al Nord; sostegno al reddito che incrementa più la burocrazia che la domanda esterna ;assenza di investimenti pubblici e di sostegno alle imprese,velleitarie ipotesi di nazionalizzazione di aziende decotte come Alitalia ;disintermediazione caparbia delle forze e risorse sociali che ,per nostra fortuna, non hanno esaurito la vitalità dei corpi sociali. Se si intende come mi auguro prendere in mano la tradizione niente affatto disprezzabile delle aggregazioni popolari si deve farlo con la capacità di reinventarle in termini nuovi e cioè inclusivi e non ideologici e privi di pensieri unici di democrazia delle disuguaglianze e fantasiosi “beni comuni”; si deve riuscire ad avvicinare i cittadini italiani ad una idea di Italia ed Europa che rappresenta il riempire insieme di contenuti nuovi il diritto di cittadinanza per farne non una cittadinanza accessoria ma una vera pacificazione ,contemporaneamente anche della regione mediterranea attraverso nuove forme di cooperazione per garantire pace e stabilità favorendo un vero patto non solo simbolico ma costituente tra istituzioni e cittadini. L’Italia e L’Europa devono tenere in vita un welfare che garantisca la redistribuzione del reddito in forme tali che una vasta maggioranza di relativamente poveri possa condividere l’operato del governo e apprezzare l’investimento per lo sviluppo economico difendendo la società aperta e promuovendo azioni a difesa del pluralismo e del dialogo. L’identità sia italiana che Europea si rilancia sconfiggendo attraverso la discussione pubblica le paure fomentate da tanti allo scopo di rimettere in circolo culture e fedi sconfitte dalla storia con progetti politici in grado di affrontare le cause delle disuguaglianze che spesso costituiscono una scelta politica e non la conseguenza di uno stato di necessità. Bisogna aggiungere all’uguaglianza dei diritti l’uguaglianza delle opportunità e delle responsabilità essendo consapevoli che un sistema assistenziale che trae le proprie risorse sottraendole agli investimenti si autodistrugge. I sistemi di welfare devono incoraggiare il lavoro e non scoraggiarlo : si tratta di offrire agli italiani e italiane europei ed europee idee e progetti in grado di garantire una nuova dimensione politica dell’Italia e dell’Unione nel nome di un ritrovato patriottismo inclusivo ,economico, sociale , italiano ed europeo. Dunque un rinnovato Appello ai liberi e forti, che si riconoscono negli ideali di giustizia e libertà , rivolgendosi allo stesso tempo al ‘cuore’ e alla ‘testa’ degli italiani,ovvero in grado di mettere assieme ‘valori’ e ‘competenze’ e fede. che significa speranza.
Dalla Ue le Nuove Linee guida per educare all'uguaglianza di genere .
QUI EUROPA
Dal Parlamento Ue arrivano le Linee guida per educare all’uguaglianza di genere
www.ildiariodellavoro.it
Il Parlamento Europeo è impegnato a favore dell'uguaglianza di genere e della non discriminazione per motivi di genere e ha pubblicato l’aggiornamento delle Linee guida multilingue per un linguaggio neutrale rispetto al genere. L'uso di un linguaggio sensibile al genere è uno dei modi per attuare questo impegno. Le molte lingue e culture rappresentate in Parlamento significano che non esiste una soluzione "taglia unica" a questo riguardo, ma che occorre cercare soluzioni appropriate in ciascun contesto specifico, tenendo conto dei parametri linguistici e culturali pertinenti. Nel 2008, il Parlamento europeo è stato una delle prime organizzazioni internazionali ad adottare linee guida multilingue per un linguaggio neutrale rispetto al genere. Da allora, molte altre istituzioni e organizzazioni hanno adottato orientamenti simili. In occasione dell’undicesimo anniversario delle linee guida e al fine di riflettere gli sviluppi linguistici e culturali, il gruppo ad alto livello sulla parità di genere e la diversità ha chiesto ai servizi del Parlamento di aggiornare le linee guida linguistiche neutrali rispetto al genere, che forniscono consigli pratici in lingue ufficiali sull'uso di un linguaggio equo e inclusivo di genere.
