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Lavoratrici penalizzate prima e dopo la pandemia.E ora ci riprovano a farci stare a casa

DALLO SMART WORKING AI CONGEDI PARENTALI -  IPSOA Diritto e pratica del Lavoro

Occupazione. Lavoratrici penalizzate prima e dopo la pandemia. Quali misure adottare?

Alessandra Servidori -Il lockdown ci lascia un sistema economici in crisi. Secondo l’ISTAT, nel primo trimestre del 2020, il prodotto interno lordo ha subito una contrazione di entità eccezionale indotta dagli effetti economici dell’attuale emergenza sanitaria e dalle misure di contenimento adottate. Ma la pandemia ha alterato anche le dinamiche del mercato del lavoro e peggiorato i dati sull’occupazione femminile, che vedono la donna lavoratrice penalizzata dal difficile bilanciamento dei tempi di vita e di lavoro e (ancora una volta) sotto il profilo retributivo. Quali interventi servono per aiutare le donne a entrare e a restare nel mercato del lavoro?

https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/06/26/occupazione-lavoratrici-penalizzate-prima-pandemia-misure-adottare

 

 

 Alessandra Servidori

 

E’ pur vero che è la situazione a imporci la regola del primum vivere, è però altrettanto importante non perdere la lucidità ed essere consapevoli che il sistema economico non può andare in quarantena se non con effetti disastrosi come poi ora verifichiamo dopo i 100 giorni . Certo è che si può affermare che le misure di sospensione delle attività produttive del Governo hanno coinvolto moltissimo il sistema con chiusura di interi comparti e i provvedimenti restrittivi hanno ridotto i movimenti di trasporto delle persone e delle merci ammettendo poche deroghe per i servizi di pubblica utilità, essenziali, alimentari, sanitari. Sicuramente le misure hanno ampliato la modalità del lavoro agile anche se siamo ben consapevoli che per una gran parte delle aziende italiane ed estere, il lavoro da casa non è mai stato pensato come uno strumento di salvezza da utilizzare in periodi di emergenza. Sebbene sicuramente nelle PA vi fossero già sperimentazioni in atto e business recovery plan pronti sulla carta, pochi di questi erano pronti per scattare in emergenza, anche perché sull’applicazione della legge che ha dato via libera allo smart working (legge n.81/2017) rimangono dubbi interpretativi soprattutto rispetto all’applicazione del lavoro remoto e sicurezza. Potrebbe inoltre essere difficile misurare le attività su lunghi periodi, specialmente quando le procedure non sono chiare e collaudate. Evidenti limiti tecnologici poi esistono per il lavoro di gruppo in rete, ed è ovvio che non sempre si ha a disposizione uno spazio in casa da dedicare al lavoro. La constatazione è che l’Italia soffre ancora molto di digital divide, la mancanza di regole e organizzazione stabilite dall’inizio non fa ottenere risultati attesi. Il Governo con il decreto Rilancio si è comunque posto il problema di migliorare la modalità di lavoro a distanza poiché persistono, e le ultime rivelazioni di monitoraggio lo dimostrano, problemi di sicurezza, di misurazione di raggiungimento degli obiettivi di programmazione aziendali e soprattutto di rilevazione della produttività dei lavoratori in smartworking.

Considerazioni sul sistema economico

Alcune note Istat   che hanno seguito l’andamento economico e occupazionale alle condizioni date ,ci hanno permesso  di essere informati :  nel primo trimestre del 2020, secondo la stima preliminare, il prodotto interno lordo ha subito una contrazione di entità eccezionale indotta dagli effetti economici dell’attuale emergenza sanitaria e dalle misure di contenimento adottate. Espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2015 e corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, , il PIL è diminuito del 4,7% rispetto al trimestre precedente e del 4,8% in

