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Il dramma italiano è il buco nero dei conti pubblici che prende il nome di finanza locale. È una sorta di bancomat, utilizzato dagli amministratori locali nei confronti dello Stato centrale, che non richiede rendicontazione ma la Corte Costituzionale, nel governo Monti che aveva tentato di mettere qualche paletto, ha cassato tutte norme che prevedevano una qualche forma di controllo.
E' arrivato il giorno...........
Alessandra Servidori Ed è arrivato il giorno……. e il tempo di dire quel che penso
Sono rimasta socialista anche dopo il crollo del Psi. Anzi, nel 1999 avendo una forte identità, non temevo contaminazioni perciò ho collaborato con Maroni come prima avevo collaborato con Treu, e nel frattempo avevo coordinato i Comitati Prodi e mi auguravo che finiti i collateralismi della prima Repubblica ci fossero di nuovo le condizioni per sviluppare un confronto sul merito delle questioni senza pregiudiziali di schieramento,come del resto era avvenuto a partire dagli anni ’60 fino allo scontro sulla scala mobile del 1984,. Ma in questo mi sbagliavo.Come continuo ad essere irrimediabilmente ottimista che la situazione politica possa cambiare.La verità è che il bipolarismo muscolare della seconda Repubblica e adesso forse Terza non ammette zone franche: o di qua o di là, mentre intanto i problemi della società italiana marciscono senza che la “democrazia dell’alternanza” riesca a realizzarsi né con la mano destra né con la mano sinistra. Ed è in questo contesto che andiamo oggi alle elezioni nell’asfissia del dibattito pubblico che ha caratterizzato l’ultimo ventennio – che alcuni come me si trovano isolati nel sostenere tesi che non potevano essere catalogate né di qua né di là, ma che sono fondate “soltanto” su un’attenta analisi della realtà. Oggi mi sento ancora socialista ricordando Craxi perché e nella lunga esperienza civica sono rimasta laica, ma non un laicista. Nel progetto di Benedetto Craxi di pacificazione e modernizzazione del Paese c’era una maggiore trasparenza nei rapporti fra Stato e Chiesa,e anche tra destra e sinistra eliminando anacronistici privilegi, ma all’interno di un regime concordatario. Il lascito più grande di Craxi è la sua idea di libertà. Secondo lui non c’è nessun valore che possa prevedere la privazione ingiustificata della libertà di un individuo o di un popolo. Per questo motivo egli fu un fiero oppositore dei regimi comunisti e fascisti: protesse i dissidenti dell’Est e contrastò le dittature sudamericane. Craxi sostenne il primato della politica e il rifiuto intransigente dell’antipolitica, che considerava il male assoluto.Il suo sogno era l’unità socialista; la sua prospettiva era il riformismo nel governo del Paese.E oggi al termine di una campagna elettorale furibonda condotta in termini volgari e con accenti sempre più populisti e persecutori dell’antipolitica si dovrà meditare perché una svolta sovranista ed antieuropea sul piano nazionale porterebbe dei danni irreparabili . Prima di tutto sono convinta che della stagione che selvaggiamente ha esiliato Craxi è sopravissuta purtroppo l’idea che la magistratura come istituzione è in grado di reprimere il malgoverno pur in un mutato contesto politico e con personaggi nelle procure- vedi Palamara- si possa rinnovare la politica consentendo a personaggi di modestissima cultura e straripante ambizione di poter governare . Si avverte la necessità di rafforzare invece la tenuta dello Stato Democratico in un momento in cui la democrazia parlamentare è debolissima soprattutto per i nazionalismi e i sovranisti incalzanti.Occorre prima di tutto procedere ad un riequilibrio tra i poteri attraverso un forte coinvolgimento di una opinione pubblica ripoliticizzata che non può coincidere con il popolo dei social che incita alla violenza che imbavaglia il pensiero critico ed esalta l’uomo unico al potere. Abbiamo bisogno di un sistema politico non colassato di una proposta di Paese con soluzioni possibili per il mercato del lavoro,per le politiche di sviluppo e internazionali raggiungendo una capacità di conciliazione fra culture diverse,un’azione volta alla promozione sociale e all’emancipazione e del principio di libertà per il quale sono convinta sia importante ancora impegnarsi.
L'Agenda della Presidenza croata per il semestre ue
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L’agenda della presidenza croata per il semestre Ue
Argomento: Europa
Autore: Alessandra Servidori
La Croazia detiene la presidenza del Consiglio fino a luglio 2020. La prima serie di audizioni si è svolta il 20, 21 e 22 gennaio. Sui singoli settori ha esplicitato le priorità. Ecco, di seguito, i contenuti dell’”agenda”.
Ambiente e sanità pubblica. Le priorità indicate riguardano la donazione e il trapianto di organi, l'invecchiamento e il cancro; e ancora: alimenti etichettati in base a nutrienti, obesità, interferenti endocrini, eutanasia e carenza di medicinali. Sull’ambiente le priorità includono la transizione alla neutralità climatica entro il 2050 e la protezione della biodiversità. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 e la legge sul clima, i finanziamenti, la qualità dell'aria e dell'acqua e le riduzioni delle emissioni nel trasporto aereo sono stati alcuni dei problemi sollevati dagli eurodeputati. Si è sottolineato il ruolo dell'agricoltura nel preservare l'ambiente, nonché questioni come la sicurezza alimentare, la salute delle piante, la riduzione dei pesticidi e il benessere degli animali. Attenzione su temi quali la riforma della PAC, le pratiche forestali, i mangimi e i sistemi alimentari sostenibili. Per la Pesca, la Presidenza ha sottolineato il legame tra stock ittici stabili e pesca sostenibile e si concentreranno sull'avanzamento dei negoziati sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP). La presidenza mirerà inoltre a raggiungere un approccio generale in materia di controllo della pesca. Altre questioni all'ordine del giorno comprendono l'acquacoltura e la ricerca scientifica, nonché i preparativi post Brexit per garantire un accesso equo alle acque sia per l'UE che per il Regno Unito.
Commercio internazionale: la presidenza intende affrontare la crescente discordia sulla futura conclusione di un accordo di libero scambio tra l'UE e i paesi del Mercosur. Inoltre la questione della riforma dell'OMC e come includere i principi del Green Deal applicabile nella politica commerciale e l'istituzione di relazioni commerciali bilaterali con Taiwan, un filone commerciale da aggiungere alla politica africana e la garanzia della dignità del lavoro con i partner commerciali.
Trasporti e turismo: la presidenza avvierà un dibattito sul rafforzamento della competitività e della sostenibilità del settore marittimo e lavorerà sulla rete transeuropea di trasporto e sullo strumento per collegare l'Europa. Per quanto riguarda il trasporto terrestre, i diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario costituiranno una delle priorità nonché la proposta di Eurovignette. Per quanto riguarda il turismo, la presidenza promuoverà il turismo sostenibile e incoraggerà lo sviluppo di regioni meno sviluppate e l'uso delle TIC;la presidenza è intenzionata anche a riavviare le discussioni sui diritti dei passeggeri del trasporto aereo e sul cielo unico europeo e come garantire che il potenziamento del settore del trasporto aereo non comporti un aumento delle emissioni.
Affari Esteri: sul tema faranno del loro meglio per promuovere l'allargamento come mezzo per investire nella stabilità e nella prosperità dell'Europa. Indicando i Balcani occidentali, non dovrebbe permettere a nessuna regione europea di allontanarsi. La Croazia intende inoltre lavorare per avvicinare i partner dell'Europa orientale e trovare una soluzione globale alla crisi in Ucraina.Per quanto riguarda l'instabilità nel vicinato meridionale e in Medio Oriente, la Presidenza ha sottolineato che è importante combinare gli sforzi con i partner internazionali e impegnarsi a ridurre le tensioni, aggiungendo che si dovrebbe porre l'accento sull'affrontare la migrazione e contrastare il terrorismo.
Sviluppo regionale e fondi dell'UE: i tre principali fascicoli attualmente oggetto di negoziati interistituzionali (regolamento sulle disposizioni comuni, Fondo europeo di sviluppo regionale / Fondo di coesione e Interreg) costituiranno la loro priorità e confida la loro adozione tempestiva. La presidenza ha inoltre iniziato a esaminare la proposta per il Fondo di transizione giusta e i progressi sono previsti a breve garantendo che le loro proposte di bilancio aggiornate non sacrifichino il finanziamento della coesione e che vengano compiuti rapidi progressi su tutte le questioni.
Cultura, istruzione, gioventù e sport: nel campo dell'istruzione, la presidenza si concentrerà su: maggiori investimenti per rafforzare il ruolo dell'istruzione nel semestre europeo; mobilità e circolazione del cervello equilibrate; una migliore formazione professionale per gli insegnanti e un nuovo quadro strategico post 2020 per l'istruzione e la formazione. Anche la gioventù nelle aree rurali e remote sarà una priorità.Lo sviluppo del potenziale umano nel campo dello sport, attraverso nuove capacità e competenze professionali per allenatori e allenatori, sarà la priorità. Sostenere la mobilità nei settori culturali e creativi è anche uno dei loro obiettivi principali,
Mercato interno e protezione dei consumatori: misure per sostenere la digitalizzazione, eliminare le barriere ingiustificate nel mercato unico e garantire la protezione dei consumatori sono tra le questioni principali . Bisogna salvaguardare la qualità dei prodotti, promuovere i lavori sulla libera circolazione dei servizi e di garantire una migliore attuazione delle regole del mercato unico. Sono stati anche affrontati piani sull'intelligenza artificiale (AI) e sull'economia circolare, ad esempio per prolungare la shelf life dei prodotti. "L'UE ha tutto ciò che serve per diventare un leader dell'intelligenza artificiale, a modo suo e basato sui suoi valori".
Agricoltura e sviluppo rurale: la presidenza si sposterà verso un "budget ambizioso" in cui la politica agricola comune (PAC) "rimarrà una priorità", spingerà affinché la PAC sia ulteriormente semplificata e riformata in modo più sostenibile. Si concentrerà inoltre sulla strategia "Farm to fork" e sulla nuova strategia forestale dell'UE per il periodo successivo al 2020.Garantire la disponibilità di fondi sufficienti per gli agricoltori dell'UE è fondamentale, gli agricoltori dovrebbero essere rimborsati anche per nuove misure relative al clima. Sottolineando che la sicurezza alimentare dell'UE dovrebbe rimanere al centro dell'attenzione della PAC, mentre altri si sono opposti alla sua rinazionalizzazione o hanno richiesto azioni più ambiziose in materia di clima.
