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Il dramma italiano è il buco nero dei conti pubblici che prende il nome di finanza locale. È una sorta di bancomat, utilizzato dagli amministratori locali nei confronti dello Stato centrale, che non richiede rendicontazione ma la Corte Costituzionale, nel governo Monti che aveva tentato di mettere qualche paletto, ha cassato tutte norme che prevedevano una qualche forma di controllo.
Donne e pensioni una ragionevole proposta
Alessandra Servidori https://www.startmag.it/economia/pensioni-e-donne-riflessioni-e-una-proposta/
La popolazione femminile e la situazione previdenziale : una riflessione e una proposta ragionevole
Scientificamente redatto ed esposto il 7° Rapporto sul Bilancio del sistema previdenziale italiano di Itinerari previdenziali ci consegna una fotografia dettagliata delle prospettive occupazionali del Paese e gli andamenti delle gestioni pensionistiche pubbliche (in termini di entrate contributive e spese per prestazioni previdenziali e assistenziali) e i loro riflessi sulle variabili economiche; dall’altro, in progress sono analizzati i tassi di sostituzione offerti dal sistema pubblico e le conseguenti opportunità di sviluppo per il welfare complementare. In funzione dell’attuale situazione demografica, infine è analizzata la spesa sanitaria e per LTC sia pubblica che privata. Una straordinaria occasione anche per una lettura oggettiva e obiettiva della situazione femminile previdenziale,in occasione di proposte che continuano a motivare una riforma concreta per sostenere il percorso discontinuo lavorativo delle donne e una ragionevole modifica del sistema. L’opportunità di una diversa età di pensionamento per uomini e donne viene di norma sostenuta in base alle ragioni - biologiche, culturali e sociali - che impongono alle donne un “doppio lavoro”, in quanto all’occupazione retribuita (quando c’è) aggiungono la maternità e le attività di cura dei familiari e della casa . Quest’ottica di consentire alle donne un pensionamento anticipato rispetto agli uomini potrebbe sembrare una naturale “compensazione”. Diversi fattori rendono tuttavia questa logica non soltanto obsoleta, ma anche potenzialmente dannosa, se si tiene conto del peso crescente che il metodo contributivo avrà nella determinazione dei benefici. Con tale metodo, infatti, la fissazione di una più bassa età di pensionamento potrebbe addirittura portare a uno svantaggio netto per le donne, visto che a carriere lavorative più brevi corrispondono generalmente pensioni più basse; il problema è naturalmente acuito dalla maggiore discontinuità delle carriere femminili. Da una lettura attenta del 7° Rapporto di Itinerari previdenziali pag 102 https://www.itinerariprevidenziali.it/site/home/eventi/eventi-2019/sesto-rapporto-sul-bilancio-del-sistema-previdenziale-italiano.html ) si ha una conferma indiscutibile della situazione sopra descritta Tutto ciò non deve però indurre a una ennesima critica del metodo, ma piuttosto al pieno riconoscimento, anche a fini pensionistici, delle attività di cura, così che queste non si riflettano negativamente sul reddito in età anziana. L’accredito di contributi figurativi per tali periodi è quindi da preferirsi al differenziale nell’età di pensionamento, soprattutto se, essendo riconosciuto a entrambi i coniugi, non costringe donne e uomini entro ruoli di genere predefiniti. E, in ogni caso, le donne sono già avvantaggiate, per effetto della loro maggiore longevità, dall’utilizzo - a parità di età di uscita - di coefficienti unisex per la trasformazione in pensione dei contributi accumulati. Più in generale, la flessibilità dell’età pensionabile, già contemplata dalla riforma del 1995, costituisce una via migliore per giungere alla soluzione al problema; naturalmente tale flessibilità deve essere inquadrata in una finestra adeguatamente fissata e accompagnata da aggiustamenti attuariali che evitino di premiare chi esce dal lavoro in età relativamente giovane. Così configurata, essa rappresenta al tempo stesso, uno strumento per incentivare il posticipo del pensionamento e per eliminare rigide attribuzioni di ruoli a uomini e donne. Il problema non deve essere quindi rappresentato dalle “compensazioni” che si possono ottenere a posteriori per gli svantaggi subiti, ma piuttosto dalle diverse condizioni di partecipazione femminile al mercato del lavoro: le donne presentano tassi di partecipazione più bassi di quelli maschili, remunerazioni mediamente inferiori, maggiori interruzioni di carriera. Il metodo contributivo mette giustamente l’accento sul lavoro come fonte di reddito anche nel periodo di pensionamento, ed è in questo ambito che vanno sanate le disparità. Per contro, le compensazioni ottenute con vantaggi ex post, finiscono per perpetuare le disuguaglianze a monte, anziché ridurle. Avendo avuto il privilegio di lavorare anche con Elsa Fornero e condividendo le sue opinioni anche guardando all’Europa ,la dimensione comunitaria ha d’altronde già imboccato la doppia strada dell’uniformità e della flessibilità. Nei Paesi che già applicano il metodo contributivo - come, ad esempio, la Svezia - la libertà di scelta dell’età di pensionamento è definita per uomini e donne all’interno della medesima finestra: 61-67 anni. Ma anche tra i paesi che ancora adottano le più generose formule retributive (la stessa ancora in vigore nel nostro paese per i lavoratori più anziani), il differenziale di età costituisce più l’eccezione che la norma. Soltanto in quattro paesi – Austria, Belgio, Grecia e Regno Unito – le donne vanno infatti in pensione prima degli uomini, e comunque si tratta di una situazione transitoria, in attesa che le regole ispirate all’uniformità di trattamento siano pienamente in vigore. Le nuove pensioni, anche considerando il futuro ruolo delle previdenza complementare, devono porre maggiore libertà individuale; la possibilità di scegliere la propria età di pensionamento, in una fascia di età non diversa da quella applicata agli uomini, costituirebbe un importante elemento di responsabilizzazione, anche nei confronti delle donne. Va respinta ancora una volta, la logica della compensazione a posteriori di disuguaglianze che non hanno più alcuna ragione di esistere.
6 Marzo 2020 Bologna Cappella Farnese Dalla parte delle donne e de l lavoro
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Politiche di Pari Opportunità e lavoro in Italia e in Europa:
non c’è futuro senza memoria
1983 /2020 Benedetto Craxi e scelte ancora attuali
per le politiche attive per l’uguaglianza
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6 Marzo 2020 - Sala Cappella Farnese
Ore 10/13
PIAZZA MAGGIORE - BOLOGNA
Coordina e introduce Massimo Gagliardi Giornalista
Marco Lombardo Assessore Lavoro Europa e Attività Produttive Comune di Bologna
Margherita Boniver Presidente Fondazione Bettino Craxi - Le sfide internazionali
Dott.ssa Stefania Sidoli - Le donne del Sindacato come motore di grandi soggetti collettivi
Sen. Annamaria Bernini - La Riforma dello Stato: un nuovo patto tra cittadini e governanti
Sandra Albanelli Zinelli Ass. TutteperItalia - La forza dell’associazionismo
Daria De Luca (Segr. Psi Reggio Emilia)
Una democrazia di uomini e donne alle radici dell’uguaglianza
Rita Cinti Luciani Vice Segretaria Nazionale Psi
La riforma dell’istruzione e della formazione come primaria agenzia etica
Barbara Maiani Direttrice HR - Il lavoro nuova frontiera di giovani e donne
Sonia Alvisi Consigliera di Parità Regione Emilia - Romagna
Alessandra Servidori - Modernizzare l’impianto istituzionale, la politica economica e il welfare
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1983 Bettino Craxi Presidente del Consiglio: come il femminismo è entrato nelle istituzioni e nelle politiche, come ha ottenuto legittimazione, raggiunto obiettivi importanti, la prospettiva oggi di un rinnovato impegno nella società per l’economia e il lavoro.