Dunque, questa edizione aggiornata delle linee guida linguistiche di genere neutro, frutto di una stretta collaborazione tra i servizi linguistici e amministrativi competenti. Il Parlamento europeo continua a impegnarsi come sempre a utilizzare un linguaggio neutrale rispetto al genere nelle sue comunicazioni scritte e orali e ora invito i servizi competenti a sensibilizzare sugli orientamenti aggiornati e sull'importanza del loro uso nelle pubblicazioni e nelle comunicazioni parlamentari. Il linguaggio neutrale rispetto al genere o di genere è più che una questione di correttezza politica. Il linguaggio riflette e influenza in modo potente atteggiamenti, comportamenti e percezioni. Per trattare allo stesso modo tutti i generi, dagli anni '80 sono stati impiegati degli sforzi per proporre un uso del linguaggio neutro rispetto al genere / imparziale / non sessista, in modo che nessun genere sia privilegiato e i pregiudizi contro qualsiasi genere non siano perpetuati.
Nell'ambito di questi sforzi, nell'ultimo decennio sono state sviluppate e implementate numerose linee guida a livello internazionale e nazionale. Istituzioni internazionali ed europee (come le Nazioni Unite, l'Organizzazione mondiale della sanità, l'Organizzazione internazionale del lavoro, il Parlamento europeo e la Commissione europea), associazioni professionali, università, importanti agenzie di stampa e pubblicazioni hanno adottato linee guida per l'uso non sessista di lingua, sia come documenti separati o come raccomandazioni specifiche incluse nelle loro guide di stile. Nell'Unione europea, molti Stati membri hanno anche discusso le politiche linguistiche e proposto tali orientamenti a vari livelli. Il principio dell'uguaglianza di genere e della non discriminazione per motivi di genere è saldamente radicato nei trattati e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ed è stato approvato dal Parlamento europeo in molte occasioni. La lingua utilizzata in Parlamento dovrebbe quindi riflettere questo.
A tal fine, l'obiettivo di tali orientamenti è di garantire che, per quanto possibile, il linguaggio non sessista e di genere sia utilizzato anche nei documenti e nelle comunicazioni del Parlamento in tutte le lingue ufficiali. Lo scopo di queste linee guida non è quello di costringere gli autori del Parlamento europeo a seguire una serie di regole obbligatorie, ma piuttosto a incoraggiare i servizi amministrativi a tenere in debita considerazione la questione della sensibilità di genere nella lingua ogni volta che scrivono, traducono o interpretano. Va ovviamente sottolineato che i traduttori sono tenuti a rendere i testi fedelmente e accuratamente nella propria lingua. Se un autore usa intenzionalmente un linguaggio specifico per genere, la traduzione rispetterà tale intenzione.
Ciò rende ancora più importante per gli autori di testi in Parlamento essere pienamente consapevoli dei principi del linguaggio neutro rispetto al genere. Per quanto riguarda l'interpretazione, i servizi del Parlamento sono pienamente impegnati a utilizzare un linguaggio neutrale rispetto al genere e ad abbracciare i principi associati di non discriminazione, riconoscimento e uguaglianza. Di conseguenza, queste linee guida sono rese disponibili online e fanno parte della preparazione di un interprete. Mentre gli interpreti sono consapevoli degli standard linguistici neutrali rispetto al genere nelle loro lingue di lavoro, ci sono alcuni vincoli, come l'elevata velocità con cui vengono pronunciati i discorsi, la necessità di rispettare la paternità e le intenzioni degli oratori, evitando interferenze editoriali, così come lo specifico caratteristiche della lingua parlata rispetto alla lingua scritta, che può rendere occasionalmente difficile incorporare un linguaggio neutrale rispetto al genere nell'interpretazione simultanea, un'attività molto rapida e molto intensa.
Questi orientamenti devono riflettere due aspetti specifici del lavoro del Parlamento: in primo luogo, il suo ambiente di lavoro multilingue e, in secondo luogo, il suo ruolo di legislatore europeo. (a) Contesto multilingue Nell'ambiente multilingue del Parlamento europeo, i principi di neutralità di genere nella lingua e nella lingua di genere richiedono l'uso di strategie diverse nelle varie lingue ufficiali, a seconda della tipologia grammaticale di ciascuna lingua. Per quanto riguarda il genere grammaticale nelle lingue ufficiali dell'Unione, è possibile operare una distinzione tra tre tipi di lingue e le strategie di accompagnamento per raggiungere la neutralità di genere: - Lingue di genere naturali (come il danese, l'inglese e lo svedese), dove personale i nomi sono per lo più neutrali rispetto al genere e ci sono pronomi personali specifici per ogni genere. La tendenza generale qui è quella di ridurre il più possibile l'uso di termini specifici per genere. In queste lingue, la strategia linguistica più utilizzata è la neutralizzazione.