Affari economici e monetari: la Presidenza ha segnalato la revisione delle regole di governance economica, il completamento dell'unione bancaria, i progressi compiuti nella creazione di un'unione dei mercati dei capitali e nel finalizzare la posizione del Consiglio sul programma di riforma e di sostegno agli investimenti come Principali obiettivi della presidenza. Ha anche menzionato la fiscalità, i crediti in sofferenza e la mitigazione delle conseguenze fiscali negative delle attuali tendenze demografiche come altre aree di lavoro.la governance economica, lo strumento di bilancio previsto per aiutare gli Stati membri a realizzare riforme strutturali, architettura di vigilanza finanziaria e risoluzione delle banche. Hanno anche cercato maggiori dettagli in materia fiscale e antiriciclaggio.
Diritti delle donne e uguaglianza di genere: la priorità principale in termini di uguaglianza di genere è identificare gli ostacoli che le donne devono affrontare sul mercato del lavoro e aumentare il loro tasso di attività. "Una maggiore indipendenza economica per le donne è la chiave per la crescita economica", ha inoltre dichiarato che lavorerà per ridurre le disparità retributive e pensionistiche di genere. Affronterà anche una serie di questioni aggiuntive come gli attacchi ai diritti sessuali e riproduttivi in alcuni paesi dell'UE, la ratifica della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne (solo 21 paesi dell'UE l'hanno ratificata).
Occupazione e affari sociali: le priorità per i prossimi sei mesi includono la realizzazione del pilastro europeo dei diritti sociali, nonché la promozione dell'equilibrio tra vita professionale e vita privata, uguaglianza di genere e maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. L'attuazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) sarà anche all'ordine del giorno. Sulla disoccupazione giovanile e sul futuro della garanzia per i giovani e sul ruolo delle parti sociali nella definizione di un salario minimo dell'UE. Ha espresso preoccupazione per il finanziamento del pilastro europeo dei diritti sociali e della futura garanzia per i minori, annunciato per il 2021e ha posto il problema sui negoziati sul futuro bilancio a lungo termine dell'UE, opponendosi a possibili trasferimenti dai fondi di coesione al giusto Fondo di transizione.
Sui bilanci, la Presidenza ha chiarito che la questione più urgente è ottenere un accordo sul prossimo bilancio a lungo termine dell'UE (quadro finanziario pluriennale o QFP), ancora in discussione in seno al Consiglio, mentre il Parlamento è pronto a negoziare dal 2018. Ha ricordato la posizione del PE e ha ribadito che insistono su una riforma delle risorse proprie (entrate) dell'UE. Il ruolo della Presidenza croata in merito al QFP è limitato, dal momento che il presidente dell'EUCO è il probabile coordinatore Charles Michel. Altre questioni discusse sono state il bilancio annuale dell'UE per il 2021 - il Consiglio presenterà i suoi orientamenti in primavera - e i programmi di sostegno agli investimenti e alle riforme.
Alessandra Servidori
Malattie Rare
LIA DE ZORZI Malattie rare piccoli passi avanti 22 Gennaio 2020
E’ notizia di questi giorni che, in tema di malattie rare, la Commissione Affari Sociali ha unificato in un interessante DDL cinque autonome iniziative parlamentari (A.C. 1317 Bologna, A.C. 164 Paolo Russo, A.C. 1666 De Filippo, A.C. 1907 Bellucci, AC 2272 Panizzut).
Per la verità, esiste anche almeno un’altra proposta sul medesimo argomento, quella presentata dalla senatrice Binetti (Disegno di legge: Atto Senato n. 1098) meritevole di commento.
Intanto, un plauso a chi si è finalmente occupato di questo argomento affrontandolo nella sua globalità: si esce così dal perverso meccanismo di affidare alla “forza” più o meno spiccata di questa o di quella Associazione di singola categoria l’emersione di valori o diritti di malati che riconoscono una comune caratteristica trasversale.
Si riconoscono, infatti, miglioramenti di tutele assistenziali - nella doppia veste, sanitaria ed economica - e previdenziali per tutti coloro che, per loro ventura, sono affetti da malattie le quali, proprio per la loro rarità, finora non hanno goduto di particolari investimenti di ricerca e/o di produzione farmacologica emendativa ove possibile, ritenuti fondamentalmente antieconomici.
Tuttavia corre l’obbligo di fare alcune riflessioni.
Sono “rare” quelle malattie che hanno un’incidenza estremamente limitata stabilita per l’Europa 1persona affetta:2.000 (fonte: Orphanet): alcune malattie sono di per sé rare, altre possono rappresentare varianti rare di malattie più frequenti.
Si caratterizzano per essere malattie gravi con andamento cronico e/o progressivo, genetiche (la più parte di esse), ma anche acquisite (su base infettiva, autoimmune o neoplastica): il loro manifestarsi può essere immediato alla nascita oppure tardivo nei primi anni di vita o spesso anche solo in età adulta.
In ogni caso, le malattie rare sono ad oggi circa 7.000 e di continuo ne vengono segnalate altre nei contributi scientifici, con trend in progressivo incremento numerico: a questa maggiore descrizione osservazionale fin troppo spesso non corrisponde altrettanta conoscenza emendativa, per cui la medicina non è in grado di offrire cure adeguate che consentano migliore qualità e/o durata di vita per la maggior parte di queste malattie.
A questo incontrovertibile dato di fatto correla una seria problematicità complessiva dagli aspetti plurimi: si perviene ad una diagnosi con forti ritardi, l’accesso alle cure è gravato da disinformazione, da scarso coordinamento fra strutture sanitarie di primo accesso e di specifica eccellenza, da difficoltà a conoscere i nominativi dei medici che se ne occupano e dei centri dove esercitano la loro attività.
Quando poi la malattia rara si caratterizza per ingenerare un quadro menomativo sfaccettato con disabilità singola o plurima, ma intensamente severa, allora, non sono da sottacere neppure le problematiche connesse alle fragilità sia fisiche sia psicodinamiche della persona affetta e del suo contesto di riferimento, riaprendo anche un altro tema che ci sta a cuore quale quello del Caregiver.
Partendo da queste considerazioni, è facile comprendere il perché del plauso iniziale all’iniziativa legislativa.Tuttavia, anche qui bisogna chiarire che raro - dato statistico - non vuol dire in ogni caso grave e, considerando l’aspetto delle provvidenze economiche dirette e indirette – previdenziali e assistenziali – bisogna ben individuare la platea dei beneficiari perché il rischio è che non si riesca a garantire alle situazioni davvero molto gravi il necessario supporto.
Sarà, dunque, opportuno un concreto sforzo per dettagliare ulteriormente gli articoli presenti nel disegno di legge relativi ai benefici pensionistici o all’accesso al riconoscimento di handicap grave, magari non trascurando i lavori che il Parlamento sta seguendo per caratterizzare il riconoscimento dei diritti dei caregiver, davvero intrinsecamente connesso alle più gravi situazioni fra quelle odiernamente in rilievo.
In tal senso, interessanti spunti parrebbero offerti dalla formulazione dell’articolato proposto dalla senatrice Binetti, che riserva i benefici previdenziali in termini di agevolazioni pensionistiche ai familiari che rivestono effettivamente il ruolo di caregiver nell’assistere il congiunto in condizioni di oggettiva rilevante gravità, non solo clinico-disfunzionale ma anche socio-relazionale.
Lia De Zorzi
La Ue alla prova dei fatti
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La Ue alla prova degli impegni assunti
Autore: Alessandra Servidori
Il 28 gennaio prossimo la Commissione Europea dovrà approvare il regolamento dell’Istituzione del programma di sostegno alle riforme - EMPL/9/00330; a questo proposito sarà importante tenere conto delle indicazioni lasciate in eredità dalla precedente Commissione in base all’esperienza sviluppata e guardando allo sviluppo della programmazione e l’utilizzo delle risorse. La proposta della Commissione Juncker -qui sinteticamente esposta- prevede una data di applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2021 ed è indirizzata a un’Unione di 27 Stati membri, in linea con la comunicazione da parte del Regno Unito dell’intenzione di ritirarsi dall’Unione Europea e dall’Euratom ai sensi dell’articolo 50 del trattato dell’Unione Europea, pervenuta al Consiglio europeo in data 29 marzo 2017.
Le riforme strutturali sono cambiamenti che modificano, in modo duraturo, la struttura dell’economia e il quadro istituzionale e normativo entro il quale le imprese e le persone operano. Il loro scopo spesso è quello di affrontare gli ostacoli al buon andamento dei motori della crescita attraverso la riorganizzazione, ad esempio, dei mercati del lavoro, dei prodotti e dei servizi e dei mercati finanziari, in modo da incoraggiare la creazione di posti di lavoro, gli investimenti e la produttività. Possono anche mirare al miglioramento dell’efficienza e della qualità della pubblica amministrazione, nonché dei servizi e dei benefici offerti dallo Stato ai propri cittadini. Se accuratamente scelte e attuate, le riforme strutturali possono accelerare il processo di crescente convergenza sociale ed economica tra gli Stati membri, sia all’interno che all’esterno della zona euro, e rafforzare la resilienza delle loro economie. Gli effetti di tale convergenza e del rafforzamento della resilienza potrebbero portare a una maggiore prosperità e a un funzionamento stabile e regolare dell’Unione economica e monetaria (UEM) nel suo insieme. L’attuazione efficace delle riforme strutturali è necessaria al fine di migliorare la coesione, aumentare la produttività, creare posti di lavoro, incentivare gli investimenti e garantire una crescita sostenibile.
Nell’ultimo decennio l’economia europea è cresciuta a una velocità mai vista prima, sostenuta da un elevato tasso di occupazione, dal recupero degli investimenti e dal miglioramento delle finanze pubbliche. L’attuale situazione economica dell’Unione è relativamente positiva e questo offre l’opportunità di mettere in atto numerose riforme necessarie. Tuttavia, l’attuazione delle riforme è avanzata lentamente e in modo disomogeneo tra gli Stati membri e non è stata soddisfacente in tutti i settori, con impatti negativi sulla convergenza e sulla resilienza delle economie degli Stati membri dell’Unione europea e, di conseguenza, dell’Unione nel suo insieme. In questo contesto, compiere progressi nell’attuazione delle riforme negli Stati membri non appartenenti alla zona euro sulle modalità della loro adesione alla zona euro potrebbe avere un impatto positivo su quest’ultima nel suo insieme. Pertanto, l’attuazione delle riforme negli Stati membri che si stanno muovendo verso l’adozione della moneta unica merita particolare attenzione.