Attraverso tracce di documentazione e storiche, oggi più che mai evidenti, i diritti delle donne che in un contesto in cui viviamo si danno per scontati, necessitano senza dubbio di riflessione e dialogo poichè sappiamo bene che non è stato facile e che con grande fatica si sono ottenuti alcuni riconoscimenti. Peraltro le persistenti disparità di genere nel mondo del lavoro e non solo ci fanno pensare e dire che molto ci sia ancora da fare. Desideriamo dare atto a Bettino Craxi che comprese subito che il vigore e il talento nel partito delle donne doveva essere realizzato anche attraverso la Sezione Femminile Nazionale del PSI, nella quale emerse il tema delle «discriminazioni positive», i «Quaderni delle donne socialiste», e così costantemente si è ampliato il ventaglio dei temi affrontati anche insieme ad altre forze politiche. Cambiamenti che subentrarono nella vita politica italiana e delle donne impegnate in politica, l’allargamento dell’orizzonte su piano internazionale, l’ingresso, nel 1983, in Parlamento di socialiste a fianco delle altre parlamentari che si impegnarono per ridurre i tempi di attesa per il divorzio, per una proposta di legge sulla violenza contro le donne, troppo spesso colpevolizzate e lasciate sole. E la Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna, presso la Presidenza del Consiglio voluta da Craxi che affiancò in Parlamento le iniziative in campi particolari come a favore di direttrici d’orchestra donne. Un ampio numero di donne, tutti nomi noti, si vedranno assegnate onorificenze della Repubblica. La Commissione Presieduta da Elena Marinucci darà un parere sul progetto di legge sul servizio militare femminile volontario. Si avranno proposte di revisione della lingua italiana, dichiarata particolarmente sessista, attraverso l’impegno di una Commissione, da cui poi un seminario, l’elaborazione di «raccomandazioni» uscite a firma di Alma Sabatini, linee guida rivolte soprattutto alle scuole e all’editoria scolastica. Elena Marinucci lascerà la presidenza della Commissione nel giugno 1987 assunta nel 1985 e continuerà a occuparsi dei diritti delle donne. Dalle costole della Commissione furono istituite le Consigliere di parità, idea di Renata Livraghi, che furono fortemente sostenute come «figure istituzionali con funzione di promozione e di controllo dell’attuazione dei principi di pari opportunità e non discriminazione fra uomini e donne nel lavoro». Il Comitato Nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento e uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici istituito dalla Legge n. 125/1991 presso il Ministero del lavoro che ha introdotto nel nostro ordinamento le azioni positive, strumenti per favorire l'occupazione femminile e realizzare l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro. Così come evidente fu l’impronta riformista che ebbe il tema di una pillola abortiva introdotta in Francia , con le inevitabili polemiche e gravi fraintendimenti che sono stati consumati in Italia. Così come il referendum sul divorzio. Ancora,protagoniste sempre le donne italiane e socialiste nel Parlamento Europeo con ruoli nevralgici ed importantissimi e le difficoltà del partito e il segretario Bettino Craxi del quale oggi valorizziamo il pensiero illuminato, non in un’ottica celebrativa, ma di ‘passaggio del testimone’ alle generazioni future, su cui ricade il compito di rilanciare il Paese. Craxi valorizzò una forza socialista e liberale di donne e di uomini, di ispirazione europea, lontana dai massimalismi ,e puntò attraverso le riforme, allo sviluppo economico e sociale, con attenzione ai bisogni e valorizzazione dei meriti. Oggi noi sentiamo la mancanza di un dibattito politico leale ed approfondito sulle riforme di cui il Paese ha bisogno, e che Craxi già aveva individuato come riconosciuto dai 2 principali leader socialisti europei come Blair e Schroeder, a partire dagli interventi necessari sul welfare, sino alla riforma istituzionale. L’assenza, poi, di una classe dirigente ha causato un arretramento della politica nel dare risposte, a favore dei poteri forti e dei populismi di qualsiasi natura, favorendo paradossalmente la costituzione di un vero e proprio potere in capo all’ordine giudiziario. Sulla scorta del pensiero socialista liberale dei fratelli Rosselli, di Turati,di Anna Kuliscioff abbiamo sempre ritenuto che una classe dirigente preparata ed affidabile abbia il dovere di affrontare le questioni, adottando soluzioni che, seppur impopolari, abbiano effetti positivi per tutti, al fine di riscrivere un nuovo patto generazionale, inteso quale accordo tacito tra generazioni in forza del quale i padri e le madri adottano scelte affinché i propri figli possano vivere meglio ed in una società più equa.La classe dirigente non può esimersi dall'affrontare i temi delle grandi riforme nel nostro Paese senza una visione socialista liberale, guardando ai bisogni delle famiglie , dei giovani, dei disoccupati, delle donne; ad una riforma del lavoro che, partendo dalla modernizzazione dello statuto dei lavori , possa garantire pari opportunità di accesso alle giovani generazioni individuando il merito come criterio di selezione. Allo stesso modo, un welfare assistenzialista e scevro da qualsiasi valutazione di sostenibilità economica e sociale, è a sola difesa di posizioni di conservazione dello status quo, e dei relativi privilegi, e non può essere difeso. Anzi, attraverso un sistema di workfare, riteniamo che la vera tutela sociale si realizzi solo con politiche di sviluppo e di flessibilità del lavoro che permettano ai giovani e alle donne di realizzarsi sia in ambito lavorativo che sociale in una integrazione pubblica e privata sistematica ed equilibrata. Su queste basi metodologiche di pensiero, desideriamo riprendere i grandi temi della riorganizzazione dello Stato, della centralità del Mezzogiorno e dell’innovazione tecnologica, dell’occupabilità femminile come occasione di sviluppo del Paese, a favore di dinamiche strutture di macroarea,non possono che trovare una soluzione nelle proposte che riformisti e liberali, dobbiamo e possiamo avanzare ,così come il vero e proprio “salto di qualità” che ci si attenderebbe in considerazione dell’incremento della presenza di donne nei luoghi della decisione. Gli sforzi ad oggi profusi non sono ancora soddisfacenti. Non se si vuole dare piena attuazione a quel sogno di democrazia, fatta “di donne e di uomini” di cui parlava, in Assemblea costituente, Teresa Mattei. Per il bene del Paese e delle future generazioni.
Oggi riprendiamo un cammino dalla parte delle donne, del lavoro e ci confrontiamo con coloro che credono che insieme possiamo realizzare molto.
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Fondi Ue bilancio 2021 :passi avanti per la questione femminile
Alessandra Servidori
Linee guida per il bilancio 2021 dei Fondi Europei 12 Febbraio 2020
Il Nuovo Parlamento il 18 febbraio inizia a discutere le linee guida dei fondi e in questa fase della politica europea il bilancio dell’Unione è importantissimo. Non è solo una questione di soldi. Un bilancio pari a grossomodo l’1% del prodotto lordo complessivo vale molto in termini di solidarietà tra gli Stati membri e tra i territori, di promozione degli obiettivi strategici dell’Unione europea che hanno a che fare con la crescita, la competitività, lo sviluppo tecnologico, con il ruolo della Ue a livello globale. Ma vale poco in rapporto a quanto sarebbe necessario per farne una leva potente per raggiungere quegli stessi obiettivi. Per fare un solo esempio: la spesa pubblica complessiva degli Stati membri è circa 50 volte più alta del bilancio Ue. A fronte di una moneta unica effettivamente “federale”, non esiste un bilancio corrispondente. La politica fiscale resta strettamente nei poteri degli Stati e non è alle viste un cambiamento. Ciò nonostante, la proposta di bilancio europeo per gli anni 2021-2027 avanzata dalla Commissione richiederà un durissimo negoziato tra gli Stati membri sulle sue dimensioni quantitative, sulla sua ripartizione, sugli obiettivi che dovrà finanziare. Questo perché il bilancio rappresenta fedelmente il compromesso politico tra gli “azionisti” dell’Unione europea e, contemporaneamente, riflette il compromesso politico che ogni governo vuole (o riesce) a definire a livello nazionale. Privilegiare i pagamenti diretti agli agricoltori o privilegiare i settori tecnologicamente avanzati non è la stessa cosa per nessun Paese. Oppure, questione centrale delle prossime “prospettive finanziarie pluriennali”, privilegiare gli investimenti per gestire le migrazioni o rafforzare la sicurezza europea. Si tratta, dunque, di un appuntamento rilevante per la politica quanto per l’economia europee, soprattutto in un momento in cui, da un lato, è sempre forte la tendenza alla ri-nazionalizzazione di molte politiche Ue sulla spinta del populismo e dell’euroscetticismo nella maggior parte degli Stati (che in Italia si sono fatti governo); dall’altro lato, l’economia europea manca di un supporto, ma tutto sommato anche di una strategia condivisa, per uscire dalle secche della bassa crescita. Tale è il contesto in cui si collocano le scelte per la politica regionale attuata attraverso tre fondi principali: Fondo di sviluppo regionale, Fondo di coesione e Fondo sociale. Un ‘capitolo’ che equivale grossomodo a un terzo del bilancio europeo e agisce da catalizzatore di altri finanziamenti pubblici e capitali privati. La politica di coesione sociale, economica e territoriale, questa la definizione dei Trattati Ue, resta la “spina dorsale” dell’integrazione europea. E oggi che l’integrazione non è ancora completata, che al divario classico tra Nord e Sud sulle politiche economiche e di bilancio si è affiancata la profonda divisione tra Est e Ovest sul concetto e sulla pratica della solidarietà, che le disparità sociali e territoriali minano la coesione anche politica dell’Unione, il suo ruolo è ancora più importante. Per due motivi: perché rimanda al livello di condivisione degli obiettivi strategici della Ue da parte degli Stati membri, livello oggi assai basso e sottoposto a forti attacchi; e perché, con la Brexit, si è aperto un buco finanziario difficile da colmare. Le scelte per la coesione, dalle quali in termini quantitativi l’Italia, in ogni caso, esce bene stando alla proposta comunitaria, rimandano poi all’equilibrio tra il “centro”, cioè Bruxelles, e gli Stati e tra questi ultimi e le loro articolazioni, cioè Regioni e comunità territoriali. E rimandano all’equilibrio tra i diversi ambiti dell’economia e della società europee, in primo luogo alla scelta di quali sono gli obiettivi e i settori da privilegiare o, in parte, da sacrificare vista la ristrettezza delle risorse comuni. Per non parlare dell’importanza del legame tra equilibrio macroeconomico di un paese e del rispetto delle relative regole europee, con l’uso dei fondi europei, legame che la Commissione propone di intensificare ulteriormente. Un tema che resta molto controverso. A seconda delle quantità in gioco e del livello al quale sono collocati i poteri di decisione, la politica di coesione può essere l’asse sul quale poggia il sostegno alla crescita e forse anche la governance economica, oppure uno strumento più o meno perfettamente allineato agli obiettivi di equilibrio finanziario generale. Ce n’è quanto basta per capire perchè il negoziato sul bilancio tra gli Stati membri, con il Parlamento europeo e all’interno degli stessi Stati, è tutto in salita. La novità importante per la condizione femminile è che il progetto di parere agli orientamenti per il bilancio 2021 prevede l'uso del bilancio di genere nell'UE. Chiede inoltre di attuare l'integrazione di genere in modo coerente in tutti i programmi dell'UE. Il progetto di parere, il cui relatore è Robert Biedroń (S&D, Polonia), chiede maggiori investimenti per sostenere i diritti delle donne e delle ragazze che utilizzano le dotazioni di bilancio per sostenere l'indipendenza economica delle donne attraverso programmi e fondi dell'UE, come COSME, Orizzonte 2020 e il EFSI. Il relatore ritiene che siano necessari maggiori sforzi per sostenere le donne più vulnerabili. Il progetto di parere chiede inoltre che vengano tracciate le spese per la parità di genere e che siano stabiliti indicatori adeguati e una metodologia dedicata, in particolare per quanto riguarda la lotta contro la discriminazione basata sul genere, la violenza, le molestie sessuali e l'accesso delle donne alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi .Passi avanti dunque, anche se modesti, ma l’importante è proseguire tenacemente.
SALARIO MINIMO :ECCO COME STANNO LE COSE IN EUROPA
LAVORO
Salario minimo, ecco come stanno le cose in Europa
Autore: Alessandra Servidori www.ildiariodellavoro.it
Uno degli impegni assunti dal Governo Conte 2 è dopo la legge di bilancio affrontare la questione del salario minimo che in Italia non esiste. Infatti Italia non esiste il salario minimo, così come viene inteso in Europa, bensì dei minimi sindacali fissati dai contratti collettivi. A seconda del settore di impieg Come si può facilmente intuire dal nome, il salario minimo è quella retribuzione base oraria, giornaliera o mensile, a cui ha diritto il lavoratore, ma che oggi non è prevista dalla legge italiana, lasciata piuttosto alla contrattazione fra le parti sociali. In Italia infatti sono previsti solamente dei minimi retributivi che sono stabiliti dai Contratti Collettivi Nazionali di ogni singolo settore.