Per evitare riferimenti di genere, si possono usare termini neutrali rispetto al genere, cioè parole che non sono specifiche per genere e si riferiscono alle persone in generale, senza riferimento a donne o uomini ("presidente" è sostituito da "presidente" o "presidente" "," poliziotto "o" poliziotta "di" ufficiale di polizia "," portavoce "di" portavoce "," hostess "di" assistente di volo "," preside "o" preside "di" direttore "o" preside ", ecc. ). Questa tendenza neutra rispetto al genere ha portato alla scomparsa delle forme femminili più anziane, con la precedente forma maschile che diventa unisex (ad esempio "attore" anziché "attrice"). Viene utilizzato anche il linguaggio Gender inclusive, sostituendo, ad esempio, "lui" come riferimento generico dai termini "lui o lei". - Lingue grammaticali di genere (come il tedesco, le lingue romanze e le lingue slave), in cui ogni sostantivo ha un genere grammaticale e il genere dei pronomi personali di solito corrisponde al nome di riferimento. Poiché è quasi impossibile, da un punto di vista lessicale, creare forme ampiamente neutre rispetto al genere dalle parole esistenti in quelle lingue, sono stati ricercati e raccomandati approcci alternativi nel linguaggio amministrativo e politico.
La femminilizzazione (cioè l'uso di corrispondenze femminili di termini maschili o l'uso di entrambi i termini) è un approccio che è diventato sempre più utilizzato in questi linguaggi, in particolare in contesti professionali, come i titoli di lavoro in riferimento alle donne. Poiché la maggior parte delle professioni sono state, per tradizione, grammaticalmente maschili, con poche eccezioni, tipicamente per lavori tradizionalmente femminili come "infermiera" o "ostetrica", il sentimento di discriminazione è stato particolarmente forte. Pertanto, iniziarono a essere create equivalenti femminili e sempre più utilizzate per praticamente tutte le funzioni del genere maschile ("Kanzlerin", "présidente", "sénatrice", "assessora", ecc.). Inoltre, la sostituzione del genere maschile generico con forme doppie per referenti specifici ("tutti i consiglieri e tutte le consigliere") è stata accettata in molte lingue. Pertanto, l'uso di termini generici maschili non è più la pratica assoluta, anche negli atti legislativi.
Ad esempio, nella versione tedesca del trattato di Lisbona, il termine generico "cittadini" appare anche come "Unionsbürgerinnen und Unionsbürger".Lingue senza genere (come estone, finlandese e ungherese), in cui non vi è alcun genere grammaticale e nessun genere pronominale. Queste lingue generalmente non richiedono una particolare strategia per essere inclusivi di genere, salvo per i casi molto specifici discussi nelle linee guida particolari per quelle lingue. (b) Il Parlamento europeo come legislatore Il modo in cui il principio della sensibilità di genere nel linguaggio si riflette in un testo dipende anche fortemente dal tipo e dal registro del testo coinvolto. Gli autori dovrebbero fare attenzione a garantire che la soluzione scelta sia appropriata per il tipo di testo e gli usi futuri a cui sarà destinata, garantendo allo stesso tempo una visibilità sufficiente per tutti i generi desiderati.
Ad esempio, ciò che può essere appropriato in un discorso ("Signore e signori") o una forma diretta di indirizzo ("Gentile Signore o Signora" nella parte superiore di una lettera) non soddisferà necessariamente i vincoli formali della legislazione, che deve essere chiaro, semplice, preciso e coerente, e non si presta bene a certe soluzioni redazionali finalizzate alla neutralità di genere che potrebbero creare ambiguità riguardo agli obblighi contenuti nel testo (come l'alternanza di forme maschili e femminili per il pronome generico o l'uso di solo la forma femminile in alcuni documenti e solo il maschile in altri). Pur rispettando la necessità di chiarezza, l'uso di una lingua che non è di genere inclusiva, in particolare il maschile generico, dovrebbe essere evitato per quanto possibile negli atti legislativi. Numerosi organi legislativi negli Stati membri hanno già adottato raccomandazioni in tal senso.