Una delle ragioni a cui si deve la lenta attuazione delle riforme è la scarsa capacità amministrativa. Un’altra ragione risiede nel fatto che i benefici delle riforme strutturali si concretizzano il più delle volte solo nel lungo termine, mentre i costi economici, sociali e politici che ne derivano spesso vanno sostenuti a breve termine. I governi nazionali possono pertanto decidere di astenersi dal portare avanti determinate riforme a causa, ad esempio, di un’insufficiente capacità amministrativa di condurre riforme, degli alti costi politici a breve termine o degli effetti negativi su alcuni segmenti della popolazione. I governi che decidono di intraprendere un processo di riforma in alcuni casi non assistono ai risultati finali, in quanto la durata di un ciclo elettorale è spesso più breve del tempo necessario per l’attuazione di riforme maggiori. La conseguenza di ciò è che le riforme necessarie vengono spesso posticipate, abbandonate o persino cancellate.
La Commissione Juncker, basandosi sulla visione esposta nella relazione dei cinque presidenti, ha concentrato le priorità della Commissione nel processo del semestre europeo sul “triangolo virtuoso”: incentivare gli investimenti, perseguire riforme strutturali e garantire politiche fiscali responsabili. Al fine di promuovere le riforme strutturali, il discorso sullo stato dell’Unione 2017 del presidente Juncker, insieme ai documenti di riflessione sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria e sul futuro delle finanze dell’UE,ha suggerito di attenersi al programma di sostegno alle riforme strutturali (SRSP) della Commissione, proponendo uno strumento dedicato, lo strumento per la realizzazione delle riforme, per fornire incentivi finanziari agli Stati membri volti all’attuazione delle riforme.
Il raggiungimento di una maggior convergenza verso strutture economiche resilienti è stato considerato altrettanto importante per gli Stati membri che si preparano all’adesione alla zona euro.Questi orientamenti politici si sono concretizzati in una comunicazione della Commissione sui nuovi strumenti di bilancio per una zona euro stabile nel quadro dell’Unione (6 dicembre 2017). La comunicazione ha proposto la creazione, nell’ambito del quadro finanziario pluriennale post 2020 (QFP) 1 , di uno strumento per la realizzazione delle riforme volto a sostenere la messa in atto delle riforme individuate nel contesto del semestre europeo e lo svolgimento di un programma di follow-up dell’SRSP, e che avrebbe previsto anche uno strumento di convergenza dedicato a sostenere la preparazione all’adesione alla zona euro.
La comunicazione della Commissione su un nuovo e moderno QFP post 2020 2 , elaborata in vista della riunione informale dei leader del 23 febbraio 2018, ha confermato tale intenzione annunciando che lo strumento per la realizzazione delle riforme e lo strumento di convergenza dovrebbero fornire un forte sostegno e incentivi a un’ampia gamma di riforme in tutti gli Stati membri. Ha inoltre indicato la presenza di una linea di bilancio per tutti gli strumenti, nell’ordine di almeno 25 miliardi di euro nel corso di un periodo di sette anni.Per ultima, la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni “Un bilancio moderno al servizio di un’Unione che protegge, che dà forza, che difende - Quadro finanziario pluriennale 2021-2027” del 2 maggio 2018 ha confermato questa scelta. Ha annunciato un nuovo e potente programma di sostegno alle riforme, che offrirà assistenza tecnica e sostegno finanziario alle riforme a livello nazionale con un budget complessivo di 25 miliardi di euro.
Questo nuovo programma sarà distinto ma complementare ai futuri fondi dell’Unione definiti dal regolamento (UE) XXX/xxx (successore del CPR).In questo contesto, la Commissione propone un nuovo programma di sostegno alle riforme (il programma), comprensivo di tre strumenti distinti e complementari: (i) lo strumento per la realizzazione delle riforme, sotto forma di strumento di sostegno finanziario; (ii) un programma di follow-up dell’SRSP, sotto forma di strumento di assistenza tecnica; e (iii) uno strumento di convergenza, per fornire sostegno specifico e mirato agli Stati membri non appartenenti alla zona euro (chiamato anche “strumento di convergenza”). Il programma mira pertanto a sostenere i governi e le autorità pubbliche degli Stati Membri, laddove venga richiesta assistenza tecnica o presentate proposte di impegni di riforma, negli sforzi compiuti per progettare e attuare riforme strutturali a sostegno della crescita. In questo modo, intende contribuire all’obiettivo generale di rafforzare la coesione, la competitività, la produttività, la crescita e l’occupazione. Ciò potrebbe avere un impatto positivo anche sulla realizzazione del pilastro europeo dei diritti sociali.
Per il conseguimento di tali obiettivi, il programma dovrà fornire incentivi finanziari sufficienti a compiere riforme di natura strutturale e assistenza tecnica che rafforzi la capacità amministrativa degli Stati membri di fronte alle sfide affrontate dalle istituzioni, dalla governance, dalla pubblica amministrazione e dai settori economici e sociali. Tenendo conto di questo proposito, assistenza tecnica mirata e incentivi finanziari saranno a disposizione di tutti gli Stati membri, ivi compresi nell’ambito dello strumento di convergenza quegli Stati membri la cui moneta non è l’euro e che abbiano compiuto passi dimostrabili verso l’adozione della moneta unica entro un determinato periodo di tempo.
Testo integrale Proposta di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che istituisce il programma di sostegno alle riforme COM/2018/391 final - 2018/0213 (COD)
Alessandra Servidori
Vero le elezioni regionali : ebbene sì avanti con il merito e la democrazia
Appello a sostegno di Giuliano Cazzola capolista di +Europa, Pri, Psi per Bonaccini, nelle elezioni regionali del 26 gennaio 2020
Giuliano Cazzola è da anni uno dei difensori più appassionati e rigorosi dell’ancoraggio europeo dell’Italia e uno degli avversari più intransigenti della vulgata sovranista, che ha contagiato larga parte di quell’elettorato popolare e moderato, di cui pure Cazzola è stato nella sua storia recente un riconosciuto rappresentante politico e istituzionale.
Da sindacalista, dirigente pubblico e studioso, in particolare, del welfare e della previdenza non ha mai esitato a difendere l’esigenza di riforme del mercato del lavoro e del sistema pensionistico, spesso in posizioni orgogliosamente minoritarie, che lo hanno esposto anche a rischi personali, oltre che a un’ostilità diffusa.
Sul tema del rapporto con le regole e le scelte europee in materia di governance economica, disciplina di bilancio e regolamentazione dei mercati, Cazzola ha dimostrato lo stesso rigore e la medesima intransigenza nel contrastare quell’irresponsabile disegno antieuropeo, che è divenuto il connotato prevalente ed inquietante di larga parte della politica italiana.
Oggi, in coerenza con la battaglia di tutta una vita, Giuliano Cazzola è il candidato capolista di +Europa, Pri e Psi, a Bologna, per le elezioni della sua regione, l’Emilia Romagna, che negli anni recenti ha fatto buon uso, nell’interesse delle comunità amministrate, di tutti i vantaggi offerti dall’integrazione europea a un’economia dinamica e a istituzioni politiche efficienti.
Questa coalizione di forze laiche, libertarie e progressiste potrebbe forse rappresentare il nucleo di una nuova unità d'azione di tutti coloro che si oppongono alla deriva sovranista dei nostri giorni.
Noi sottoscrittori di questo appello, che lo stimiamo e che abbiamo condiviso, con lui, tante comuni esperienze, esprimiamo il nostro sostegno alla candidatura di Giuliano Cazzola per quello che può rappresentare sia in Emilia Romagna sia sul piano nazionale, dove servono voci e menti libere e coraggiose come la sua, per fermare e sconfiggere la deriva sovranpopulista, che tenta di resuscitare quei disvalori che, con ottimismo risultato eccessivo, consideravamo espulsi per sempre dalla storia dell’Europa.
Roberto Alvisi, associazionismo volontario per la disabilità
Alessandro Barbano, giornalista e scrittore
Paolo Biffis, già docente universitario
Margherita Boniver, già ministro e sottosegretario di Stato
Marco Cianca, giornalista
Luigi Covatta, direttore di Mondoperaio
Franco Debenedetti, imprenditore, già parlamentare
Alessandro De Nicola, avvocato
Rosa Filippini, ambientalista
Elsa Fornero, economista, già ministro
Walter Galbusera, Fondazione Anna Kuliscioff
Michele Magno, opinionista e saggista
Massimo Mascini, giornalista
Mariangela Pani, giornalista
Gianfranco Parenti, tecnico aziendale, già assessore Comune di Bologna
Nunzia Penelope, giornalista
Fabio Alberto Roversi Monaco, Magnifico Rettore Alma Mater dal 1985 al 2000
Giorgio Santini, già senatore e leader sindacale
Alessandra Servidori, presidente nazionale di TutteperItalia
Serena Sileoni, docente universitaria
Carlo Stagnaro, opinionista e saggista
Carlo Tognoli, già sindaco di Milano e ministro
Santo Versace, imprenditore nel made in Italy, già deputato
Sandra Zinelli, imprenditrice
Politiche per la famiglia e Il Lavoro....
ALESSANDRA SERVIDORI POLITICHE PER LA FAMIGLIA E IL LAVORO www,il sussidiario.net
Siamo in una recessione demografica che si sta cronicizzando, con conseguenze di medio e lungo periodo peggiori di quella economica. Gli squilibri della popolazione italiana sono arrivati a livello tale che siamo il primo Paese in Europa che ha visto scendere i nuovi nati sotto il numero degli attuali ottantenni. C’è un dato particolarmente allarmante che spesso sfugge: vero è che vi sono motivi di carattere economico nella denatalità (famiglia che mantiene i giovani nel nucleo, mancanza di abitazioni per coppie, un mercato del lavoro che chiede figure professionali poco reperibili, mancanza di flessibilità lavorativa per le madri, pochi servizi), ma non vanno sottovalutati altri aspetti importanti che attengono agli stili di vita e a processi culturali consolidati che non si modificano con interventi di sostegno. Il fenomeno della denatalità è in parte dovuto agli effetti “strutturali” indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni.
In questa fascia di popolazione, le donne italiane – sottolinea l’Istat – sono sempre meno numerose e – aggiungiamo – la fertilità maschile è drasticamente in calo. Secondo il Registro Nazionale sulla Procreazione Medicalmente Assistita dell’Istituto superiore di Sanità, tra le coppie che si rivolgono ai centri specializzati per avere un figlio, la percentuale di uomini infertili è del 29,3% e l’età non rappresenta l’unico fattore responsabile. Negli uomini italiani in generale viene riportato che il numero dei gameti è diminuito del 50% rispetto al passato. A nuocere sulla qualità degli spermatozoi (aumentando quindi il rischio infertilità) ci sono spesso le condizioni lavorative: quelle che espongono a radiazioni, a sostanze tossiche o a microtraumi. Influiscono negativamente anche gli inquinanti prodotti dal traffico urbano e il fumo di sigaretta.