Il Governo Conte dovrebbe decidere di introdurre una paga minima - espressa su base oraria - che per legge dovrà essere riconosciuta a tutti i lavoratori di ogni settore. In tal caso i lavoratori sarebbero maggiormente tutelati rispetto a quanto avviene oggi, dal momento che qualora le aziende riconoscessero loro una retribuzione inferiore al salario minimo andrebbero a violare una norma dello Stato. Non tutti però concordano con la necessità di prevedere un salario minimo: molti sindacati credono che in questo modo si andrà a ridurre sensibilmente il ruolo della contrattazione collettiva.
Eurostat ci consegna un Rapporto dettagliato del salario minimo in Europa. Al 1 ° gennaio 2020, 21 dei 27 Stati membri dell ‘Unione Europea hanno salari minimi nazionali: solo Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia non ne hanno. Salari minimi mensili generalmente inferiori a € 600 a est e superiori a € 1 500 a nord-ovest dell'UE. I 21 Stati membri dell'UE che dispongono di salari minimi nazionali possono essere suddivisi in tre gruppi principali in base al livello in euro. Nel gennaio 2020, la Bulgaria ha registrato il salario minimo lordo (cioè prima della detrazione delle tasse ) più basso (€ 312) in tutta l'UE. Nove Stati membri, situati prevalentemente nella parte orientale dell'UE, hanno seguito salari minimi compresi tra 400 e circa 600 € al mese: Lettonia (430 €), Romania (466 €), Ungheria (487 €), Croazia (546 €) , Repubblica Ceca (€ 575), Slovacchia (€ 580), Estonia (€ 584), Lituania (€ 607) e Polonia (€ 611). In altri cinque Stati membri, situati principalmente nel sud dell'UE, i salari minimi erano compresi tra € 700 e poco più di € 1 000 al mese: Portogallo (€ 741), Grecia (€ 758), Malta (€ 777), Slovenia ( € 941) e Spagna (€ 1 050). Nei restanti sette Stati membri, tutti situati nella parte occidentale e settentrionale dell'UE, i salari minimi erano superiori a 1 500 € al mese: Francia (1 539 €), Germania (1 584 €), Belgio (1 594 €), il Paesi Bassi (€ 1 636), Irlanda (€ 1 656) e Lussemburgo (€ 2 142).
Per fare un confronto, il salario minimo federale negli Stati Uniti era di 1 119 € al mese a gennaio 2020. Tra i 21 Stati membri interessati, il salario minimo più elevato nell'UE era quasi 7 volte superiore al più basso. Tuttavia, le disparità nei salari minimi negli Stati membri dell'UE sono considerevolmente più piccole una volta prese in considerazione le differenze di livello dei prezzi: i salari minimi negli Stati membri con livelli di prezzo più bassi diventano relativamente più alti se espressi in standard di potere d'acquisto (SPA) e relativamente più bassi in Stati membri con livelli di prezzo più elevati. Eliminando le differenze di prezzo, i salari minimi variavano da 579 PPS al mese in Lettonia e 618 PPS in Bulgaria a 1 705 PPS in Lussemburgo, il che significa che il salario minimo più alto era più di 3 volte superiore al più basso.
Alessandra Servidori
10 Febbraio 2020
IL LAVORO DEI SOGNI DEI GIOVANI
Alessandra Servidori MONDO StartMagazine
Il lavoro dei sogni dei giovani. Il post di Servidori
Al Forum Economico Mondiale di Davos (21-24 gennaio 2020) il Direttore generale dell’istruzione all’OCSE, ha presentato un nuovo studio basato su Pisa 2018: “Dream Jobs? Teenagers’ Career Aspirations and the Future of Work” (Lavori da sogno? Le aspirazione di carriera degli adolescenti e il futuro del lavoro).Secondo questo studio, il numero di lavori che circa la metà dei ragazzi e delle ragazze provenienti da 41 Paesi si aspetta di fare a 30 anni è limitato a 10 come medico, insegnante, veterinario, dirigente d’azienda, ingegnere, agente di polizia e avvocato. Gli enormi cambiamenti avvenuti con lo sviluppo tecnologico sembrano non avere avuto alcuna influenza sulle aspettative dei giovani. Secondo il Rapporto si riscontra una gamma di aspirazioni professionali più ampia nei Paesi dove c’è una forte e consolidata formazione professionale, come in Germania e in Svizzera. Gli adolescenti tedeschi esprimono non solo una gamma molto più ampia di interessi professionali, ma anche più coerenti con le attuali richieste del mercato del lavoro. Altro elemento sottolineato dal Rapporto è il preoccupante disallineamento tra istruzione ed esigenze del mercato del lavoro ed è indispensabile maggior formazione professionale, più alternanza scuola-lavoro, migliore orientamento. Nello stesso giorno la nostra Ministra dell’istruzione ha presentato un Piano di intervento rivolto alle scuole in difficoltà delle Regioni Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia per ridurre i divari territoriali tra Nord e Sud negli apprendimenti degli studenti. Il piano di intervento inizialmente sarà intrapreso solo con le regioni Campania e Sicilia. l’attenzione è intenzionalmente posta su pochi obiettivi ed è orientata su quattro aree fondamentali:le competenze chiave (la cittadinanza);gli apprendimenti (l’alfabeto di base);la varianza dei risultati (le pari opportunità);l’effetto scuola (il valore aggiunto della scuola).Purtroppo però manca ancora una volta l’attenzione sulla formazione professionale e il raccordo con l’Università ( Ministero scorporato dall’istruzione) dunque alternanza scuola lavoro e orientamento. E soprattutto in Italia manca un monitoraggio dell’esperienza e l’unica realtà che ha svolto una ricognizione è stata fatta dall’Unione degli studenti su 15.000 studenti in alternanza en alcune Regioni : Friuli Venezia Giulia,Lombardia,Piemonte,Toscana,Abruzzo,Sardegna,Sicilia e secondo i risultati dell’indagine il 57 per cento degli studenti intervistati “ha partecipato a percorsi di alternanza scuola-lavoro non inerenti al proprio percorso di studi” e 4 su dieci ammettono di essere caduti in situazioni in cui sono stati negati loro diritti, come quello di essere seguiti da un tutor o di non essere stati messi nelle condizioni di studiare”. L’Italia è il paese con il numero di giovani disoccupati o inattivi più alto d’Europa ed in particolare una disoccupazione giovanile che si attesta al 40% .L’obiettivo deve essere nel nostro Paese quello di concretizzare una leva strategica per ripensare l’intera offerta formativa degli istituti scolastici e degli atenei responsabilizzando altresì i singoli docenti nell’orientamento dei giovani e nella valorizzazione dei loro talenti attraverso forme innovative di didattica, come il metodo dell’alternanza e l’apprendistato in sinergia con le aziende. Chi scrive è convinta dell’idea di una formazione non più nozionistica per puntare all’obiettivo di contribuire a superare il disallineamento tra le competenze richieste dalle imprese e quanto insegnato nelle aule delle nostre istituzioni formative, sdoganando anche le lauree professionalizzanti,ora contrapposte ad altri percorsi formativi legati agli istituti professionali. L’obiettivo di placement concreto sia degli istituti superiori che universitari è indispensabile non solo per far funzionare sportelli per gli studenti di incontro tra loro e il mondo delle imprese e dunque dei lavori, ma come strumenti di occupabilità come percorsi di crescita e sviluppo integrale della persona che porta i giovani a essere padroni del loro destino in quanto attrezzati per le sfide del futuro anche perché non formati su nozioni e mestieri,già evanescenti non appena si affacceranno nel mercato del lavoro. Giovani occupabili perché preparati dai loro docenti a individuare e risolvere i problemi che via via incontreranno nella vita professionale forti di una consapevolezza di chi sono e di cosa vogliono, delle loro potenzialità e dei loro talenti così come dei lori limiti e delle lacune su cui migliorarsi. Una alternanza scuola /lavoro dunque che offre ai propri studenti un percorso interdisciplinare molto innovativo alla base del quale ovviamente vi è anche la nuova formazione dei docenti che devono interagire con i tutor aziendali preposti all’alternanza e costruire insieme il progetto di alternanza.Un problema che aggrava l’attuale situazione è nelle nuove linee guida sui tirocini che pongono serie perplessità poiché introducono una generale liberalizzazione di percorsi di tirocinio per la durata di un anno e senza alcun collegamento sostanziale col mondo scolastico e universitario. Secondo le linee guida del 2013 e fino ad oggi il tirocinio di formazione e orientamento (rivolto ai giovani entro i primi 12 mesi dal conseguimento di un titolo di studio) aveva una durata massima di 6 mesi, oggi questo limite scompare e per tutte le tipologie di tirocinio si passa a un anno. Sarà possibile proporre ad un giovane neolaureato o neodiplomato un tirocinio di un anno intero ad un costo minimo di 300 euro per le imprese. Se consideriamo che spesso oggi i giovani sono costretti a svariati tirocini prima di poter firmare un vero contratto di lavoro si coglie l’enorme rischio di questa disposizione che finisce con il penalizzare uno strumento importante, per le imprese e non solo per i giovani, come l’apprendistato che, a differenza dello stage, è un vero contratto di lavoro. Sbagliata dunque l’impostazione che rischia di demotivare i nostri giovani talenti e un suggerimento alle regioni di modificare tramite i loro bandi di recepimento delle linee guida ancora mantenendo il limite di 6 mesi per i tirocini formativi spingendo semmai per potenziare i tirocini dentro i percorsi scolastici e universitari e non al loro termine. Per le imprese occorrono investimenti formativi adeguati per le persone per ottenere produttività e capacità di innovazione ,poiché è la forza lavoro delle aziende il motore di nuovi processi economici.
E' arrivato il giorno...........
