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INTELLIGENZA ARTIFICIALE : RISCHI E OPPORTUNITA'

INTELLIGENZA ARTIFICIALE : RISCHI MA SOPRATUTTO OPPORTUNITA' SE........Tutteperitalia 

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 L’Intelligenza artificiale sta ridisegnando gli equilibri globali nei settori tecnologico, economico e politico. Mentre Stati Uniti e Cina avanzano, l’Europa è ferma a un bivio: restare un semplice consumatore di tecnologie sviluppate altrove o riconquistare un ruolo di leadership nell’innovazione strategica. Ora poi con la situazione di dominio globale di forze internazionali la situazione è sempre più delicata.  l’Ia non si limita più a modellare il futuro, ne sta diventando il principale artefice. Se l’Europa vuole sopravvivere in questo scenario, deve prendere decisioni urgenti in materia di ricerca, infrastrutture e governance. Per anni, i giganti tecnologici americani si sono sfidati in una competizione aspra ma regolata da un equilibrio interno. I team tecnici che hanno contribuito a reinventare l’Ia sono sempre stati strenui difensori di ricerca e sviluppo in modalità open-source, moderati solo dalle norme aziendali. Tuttavia, questi equilibri e le dinamiche di mercato sono radicalmente cambiati nel 2022, quando OpenAI ha scelto un modello chiuso e proprietario, rigidamente controllato. Questa svolta ha innescato una reazione a catena nel settore. Alcune aziende, tra cui Meta hanno scelto un approccio opposto, rilasciando open-source il loro modello di linguaggio LLaMA, rendendolo accessibile all’intero ecosistema tecnologico e finanziario internazionale. Una decisione che, se da un lato rifletteva l’orientamento accademico dei team di ricerca, dall’altro era un’operazione strategica ben ponderata: piuttosto che tentare di competere direttamente contro di loro, Meta ha deciso di ridefinire la distribuzione del potere tecnologico.In questo scenario di collaborazione aperta, DeepSeek è inizialmente apparso come un colpo di scena tecnologico – una start-up agile e veloce, capace di scardinare la gerarchia globale dell’Ia. Vero è però che l’azienda ha potuto contare su oltre un miliardo e mezzo di dollari in hardware e spende quasi un miliardo di dollari all’anno in capacità computazionali. Sebbene più piccolo rispetto ai colossi occidentali, DeepSeek ha costruito il proprio successo poggiandosi proprio sul loro open-source e introducendo miglioramenti brillanti e molto ben finanziati. Sono il suo crescente peso globale e la sua influenza nel mercato asiatico a segnalare uno spostamento geopolitico di primo ordine. La supremazia dell’Occidente nell’Ia non è più scontata e l’Europa, che negli ultimi vent’anni ha lasciato crescere il suo ritardo tecnologico, è l’area più esposta a questa transizione. Ora come evitare il declino e diventare un attore determinante nel futuro dell’Ia ?Esiste ancora una finestra di opportunità, che passa attraverso la creazione di un Centro europeo di ricerca sull’Intelligenza artificiale, sul modello del Cern.  Significa trasformare l’Ia in una disciplina scientifica rigorosa, così come la termodinamica – sviluppata trent’anni dopo la macchina a vapore – ha fornito le basi teoriche per l’intera rivoluzione industriale. Un istituto del genere consentirebbe all’Europa di sviluppare un approccio indipendente all’Ia, consolidando la ricerca, arginando la fuga di cervelli e promuovendo soluzioni sostenibili per il suo impatto energetico. E tutto questo a un costo ridotto: le stime indicano che un centro europeo sull’Ia richiederebbe appena un ventesimo del budget del Cern, sfruttando l’infrastruttura computazionale esistente e connettendosi alla rete ad alta velocità Geant. L’idea di un Cern per l’Ia non è nuova: è stata inserita nel Piano nazionale della ricerca italiano del 2019, ripresa nel rapporto di Mario Draghi sulla competitività europea, discussa alFrench AI Summit e persino menzionata dai vertici della Commissione europea. Tuttavia, la politica europea sull’Ia resta ambigua. L’iniziativa InvestAI della Commissione sembra puntare più sulla creazione di grandi infrastrutture computazionali che sulla ricerca fondamentale. Questo modello – che ricalca il modello americano – rischia di accentuare la dipendenza europea dalla tecnologia straniera, piuttosto che dare all’Europa una propria agenda strategica nell’Ia. L’Europa, dunque, non dovrebbe limitarsi a replicare il modello della Silicon Valley, ma sfruttare i propri punti di forza per comprendere, perfezionare e governare questa rivoluzione. Dare priorità alla ricerca e al capitale umano rispetto agli investimenti in infrastrutture computazionali aiuterebbe non solo l’Europa, ma l’intero ecosistema globale dell’Ia, rendendolo più equilibrato e sostenibile.