Per far fronte a questo grave problema, quel che soprattutto serve all’Italia, più che togliere o aggiungere bonus e singole misure, è un approccio diverso, un cambio di paradigma sul modo in cui sono intese le politiche per le nuove generazioni e le scelte familiari. Con la capacità di produrre un impatto trasformativo sulla vita delle persone e sulle varie dimensioni del benessere sociale. Questo significa far diventare le politiche familiari parte centrale delle politiche di sviluppo del Paese: non solo per la denatalità, ma anche per ridurre le diseguaglianze e per una più solida crescita. Promuovendo l’autonomia dei giovani e rafforzando gli strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia si mettono i cittadini nelle condizioni di realizzare meglio i propri obiettivi di vita, e le famiglie con figli di proteggersi dal rischio povertà. A livello collettivo si riducono gli effetti dell’invecchiamento della popolazione, si rafforza la crescita economica aumentando la platea (per la maggiore natalità, ma anche per la combinazione al rialzo, con occupazione femminile e giovanile) di chi è attivo e produce ricchezza nel Paese.
Perché è ormai chiaro quali sono i fattori che portano a un continuo posticipo della creazione di una relazione stabile di coppia e della nascita del primo figlio. Quello che ai giovani italiani manca è la possibilità di passare dal sostegno passivo da parte dei genitori a un investimento pubblico in strumenti di attivazione e abilitazione, che consenta a essi di diventare parte attiva e qualificata nei processi di sviluppo del Paese. È la trasformazione dei giovani da condizione passiva ad attiva a fare la differenza, non tanto il passaggio dal carico sui genitori all’assistenza dello Stato. Poi altrettanto chiaro è il secondo nodo che frena, invece, la progressione oltre il primo figlio. Se con la nascita del primogenito ci si trova in difficoltà ad armonizzare impegno esterno lavorativo e interno alla famiglia, difficilmente si rilancia con la nascita di un secondo. Le donne italiane sono schiacciate in difesa, indotte a vedere al ribasso il numero di figli anziché allineare al rialzo l’occupazione femminile.
Dal Report sulla natalità e fecondità nel 2018 anche gli strenui difensori del pensionamento anticipato non possono non riconoscere che la crescente denatalità in sinergia perversa con l’invecchiamento creerà un mare di guai sia per quanto riguarda sia il mercato del lavoro, sia il sistema pensionistico. Il picco dell’invecchiamento colpirà l’Italia nel 2045-2050 quando si riscontrerà una quota di ultrasessantacinquenni vicina al 34%. In Italia le politiche di sostegno alle famiglie sono sempre state scarse, marginali, frammentarie. Abbiamo la necessità di politiche più generose e incisive, che allarghino i gradi di libertà per chi desidera assumere responsabilità famigliari verso i piccoli o verso le persone non autosufficienti. E la contrattazione di prossimità dovrebbe allargare il sostegno degli enti bilaterali, che funzionano alla grande per il sostegno al reddito in caso di mancanza di lavoro e per la formazione, alle lavoratrici e ai lavoratori che hanno problemi di flessibilità lavorativa. Un’operazione di sussidiarietà tra persone che nei vari momenti della vita hanno bisogno di più tempo per le cure dei nostri cari. E soprattutto abbiamo bisogno di semplificare tutta la burocrazia che ruota intorno all’accesso dei vari strumenti di sostegno.
È demenziale il sistema di accesso ai bonus per la maternità e paternità carichi di adempimenti modulistici legati a siti mal funzionanti e spesso rimessi in discussione da provvedimenti che si susseguono in maniera barocca e confusa. Stesso problema quando dobbiamo affrontare le pratiche sia per la non autosufficienza, sia per patologie invalidanti. Sulle politiche per la famiglia fondamentali sono le scelte per l’occupazione femminile. Uscire dal mercato del lavoro per un periodo prolungato non è mai una buona scelta per una donna, perché rientrarvi è molto difficile, specie in un Paese come l’Italia che ha un mercato del lavoro formale assai rigido e una domanda di lavoro relativamente scarsa. Si deve aumentare l’indennità del congedo genitoriale, ora ferma al 30 per cento dello stipendio e solo per i primi sei mesi (sui dieci complessivi teoricamente disponibili alla coppia di genitori) e legarvi automaticamente, non su domanda, contributi figurativi. In questo modo, si rafforzerebbe la possibilità di scelta di prendersi tempo per la cura non solo per le madri, specie a basso reddito, ma anche per i padri.
Come ci invita caldamente la Direttiva Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 12 luglio, D UE n. 2019/1158 relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza che noi dobbiamo recepire entro il 2021, il rafforzamento del congedo genitoriale con queste caratteristiche non favorisce solo un riequilibrio dei compiti di cura tra madri e padri. Garantirebbe più tempo genitoriale (materno e paterno) ai bambini nel primo anno di vita, perché più genitori potrebbero permettersi di prendere tutti i dieci mesi dividendoseli tra loro. Fondamentali anche strumenti adatti al crescente numero di lavoratori e lavoratrici con contratti atipici o semi-libero professionali, specie tra i giovani. Questi non solo non hanno accesso ai congedi genitoriali. Non possono neppure permettersi, dal punto di vista professionale, di stare fuori dal mercato del lavoro troppo a lungo.
Abbiamo problemi evidenti che riguardano i servizi e l’organizzazione del lavoro: ampliamento dei servizi di qualità ed economicamente accessibili per la prima infanzia, per favorire non solo la conciliazione di responsabilità famigliari e lavorative, ma anche le pari opportunità tra bambini; estensione della scuola a tempo pieno, per gli stessi motivi; introduzione per legge del diritto al passaggio al tempo parziale reversibile per chi ha un bambino sotto i tre anni con agevolazioni di credito di imposta e contributivo per le aziende che applicano veramente politiche di flessibilità e non fanno finta di essere family friendly. Abbiamo veri problemi sui trasferimenti monetari quali gli assegni per i figli e il sistema di tassazione. Non sono d’accordo per introdurre il quoziente famigliare, perché crea problemi di gettito, di equità, in quanto favorevole ai più benestanti e scoraggia il lavoro di coppia. Mettiamo ordine, razionalizziamo il disordinato e frammentato complesso di trasferimenti monetari esistenti: assegno al nucleo famigliare, assegno per il terzo figlio in casi particolari, detrazioni fiscali per figli a carico, vari bonus bebè. L’istituzione di un unico trasferimento diretto e universale, eventualmente commisurato al reddito famigliare, sarebbe insieme più efficace e più equo.
C’è poi un dato che spesso si affronta quasi con fatica: l’invecchiamento delle parentele ha fatto emergere anche in Italia i bisogni di cura verso persone fragili o non autosufficienti, ma è un evento normale nel corso di vita individuale e famigliare. Il fenomeno è trascurato, rimosso nelle politiche sociali, che continuano ad affidarsi allo strumento dell’assegno di accompagnamento (peraltro nato per altri scopi), ignorando sia la questione della appropriatezza delle cure prestate, sia il sovraccarico sulle famiglie, di fatto per lo più sulle donne, che la necessità di prestare cura comporta e anche qui abbiamo bisogno di uno spostamento a favore dei servizi. Ma tutto rimane fermo. Anzi, per ribadire l’idea che tocchi alle donne nella famiglia provvedere a questi bisogni, si continua sulla strada dell’Opzione donna, che consente alle donne il “privilegio” di andare in pensione prima per poter fare gratuitamente il lavoro di cura necessario, pagando un prezzo altissimo (stimato attorno al 25 per cento) in termini di decurtazione della pensione. Prezzo che invece non verrà pagato dai fortunati (per lo più uomini del Nord) che avranno i requisiti per andare in pensione con quota 100. Che comunque andrebbe tolta così come il reddito di pigrizia. Quelle risorse diamole al sangue fresco del nostro Paese.
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Chi si occupa dei diritti dei delle persone disabili?
Alessandra Servidori BLOG FORMICHE.NET 8 gennaio 2020
Chi si occupa dei diritti delle persone disabili ? Sono oramai frequenti le sentenze che, dirette a definire tali diritti inalienabili, restano inascoltate. Dopo la Sentenza 2 marzo 2011 n.8254 della Corte di Cassazione che specifica “ a nessuno sia consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute,né diramare direttive che pongano in secondo piano le esigenze dell’ammalato,dopo la famosa Sentenza 275/2016 della Corte Costituzionale che si era espressa severamente stabilendo che «È la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionare la doverosa erogazione», interviene nuovamente il Consiglio di Stato che (sebbene utilizzi un lessico non conforme alla definizione della Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità) con la sentenza n. 1 del 2 gennaio 2020, afferma «I disabili vanno assistiti e basta. La loro assistenza non può dipendere né dalle risorse finanziarie disponibili, né dai posti presso le strutture semiresidenziali.», sentenza questa che si preannuncia come un serio problema di bilancio per quelle pubbliche amministrazioni, anche centrali, che considerano la disabilità un costo tra le varie ed eventuali (del bilancio) . Il consiglio di stato si è pronunciato sull’incompleto inserimento di un minore (3 giorni su 5) in un centro diurno, perché l’Asl non aveva disponibilità economiche e si era limitata a formare una lista di attesa, erogando un contributo parziale, previsto dalla Regione Veneto a sostegno delle disabilità. Sono stati i genitori di un minore disabile al 100% e non autosufficiente, hanno chiesto l’annullamento del provvedimento del 25 ottobre 2017 con il quale l'Azienda U.L.S.S. N. 6 del Veneto aveva rigettato la loro istanza-diffida del 25 settembre 2017 per “l'immediato inserimento del minore in un Centro Diurno al fine di permetterne la tempestiva fruizione” e a ottenere dall’Azienda il risarcimento dei “danni, patrimoniali e non patrimoniali, cagionati e cagionandi per un importo non inferiore a 25.000 euro”.L’Azienda sanitaria, respingendo la richiesta, ha sostenuto di essere “tenuta a garantire i livelli essenziali di assistenza socio sanitaria nel rispetto dei vincoli di bilancio assegnati annualmente dalla Regione e dalla Conferenza dei Sindaci”.Il Tar aveva dato ragione all’azienda, sostenendo che anche il diritto alla salute deve essere bilanciato e contemperato con altri beni di rilevanza costituzionale (come in questo caso l’equilibrio del bilancio pubblico e, in particolare, del bilancio regionale), ma il Consiglio di Stato non è dello stesso avviso. In vero il Consiglio di Stato si era già pronunciato con la Sentenza n. 842/2016, rimasta anch’essa inascoltata, sempre in materia di diritti delle persone con disabilità. Quella sentenza del 2016 aveva, ed ha, anch’essa una vasta portata tesa ad incidere sulla formazione del bilancio dello Stato perché incide in materia di requisiti per l’accesso alle misure socio assistenziali legate al parametro ISEE. La sentenza del Consiglio di Stato nel rigettare il ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri contro diverse pronunce del TAR che davano ragione alle persone con disabilità, stabiliva che «le indennità riconosciute ai disabili non sono reddito.». Si deve quindi trovare il modo di scorporare tali somme dalla giacenza media del conto corrente che è uno dei parametri per determinare l’ISEE. Ma come tutti sanno una sentenza, nemmeno se ripetuta, fa la Legge ed occorreva, così come ancora occorre urgentemente, l’ntervento risoluto del legislatore per tradurre in norma di legge, ma che sia cogente per tutte le pubbliche amministrazioni dello Stato, la statuizione del Giudice. La questione ora passa al Parlamento affinché batta un colpo e dia un segnale per il recepimento immediato delle sentenze delle alte magistrature in materia di diritti delle persone con disabilità.