Alessandra Servidori Ed è arrivato il giorno……. e il tempo di dire quel che penso
Sono rimasta socialista anche dopo il crollo del Psi. Anzi, nel 1999 avendo una forte identità, non temevo contaminazioni perciò ho collaborato con Maroni come prima avevo collaborato con Treu, e nel frattempo avevo coordinato i Comitati Prodi e mi auguravo che finiti i collateralismi della prima Repubblica ci fossero di nuovo le condizioni per sviluppare un confronto sul merito delle questioni senza pregiudiziali di schieramento,come del resto era avvenuto a partire dagli anni ’60 fino allo scontro sulla scala mobile del 1984,. Ma in questo mi sbagliavo.Come continuo ad essere irrimediabilmente ottimista che la situazione politica possa cambiare.La verità è che il bipolarismo muscolare della seconda Repubblica e adesso forse Terza non ammette zone franche: o di qua o di là, mentre intanto i problemi della società italiana marciscono senza che la “democrazia dell’alternanza” riesca a realizzarsi né con la mano destra né con la mano sinistra. Ed è in questo contesto che andiamo oggi alle elezioni nell’asfissia del dibattito pubblico che ha caratterizzato l’ultimo ventennio – che alcuni come me si trovano isolati nel sostenere tesi che non potevano essere catalogate né di qua né di là, ma che sono fondate “soltanto” su un’attenta analisi della realtà. Oggi mi sento ancora socialista ricordando Craxi perché e nella lunga esperienza civica sono rimasta laica, ma non un laicista. Nel progetto di Benedetto Craxi di pacificazione e modernizzazione del Paese c’era una maggiore trasparenza nei rapporti fra Stato e Chiesa,e anche tra destra e sinistra eliminando anacronistici privilegi, ma all’interno di un regime concordatario. Il lascito più grande di Craxi è la sua idea di libertà. Secondo lui non c’è nessun valore che possa prevedere la privazione ingiustificata della libertà di un individuo o di un popolo. Per questo motivo egli fu un fiero oppositore dei regimi comunisti e fascisti: protesse i dissidenti dell’Est e contrastò le dittature sudamericane. Craxi sostenne il primato della politica e il rifiuto intransigente dell’antipolitica, che considerava il male assoluto.Il suo sogno era l’unità socialista; la sua prospettiva era il riformismo nel governo del Paese.E oggi al termine di una campagna elettorale furibonda condotta in termini volgari e con accenti sempre più populisti e persecutori dell’antipolitica si dovrà meditare perché una svolta sovranista ed antieuropea sul piano nazionale porterebbe dei danni irreparabili . Prima di tutto sono convinta che della stagione che selvaggiamente ha esiliato Craxi è sopravissuta purtroppo l’idea che la magistratura come istituzione è in grado di reprimere il malgoverno pur in un mutato contesto politico e con personaggi nelle procure- vedi Palamara- si possa rinnovare la politica consentendo a personaggi di modestissima cultura e straripante ambizione di poter governare . Si avverte la necessità di rafforzare invece la tenuta dello Stato Democratico in un momento in cui la democrazia parlamentare è debolissima soprattutto per i nazionalismi e i sovranisti incalzanti.Occorre prima di tutto procedere ad un riequilibrio tra i poteri attraverso un forte coinvolgimento di una opinione pubblica ripoliticizzata che non può coincidere con il popolo dei social che incita alla violenza che imbavaglia il pensiero critico ed esalta l’uomo unico al potere. Abbiamo bisogno di un sistema politico non colassato di una proposta di Paese con soluzioni possibili per il mercato del lavoro,per le politiche di sviluppo e internazionali raggiungendo una capacità di conciliazione fra culture diverse,un’azione volta alla promozione sociale e all’emancipazione e del principio di libertà per il quale sono convinta sia importante ancora impegnarsi.
L'Agenda della Presidenza croata per il semestre ue
QUI EUROPA www.ildiariodellavoro.it
L’agenda della presidenza croata per il semestre Ue
Argomento: Europa
Autore: Alessandra Servidori
La Croazia detiene la presidenza del Consiglio fino a luglio 2020. La prima serie di audizioni si è svolta il 20, 21 e 22 gennaio. Sui singoli settori ha esplicitato le priorità. Ecco, di seguito, i contenuti dell’”agenda”.
Ambiente e sanità pubblica. Le priorità indicate riguardano la donazione e il trapianto di organi, l'invecchiamento e il cancro; e ancora: alimenti etichettati in base a nutrienti, obesità, interferenti endocrini, eutanasia e carenza di medicinali. Sull’ambiente le priorità includono la transizione alla neutralità climatica entro il 2050 e la protezione della biodiversità. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 e la legge sul clima, i finanziamenti, la qualità dell'aria e dell'acqua e le riduzioni delle emissioni nel trasporto aereo sono stati alcuni dei problemi sollevati dagli eurodeputati. Si è sottolineato il ruolo dell'agricoltura nel preservare l'ambiente, nonché questioni come la sicurezza alimentare, la salute delle piante, la riduzione dei pesticidi e il benessere degli animali. Attenzione su temi quali la riforma della PAC, le pratiche forestali, i mangimi e i sistemi alimentari sostenibili. Per la Pesca, la Presidenza ha sottolineato il legame tra stock ittici stabili e pesca sostenibile e si concentreranno sull'avanzamento dei negoziati sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP). La presidenza mirerà inoltre a raggiungere un approccio generale in materia di controllo della pesca. Altre questioni all'ordine del giorno comprendono l'acquacoltura e la ricerca scientifica, nonché i preparativi post Brexit per garantire un accesso equo alle acque sia per l'UE che per il Regno Unito.
Commercio internazionale: la presidenza intende affrontare la crescente discordia sulla futura conclusione di un accordo di libero scambio tra l'UE e i paesi del Mercosur. Inoltre la questione della riforma dell'OMC e come includere i principi del Green Deal applicabile nella politica commerciale e l'istituzione di relazioni commerciali bilaterali con Taiwan, un filone commerciale da aggiungere alla politica africana e la garanzia della dignità del lavoro con i partner commerciali.
Trasporti e turismo: la presidenza avvierà un dibattito sul rafforzamento della competitività e della sostenibilità del settore marittimo e lavorerà sulla rete transeuropea di trasporto e sullo strumento per collegare l'Europa. Per quanto riguarda il trasporto terrestre, i diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario costituiranno una delle priorità nonché la proposta di Eurovignette. Per quanto riguarda il turismo, la presidenza promuoverà il turismo sostenibile e incoraggerà lo sviluppo di regioni meno sviluppate e l'uso delle TIC;la presidenza è intenzionata anche a riavviare le discussioni sui diritti dei passeggeri del trasporto aereo e sul cielo unico europeo e come garantire che il potenziamento del settore del trasporto aereo non comporti un aumento delle emissioni.
Affari Esteri: sul tema faranno del loro meglio per promuovere l'allargamento come mezzo per investire nella stabilità e nella prosperità dell'Europa. Indicando i Balcani occidentali, non dovrebbe permettere a nessuna regione europea di allontanarsi. La Croazia intende inoltre lavorare per avvicinare i partner dell'Europa orientale e trovare una soluzione globale alla crisi in Ucraina.Per quanto riguarda l'instabilità nel vicinato meridionale e in Medio Oriente, la Presidenza ha sottolineato che è importante combinare gli sforzi con i partner internazionali e impegnarsi a ridurre le tensioni, aggiungendo che si dovrebbe porre l'accento sull'affrontare la migrazione e contrastare il terrorismo.
Sviluppo regionale e fondi dell'UE: i tre principali fascicoli attualmente oggetto di negoziati interistituzionali (regolamento sulle disposizioni comuni, Fondo europeo di sviluppo regionale / Fondo di coesione e Interreg) costituiranno la loro priorità e confida la loro adozione tempestiva. La presidenza ha inoltre iniziato a esaminare la proposta per il Fondo di transizione giusta e i progressi sono previsti a breve garantendo che le loro proposte di bilancio aggiornate non sacrifichino il finanziamento della coesione e che vengano compiuti rapidi progressi su tutte le questioni.
Cultura, istruzione, gioventù e sport: nel campo dell'istruzione, la presidenza si concentrerà su: maggiori investimenti per rafforzare il ruolo dell'istruzione nel semestre europeo; mobilità e circolazione del cervello equilibrate; una migliore formazione professionale per gli insegnanti e un nuovo quadro strategico post 2020 per l'istruzione e la formazione. Anche la gioventù nelle aree rurali e remote sarà una priorità.Lo sviluppo del potenziale umano nel campo dello sport, attraverso nuove capacità e competenze professionali per allenatori e allenatori, sarà la priorità. Sostenere la mobilità nei settori culturali e creativi è anche uno dei loro obiettivi principali,
Mercato interno e protezione dei consumatori: misure per sostenere la digitalizzazione, eliminare le barriere ingiustificate nel mercato unico e garantire la protezione dei consumatori sono tra le questioni principali . Bisogna salvaguardare la qualità dei prodotti, promuovere i lavori sulla libera circolazione dei servizi e di garantire una migliore attuazione delle regole del mercato unico. Sono stati anche affrontati piani sull'intelligenza artificiale (AI) e sull'economia circolare, ad esempio per prolungare la shelf life dei prodotti. "L'UE ha tutto ciò che serve per diventare un leader dell'intelligenza artificiale, a modo suo e basato sui suoi valori".
Agricoltura e sviluppo rurale: la presidenza si sposterà verso un "budget ambizioso" in cui la politica agricola comune (PAC) "rimarrà una priorità", spingerà affinché la PAC sia ulteriormente semplificata e riformata in modo più sostenibile. Si concentrerà inoltre sulla strategia "Farm to fork" e sulla nuova strategia forestale dell'UE per il periodo successivo al 2020.Garantire la disponibilità di fondi sufficienti per gli agricoltori dell'UE è fondamentale, gli agricoltori dovrebbero essere rimborsati anche per nuove misure relative al clima. Sottolineando che la sicurezza alimentare dell'UE dovrebbe rimanere al centro dell'attenzione della PAC, mentre altri si sono opposti alla sua rinazionalizzazione o hanno richiesto azioni più ambiziose in materia di clima.
Affari economici e monetari: la Presidenza ha segnalato la revisione delle regole di governance economica, il completamento dell'unione bancaria, i progressi compiuti nella creazione di un'unione dei mercati dei capitali e nel finalizzare la posizione del Consiglio sul programma di riforma e di sostegno agli investimenti come Principali obiettivi della presidenza. Ha anche menzionato la fiscalità, i crediti in sofferenza e la mitigazione delle conseguenze fiscali negative delle attuali tendenze demografiche come altre aree di lavoro.la governance economica, lo strumento di bilancio previsto per aiutare gli Stati membri a realizzare riforme strutturali, architettura di vigilanza finanziaria e risoluzione delle banche. Hanno anche cercato maggiori dettagli in materia fiscale e antiriciclaggio.