termini tendenziali. La variazione congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto in tutti i principali settori produttivi. Dal lato della domanda, vi sono ampi contributi negativi sia della componente nazionale (al lordo delle scorte), sia della componente estera netta. Le stime successive se pur di natura  provvisoria e si sono basate  sulla valutazione dell’andamento delle componenti dell’offerta e su un insieme ridotto di indicatori congiunturali; il valore aggiunto segna un calo marcato e diffuso a tutte le attività economiche, particolarmente rilevante per l’industria e il terziario. Successivamente le dinamiche del mercato del lavoro misurate nel primo trimestre 2020 risentono, a partire dall’ultima settimana di febbraio, delle forti perturbazioni indotte dall’emergenza sanitaria. Nel primo trimestre 2020, l’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, registra una forte diminuzione sia rispetto al trimestre precedente (-7,5%), sia rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (-7,7%). Tali dinamiche risultano coerenti con la fase di eccezionale caduta dell’attività economica che, nell’ultimo trimestre, ha risentito degli effetti della crisi sanitaria, con una flessione del Pil pari a -5,3% in termini congiunturali.

Dal lato dell’offerta di lavoro, nel primo trimestre del 2020 il numero di persone occupate diminuisce in termini congiunturali (-101 mila, -0,4%), a seguito dell’aumento dei dipendenti a tempo indeterminato e del forte calo di quelli a termine e degli indipendenti. Il tasso di occupazione è pari al 58,8%, in diminuzione di 0,2 punti rispetto al quarto trimestre 2019. Nei dati più recenti del mese di aprile 2020, al netto della stagionalità, l’effetto dell’emergenza Covid-19 è più evidente: gli occupati calano di 274 mila unità (-1,2%) rispetto a marzo 2020 e il tasso di occupazione scende al 57,9% (-0,7 punti in un mese).