Come va la scuola italiana
Come va la scuola italiana e come potrebbe migliorare secondo il rapporto Ocse.
Il post di Alessandra Servidori START MAGAZINE GENNAIO 2020
Mentre si è chiuso un anno particolarmente agitato sul versante politico/istituzionale, negli ultimi giorni il Presidente del Consiglio si è trovato a dover nominare due nuovi Ministri – spacchettando le deleghe -in un dicastero che è di fondamentale importanza per il nostro futuro e che troppo spesso è invece trascurato. Proprio l’Ocse nel Rapporto annuale sullo stato di salute della nostra istruzione e formazione a tutti i livelli ci ha posto in fondo alle graduatorie.
Secondo l’indagine 2018 solo in matematica i quindicenni italiani risultano in media con gli altri Paesi; per il resto l’Italia è abbondantemente sotto e addirittura tra il 23esimo e il 29esimo posto per capacità di lettura. Si confermano il divario tra Nord e Sud, tra maschi e femmine e tra licei e istituti professionali. I ragazzi italiani non migliorano nella capacità di leggere e comprendere un testo, un’emergenza nota da tempo e che era già emersa anche nell’ultimo rapporto Invalsi sugli studenti di terza media. Se si guarda alle superiori, siamo sempre sotto la media nel confronto internazionale. E peggioriamo rispetto a rilevazioni di dieci anni fa o del 2000. Dunque ci troviamo in una situazione di forte allarme con la prospettiva di breve e medio termine di rimboccarci le maniche per non rimanere schiacciati .
Dobbiamo assumerci la responsabilità di adottare strumenti nuovi per recuperare. L’Ocse ha lanciato la Bussola degli Apprendimenti 2030, che è stata co-creata con una comunità globale di multi-stakeholder appartenenti a più di 30 Paesi. La bussola degli apprendimenti Ocse 2030 delinea una nuova visione del futuro nel quale gli studenti con la loro “azione” forgeranno un futuro migliore. La bussola definisce anche i tipi di competenze di cui gli studenti avranno bisogno per orientarsi in un mondo che sta diventando sempre più volatile, incerto, complesso e ambiguo (spesso rappresentato come “VUCA”, Volatile, Uncertain, Complex and Ambiguous) ad opera dell’accelerazione dei cambiamenti tecnologici, economici, sociali e culturali. Il senso dell’azione e i tipi di competenze a cui mira la Bussola degli Apprendimenti 2030 sono rappresentati da quelle qualità umane che si ritiene non siano facilmente sostituibili dall’intelligenza artificiale e che quindi rimangono costitutivi della qualità dei valori umani.
L’Ocse lavora con i vari Paesi anche per dirimere le questioni relative al curricolo che studenti, insegnanti, scuole, leader distrettuali, rappresentanti dei governi nazionali e regionali si trovano oggi ad affrontare. Queste questioni includono: il sovraccarico del curriculum, lo scarto tra il curriculum di oggi e le esigenze future, la flessibilità e l’autonomia del curriculum, l’integrazione dei valori nel curriculum, la garanzia di equità nell’innovazione del curricolo e la garanzia di un’ efficace implementazione.
Nell’analizzare questi problemi, sono emersi 12 principi relativi alla progettazione che possono considerarsi duraturi e adatti ai diversi Paesi e alle differenti culture. I curricoli dell’ordinamento scolastico italiano sono stati oggetto di riforma in momenti diversi: nel 2012 per quanto riguarda il primo ciclo di istruzione e nel 2010 per il secondo ciclo.
Va ricordata, tuttavia, la recente riforma dei percorsi dell’istruzione professionale, rinnovati nel 2017 al fine di renderli più consoni ad un rapido inserimento degli studenti nel mondo del lavoro. Per il primo ciclo è stato senz’altro privilegiato un approccio coordinato e integrato degli ambiti disciplinari, i quali concorrono unitariamente alla definizione degli obiettivi di apprendimento e dei traguardi delle competenze. Invece, i curricoli del secondo ciclo si caratterizzano ancora, timidamente ad eccezione di quelli dell’istruzione professionale, per una marcata separazione disciplinare che rende difficile cogliere il reale contributo di ogni disciplina alla definizione del profilo culturale in uscita di ogni percorso di studi. SBRIGHIAMOCI.
Corte dei Conti : ci trasciniamo un Debito pubblico spaventoso
Considerazioni a margine del rapporto della Corte dei Conti sulla programmazione dei controlli e delle analisi per l’anno 2020. Il post di Alessandra Servidori www.start magazine 6 gennaio 2020
La permanente negativa attualità del Rapporto della Corte dei Conti si ripete di anno in anno in un documento di Programmazione dei controlli e delle analisi che — secondo i magistrati contabili — conferma che il 2020, come gli anni precedenti, “si preannuncia impegnativo per il governo dei conti pubblici. La situazione economica è caratterizzata dalle crescenti incertezze che pesano sul quadro macroeconomico internazionale” e le prospettive dell’economia italiana, “già largamente al di sotto della media europea, ne risentono ulteriormente”.
Una prospettiva di crescita economica pari a zero, rischio per i conti pubblici e aumento dell’inflazione. Relativamente alla crescita del Pil, questa dovrebbe essere pari soltanto al +0,4%, secondo le stime redatte dagli istituti di previsione internazionali, ad un livello da “zero virgola” al quale l’economia italiana si è abituata ormai da diversi anni.
Con spazi di manovra praticamente ridotti a zero per il governo, anche per via delle clausole di salvaguardia che non vengono mai disboscate definitivamente, è difficile aspettarsi di più. Il rischio di aumento del deficit e del debito pubblico, non appare in linea con gli obiettivi concordati con la Commissione Europea. Anche perché, le promesse fatte dal precedente governo di tagliare spesa pubblica e tax expenditures non sono state rispettate nella manovra appena approvata in Parlamento. Al contrario, l’esecutivo giallorosso ha pensato bene di aumentare ancora di più le tasse sui consumi e modificare le norme che regolamentavano la tassazione delle partite Iva attraverso il regime forfettario, che è stato parecchio ridimensionato.
Sarebbe stato utile intervenire, almeno in prospettiva con la recente manovra, tagliando la spesa pubblica, specie quella locale che incide per il 60% sugli equilibri complessivi, al netto di quella per interessi — previdenza e dei trasferimenti ai vari livelli —. È poi malamente confermato l’accento sul fatto che esiste un assioma secondo cui la spesa pubblica centrale è cattiva e quella locale no, ma analizzando il Rapporto e le cifre non c’è una minima idea di invertire la rotta.
Ci sono ragioni di carattere strutturale e disordini di carattere amministrativo: i vari livelli governativi che si sovrappongono e si contraddicono, le municipalizzate, le comunità montane, i bacini idrici e poi regioni, comuni, municipi, consorzi di varia natura e specie e via dicendo. Un magma insondabile.
Due gli strumenti sono disponibili ai fini del controllo: il patto di stabilità interno e il Siope, un sistema informatizzato che consente di avere in tempo reale il flusso dei pagamenti. Ma che nulla possono dire sulla tipologia della spesa: il cosiddetto “socialismo municipale” che è composto da più di ottomila partecipazioni in società dei soli capoluoghi regionali e delle regioni è incontrollabile. Per dimostrare che quel 60% di risorse che gli enti locali utilizzano sia usato correttamente sarebbe fondamentale anche a quel punto per aumentare l’imposizione fiscale. Sono indispensabili l’adozione di eventuali terapie fondate su l’analisi generale della situazione economica e sociale, che deve essere condivisa. Dopodiché ci possono essere terapie di destra o di sinistra vincolando l’azione di governo.
La difficoltà nell’impostare la politica economica del governo deriva dal fatto che mancano i presupposti utili ad un positivo sviluppo. A partire da un’analisi condivisa della situazione e delle relative priorità. E nel contesto dato, l’autonomia differenziata non è una soluzione percorribile perché attribuire ad alcune realtà territoriali la facoltà di legiferare su importanti materie quali istruzione, sanità, lavoro, ambiente senza un quadro nazionale di riferimento comporterebbe la frammentazione di diritti costituzionali indisponibili che, in quanto tali, non possono essere esigibili a geometria variabile. Nè si può attribuire risorse trasferendole dallo stato centrale a singoli territori basandosi sulla spesa storica perché significa cristallizzare le disuguaglianze esistenti. E ancora meno accettabile legare i trasferimenti alla capacità fiscale dei territori condizionando il diritto alla salute istruzione lavoro assistenza, alla ricchezza di quella regione.
Il legislatore deve armonizzare i Lep e le leggi quadro anche per l’attuazione del federalismo fiscale e la disciplina di un sistema perequativo efficace fondato sulla necessità di redistribuire risorse territoriali in funzione del soddisfacimento dei comuni e di una controllata rendicontazione effettiva. È ormai indispensabile definire gli obiettivi di servizio qualitativi e quantitativi ai quali regioni e enti locali si devono attenere nel rispetto dei Lep individuando i fabbisogni standard con fondi perequativi per ciascuna funzione finanziati dalla fiscalità generale e ripartiti secondo indicatori socio-economici assegnando al soggetto istituzionale l’esercizio di vincolo di solidarietà di una comunità.