Diritti delle donne e uguaglianza di genere: la priorità principale in termini di uguaglianza di genere è identificare gli ostacoli che le donne devono affrontare sul mercato del lavoro e aumentare il loro tasso di attività. "Una maggiore indipendenza economica per le donne è la chiave per la crescita economica", ha inoltre dichiarato che lavorerà per ridurre le disparità retributive e pensionistiche di genere. Affronterà anche una serie di questioni aggiuntive come gli attacchi ai diritti sessuali e riproduttivi in alcuni paesi dell'UE, la ratifica della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne (solo 21 paesi dell'UE l'hanno ratificata).
Occupazione e affari sociali: le priorità per i prossimi sei mesi includono la realizzazione del pilastro europeo dei diritti sociali, nonché la promozione dell'equilibrio tra vita professionale e vita privata, uguaglianza di genere e maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. L'attuazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) sarà anche all'ordine del giorno. Sulla disoccupazione giovanile e sul futuro della garanzia per i giovani e sul ruolo delle parti sociali nella definizione di un salario minimo dell'UE. Ha espresso preoccupazione per il finanziamento del pilastro europeo dei diritti sociali e della futura garanzia per i minori, annunciato per il 2021e ha posto il problema sui negoziati sul futuro bilancio a lungo termine dell'UE, opponendosi a possibili trasferimenti dai fondi di coesione al giusto Fondo di transizione.
Sui bilanci, la Presidenza ha chiarito che la questione più urgente è ottenere un accordo sul prossimo bilancio a lungo termine dell'UE (quadro finanziario pluriennale o QFP), ancora in discussione in seno al Consiglio, mentre il Parlamento è pronto a negoziare dal 2018. Ha ricordato la posizione del PE e ha ribadito che insistono su una riforma delle risorse proprie (entrate) dell'UE. Il ruolo della Presidenza croata in merito al QFP è limitato, dal momento che il presidente dell'EUCO è il probabile coordinatore Charles Michel. Altre questioni discusse sono state il bilancio annuale dell'UE per il 2021 - il Consiglio presenterà i suoi orientamenti in primavera - e i programmi di sostegno agli investimenti e alle riforme.
Alessandra Servidori
Malattie Rare
LIA DE ZORZI Malattie rare piccoli passi avanti 22 Gennaio 2020
E’ notizia di questi giorni che, in tema di malattie rare, la Commissione Affari Sociali ha unificato in un interessante DDL cinque autonome iniziative parlamentari (A.C. 1317 Bologna, A.C. 164 Paolo Russo, A.C. 1666 De Filippo, A.C. 1907 Bellucci, AC 2272 Panizzut).
Per la verità, esiste anche almeno un’altra proposta sul medesimo argomento, quella presentata dalla senatrice Binetti (Disegno di legge: Atto Senato n. 1098) meritevole di commento.
Intanto, un plauso a chi si è finalmente occupato di questo argomento affrontandolo nella sua globalità: si esce così dal perverso meccanismo di affidare alla “forza” più o meno spiccata di questa o di quella Associazione di singola categoria l’emersione di valori o diritti di malati che riconoscono una comune caratteristica trasversale.
Si riconoscono, infatti, miglioramenti di tutele assistenziali - nella doppia veste, sanitaria ed economica - e previdenziali per tutti coloro che, per loro ventura, sono affetti da malattie le quali, proprio per la loro rarità, finora non hanno goduto di particolari investimenti di ricerca e/o di produzione farmacologica emendativa ove possibile, ritenuti fondamentalmente antieconomici.
Tuttavia corre l’obbligo di fare alcune riflessioni.
Sono “rare” quelle malattie che hanno un’incidenza estremamente limitata stabilita per l’Europa 1persona affetta:2.000 (fonte: Orphanet): alcune malattie sono di per sé rare, altre possono rappresentare varianti rare di malattie più frequenti.
Si caratterizzano per essere malattie gravi con andamento cronico e/o progressivo, genetiche (la più parte di esse), ma anche acquisite (su base infettiva, autoimmune o neoplastica): il loro manifestarsi può essere immediato alla nascita oppure tardivo nei primi anni di vita o spesso anche solo in età adulta.
In ogni caso, le malattie rare sono ad oggi circa 7.000 e di continuo ne vengono segnalate altre nei contributi scientifici, con trend in progressivo incremento numerico: a questa maggiore descrizione osservazionale fin troppo spesso non corrisponde altrettanta conoscenza emendativa, per cui la medicina non è in grado di offrire cure adeguate che consentano migliore qualità e/o durata di vita per la maggior parte di queste malattie.
A questo incontrovertibile dato di fatto correla una seria problematicità complessiva dagli aspetti plurimi: si perviene ad una diagnosi con forti ritardi, l’accesso alle cure è gravato da disinformazione, da scarso coordinamento fra strutture sanitarie di primo accesso e di specifica eccellenza, da difficoltà a conoscere i nominativi dei medici che se ne occupano e dei centri dove esercitano la loro attività.
Quando poi la malattia rara si caratterizza per ingenerare un quadro menomativo sfaccettato con disabilità singola o plurima, ma intensamente severa, allora, non sono da sottacere neppure le problematiche connesse alle fragilità sia fisiche sia psicodinamiche della persona affetta e del suo contesto di riferimento, riaprendo anche un altro tema che ci sta a cuore quale quello del Caregiver.
Partendo da queste considerazioni, è facile comprendere il perché del plauso iniziale all’iniziativa legislativa.Tuttavia, anche qui bisogna chiarire che raro - dato statistico - non vuol dire in ogni caso grave e, considerando l’aspetto delle provvidenze economiche dirette e indirette – previdenziali e assistenziali – bisogna ben individuare la platea dei beneficiari perché il rischio è che non si riesca a garantire alle situazioni davvero molto gravi il necessario supporto.
Sarà, dunque, opportuno un concreto sforzo per dettagliare ulteriormente gli articoli presenti nel disegno di legge relativi ai benefici pensionistici o all’accesso al riconoscimento di handicap grave, magari non trascurando i lavori che il Parlamento sta seguendo per caratterizzare il riconoscimento dei diritti dei caregiver, davvero intrinsecamente connesso alle più gravi situazioni fra quelle odiernamente in rilievo.
In tal senso, interessanti spunti parrebbero offerti dalla formulazione dell’articolato proposto dalla senatrice Binetti, che riserva i benefici previdenziali in termini di agevolazioni pensionistiche ai familiari che rivestono effettivamente il ruolo di caregiver nell’assistere il congiunto in condizioni di oggettiva rilevante gravità, non solo clinico-disfunzionale ma anche socio-relazionale.
Lia De Zorzi
La Ue alla prova dei fatti
QUI EUROPA www.ildiariodellavoro.it
La Ue alla prova degli impegni assunti
Autore: Alessandra Servidori
Il 28 gennaio prossimo la Commissione Europea dovrà approvare il regolamento dell’Istituzione del programma di sostegno alle riforme - EMPL/9/00330; a questo proposito sarà importante tenere conto delle indicazioni lasciate in eredità dalla precedente Commissione in base all’esperienza sviluppata e guardando allo sviluppo della programmazione e l’utilizzo delle risorse. La proposta della Commissione Juncker -qui sinteticamente esposta- prevede una data di applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2021 ed è indirizzata a un’Unione di 27 Stati membri, in linea con la comunicazione da parte del Regno Unito dell’intenzione di ritirarsi dall’Unione Europea e dall’Euratom ai sensi dell’articolo 50 del trattato dell’Unione Europea, pervenuta al Consiglio europeo in data 29 marzo 2017.
Le riforme strutturali sono cambiamenti che modificano, in modo duraturo, la struttura dell’economia e il quadro istituzionale e normativo entro il quale le imprese e le persone operano. Il loro scopo spesso è quello di affrontare gli ostacoli al buon andamento dei motori della crescita attraverso la riorganizzazione, ad esempio, dei mercati del lavoro, dei prodotti e dei servizi e dei mercati finanziari, in modo da incoraggiare la creazione di posti di lavoro, gli investimenti e la produttività. Possono anche mirare al miglioramento dell’efficienza e della qualità della pubblica amministrazione, nonché dei servizi e dei benefici offerti dallo Stato ai propri cittadini. Se accuratamente scelte e attuate, le riforme strutturali possono accelerare il processo di crescente convergenza sociale ed economica tra gli Stati membri, sia all’interno che all’esterno della zona euro, e rafforzare la resilienza delle loro economie. Gli effetti di tale convergenza e del rafforzamento della resilienza potrebbero portare a una maggiore prosperità e a un funzionamento stabile e regolare dell’Unione economica e monetaria (UEM) nel suo insieme. L’attuazione efficace delle riforme strutturali è necessaria al fine di migliorare la coesione, aumentare la produttività, creare posti di lavoro, incentivare gli investimenti e garantire una crescita sostenibile.
Nell’ultimo decennio l’economia europea è cresciuta a una velocità mai vista prima, sostenuta da un elevato tasso di occupazione, dal recupero degli investimenti e dal miglioramento delle finanze pubbliche. L’attuale situazione economica dell’Unione è relativamente positiva e questo offre l’opportunità di mettere in atto numerose riforme necessarie. Tuttavia, l’attuazione delle riforme è avanzata lentamente e in modo disomogeneo tra gli Stati membri e non è stata soddisfacente in tutti i settori, con impatti negativi sulla convergenza e sulla resilienza delle economie degli Stati membri dell’Unione europea e, di conseguenza, dell’Unione nel suo insieme. In questo contesto, compiere progressi nell’attuazione delle riforme negli Stati membri non appartenenti alla zona euro sulle modalità della loro adesione alla zona euro potrebbe avere un impatto positivo su quest’ultima nel suo insieme. Pertanto, l’attuazione delle riforme negli Stati membri che si stanno muovendo verso l’adozione della moneta unica merita particolare attenzione.
Una delle ragioni a cui si deve la lenta attuazione delle riforme è la scarsa capacità amministrativa. Un’altra ragione risiede nel fatto che i benefici delle riforme strutturali si concretizzano il più delle volte solo nel lungo termine, mentre i costi economici, sociali e politici che ne derivano spesso vanno sostenuti a breve termine. I governi nazionali possono pertanto decidere di astenersi dal portare avanti determinate riforme a causa, ad esempio, di un’insufficiente capacità amministrativa di condurre riforme, degli alti costi politici a breve termine o degli effetti negativi su alcuni segmenti della popolazione. I governi che decidono di intraprendere un processo di riforma in alcuni casi non assistono ai risultati finali, in quanto la durata di un ciclo elettorale è spesso più breve del tempo necessario per l’attuazione di riforme maggiori. La conseguenza di ciò è che le riforme necessarie vengono spesso posticipate, abbandonate o persino cancellate.