Nell’andamento tendenziale, rallenta la crescita del numero di occupati (+0,2%, +52 mila rispetto al primo trimestre 2019), ancora una volta per effetto dell’aumento dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato a fronte del calo di quelli a termine e degli indipendenti. La crescita è più accentuata tra gli occupati a tempo parziale; per il 63,0% di questi lavoratori si tratta di part time involontario. Diminuiscono, inoltre, gli occupati che hanno lavorato per almeno 36 ore a settimana (57,8%, -8,8 punti), a seguito delle assenze dal lavoro e della riduzione dell’orario dovute all’emergenza sanitaria. Nel confronto annuo, per il dodicesimo trimestre consecutivo, a ritmi ancora più intensi, si riduce il numero di persone in cerca di occupazione (-467 mila in un anno, -16,3%). Dopo la diminuzione nei due precedenti trimestri, aumenta a un ritmo sostenuto il numero di inattivi di 15-64 anni (+290 mila in un anno, +2,2%). Il tasso di disoccupazione è in diminuzione rispetto sia al trimestre precedente sia a un anno prima e si associa all’aumento, anch’esso congiunturale e tendenziale, del tasso di inattività delle persone con 15-64 anni. Nel mese di aprile 2020 si accentuano ulteriormente il calo del tasso di disoccupazione e la crescita di quello di inattività. Alcuni paesi europei hanno seguito quasi alla lettera i consigli di politica economica di Mario Draghi. Secondo i dati della Commissione europea, la Germania sta facendo una maxi operazione di fornitura di liquidità alle imprese tedesche, sotto forma di “bail out”, avendo ottenuto il 52 per cento del totale di aiuti approvati dalla direzione Politiche per la concorrenza, sfruttando le norme contenute nel Temporary Framework approvato dalla Commissione stessa, che sospende le norme sul divieto di aiuti di stato da parte dei governi. Un dato che è pari a circa il doppio della sua quota nell’economia dell’Ue. L’interventismo tedesco sta suscitando malumori nelle capitali del sud Europa, per il fatto che esse ritengono di subire una concorrenza sleale che si tradurrà, molto probabilmente, in una ripresa economica più debole rispetto ai paesi del nord, perché le loro economie sono dotate di minori capacità finanziarie e liquidità per sostenere le proprie imprese.Secondo fonti del Financial Times, inoltre, i funzionari dell’Ue avrebbero discusso, su proposta della virtuosa Austria, un ulteriore allentamento delle regole sugli aiuti di stato, consentendo ai paesi di iniettare capitale (equity) e debito nelle loro imprese in difficoltà. I vincoli includerebbero il divieto di pagare dividendi, di riacquistare azioni o di fornire bonus o simili remunerazioni. Se questo aggiornamento del temporary framework dovesse passare, i paesi del nord Europa disporrebbero di maggiori possibilità nel salvare le loro imprese, avendo liquidità sufficiente per poter fare una operazione del genere.C’è una percezione relativa al rischio di una nuova statalizzazione dell’economia italiana. Secondo de Rita il pericolo naturale che sta sotto una tale evoluzione è che tutti insieme (governo e popolo) si sottovaluti il fatto che la potenza del nostro sistema (così come l’abbiamo costruita nei decenni passati) non sta nella visione e governo di un solo soggetto (politico o statuale che sia), ma sta nella molteplicità e nella vitalità dei soggetti sociali, di milioni di imprese e famiglie che “sfangano la vita nel lavoro quotidiano”. Per risollevare l’economia italiana, lo stato non deve certo stare a guardare: ha il fondamentale ruolo di mettere a disposizione risorse, strumenti e regole per consentire ai nostri imprenditori di recuperare, rafforzarsi, crescere e competere con quelli del resto del mondo. Ma non deve pensare neppure per un minuto di sostituirsi ad essi, perché non ne ha né la capacità, né le competenze, né la creatività”. Anche il presidente designato di Confindustria Carlo Bonomi, ha avuto parole dure nei confronti di questa pericolosa deriva, dichiarando che questo “fa indebitare le imprese per poi avviare una campagna inaccettabile di nazionalizzazioni”. Bonomi ha chiesto, invece, che vengano pagati tutti i debiti commerciali, che si sblocchino le opere pubbliche già finanziate e si defiscalizzino gli aumenti di stipendio e i salari di produttività. Le imprese, in sintesi, non hanno bisogno di capitale di rischio, o di equity, ma di cash flow, quello che è mancato durante la crisi, mentre continuavano a sostenere i costi fissi. Le imprese hanno bisogno di una regolamentazione “light”, di un’Europa che giochi su uno stesso terreno. Abbiamo bisogno di mercato, di trasparenza, di risarcimenti. Dopo di che, ognuno faccia la propria parte. Per carità, non vogliamo tornare alle imprese e alle banche di stato, né tornare all’Iri, anche se sotto il nuovo cappello della Cassa depositi e prestiti. Chi deciderà dove andrà il capitale di rischio dello stato nelle imprese? Abbiamo bisogno di risarcimenti e che le imprese tornino ad operare secondo una logica di mercato.Nel caso italiano, sappiamo che attualmente al governo non  disponiamo  di quella conoscenza necessaria per fare scelte economiche migliori di quelle che sono in grado di poter prendere, in maniera decentralizzata, milioni di imprenditori italiani, grazie alla loro conoscenza accumulata in anni di esperienza .