Pillole e scadenze della manovra
ALESSANDRA SERVIDORI Leggiamo la manovra di bilancio 2 GENNAIO 2020
IL CALENDARIO
Gennaio
Se ieri avete già avuto la “sfortuna” di vincere più di 200 euro alle slot machine, e di dover pagare seduta stante una tassa del 20% sul bottino, o più facilmente siete andati dal pasticcere sotto casa e non vi ha dato il solito scontrino fiscale, avrete già capito che questo 2020 sarà molto diverso dagli anni passati. Almeno dal punto di vista delle tasse: è vero che non aumenta l’Iva (ma questa non è una novità, perché gli aumenti vengono rinviati da otto anni), ed è previsto un taglio delle imposte sulla busta paga, ma saltano fuori almeno sei nuovi tributi, si stringono le maglie della flat tax, ed il calendario delle scadenze fiscali viene completamente rivoluzionato.Da ieri intanto lo scontrino elettronico, partito a luglio del 2019 solo per i grandi esercizi, è diventato obbligatorio per tutti. Lo scontrino non ha più valore fiscale (ma ai clienti serve per la garanzia), chi vende o presta servizi non sarà più obbligato a tenere documentazione (come fino a ieri con le copie delle ricevute fiscali), e gli acquisti vengono registrati in via telematica direttamente all’Agenzia delle Entrate.
Cambia anche il regime delle detrazioni fiscali, cioè quelle spese che possono essere scalate dalle imposte da pagare l’anno successivo. Dal 2021 saranno riconosciute solo le detrazioni tracciabili, dunque le spese fatte con una carta di credito, con il bancomat, con un bonifico bancario o con un assegno “non trasferibile”. La regola riguarda tutte le detrazioni, tranne quelle relative alle spese sanitarie, dunque la palestra dei figli, le rette universitarie, l’affitto per gli studenti fuori sede, le erogazioni liberali, le spese funebri, quelle per il veterinario e naturalmente tutte quelle per le ristrutturazioni edilizie (che già devono essere tracciabili). Ma attenzione, perché dal 2021 verranno riconosciute nuove detrazioni su alcune spese per piccoli servizi effettuate quest’anno (con un bonus che arriverà probabilmente a gennaio) e anche a queste si applicherà la regola generale. Meglio, dunque, farle con una carta o un bancomat. Per molti lavoratori che nel 2019 avevano assaporato la flat tax al 15% introdotta dal governo Lega-M5S, il sogno è già finito. Da quest’anno, con la stretta voluta dal nuovo esecutivo, molti di loro saranno di nuovo esclusi dal regime. Per esempio tutti coloro che nel 2019 hanno dichiarato redditi da lavoro dipendente superiori ai 20 mila euro lordi annui, o chi ha sostenuto spese per dipendenti, collaboratori e beni strumentali superiori a un certo livello.
Febbraio
A febbraio arriva il momento di fare conoscenza con i nuovi Bonus per gliasili nido e per i bebè, che da quest’anno viene riconosciuto a tutti, anche a chi ha redditi alti. Il contributo per l’asilo è scalettato in tre fasce: 3 mila euro l’anno per chi ha un reddito Isee fino a 25 mila euro, 2.500 euro per chi sta tra 25 e 40 mila euro, 1.500 euro per tutti gli altri.
Il bonus bebè andrà a tutti i bambini nati o adottati nel 2020. Le famiglie che hanno un reddito Isee fino a 7 mila euro avranno 160 euro al mese, quelle che hanno un Isee tra 7 e 40 mila euro riceveranno 120 euro al mese, mentre le altre potranno contare su un assegno mensile di 80 euro. L’assegno sarà erogato per dodici mesi per ciascun figlio e salirà del 20% per un eventuale secondo bebè.
Sempre a febbraio debutta la Rc Auto familiare. Sarà possibile assicurare tutti i veicoli del nucleo familiare applicando la miglior classe di rischio attribuita a uno dei veicoli posseduti.
Luglio
A luglio si concentrano gran parte delle novità introdotte quest’anno dal governo con la manovra di bilancio e il decreto fiscale. La prima cosa da ricordare è il nuovo limite all’uso del contante, che scatta il primo del mese. Da quel momento il tetto alla possibilità di spendere denaro contante scende da 3 a 2 mila euro, per passare poi a mille euro dal dicembre del 2021.
La stretta sui contanti, insieme alla spinta all’uso della moneta elettronica, è parte della nuova strategia del governo per contrastare l’evasione fiscale, ma rispetto a come era stata impostata nel disegno originale, ha perso un po’ di mordente. Non ci sono più le penalizzazioni, tanto che è saltata anche la sanzione prevista per i commercianti che non accettano pagamenti elettronici, e quasi tutto è affidato agli incentivi.
Tra questi, destinata a scattare dal primo luglio, c’è anche la lotteria degli scontrini, prevista da tempo e sempre rinviata. Per partecipare i cittadini dovranno richiedere un codice apposito su un portale internet che verrà messo in piedi dall’amministrazione fiscale. Il codice andrà poi comunicato al commerciante prima dell’emissione dello scontrino elettronico. Se il pagamento è in contanti bisognerà comunicare al commerciante anche il proprio codice fiscale, che non serve se il pagamento avviene con un bancomat o con una carta di credito, con le quali si avrà una possibilità di vincita doppia. Ogni mese sono previste tre estrazioni con premi da 10, 30 e 50 mila euro, più un’estrazione annuale con un maxi premio da un milione di euro.
Dal primo luglio scatta anche il taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori dipendenti che guadagnano fino a 35 mila euro l’anno. Lo sgravio si aggiunge al Bonus Renzi da 80 euro al mese, e per il 2020 vale circa 240 euro per chi guadagna fino a 25 mila euro (e già riceve il Bonus Renzi), e il doppio per chi sta tra 26.500 e 35 mila euro annui. Dal 2021, quando l’erogazione del bonus comincerà a gennaio, questi importi raddoppieranno.
Dal primo luglio scatta anche la nuova tassa sulla plastica. Vale 1 euro al chilogrammo e si applicherà alle bottiglie, buste e vaschette in polietilene monouso (come quelle che contengono l’insalata), il tetrapak del latte, i contenitori dei detersivi. Ma verranno tassati anche il polistirolo, i tappi e le etichette di plastica.
La nuova plastic tax si applica anche ai manufatti in plastica usati per la protezione o per la consegna delle merci (come il packaging per elettrodomestici, computer o altre apparecchiature), i rotoli in plastica e le pellicole e film in plastica estensibili. A pagarla saranno le imprese, ma facilmente il costo si scaricherà sul prezzo finale dei prodotti. Federconsumatori stima una spesa di 138 euro a famiglia.
Settembre
I lavoratori che hanno un’auto aziendale in uso cominciano a fare i conti con la nuova tassa “ecologica” imposta dall’esecutivo con la manovra di bilancio. Il nuovo regime scatta in realtà dal primo luglio, molti dettagli e meccanismi devono essere messi a punto, e i primi risultati concreti rischiano di farsi sentire sulla busta paga di settembre.
Rispetto a come era stata impostata la tassa sulle auto aziendali è stata completamente rivoluzionata e molto alleggerita. Sarà agganciata alle emissioni di anidride carbonica prodotte dai veicoli. Fino a 60 grammi di CO2 per chilometro, e qui si parla sostanzialmente di auto elettriche, il valore fiscale dell’auto aziendale diminuirà rispetto ad oggi. Il costo parametrico scende dal 30% attuale al 25%. Per le auto che emettono tra 60 e 161 grammi di CO2 il parametro resta al 30%, come oggi, mentre è destinata a salire parecchio per le autovetture più inquinanti e di grossa cilindrata. Per le auto che emettono tra 160 e 191 grammi di CO2 il peso fiscale sale al 40% (poi al 50% nel 2021), e sale al 50% (poi al 60% l’anno dopo) per quelle che hanno emissioni superiori.
Il primo settembre sparisce anche il superticket sanitario sulle prestazioni di assistenza specialistica in ambulatorio. E’ una sorta di tassa, da 10 euro, che si aggiunge al normale ticket sulla specialistica, e che viene applicata da molte regioni, anche se non da tutte, creando sperequazioni. Non si paga in Sardegna, Basilicata e in Val d’Aosta, mentre in Emilia-Romagna sono esenti i contribuenti che hanno redditi inferiori a 100 mila euro.
Il 30 settembre scade anche il nuovo termine per la presentazione del modello 730 per la dichiarazione dei redditi, spostato rispetto alla scadenza canonica del 23 luglio.
Ottobre
Lo slittamento del 730 a fine settembre ci darà più tempo per preparare la documentazione necessaria e anche per pagare, ma nello stesse tempo allontana anche i rimborsi dei crediti d’imposta Irpef. Per i contribuenti che sono lavoratori dipendenti il rimborso delle tasse avverrà con la prima busta paga disponibile, quindi quella di ottobre, mentre per i pensionati potrebbe slittare anche a novembre. In pratica due o tre mesi in più rispetto al solito. Con il termine massimo di presentazione del 730 il 23 luglio, per molti contribuenti il rimborso delle tasse pagate in eccesso arrivava di norma nel mese di luglio, al più tardi in quello di agosto.
Il primo ottobre prossimo scatta anche la contestatissima sugar tax, cioè la nuova tassa sulle bevande zuccherate. Sarà pari a 10 centesimi al litro per le bevande già pronte all’uso e a 25 centesimi al chilo per i prodotti da utilizzare previa diluizione.
Sono esenti dalla tassa solo le bevande edulcorate con meno di 25 grammi di zuccheri per litro. Una tassa simile esiste già in oltre 50 paesi del mondo ed in Europa si paga già in Francia, Portogallo, Belgio, Ungheria, Regno Unito, Irlanda e Norvegia. A versare l’imposta saranno i produttori, ma come sempre succede in questi casi l’aumento delle tasse si scaricherà sul prezzo finale del prodotto, e dunque sui consumatori. La Legge di Bilancio del 2020 definisce in maniera chiara le sanzioni che si applicheranno nel caso di mancato pagamento della sugar tax. Le imprese sono tenute a versare una sanzione amministrativa dal doppio al decuplo dell’imposta evasa, con un minimo di 500 euro. Nel caso di pagamento tardivo, la sanzione sarà pari al 30 per cento dell’imposta, con un minimo di 250 euro.