La Commissione Juncker, basandosi sulla visione esposta nella relazione dei cinque presidenti, ha concentrato le priorità della Commissione nel processo del semestre europeo sul “triangolo virtuoso”: incentivare gli investimenti, perseguire riforme strutturali e garantire politiche fiscali responsabili. Al fine di promuovere le riforme strutturali, il discorso sullo stato dell’Unione 2017 del presidente Juncker, insieme ai documenti di riflessione sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria e sul futuro delle finanze dell’UE,ha suggerito di attenersi al programma di sostegno alle riforme strutturali (SRSP) della Commissione, proponendo uno strumento dedicato, lo strumento per la realizzazione delle riforme, per fornire incentivi finanziari agli Stati membri volti all’attuazione delle riforme.
Il raggiungimento di una maggior convergenza verso strutture economiche resilienti è stato considerato altrettanto importante per gli Stati membri che si preparano all’adesione alla zona euro.Questi orientamenti politici si sono concretizzati in una comunicazione della Commissione sui nuovi strumenti di bilancio per una zona euro stabile nel quadro dell’Unione (6 dicembre 2017). La comunicazione ha proposto la creazione, nell’ambito del quadro finanziario pluriennale post 2020 (QFP) 1 , di uno strumento per la realizzazione delle riforme volto a sostenere la messa in atto delle riforme individuate nel contesto del semestre europeo e lo svolgimento di un programma di follow-up dell’SRSP, e che avrebbe previsto anche uno strumento di convergenza dedicato a sostenere la preparazione all’adesione alla zona euro.
La comunicazione della Commissione su un nuovo e moderno QFP post 2020 2 , elaborata in vista della riunione informale dei leader del 23 febbraio 2018, ha confermato tale intenzione annunciando che lo strumento per la realizzazione delle riforme e lo strumento di convergenza dovrebbero fornire un forte sostegno e incentivi a un’ampia gamma di riforme in tutti gli Stati membri. Ha inoltre indicato la presenza di una linea di bilancio per tutti gli strumenti, nell’ordine di almeno 25 miliardi di euro nel corso di un periodo di sette anni.Per ultima, la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni “Un bilancio moderno al servizio di un’Unione che protegge, che dà forza, che difende - Quadro finanziario pluriennale 2021-2027” del 2 maggio 2018 ha confermato questa scelta. Ha annunciato un nuovo e potente programma di sostegno alle riforme, che offrirà assistenza tecnica e sostegno finanziario alle riforme a livello nazionale con un budget complessivo di 25 miliardi di euro.
Questo nuovo programma sarà distinto ma complementare ai futuri fondi dell’Unione definiti dal regolamento (UE) XXX/xxx (successore del CPR).In questo contesto, la Commissione propone un nuovo programma di sostegno alle riforme (il programma), comprensivo di tre strumenti distinti e complementari: (i) lo strumento per la realizzazione delle riforme, sotto forma di strumento di sostegno finanziario; (ii) un programma di follow-up dell’SRSP, sotto forma di strumento di assistenza tecnica; e (iii) uno strumento di convergenza, per fornire sostegno specifico e mirato agli Stati membri non appartenenti alla zona euro (chiamato anche “strumento di convergenza”). Il programma mira pertanto a sostenere i governi e le autorità pubbliche degli Stati Membri, laddove venga richiesta assistenza tecnica o presentate proposte di impegni di riforma, negli sforzi compiuti per progettare e attuare riforme strutturali a sostegno della crescita. In questo modo, intende contribuire all’obiettivo generale di rafforzare la coesione, la competitività, la produttività, la crescita e l’occupazione. Ciò potrebbe avere un impatto positivo anche sulla realizzazione del pilastro europeo dei diritti sociali.
Per il conseguimento di tali obiettivi, il programma dovrà fornire incentivi finanziari sufficienti a compiere riforme di natura strutturale e assistenza tecnica che rafforzi la capacità amministrativa degli Stati membri di fronte alle sfide affrontate dalle istituzioni, dalla governance, dalla pubblica amministrazione e dai settori economici e sociali. Tenendo conto di questo proposito, assistenza tecnica mirata e incentivi finanziari saranno a disposizione di tutti gli Stati membri, ivi compresi nell’ambito dello strumento di convergenza quegli Stati membri la cui moneta non è l’euro e che abbiano compiuto passi dimostrabili verso l’adozione della moneta unica entro un determinato periodo di tempo.
Testo integrale Proposta di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che istituisce il programma di sostegno alle riforme COM/2018/391 final - 2018/0213 (COD)
Alessandra Servidori
Vero le elezioni regionali : ebbene sì avanti con il merito e la democrazia
Appello a sostegno di Giuliano Cazzola capolista di +Europa, Pri, Psi per Bonaccini, nelle elezioni regionali del 26 gennaio 2020
Giuliano Cazzola è da anni uno dei difensori più appassionati e rigorosi dell’ancoraggio europeo dell’Italia e uno degli avversari più intransigenti della vulgata sovranista, che ha contagiato larga parte di quell’elettorato popolare e moderato, di cui pure Cazzola è stato nella sua storia recente un riconosciuto rappresentante politico e istituzionale.
Da sindacalista, dirigente pubblico e studioso, in particolare, del welfare e della previdenza non ha mai esitato a difendere l’esigenza di riforme del mercato del lavoro e del sistema pensionistico, spesso in posizioni orgogliosamente minoritarie, che lo hanno esposto anche a rischi personali, oltre che a un’ostilità diffusa.
Sul tema del rapporto con le regole e le scelte europee in materia di governance economica, disciplina di bilancio e regolamentazione dei mercati, Cazzola ha dimostrato lo stesso rigore e la medesima intransigenza nel contrastare quell’irresponsabile disegno antieuropeo, che è divenuto il connotato prevalente ed inquietante di larga parte della politica italiana.
Oggi, in coerenza con la battaglia di tutta una vita, Giuliano Cazzola è il candidato capolista di +Europa, Pri e Psi, a Bologna, per le elezioni della sua regione, l’Emilia Romagna, che negli anni recenti ha fatto buon uso, nell’interesse delle comunità amministrate, di tutti i vantaggi offerti dall’integrazione europea a un’economia dinamica e a istituzioni politiche efficienti.
Questa coalizione di forze laiche, libertarie e progressiste potrebbe forse rappresentare il nucleo di una nuova unità d'azione di tutti coloro che si oppongono alla deriva sovranista dei nostri giorni.
Noi sottoscrittori di questo appello, che lo stimiamo e che abbiamo condiviso, con lui, tante comuni esperienze, esprimiamo il nostro sostegno alla candidatura di Giuliano Cazzola per quello che può rappresentare sia in Emilia Romagna sia sul piano nazionale, dove servono voci e menti libere e coraggiose come la sua, per fermare e sconfiggere la deriva sovranpopulista, che tenta di resuscitare quei disvalori che, con ottimismo risultato eccessivo, consideravamo espulsi per sempre dalla storia dell’Europa.
Roberto Alvisi, associazionismo volontario per la disabilità
Alessandro Barbano, giornalista e scrittore
Paolo Biffis, già docente universitario
Margherita Boniver, già ministro e sottosegretario di Stato
Marco Cianca, giornalista
Luigi Covatta, direttore di Mondoperaio
Franco Debenedetti, imprenditore, già parlamentare
Alessandro De Nicola, avvocato
Rosa Filippini, ambientalista
Elsa Fornero, economista, già ministro
Walter Galbusera, Fondazione Anna Kuliscioff
Michele Magno, opinionista e saggista
Massimo Mascini, giornalista
Mariangela Pani, giornalista
Gianfranco Parenti, tecnico aziendale, già assessore Comune di Bologna
Nunzia Penelope, giornalista
Fabio Alberto Roversi Monaco, Magnifico Rettore Alma Mater dal 1985 al 2000
Giorgio Santini, già senatore e leader sindacale
Alessandra Servidori, presidente nazionale di TutteperItalia
Serena Sileoni, docente universitaria
Carlo Stagnaro, opinionista e saggista
Carlo Tognoli, già sindaco di Milano e ministro
Santo Versace, imprenditore nel made in Italy, già deputato
Sandra Zinelli, imprenditrice
Politiche per la famiglia e Il Lavoro....
ALESSANDRA SERVIDORI POLITICHE PER LA FAMIGLIA E IL LAVORO www,il sussidiario.net
Siamo in una recessione demografica che si sta cronicizzando, con conseguenze di medio e lungo periodo peggiori di quella economica. Gli squilibri della popolazione italiana sono arrivati a livello tale che siamo il primo Paese in Europa che ha visto scendere i nuovi nati sotto il numero degli attuali ottantenni. C’è un dato particolarmente allarmante che spesso sfugge: vero è che vi sono motivi di carattere economico nella denatalità (famiglia che mantiene i giovani nel nucleo, mancanza di abitazioni per coppie, un mercato del lavoro che chiede figure professionali poco reperibili, mancanza di flessibilità lavorativa per le madri, pochi servizi), ma non vanno sottovalutati altri aspetti importanti che attengono agli stili di vita e a processi culturali consolidati che non si modificano con interventi di sostegno. Il fenomeno della denatalità è in parte dovuto agli effetti “strutturali” indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni.
In questa fascia di popolazione, le donne italiane – sottolinea l’Istat – sono sempre meno numerose e – aggiungiamo – la fertilità maschile è drasticamente in calo. Secondo il Registro Nazionale sulla Procreazione Medicalmente Assistita dell’Istituto superiore di Sanità, tra le coppie che si rivolgono ai centri specializzati per avere un figlio, la percentuale di uomini infertili è del 29,3% e l’età non rappresenta l’unico fattore responsabile. Negli uomini italiani in generale viene riportato che il numero dei gameti è diminuito del 50% rispetto al passato. A nuocere sulla qualità degli spermatozoi (aumentando quindi il rischio infertilità) ci sono spesso le condizioni lavorative: quelle che espongono a radiazioni, a sostanze tossiche o a microtraumi. Influiscono negativamente anche gli inquinanti prodotti dal traffico urbano e il fumo di sigaretta.