 I dati ufficiali dell’Italia recentissimi sono disastrosi : la disoccupazione ed esclusione delle donne dal lavoro, vede una forbice  del 10% rispetto alla media UE e con la riapertura vi sono settori tradizionalmente a occupazione femminile come il turismo, il commercio e la ristorazione in grave difficoltà ma anche la logistica che rappresenta un comparto strategico per il sistema-Paese .Vi è una richiesta diffusa di liquidità, credito e semplificazione delle procedure del sistema aziendale con la prudenza  e  le norme di sicurezza richieste ma l’economia  stenta a riprendersi e la partecipazione dei generi al mercato del lavoro è talmente diversa da configurare due diversi mercati, caratterizzati da diverse entità quantitative, da diverse tipologie contrattuali, forme di occupazione e relativo livello di stabilità, da differenti settori economici di occupazione e, al loro interno, anche da ruoli, professioni e qualifiche ricoperte,e uno strumento particolarmente versatile, idoneo a ridurre le disuguaglianze di genere e a identificare strumenti condivisi di conciliazione tempi di vita-tempi di lavoro è la contrattazione collettiva, con particolare riferimento a quella aziendale. La questione della condizione occupazionale femminile bisogna affrontarla  solo mediante interventi di sostegno alla natalità e al lavoro di qualità delle donne. La crescita della partecipazione delle donne al mercato del lavoro non può realizzarsi a discapito della qualità dello stesso, come purtroppo si è verificato nei lunghi anni della crisi attraverso una crescita delle occupazioni a bassa retribuzione e l’aumento incontrollato del part time involontario. Il principio di co-genitorialità e di condivisione delle responsabilità del lavoro di cura in tutte le fasi della vita familiare, per renderne effettiva l’affermazione di tali principi, ha bisogno  di azioni che contrastino la perdita economica determinata dal mancato pieno apporto della componente femminile alla crescita e alla competitività, e che intendano il lavoro di cura un investimento di cui beneficia l’intera società. La condizione della donna lavoratrice è soprattutto penalizzata dal difficile bilanciamento  dei tempi di vita e di lavoro, che spinge in basso (49,7% dato ISTAT, contro il 60,4% Ue) la quota dell’occupazione femminile fra i 15 e i 64 anni e che induce il 27% delle donne madri ad abbandonare la propria occupazione alla nascita del figlio, una quota enorme se confrontata a quella maschile (lo 0,5%). Secondo gli ultimi dati Istat c’è un differenziale nel tasso di attività pari a +19,2% a favore degli uomini rispetto alle donne e un differenziale nel tasso di occupazione pari a +18,6% a favore degli uomini. Il divario di genere in termini di lavoro non retribuito (nel quale le donne spendono in media 4 ore e 15 minuti al giorno, contro 2 ore e 16 minuti degli uomini).Vero è che il coronavirus ha rivoluzionato il modo di lavorare degli italiani e la paura della devastante pandemia ha consentito di dribblare le antiche resistenze al cambiamento ed ora aziende e dipendenti si trovano in un mercato del lavoro diverso.E un aspetto importante è l'equilibrio delle famiglie, soprattutto quelle in cui entrambi i coniugi lavorano. Parlare di emergenza familiare equivale a parlare di "lavoro delle donne su cui ricade principalmente la cura dei figli. E quindi non c’è da stupirsi se l'Italia ha uno dei tassi di partecipazione delle donne al mercato del lavoro tra i più bassi in Europa. L'emergenza di queste settimane fa capire che dobbiamo dotarci di misure di conciliazione vita-lavoro che rendano possibile il lavoro delle donne e sostenere la natalità con fondi diretti alle famiglie perché l'avere dei figli sia una risorsa per tutti e non un costo. Secondo l’Eurostat in Italia esiste un gap retributivo di genere, parametrato sul salario annuale medio, attorno al 43%, di almeno 2 punti percentuali superiore alla media europea (41,1%). La penalizzazione retributiva colpisce ancor più le lavoratrici madri per le rigidità dell’organizzazione del lavoro e per la inadeguatezza del welfare aziendale: il Rapporto annuale INPS 2019 riporta una perdita del 35% dello stipendio delle donne occupate a seguito della nascita di un figlio.E  sempre il Rapporto annuale dell’Ispettorato Nazionale del Ministero del lavoro riconferma con una gravità devastante che le dimissioni volontarie sono drammaticamente delle lavoratrici che denunciano dopo la nascita dei figli l’impossibilità di mantenere il lavoro in mancanza di sostegno dei servizi educativi .E comunque dei costi da sostenere per la eventuale frequenza dei piccoli ammesso che ci siano le possibilità di iscriverli poiché in Italia  soprattutto le strutture 0/6 anni sono ancora al di sotto del 30% dei bambini  aventi diritto che è stata indicata come base dalla Ue per assicurare loro l’accoglienza. Secondo i dati della Fondazione consulenti del lavoro, il 13,5 per cento delle italiane occupate non è ancora tornato al lavoro e se l'emergenza persiste, molte saranno costrette a ridurre l'orario di lavoro, a continuare obbligatoriamente il telelavoro o a lasciare il proprio impiego. Se ciò non bastasse, un altro studio condotto dall'Istituto Toniolo dell'Università cattolica di Milano indica che solo la metà degli italiani collabora nelle faccende domestiche durante la quarantena. Inoltre, il 71 per cento degli intervistati di sesso maschile ha dichiarato di essere convinto che, per le donne, "il lavoro è importante, ma quello che vogliono veramente è una casa e dei bambini”