CANNA IN TERRAZZA..... Demenziale
Alessandra Servidori
Cannabis in terrazza ……! Devastante 29-12-2019
Come insegnante educatrice non condivido la sentenza che permette la coltivazione domestica della cannabis per i risvolti sociali , sanitari, educativi. Purtroppo, nella nostra società viene spesso veicolato il messaggio che quello che è legale è anche giusto dal punto di vista etico. Sappiamo bene che non è così, ma questo modo di interpretare le azioni può essere molto negativo per i nostri ragazzi .Andare verso la liberalizzazione delle droghe leggere viene fatta passare come una conquista della autoderminazione,una lotta alla criminalità organizzata che detiene il monopolio della vendita degli stupefacenti: purtroppo non è così. Infatti, rendere legale la coltivazione della cannabis significa ‘normalizzare’ qualcosa di molto pericoloso. Nella mia vita di docente conosco giovani distrutti dagli stupefacenti e il nostro impegno a fianco delle famiglie è costante nel far comprendere i danni ai quali i nostri ragazzi vanno incontro. Abbiamo e stiamo insegnando ai nostri studenti anche con lezioni mirate quanto la cannabis non si possa definire leggera perché il fumo produce danni molto importanti e i giovani sono in un qualche modo la porta aperta per ricorrere ad altri tipi di stupefacenti quando avviene una forma di assuefazione ovvero alla diminuzione della loro attività. Ma ci chiediamo che ratio ha una sentenza così quando ci siamo impegnati da anni a fare lezioni laboratori incontri con i giovani sparando delle slide anche emotivamente forti ( come gli effetti del fumo sulla distruzione dei polmoni) quando poi li portiamo a rendere “libera” la loro scelta se autodistruggersi? Nei nostri ragazzi il cervello è in via di sviluppo e quindi i danni maggiori sono proprio perché la presenza di una sostanza chimica perturba il sistema quando è in via di definizione. Prove scientifiche alla mano hanno dimostrato i diversi effetti collaterali nell’uso continuato della cannabis sul sistema nervoso,minor capacità di ragionamento, forme pesanti di psicosi e schizofrenia ed il rischio di tumore ai testicoli evidenziato mediamente del doppio di chi non fuma. Ai giovani bisogna comunicare l’idea che le canne corrodono la salute e che è importante che capiscano l’importanza del problema.Per loro. La sentenza è straordinariamente sbagliata perché banalizzare l’uso delle piantine sul terrazzo come si coltivano le piante officinali è diseducativo, e se la motivazione è quella di contrastarne l’uso dello spaccio è ancora più delirante è stabilire che la coltivazione domestica e a uso personale di cannabis non è reato e incredibilmente assurdo .Tanto più che pochi mesi fa la stessa Corte aveva ritenuto illegale la vendita della cd cannabis leggera di una qualità con un principio attivo basso per produrre effetti droganti. Intanto il paradosso è che è cresciuta una filiera di canapa leggera fino a dimensioni importanti: il mondo della canapa industriale made in Italy conta oggi mille negozi, 800 partite Iva agricole specializzate, 1.500 nuove aziende di trasformazione e distribuzione e circa 10mila addetti. Secondo il Consorzio nazionale per la tutela della filiera, si parla di un giro di affari di 150 milioni di euro al 2018, con prospettive di crescita europea pari a 36 miliardi di euro entro il 2021. Nell’ultima manovra sarebbe dovuto comparire un emendamento per regolamentare la produzione di cannabis light, considerata come tale sotto a un tetto dello 0,5% di Thc. La misura è poi saltata ed è venuta fuori la sentenza. Questa è pura nevrosi legislativa.
Dedicata alle persone disabili: non solo il 3 dicembre
Alessandra Servidori 3 Dicembre Giornata internazionale dedicata alle persone disabili www.Formiche.net
PROMUOVERE i diritti e il benessere delle persone disabili, così da garantire un rapido cammino verso lo sviluppo inclusivo e sostenibile, in grado di promuovere una società resiliente attraverso l’eliminazione della disparità di genere, il potenziamento dei servizi educativi e sanitari e l'inclusione sociale, economica e politica di ogni cittadino: questo lo scopo della giornata internazionale delle persone con disabilità (3 dicembre), proclamata dall'Onu nel 1981 allo scopo di promuovere i diritti e il benessere dei disabili. Dopo decenni di lavoro delle Nazioni Unite, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata nel 2006, ha ulteriormente rafforzato il concetto di promozione dei diritti e del benessere delle persone con disabilità, ribadendo il principio di uguaglianza e la necessità di garantire a tutti piena ed effettiva partecipazione alla sfera politica, sociale, economica e culturale della società. L'Italia, con legge n°18 del 3 marzo 2009 ha recepito la Convenzione che invita gli Stati ad adottare le misure necessarie per identificare e eliminare gli ostacoli che limitano il rispetto di questi diritti imprescindibili (art. 9, accessibilità) - si focalizza sulla necessità di garantire condizioni che consentano di vivere in modo indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita e dello sviluppo. "Nessuno venga lasciato indietro". questo il principio di base di questa giornata, sottolineato anche dall'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che mira, in particolare, a un rafforzamento dei servizi sanitari nazionali e al miglioramento di tutte le strutture che permettano un effettivo accesso ai servizi. Le persone con disabilità, infatti, risentono maggiormente dei disagi sanitari, hanno minor accesso all’istruzione, minori opportunità economiche e tassi di povertà più alti rispetto alle persone senza disabilità, e ciò è in gran parte dovuto alla mancanza di servizi adeguati e alle limitazioni nell’accesso alle tecnologie d’informazione, alla giustizia e ai trasporti. Anche il rischio di subire violenza è maggiore, per chi convive con una disabilità, tanto che la probabilità che i bambini disabili subiscano maltrattamenti o soprusi è quattro volte maggiore rispetto a quella dei piccoli normodotati. I fattori di rischio derivano da stigma, discriminazione e ignoranza, così come dalla mancanza di sostegno sociale. Nel 2018 il Governo approvò un ddl (Delega al Governo per l’adozione di un Codice in materia di disabilità) . Al fine di promuovere, tutelare e garantire il pieno ed eguale godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte della persona con disabilità e porre le condizioni affinché sia effettivamente rimosso qualsiasi ostacolo che ne limiti o impedisca la piena e libera partecipazione alla vita economica, sociale e culturale della Nazione, in attuazione degli articoli 2, 3, 31, 32, 34, 35 e 38 della Costituzione, degli articoli 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché in armonia con i princìpi sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, e con il quadro delle raccomandazioni del Consiglio d’Europa in materia di disabilità, il Governo è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti ad armonizzare, riordinare e semplificare, anche innovandole, le disposizioni vigenti in materia di disabilità, anche ai fini della definizione del “Codice per la persona con disabilità”. I decreti legislativi dovevano intervenire : a) definizione della condizione di disabilità; b) accertamento e certificazione; c) disciplina dei benefici; d) sistemi di monitoraggio, verifica e controllo; e) promozione della vita indipendente e contrasto dell’esclusione sociale; f) abilitazione e riabilitazione; g) istruzione e formazione; i) accessibilità e diritto alla mobilità h) inserimento nel mondo del lavoro e tutela dei livelli occupazionali e dunque significava 1) riordinare la disciplina dei congedi parentali per i soggetti che assistono familiari con disabilità e promuovere misure funzionali a realizzare un adeguato rapporto tra attività lavorativa ed esigenze della vita privata, sia a favore della persona con disabilità, sia per i soggetti che prestano attività di cura e assistenza; 2) prevedere agevolazioni, anche di natura fiscale, in favore dei datori di lavoro che attivano politiche ed azioni volte a migliorare le condizioni di lavoro dei dipendenti con disabilità o che assistano familiari con disabilità; 3) promuovere misure volte a rimuovere gli ostacoli alla progressione nella carriera professionale delle persone con disabilità, nonché adeguati programmi di formazione continua volti a contrastarne l’emarginazione per intervenuti mutamenti nelle condizioni del mercato del lavoro; 4) individuare profili professionali riservati a persone con disabilità, definendone i relativi percorsi di formazione, abilitazione ed inserimento lavorativo, riordinando anche la normativa in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità al fine di assicurarne il diritto effettivo. Dall'attuazione delle deleghe recate dall’articolo 1- recita il testo- non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, agli adempimenti previsti dai relativi decreti legislativi le amministrazioni competenti provvedono attraverso una diversa allocazione delle ordinarie risorse umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazione alle medesime amministrazioni. In conformità all'articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i medesimi decreti legislativi sono emanati solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi, ivi compresa la legge di bilancio, che stanzino le occorrenti risorse finanziarie. Dunque quando il ddl è arrivato alla Ragioneria dello Stato e dunque al Ministero tesoro, bilancio, economia il parere è stato negativo perché comunque tale ddl prefigurava un riordino troppo oneroso, irrealizzabile stando la spesa pubblica già in deficit. La ragioneria ha dichiarato che l’attuazione del documento, malgrado venga dichiarata in linea di principio l’invarianza finanziaria, è suscettibile di generare oneri di ingente entità. La Ragioneria dello Stato non ammette una visione di welfare in deficit, che paventa previsioni catastrofiche per la finanza in generale, oppure siamo di fronte all’incapacità di chi ha redatto il disegno di legge?La Ragioneria dello Stato, dichiara che l’integrazione degli attuali Livelli di assistenza per la disabilità può avvenire unicamente attraverso il taglio di altri livelli di assistenza, non ritiene sia possibile reperire risorse in altri contesti.I tecnici del Ministero della Famiglia e Disabilità dal canto loro non si pongono il problema del reperimento delle risorse. Permane in ogni caso, stando a quanto riportato dalla ragioneria, un documento che sotto il profilo economico-finanziario, è contraddittorio. Il fatto è che comunque la questione disabilità e riassetto della spesa pubbblica e sussidiaria ha senza dubbio necessità di essere rimodulata perché la situazione in Italia è veramente emergenziale.
Mettiamo a fuoco la verità sul Fondo salva Stati
Alessandra Servidori
BASTA ALLARMISMI INGIUSTIFICATI ! E mettiamo a fuoco la verità sul Fondo salva Stati
Sul Fondo Salva Stati mi sono fatta una opinione studiando la storia e i dossier degli uffici studi parlamentari e gli atti a disposizione di tutti. Mi auguro di essere il più chiara possibile.
Il Meccanismo europeo di stabilità (MES) è una organizzazione istituita nel 2012, sulla base di un Trattato intergovernativo, per fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell'eurozona, nel caso in cui tale intervento risultasse indispensabile per salvaguardarne la stabilità finanziaria dell'area valutaria complessivamente considerata e dei suoi Stati membri. Il MES ha affiancato e poi sostituito due strumenti transitori di stabilizzazione finanziaria: il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF) e il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF). Secondo l'approccio esposto nel Trattato istitutivo , la prima linea di difesa dalle crisi di fiducia in grado di compromettere la stabilità della zona euro dovrebbe essere rappresentata dal rigoroso rispetto del quadro giuridico dell’Unione europea, del quadro integrato di sorveglianza di bilancio e macroeconomica, con particolare riguardo al patto di stabilità e crescita, del quadro per gli squilibri macroeconomici, delle regole di governance economica dell’Unione europea e del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'unione economica e monetaria (cosiddetto Fiscal Compact). Il MES si configura dunque come uno strumento residuale rispetto a tali presidi e può fornire un sostegno alla stabilità articolato in una serie di azioni, alle quali sono associate condizioni rigorose (principio della "rigorosa condizionalità"), proporzionate alla tipologia di assistenza finanziaria cui si intende fare ricorso.