Per far fronte a questo grave problema, quel che soprattutto serve all’Italia, più che togliere o aggiungere bonus e singole misure, è un approccio diverso, un cambio di paradigma sul modo in cui sono intese le politiche per le nuove generazioni e le scelte familiari. Con la capacità di produrre un impatto trasformativo sulla vita delle persone e sulle varie dimensioni del benessere sociale. Questo significa far diventare le politiche familiari parte centrale delle politiche di sviluppo del Paese: non solo per la denatalità, ma anche per ridurre le diseguaglianze e per una più solida crescita. Promuovendo l’autonomia dei giovani e rafforzando gli strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia si mettono i cittadini nelle condizioni di realizzare meglio i propri obiettivi di vita, e le famiglie con figli di proteggersi dal rischio povertà. A livello collettivo si riducono gli effetti dell’invecchiamento della popolazione, si rafforza la crescita economica aumentando la platea (per la maggiore natalità, ma anche per la combinazione al rialzo, con occupazione femminile e giovanile) di chi è attivo e produce ricchezza nel Paese.
Perché è ormai chiaro quali sono i fattori che portano a un continuo posticipo della creazione di una relazione stabile di coppia e della nascita del primo figlio. Quello che ai giovani italiani manca è la possibilità di passare dal sostegno passivo da parte dei genitori a un investimento pubblico in strumenti di attivazione e abilitazione, che consenta a essi di diventare parte attiva e qualificata nei processi di sviluppo del Paese. È la trasformazione dei giovani da condizione passiva ad attiva a fare la differenza, non tanto il passaggio dal carico sui genitori all’assistenza dello Stato. Poi altrettanto chiaro è il secondo nodo che frena, invece, la progressione oltre il primo figlio. Se con la nascita del primogenito ci si trova in difficoltà ad armonizzare impegno esterno lavorativo e interno alla famiglia, difficilmente si rilancia con la nascita di un secondo. Le donne italiane sono schiacciate in difesa, indotte a vedere al ribasso il numero di figli anziché allineare al rialzo l’occupazione femminile.
Dal Report sulla natalità e fecondità nel 2018 anche gli strenui difensori del pensionamento anticipato non possono non riconoscere che la crescente denatalità in sinergia perversa con l’invecchiamento creerà un mare di guai sia per quanto riguarda sia il mercato del lavoro, sia il sistema pensionistico. Il picco dell’invecchiamento colpirà l’Italia nel 2045-2050 quando si riscontrerà una quota di ultrasessantacinquenni vicina al 34%. In Italia le politiche di sostegno alle famiglie sono sempre state scarse, marginali, frammentarie. Abbiamo la necessità di politiche più generose e incisive, che allarghino i gradi di libertà per chi desidera assumere responsabilità famigliari verso i piccoli o verso le persone non autosufficienti. E la contrattazione di prossimità dovrebbe allargare il sostegno degli enti bilaterali, che funzionano alla grande per il sostegno al reddito in caso di mancanza di lavoro e per la formazione, alle lavoratrici e ai lavoratori che hanno problemi di flessibilità lavorativa. Un’operazione di sussidiarietà tra persone che nei vari momenti della vita hanno bisogno di più tempo per le cure dei nostri cari. E soprattutto abbiamo bisogno di semplificare tutta la burocrazia che ruota intorno all’accesso dei vari strumenti di sostegno.
È demenziale il sistema di accesso ai bonus per la maternità e paternità carichi di adempimenti modulistici legati a siti mal funzionanti e spesso rimessi in discussione da provvedimenti che si susseguono in maniera barocca e confusa. Stesso problema quando dobbiamo affrontare le pratiche sia per la non autosufficienza, sia per patologie invalidanti. Sulle politiche per la famiglia fondamentali sono le scelte per l’occupazione femminile. Uscire dal mercato del lavoro per un periodo prolungato non è mai una buona scelta per una donna, perché rientrarvi è molto difficile, specie in un Paese come l’Italia che ha un mercato del lavoro formale assai rigido e una domanda di lavoro relativamente scarsa. Si deve aumentare l’indennità del congedo genitoriale, ora ferma al 30 per cento dello stipendio e solo per i primi sei mesi (sui dieci complessivi teoricamente disponibili alla coppia di genitori) e legarvi automaticamente, non su domanda, contributi figurativi. In questo modo, si rafforzerebbe la possibilità di scelta di prendersi tempo per la cura non solo per le madri, specie a basso reddito, ma anche per i padri.
Come ci invita caldamente la Direttiva Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 12 luglio, D UE n. 2019/1158 relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza che noi dobbiamo recepire entro il 2021, il rafforzamento del congedo genitoriale con queste caratteristiche non favorisce solo un riequilibrio dei compiti di cura tra madri e padri. Garantirebbe più tempo genitoriale (materno e paterno) ai bambini nel primo anno di vita, perché più genitori potrebbero permettersi di prendere tutti i dieci mesi dividendoseli tra loro. Fondamentali anche strumenti adatti al crescente numero di lavoratori e lavoratrici con contratti atipici o semi-libero professionali, specie tra i giovani. Questi non solo non hanno accesso ai congedi genitoriali. Non possono neppure permettersi, dal punto di vista professionale, di stare fuori dal mercato del lavoro troppo a lungo.
Abbiamo problemi evidenti che riguardano i servizi e l’organizzazione del lavoro: ampliamento dei servizi di qualità ed economicamente accessibili per la prima infanzia, per favorire non solo la conciliazione di responsabilità famigliari e lavorative, ma anche le pari opportunità tra bambini; estensione della scuola a tempo pieno, per gli stessi motivi; introduzione per legge del diritto al passaggio al tempo parziale reversibile per chi ha un bambino sotto i tre anni con agevolazioni di credito di imposta e contributivo per le aziende che applicano veramente politiche di flessibilità e non fanno finta di essere family friendly. Abbiamo veri problemi sui trasferimenti monetari quali gli assegni per i figli e il sistema di tassazione. Non sono d’accordo per introdurre il quoziente famigliare, perché crea problemi di gettito, di equità, in quanto favorevole ai più benestanti e scoraggia il lavoro di coppia. Mettiamo ordine, razionalizziamo il disordinato e frammentato complesso di trasferimenti monetari esistenti: assegno al nucleo famigliare, assegno per il terzo figlio in casi particolari, detrazioni fiscali per figli a carico, vari bonus bebè. L’istituzione di un unico trasferimento diretto e universale, eventualmente commisurato al reddito famigliare, sarebbe insieme più efficace e più equo.
C’è poi un dato che spesso si affronta quasi con fatica: l’invecchiamento delle parentele ha fatto emergere anche in Italia i bisogni di cura verso persone fragili o non autosufficienti, ma è un evento normale nel corso di vita individuale e famigliare. Il fenomeno è trascurato, rimosso nelle politiche sociali, che continuano ad affidarsi allo strumento dell’assegno di accompagnamento (peraltro nato per altri scopi), ignorando sia la questione della appropriatezza delle cure prestate, sia il sovraccarico sulle famiglie, di fatto per lo più sulle donne, che la necessità di prestare cura comporta e anche qui abbiamo bisogno di uno spostamento a favore dei servizi. Ma tutto rimane fermo. Anzi, per ribadire l’idea che tocchi alle donne nella famiglia provvedere a questi bisogni, si continua sulla strada dell’Opzione donna, che consente alle donne il “privilegio” di andare in pensione prima per poter fare gratuitamente il lavoro di cura necessario, pagando un prezzo altissimo (stimato attorno al 25 per cento) in termini di decurtazione della pensione. Prezzo che invece non verrà pagato dai fortunati (per lo più uomini del Nord) che avranno i requisiti per andare in pensione con quota 100. Che comunque andrebbe tolta così come il reddito di pigrizia. Quelle risorse diamole al sangue fresco del nostro Paese.
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Chi si occupa dei diritti dei delle persone disabili?
Alessandra Servidori BLOG FORMICHE.NET 8 gennaio 2020
Chi si occupa dei diritti delle persone disabili ? Sono oramai frequenti le sentenze che, dirette a definire tali diritti inalienabili, restano inascoltate. Dopo la Sentenza 2 marzo 2011 n.8254 della Corte di Cassazione che specifica “ a nessuno sia consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute,né diramare direttive che pongano in secondo piano le esigenze dell’ammalato,dopo la famosa Sentenza 275/2016 della Corte Costituzionale che si era espressa severamente stabilendo che «È la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionare la doverosa erogazione», interviene nuovamente il Consiglio di Stato che (sebbene utilizzi un lessico non conforme alla definizione della Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità) con la sentenza n. 1 del 2 gennaio 2020, afferma «I disabili vanno assistiti e basta. La loro assistenza non può dipendere né dalle risorse finanziarie disponibili, né dai posti presso le strutture semiresidenziali.», sentenza questa che si preannuncia come un serio problema di bilancio per quelle pubbliche amministrazioni, anche centrali, che considerano la disabilità un costo tra le varie ed eventuali (del bilancio) . Il consiglio di stato si è pronunciato sull’incompleto inserimento di un minore (3 giorni su 5) in un centro diurno, perché l’Asl non aveva disponibilità economiche e si era limitata a formare una lista di attesa, erogando un contributo parziale, previsto dalla Regione Veneto a sostegno delle disabilità. Sono stati i genitori di un minore disabile al 100% e non autosufficiente, hanno chiesto l’annullamento del provvedimento del 25 ottobre 2017 con il quale l'Azienda U.L.S.S. N. 6 del Veneto aveva rigettato la loro istanza-diffida del 25 settembre 2017 per “l'immediato inserimento del minore in un Centro Diurno al fine di permetterne la tempestiva fruizione” e a ottenere dall’Azienda il risarcimento dei “danni, patrimoniali e non patrimoniali, cagionati e cagionandi per un importo non inferiore a 25.000 euro”.L’Azienda sanitaria, respingendo la richiesta, ha sostenuto di essere “tenuta a garantire i livelli essenziali di assistenza socio sanitaria nel rispetto dei vincoli di bilancio assegnati annualmente dalla Regione e dalla Conferenza dei Sindaci”.Il Tar aveva dato ragione all’azienda, sostenendo che anche il diritto alla salute deve essere bilanciato e contemperato con altri beni di rilevanza costituzionale (come in questo caso l’equilibrio del bilancio pubblico e, in particolare, del bilancio regionale), ma il Consiglio di Stato non è dello stesso avviso. In vero il Consiglio di Stato si era già pronunciato con la Sentenza n. 842/2016, rimasta anch’essa inascoltata, sempre in materia di diritti delle persone con disabilità. Quella sentenza del 2016 aveva, ed ha, anch’essa una vasta portata tesa ad incidere sulla formazione del bilancio dello Stato perché incide in materia di requisiti per l’accesso alle misure socio assistenziali legate al parametro ISEE. La sentenza del Consiglio di Stato nel rigettare il ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri contro diverse pronunce del TAR che davano ragione alle persone con disabilità, stabiliva che «le indennità riconosciute ai disabili non sono reddito.». Si deve quindi trovare il modo di scorporare tali somme dalla giacenza media del conto corrente che è uno dei parametri per determinare l’ISEE. Ma come tutti sanno una sentenza, nemmeno se ripetuta, fa la Legge ed occorreva, così come ancora occorre urgentemente, l’ntervento risoluto del legislatore per tradurre in norma di legge, ma che sia cogente per tutte le pubbliche amministrazioni dello Stato, la statuizione del Giudice. La questione ora passa al Parlamento affinché batta un colpo e dia un segnale per il recepimento immediato delle sentenze delle alte magistrature in materia di diritti delle persone con disabilità.