Sebbene i modi specifici per evitare il linguaggio sessista variano da una lingua all'altra, molti dei seguenti problemi sono comuni alla maggior parte delle lingue. La convenzione grammaticale tradizionale nella maggior parte dei linguaggi grammaticali di genere è che per i gruppi che uniscono entrambi i sessi, il genere maschile è usato come forma "inclusiva" o "generica", mentre il femminile è "esclusivo", vale a dire riferendosi solo alle donne. Questo uso generico o neutralizzante del genere maschile è stato spesso percepito come discriminante nei confronti delle donne. La maggior parte delle lingue di genere grammaticali ha sviluppato le proprie strategie per evitare tale uso generico.
Le strategie rilevanti sono descritte nelle linee guida specifiche alla fine di questo opuscolo. Le soluzioni che riducono la leggibilità di un testo, come i moduli combinati ('s / lui', 'lui / lei'), dovrebbero essere evitati. Inoltre, l'uso in molte lingue della parola "uomo" in una vasta gamma di espressioni idiomatiche che si riferiscono a uomini e donne, come la manodopera, il laico, l'uomo, gli statisti, il comitato dei saggi, dovrebbe essere scoraggiato. Con una maggiore consapevolezza, tali espressioni di solito possono essere rese neutrali dal punto di vista del genere. Combinando varie strategie (cfr. Orientamenti specifici), dovrebbe essere possibile, nella maggior parte dei casi, applicare il principio di neutralità di genere e di equità nei testi del Parlamento.
Quando si fa riferimento alle funzioni nei testi del Parlamento, i termini generici sono usati nelle lingue di genere naturali e nelle lingue di genere, mentre la forma maschile può essere usata eccezionalmente nelle lingue grammaticali di genere (ad esempio "chaque député ne peut") soutenir qu'une candidature '). Se il genere della persona è pertinente al punto che viene fatto, o quando si fa riferimento a singole persone, dovrebbero essere usati termini specifici di genere, in particolare nelle lingue di genere grammaticali (ad esempio "la haute représentante de l'Union pour les affaires étrangères et la politique de sécurité '). In linea generale, dovrebbero essere rispettati i desideri di una persona su come vorrebbe essere indirizzata o indirizzata (ad esempio "Madame le Président" o "Madame la Présidente"). Gli avvisi di posti vacanti dovrebbero essere redatti in un modo inclusivo di genere al fine di incoraggiare candidati sia maschili che femminili a presentare domanda.
In alcune lingue (ad esempio francese e tedesco), titoli come "Madame", "Mademoiselle", "Frau" o "Fräulein" indicavano in origine lo stato civile della donna a cui si applicava il titolo. Questo è cambiato nel corso degli anni e l'uso di tali titoli non riflette più tale stato. La pratica amministrativa sta seguendo questa tendenza. Il titolo "Mademoiselle" viene progressivamente cancellato dalle forme amministrative nei paesi francofoni, lasciando solo la scelta tra "Madame" e "Monsieur". Nei testi del Parlamento, titoli come "Monsieur", "Frau", "Ms", ecc. Vengono spesso semplicemente lasciati a favore del nome completo della persona. Anche il ruolo del Parlamento in quanto legislatore europeo deve essere preso in considerazione quando si cerca di ottenere un linguaggio neutrale rispetto al genere.
Non tutte le soluzioni che potrebbero altrimenti essere applicate possono essere utilizzate nel contesto della legislazione, che richiede chiarezza, semplicità, precisione e coerenza. Sarebbe utile che il Governo italiano traducesse queste linnee guida ( magari facendosi supportare da persone di buona volontà) e le pubblicizzasse sull’esempio di Papa Francesco che ha già dato l’imput per una educazione sessuale anche nelle scuole che sostenga il principio della non discriminazione.
http://www.europarl.europa.eu/cmsdata/151780/GNL_Guidelines_EN.pdf
Alessandra Servidori