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Familiari dei disabili : Germania maestra

Alessandra Servidori

 Anche per la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici che curano la disabilità di un familiare la Germania è ottima maestra

Una settimana da 28 ore di lavoro, per chi deve assistere parenti e bambini. È il trofeo del sindacato tedesco Ig Metall, che ha riportato una vittoria importante nella vertenza che si è conclusa con una vittoria per tutti coloro che sono chiamati caregiver ma altro non sono che i familiari delle persone disabili. E questo proprio nelle ore in cui a Berlino si trattava  ad oltranza per dare al Paese un governo firmato da una nuova edizione della Grosse Koalition.La sigla che raccoglie i lavoratori del comparto metallurgico ed elettrico – 3,9 milioni a livello federale – è riuscita ad imporsi, in un accordo pilota valido per ora solo per il Land del Baden-Wuerttenberg,  portando a casa non solo un aumento salariale del 4,3% a partire da aprile, ma anche la misura che aveva fatto più discutere, che consente una notevole riduzione dell’orario di lavoro. Le regole nuove valgono per 900 mila dipendenti del settore. Tutti coloro che abbiano la necessità di assistere parenti anziani o malati o bambini, avranno diritto a chiedere la settimana da 28 ore, per un periodo che vada da un minimo di 6 a un massimo di 24 mesi. Successivamente il dipendente tornerà automaticamente alle 35 ore previste dal contratto originario. Chi sceglierà questa opzione vedrà  un taglio proporzionale in busta paga. Ma potrà essere compensato con 8 giorni di ferie lavorative. E c è  in compenso,  la possibilità per le imprese di aumentare i contratti di 40 ore pattuiti finora coi loro impiegati. Una ottima pratica di sussidiarietà tra lavoratrici e lavoratori responsabili e solidali. Arriva così dalla Germania il riconoscimento concreto  del   lavoro invisibile dei caregivers familairi -  l'ennesimo termine anglosassone che indica "colui che si prende cura", che assiste un congiunto ammalato e/o disabile - familiari che si dedicano ai pazienti con demenza,  che sono la grande maggioranza anche in Italia. Si tratta in genere di donne (74%), di cui il 31% di età inferiore a 45 anni, il 38% di età compresa tra 46 e 60, il 18% tra 61 e 70 e ben il 13% oltre i 70.Sono uomini e donne che si assumono, per amore, l'impegno di assistere un familiare non autosufficiente.  Una mole di lavoro e di sostegno che  l'Italia, unico tra i paesi europei, non riconosce né tutela. In Germania  il sistema sanitario-assicurativo dà diritto a chi assiste un familiare disabile a contributi previdenziali garantiti, se l'assistenza supera le 14 ore alla settimana, e a una sostituzione domiciliare in caso di malattia. Forme di assicurazione contro gli infortuni e di previdenza sono concesse anche ai caregiver francesi, che in diversi casi hanno diritto pure a un'indennità giornaliera, e a quelli spagnoli, che continuano a recepire contributi anche in caso di interruzione del proprio lavoro. Persino la Grecia dà diritto, al caregiver familiare, al prepensionamento dopo 25 anni di contributi versati. Un caregivers,  in caso di disabilità grave, vive una realtà che pochi riuscirebbero a tollerare. Unico ritorno, altissimo, un amore che nessuno immagina, ma che non basta a preservare dall'usura e dalla povertà. Solo nell’ultima legge finanziaria attraverso una proposta di legge-rimasta appunto solo una proposta- si sono stanziati 60 milioni per un ipotetico regolamento che nel triennio possa individuare i criteri per l’accesso ad un fondo  di sostegno ai familiari dei disabili. Nè è stato previsto l’inserimento dei caregivers  tra le categorie salvaguardate  dalla Riforma Previdenziale  divenute 15 per l’accesso al pensionamento previsto. Persino l’aggiornamento degli indicatori ISEE aveva computato tra i redditi della famiglia anche indennità e pensioni riconosciute a persone non autosufficienti: ma un  gruppo di cittadini, prevalentemente persone con disabilità e caregiver familiari, ha  promosso un ricorso contro questo iniquo provvedimento giungendo ad alcune sentenze, recentemente pronunciate dalla Magistratura, che hanno dato loro ragione. L’assistenza ad un proprio familiare è’ un impegno totalizzante : non prevede retribuzione, contributi, riposo o giorni di malattia, neppure quando diventa così totalizzante da comportare il licenziamento dall'occupazione ufficiale e sarebbe interessante misurare quanto il tempo sottratto al lavoro e dedicato alla cura incide sul PIL e sostituisce l’impegno dello Stato verso un welfare di tutela. Neppure quando chi assiste ha bisogno a sua volta di curarsi è prevista una agevolazione. La pensione di invalidità e l'indennità di accompagnamento (erogate solo quando c'è una disabilità certificata al 100%), oltre a prevedere somme ridicole, sono destinate solo alla persona, non alla famiglia, che ha anche altri bisogni oltre a quelli di cura del suo componente più debole. La stessa Corte di Giustizia europea ha stabilito che il divieto di discriminazione per ragioni di disabilità si applica non solo alla persona interessata, ma anche a chi l'assiste. In molti Stati, del resto, sono già previsti benefit e contributi previdenziali per i caregiver. Al presidente Mattarella già dal 2015 è stato richiesto dall’associazione dei familiari  il rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone che tanto si impegnano per i loro cari e per la società tutta e anche in concomitanza alle elezioni del 4 marzo si è chiesto al Presidente della Repubblica un atto per salvaguardare il diritto al voto dei familiari al capezzale dei loro cari. Anche perché il dovere di presa in carico dovrebbe spettare a tutta la collettività, come accade nei Paesi più civili. Il potere legislativo e molte istituzioni coinvolte, tranne rari casi di Regioni virtuose, non ha sortito alcuno di quegli effetti che sarebbero stati considerati doverosi altrove. L’Associazione  ha depositato una petizione al Parlamento europeo perché apra una procedura di infrazione contro l'Italia per il mancato rispetto dei diritti umani. Possibile non ribellarsi a questa disumanità?

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