Come va la scuola italiana
Come va la scuola italiana e come potrebbe migliorare secondo il rapporto Ocse.
Il post di Alessandra Servidori START MAGAZINE GENNAIO 2020
Mentre si è chiuso un anno particolarmente agitato sul versante politico/istituzionale, negli ultimi giorni il Presidente del Consiglio si è trovato a dover nominare due nuovi Ministri – spacchettando le deleghe -in un dicastero che è di fondamentale importanza per il nostro futuro e che troppo spesso è invece trascurato. Proprio l’Ocse nel Rapporto annuale sullo stato di salute della nostra istruzione e formazione a tutti i livelli ci ha posto in fondo alle graduatorie.
Secondo l’indagine 2018 solo in matematica i quindicenni italiani risultano in media con gli altri Paesi; per il resto l’Italia è abbondantemente sotto e addirittura tra il 23esimo e il 29esimo posto per capacità di lettura. Si confermano il divario tra Nord e Sud, tra maschi e femmine e tra licei e istituti professionali. I ragazzi italiani non migliorano nella capacità di leggere e comprendere un testo, un’emergenza nota da tempo e che era già emersa anche nell’ultimo rapporto Invalsi sugli studenti di terza media. Se si guarda alle superiori, siamo sempre sotto la media nel confronto internazionale. E peggioriamo rispetto a rilevazioni di dieci anni fa o del 2000. Dunque ci troviamo in una situazione di forte allarme con la prospettiva di breve e medio termine di rimboccarci le maniche per non rimanere schiacciati .
Dobbiamo assumerci la responsabilità di adottare strumenti nuovi per recuperare. L’Ocse ha lanciato la Bussola degli Apprendimenti 2030, che è stata co-creata con una comunità globale di multi-stakeholder appartenenti a più di 30 Paesi. La bussola degli apprendimenti Ocse 2030 delinea una nuova visione del futuro nel quale gli studenti con la loro “azione” forgeranno un futuro migliore. La bussola definisce anche i tipi di competenze di cui gli studenti avranno bisogno per orientarsi in un mondo che sta diventando sempre più volatile, incerto, complesso e ambiguo (spesso rappresentato come “VUCA”, Volatile, Uncertain, Complex and Ambiguous) ad opera dell’accelerazione dei cambiamenti tecnologici, economici, sociali e culturali. Il senso dell’azione e i tipi di competenze a cui mira la Bussola degli Apprendimenti 2030 sono rappresentati da quelle qualità umane che si ritiene non siano facilmente sostituibili dall’intelligenza artificiale e che quindi rimangono costitutivi della qualità dei valori umani.
L’Ocse lavora con i vari Paesi anche per dirimere le questioni relative al curricolo che studenti, insegnanti, scuole, leader distrettuali, rappresentanti dei governi nazionali e regionali si trovano oggi ad affrontare. Queste questioni includono: il sovraccarico del curriculum, lo scarto tra il curriculum di oggi e le esigenze future, la flessibilità e l’autonomia del curriculum, l’integrazione dei valori nel curriculum, la garanzia di equità nell’innovazione del curricolo e la garanzia di un’ efficace implementazione.
Nell’analizzare questi problemi, sono emersi 12 principi relativi alla progettazione che possono considerarsi duraturi e adatti ai diversi Paesi e alle differenti culture. I curricoli dell’ordinamento scolastico italiano sono stati oggetto di riforma in momenti diversi: nel 2012 per quanto riguarda il primo ciclo di istruzione e nel 2010 per il secondo ciclo.
Va ricordata, tuttavia, la recente riforma dei percorsi dell’istruzione professionale, rinnovati nel 2017 al fine di renderli più consoni ad un rapido inserimento degli studenti nel mondo del lavoro. Per il primo ciclo è stato senz’altro privilegiato un approccio coordinato e integrato degli ambiti disciplinari, i quali concorrono unitariamente alla definizione degli obiettivi di apprendimento e dei traguardi delle competenze. Invece, i curricoli del secondo ciclo si caratterizzano ancora, timidamente ad eccezione di quelli dell’istruzione professionale, per una marcata separazione disciplinare che rende difficile cogliere il reale contributo di ogni disciplina alla definizione del profilo culturale in uscita di ogni percorso di studi. SBRIGHIAMOCI.
Corte dei Conti : ci trasciniamo un Debito pubblico spaventoso
Considerazioni a margine del rapporto della Corte dei Conti sulla programmazione dei controlli e delle analisi per l’anno 2020. Il post di Alessandra Servidori www.start magazine 6 gennaio 2020
La permanente negativa attualità del Rapporto della Corte dei Conti si ripete di anno in anno in un documento di Programmazione dei controlli e delle analisi che — secondo i magistrati contabili — conferma che il 2020, come gli anni precedenti, “si preannuncia impegnativo per il governo dei conti pubblici. La situazione economica è caratterizzata dalle crescenti incertezze che pesano sul quadro macroeconomico internazionale” e le prospettive dell’economia italiana, “già largamente al di sotto della media europea, ne risentono ulteriormente”.
Una prospettiva di crescita economica pari a zero, rischio per i conti pubblici e aumento dell’inflazione. Relativamente alla crescita del Pil, questa dovrebbe essere pari soltanto al +0,4%, secondo le stime redatte dagli istituti di previsione internazionali, ad un livello da “zero virgola” al quale l’economia italiana si è abituata ormai da diversi anni.
Con spazi di manovra praticamente ridotti a zero per il governo, anche per via delle clausole di salvaguardia che non vengono mai disboscate definitivamente, è difficile aspettarsi di più. Il rischio di aumento del deficit e del debito pubblico, non appare in linea con gli obiettivi concordati con la Commissione Europea. Anche perché, le promesse fatte dal precedente governo di tagliare spesa pubblica e tax expenditures non sono state rispettate nella manovra appena approvata in Parlamento. Al contrario, l’esecutivo giallorosso ha pensato bene di aumentare ancora di più le tasse sui consumi e modificare le norme che regolamentavano la tassazione delle partite Iva attraverso il regime forfettario, che è stato parecchio ridimensionato.
Sarebbe stato utile intervenire, almeno in prospettiva con la recente manovra, tagliando la spesa pubblica, specie quella locale che incide per il 60% sugli equilibri complessivi, al netto di quella per interessi — previdenza e dei trasferimenti ai vari livelli —. È poi malamente confermato l’accento sul fatto che esiste un assioma secondo cui la spesa pubblica centrale è cattiva e quella locale no, ma analizzando il Rapporto e le cifre non c’è una minima idea di invertire la rotta.
Ci sono ragioni di carattere strutturale e disordini di carattere amministrativo: i vari livelli governativi che si sovrappongono e si contraddicono, le municipalizzate, le comunità montane, i bacini idrici e poi regioni, comuni, municipi, consorzi di varia natura e specie e via dicendo. Un magma insondabile.
Due gli strumenti sono disponibili ai fini del controllo: il patto di stabilità interno e il Siope, un sistema informatizzato che consente di avere in tempo reale il flusso dei pagamenti. Ma che nulla possono dire sulla tipologia della spesa: il cosiddetto “socialismo municipale” che è composto da più di ottomila partecipazioni in società dei soli capoluoghi regionali e delle regioni è incontrollabile. Per dimostrare che quel 60% di risorse che gli enti locali utilizzano sia usato correttamente sarebbe fondamentale anche a quel punto per aumentare l’imposizione fiscale. Sono indispensabili l’adozione di eventuali terapie fondate su l’analisi generale della situazione economica e sociale, che deve essere condivisa. Dopodiché ci possono essere terapie di destra o di sinistra vincolando l’azione di governo.
La difficoltà nell’impostare la politica economica del governo deriva dal fatto che mancano i presupposti utili ad un positivo sviluppo. A partire da un’analisi condivisa della situazione e delle relative priorità. E nel contesto dato, l’autonomia differenziata non è una soluzione percorribile perché attribuire ad alcune realtà territoriali la facoltà di legiferare su importanti materie quali istruzione, sanità, lavoro, ambiente senza un quadro nazionale di riferimento comporterebbe la frammentazione di diritti costituzionali indisponibili che, in quanto tali, non possono essere esigibili a geometria variabile. Nè si può attribuire risorse trasferendole dallo stato centrale a singoli territori basandosi sulla spesa storica perché significa cristallizzare le disuguaglianze esistenti. E ancora meno accettabile legare i trasferimenti alla capacità fiscale dei territori condizionando il diritto alla salute istruzione lavoro assistenza, alla ricchezza di quella regione.
Il legislatore deve armonizzare i Lep e le leggi quadro anche per l’attuazione del federalismo fiscale e la disciplina di un sistema perequativo efficace fondato sulla necessità di redistribuire risorse territoriali in funzione del soddisfacimento dei comuni e di una controllata rendicontazione effettiva. È ormai indispensabile definire gli obiettivi di servizio qualitativi e quantitativi ai quali regioni e enti locali si devono attenere nel rispetto dei Lep individuando i fabbisogni standard con fondi perequativi per ciascuna funzione finanziati dalla fiscalità generale e ripartiti secondo indicatori socio-economici assegnando al soggetto istituzionale l’esercizio di vincolo di solidarietà di una comunità.