Un ecosistema globale dell’Ia, equilibrato e sostenibile, potrebbe anche fungere da pre-requisito per l’accettazione più ampia di ciò

che l’Europa è in grado di offrire per assicurare un uso della stessa Ia che sia al contempo efficace e sicuro: il meglio (e non il peggio) delle sue qualità regolatorie. L’Europa viene spesso criticata per la sua propensione a eccedere nella regolazione delle attività umane. È una propensione innegabile ed è giusto chiederne correzioni e limitazioni, specie nell’area delle alte tecnologie. Si è notato – lo ha scritto da ultimo Mario Draghi – che l’ottemperanza al Gdpr (il regolamento sulla protezione dei dati personali) è costata alle piccole imprese tecnologiche europee sino al 12% dei loro profitti. È un dato che segnala l’irrinunciabile necessità di semplificazioni. Tuttavia, eliminare ogni regola, proclamare la libertà assoluta e definire quindi la democrazia incompatibile con la libertà  non sono gli antidoti adeguati contro l’eccesso di regolazione. Tanto meno lo sono laddove è di scena l’Ia, la quale può produrre effetti che sono da evitare per nulla di meno della salvaguardia stessa dell’umanità. Sappiamo bene che l’Ia non è il frutto di una volontà distruttiva, né dell’intento di esercitare dominio sugli altri. Sappiamo che essa è, al contrario, un frutto della ricerca scientifica più genuina, i cui effetti a beneficio di tutti possono essere semplicemente enormi. Tuttavia, sappiamo altrettanto bene dei disastri umani che scaturiscono  non da disegni umani, ma dall’interconnessione di azioni umane. Ebbene, sono i disastri di questo genere quelli che possono scaturire da un uso non regolato dell’Ia. I sistemi di Ia generalista producono immagini, video, voci e testi che di per sé non sono riconoscibili come artificiali. Che cosa succede se tutti questi prodotti sono presentati e usati come se fossero veri e se arrivano a formarsi segmenti di opinione pubblica fondati su questa falsa impressione? Ci sono sistemi che si avvalgono di tecniche subliminali, che vanno al di là della nostra consapevolezza. Che cosa succede se vengono utilizzate con lo scopo di orientare i nostri comportamenti? Per non parlare degli algoritmi che raccolgono dati, li usano per classificare le persone, o gruppi di persone, con l’effetto che queste saranno assoggettate a trattamenti deteriori su questa sola base.

Ebbene, come dobbiamo considerare queste ipotesi, tutt’altro che ipotetiche? Implicazioni naturali di libertà d’impresa da garantire in ogni società libera? O, al contrario, manifestazioni di un potere abusivo, che una società libera non può permettere? Una società è libera quando i suoi cittadini interagiscono fra di loro esercitando ciascuno la propria libertà. Mentre il tasso di libertà è, a dir poco, ridotto quando qualcuno di loro esercita non libertà, ma potere nei confronti di altri. Il che accade tutte le volte che un privato cittadino adotta decisioni che producono effetti nella sfera di altri, senza il loro consenso e addirittura a loro insaputa. È questo che non è compatibile con una società libera ed è anche per limitare e possibilmente prevenire un tale potere che il potere pubblico esiste ed è legittimato dai cittadini.

In conclusione: un’Europa indipendente e competitiva nelle tecnologie dell’Ia può essere tanto un pilastro (e non già un beneficiario dipendente da altri) di un sistema di Ia stabile e cooperativo, quanto la fonte delle equilibrate risposte regolatorie che la comunità globale dovrà comunque dare al dilemma cruciale che ha davanti, quello fra libertà e potere. “Fewer rules, better people” potrebbe esserne il principio ispiratore. Oggi è una formula molto popolare come titolo di libri, di articoli e di lezioni. Può essere una piattaforma condivisa per il futuro, sempre che tutti siamo disposti a condividerne anche i limiti.

 

 

 

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