In Europa la percentuale di donne inattive a causa di impegni di cura familiari ha raggiunto il 31%, con un peggioramento negli ultimi dieci anni“. La sintesi della situazione attuale rispetto al goal5 di Agenda 2030 secondo Asvis è questa. Donne sottorappresentate nelle posizioni manageriali, pagate meno degli uomini a parità di mansione svolta (un 16% in meno in Europa) e penalizzate pesantemente anche dalla pandemia che, come successo in passato con altre emergenze sanitarie come quella legata alla diffusione di ebola, ha mostrato di ingigantire tutte le disparità esistenti, comprese quelle di genere.Qualcuno dirà che non è il momento di ragionare su questo: ci sono problemi più urgenti, adesso. E invece no.

In buona sostanza sono 3 milioni le donne occupate, poco meno di un terzo del totale (9 milioni e 872 mila), con almeno un figlio di età inferiore ai 15 anni. E saranno proprio le mamme (o le donne in generale) bersaglio facile non solo della fase 0, ma anche della fase 2 fino alla fase 2+n.In questi due mesi di lockdown, le donne con figli hanno lavorato più dei papà, visto il loro impiego in servizi essenziali, dove la presenza femminile risulta più alta rispetto alla maschile. Su 100 occupate con almeno un figlio con meno di 15 anni, 74 hanno lavorato ininterrottamente (contro 66 uomini nella stessa condizione), il 12,5% ha ripreso il lavoro dallo scorso 4 maggio, mentre il 13,5% dovrebbe ritornare alla propria attività entro la fine del mese.  E per le lavoratrici che non hanno usufruito del lavoro cd agile come le lavoratrici meno qualificate  dovranno tornare in sede oltre che accudire i figli: sono 1 milione 426 mila (il 48,9% delle lavoratrici mamme), di queste circa 710 mila percepiscono uno stipendio netto inferiore ai 1.000 euro. Del resto, il dato dell’ispettorato del lavoro ci dice  che  il 27% delle donne lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Come a dire che la cura dei figli è solo delle mamme. I dati poi delle lavoratrici che   figli o parenti disabili è tragico poiché i permessi retribuiti sono ancora troppo pochi e soprattutto la legge che ha riconosciuto i caregiver nel 2017 giace immobile senza regolamento per usare il Fondo di 25 milioni all’anno ( sono già otre 75 milioni congelati) per poter avere un sollievo per le cure al congiunto. E il governo  si è limitato a predisporre  solo  dei fauce limitati   per la baby sitter mentre c’è bisogno di un intervento a sistema per aiutare l’occupazione femminile a entrare e restare nel mercato del lavoro. Serve ampliare il congedo parentale come ci indica la Direttiva Europea del 2019  che dobbiamo recepire entro il luglio2021 ,ridurre la TASSAZIONE CON LA FISCALIZZAZIONE DI VANTAGGIO SU LAVORATRICI E IMPRESE ,AMPLIARE L’ACCESSO AL WELFARE AZIENDALE verso la cura FAMILIARE CON PERMESSI RETRIBUITI , AMPLIARE I FONDI BILATERALI  ora usati per la formazione verso l’uso dei congedi , la contrattazione collettiva è fondamentale e si può e si deve saper usare.

 

 

 

 

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