Nel dicembre 2017, la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento volta a integrare il MES nell'ordinamento istituzionale dell'UE, trasformandolo in un Fondo monetario europeo (FME). L'istituzione di un meccanismo permanente di stabilità dell'area euro è infatti esplicitamente prevista dall'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), secondo cui gli Stati membri la cui moneta è l'euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. Il medesimo articolo specifica, inoltre, che la concessione di assistenza finanziaria necessaria nell'ambito di tale meccanismo deve prevedere una "rigorosa condizionalità".
La proposta della Commissione non ha, tuttavia, generato un accordo sulla trasformazione dell'organismo. L'Eurogruppo del 13 giugno 2019 e, successivamente, il Vertice euro del 21 giugno hanno portato a una diversa soluzione che prevede una revisione del Trattato istitutivo del MES.
In base al vigente Trattato istitutivo, siglato il 2 febbraio 2012 ed entrato in vigore l'8 ottobre 2012, a seguito della ratifica dei 17 Stati membri dell'Eurozona (a cui si sono aggiunti in seguito la Lettonia e la Lituania), il MES è costituito quale organizzazione intergovernativa nel quadro del diritto pubblico internazionale con sede in Lussemburgo. Ne sono membri tutti i 19 Paesi dell'Eurozona (Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna) e l'adesione è aperta agli altri Stati membri dell'UE.
Il capitale sottoscritto totale è di circa 704 miliardi di euro, di cui circa 80 miliardi sono stati effettivamente versati dagli Stati membri aderenti. La ripartizione delle quote è basata sulla partecipazione al capitale versato della Banca centrale europea (BCE). Con 125,3 miliardi di euro sottoscritti (di cui 14,3 effettivamente versati), l'Italia è il terzo Paese per numero di quote del capitale del MES (17,7%), dopo la Germania, che ha sottoscritto quote per 190 miliardi di euro, di cui 21,7 effettivamente versati (26,9% del totale), e la Francia, che ha sottoscritto quote per 142 miliardi di euro, di cui 16,3 effettivamente versati (20,2% del totale). Tra gli altri principali sottoscrittori vi sono la Spagna, con 83 miliardi di euro (pari all'11,8% delle quote) e i Paesi Bassi con 40 miliardi di euro (pari al 5,6% delle quote). L'organo al quale spettano le decisioni principali del MES è il Consiglio dei governatori (Board of Governors) composto dai Ministri responsabili delle finanze degli Stati membri della zona euro e presieduto dal Presidente dell'Eurogruppo, Mario Centeno. Il Trattato individua un ulteriore organo al quale, direttamente o su delega del Consiglio dei governatori, vengono attribuiti poteri decisionali: il Consiglio di amministrazione (Board of Directors), composto da 19 funzionari esperti (senior civil service officials), nominati dai governatori tra persone di elevata competenza in materia economica e finanziaria. Nel Consiglio di amministrazione l'Italia è rappresentata dal Direttore generale del tesoro. Alle riunioni di tale organo possono prendere parte in qualità di osservatori la Commissione europea e la BCE. Il vertice amministrativo dell'organismo, infine, è affidato a un Direttore generale che partecipa alle riunioni del Consiglio dei governatori, presiede quelle del Consiglio di amministrazione, è il rappresentante legale del MES, oltreché il capo del personale, e ne gestisce gli affari correnti sotto la direzione del Consiglio di amministrazione. Le decisioni relative alla concessione di assistenza finanziaria agli Stati aderenti sono adottate dal Consiglio dei governatori secondo la regola del comune accordo (unanimità dei membri partecipanti alla votazione, senza contare le eventuali astensioni). Al fine di rendere più flessibile il sistema decisionale in circostanze straordinarie in cui appare minacciata la stabilità finanziaria ed economica della zona euro, è previsto il voto a maggioranza qualificata dell'85% del capitale, qualora la Commissione e la BCE evidenzino la necessità di decisioni urgenti. In tali casi, in cui viene meno la regola del comune accordo, ai fini della decisione diviene rilevante il numero di diritti di voto di ciascun Stato aderente, proporzionale alla quota di partecipazione al capitale versato. Pertanto, in base all'attuale distribuzione dei diritti di voto Germania, Francia e Italia mantengono la possibilità di determinare, con la propria scelta individuale, l'esito delle votazioni a maggioranza qualificata previste nei casi d'urgenza.L'assistenza finanziaria del MES può essere offerta, previa domanda da parte di uno Stato aderente, nel caso in cui una situazione critica dal punto di vista nazionale minacci la stabilità finanziaria dell'intera zona euro e degli Stati membri che ne fanno parte. La fornitura di assistenza finanziaria ha, come conseguenza, la definizione di condizioni che lo Stato debitore è chiamato a rispettare, più o meno rigorose in ragione dello strumento di assistenza finanziaria scelto. Tali condizioni possono fare riferimento ad azioni e programmi da attuare per ottenere un miglioramento del bilancio dello Stato, o a parametri per i quali viene fissato un obiettivo quantitativo da rispettare, lasciando allo Stato la definizione degli strumenti da utilizzare a tal fine.
L'obiettivo del MES è, dunque, quello di salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e dei suoi Stati membri (articolo 12 del Trattato). A tal fine, il meccanismo può intervenire per fornire un sostegno alla stabilità dei Paesi aderenti che si trovino in gravi difficoltà finanziarie o ne siano minacciati, sulla base di condizioni rigorose, commisurate allo specifico strumento di sostegno utilizzato. In particolare, il MES può:
fornire assistenza finanziaria precauzionale a uno Stato membro sotto forma di linea di credito condizionale precauzionale o sotto forma di linea di credito soggetto a condizioni rafforzate (articolo 14 del Trattato);
concedere assistenza finanziaria a un membro ricorrendo a prestiti con l'obiettivo specifico di sottoscrivere titoli rappresentativi del capitale di istituzioni finanziarie dello stesso Paese membro (articolo 15);
concedere assistenza finanziaria a un membro ricorrendo a prestiti non connessi a uno specifico obiettivo (articolo 16);
acquistare titoli di debito degli Stati membri in sede di emissione (articolo 17) e sul mercato secondario (articolo 18).
L'articolo 13 del Trattato definisce la procedura per l'attivazione di tali strumenti di sostegno. Le disposizioni in vigore prevedono che ciascuna delle azioni suddette sia associata alla definizione di condizioni proporzionate all'impegno richiesto, elaborate attraverso un percorso negoziale che coinvolge lo Stato interessato e la Commissione europea nella stipula di un protocollo d'intesa (memorandum of understanding, MoU). Prima di definire il protocollo, la Commissione europea, di concerto con la BCE, valuta anche la sostenibilità del debito pubblico dello Stato interessato. È prevista anche la possibilità di integrare la capacità di prestito del MES attraverso la partecipazione del Fondo monetario internazionale (FMI) alle operazioni di assistenza finanziaria. Inoltre, gli Stati membri dell'UE non facenti parte dell'Eurozona possono affiancare il MES, caso per caso, in un'operazione di sostegno alla stabilità prevista a favore di Stati membri dell'eurozona. Al termine del programma di assistenza finanziaria, la Commissione europea e la BCE eseguono missioni di controllo ex-post, alle quali partecipa anche il FMI se ha contribuito finanziariamente al programma medesimo, per valutare se lo Stato che ha beneficiato dell'assistenza finanziaria continui ad attuare politiche di bilancio sostenibili e se sussista il rischio che non sia in grado di rimborsare i prestiti ricevuti.
La proposta della Commissione europea volta a integrare pienamente il MES nell'ordinamento istituzionale dell'UE, trasformandolo in un Fondo monetario europeo (FME), non ha trovato il necessario consenso. La riforma del MES è divenuta comunque oggetto di una diversa soluzione, che prevede una revisione del Trattato istitutivo del MES, lasciando inalterata la natura di organizzazione intergovernativa del meccanismo.
Facendo seguito al mandato ricevuto dal Vertice euro del 14 dicembre 2018, l'Eurogruppo del 13 giugno 2019 ha raggiunto un accordo su una proposta di riforma del MES, nell'ambito di un più ampio pacchetto di interventi secondo cui la revisione del meccanismo viene collegata alla definizione di uno strumento europeo di bilancio per la convergenza e la competitività e al completamento dell'Unione bancaria. Il successivo Vertice euro del 21 giugno ha preso atto dell'accordo e ha chiesto all'Eurogruppo di proseguire i lavori in modo da consentire il raggiungimento di un accordo sull'intero pacchetto nel dicembre 2019 così da consentire prontamente l'avvio del processo di ratifica negli Stati membri.
Su cosa e come è stato raggiunto un accordo. (Di seguito per sommi capi)
a)Con la modifica del Trattato istitutivo, oltre a sostenere la stabilità dei Paesi aderenti, il MES fornirebbe un dispositivo di sostegno (backstop) al Fondo di risoluzione unico istituito dal Regolamento (UE) n. 806/2014, sotto forma di linea di credito rotativo. Il MES sarebbe destinato a supportare la risoluzione delle crisi sia con riferimento alle finanze pubbliche degli Stati membri che alle relative istituzioni bancarie e finanziarie, integrandosi nel quadro del Meccanismo di risoluzione unico delle banche e delle società di intermediazione mobiliare che prestano servizi che comportano l’assunzione di rischi in proprio (Single Resolution Mechanism, SRM), complementare al Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism, SSM).
In particolare, il nuovo articolo lato prevederebbe che, se il Comitato di risoluzione unico (Single Resolution Board, SRB) dovesse chiedere l'attivazione del dispositivo di sostegno, il Consiglio dei governatori potrebbe decidere di istituirlo sulla base di una proposta del Direttore generale.Le decisioni sui prestiti e sulle erogazioni al Fondo dovrebbero essere prese dal Consiglio di amministrazione, secondo la regola del comune accordo, sulla base dei criteri identificati in sede di revisione (elencati nel nuovo allegato IV, incluso nel Trattato). Fra tali criteri, figurano il rispetto dei principi di continuità del quadro giuridico in materia di risoluzione bancaria, neutralità di bilancio nel medio periodo e di "ultima istanza", per cui al dispositivo di sostegno si può fare ricorso solo nel caso in cui risultino esauriti i mezzi del Fondo di risoluzione unico e il Comitato presenti comunque una capacità di rimborso sufficiente a ripagare integralmente a medio termine i prestiti ottenuti tramite il dispositivo di sostegno.
b) La procedura semplificata per la linea di credito condizionale precauzionale.Con riferimento all'assistenza finanziaria precauzionale (ovvero l'apertura di linee di credito a Paesi che ne fanno richiesta), sarebbe introdotta una procedura semplificata per i Paesi in grado di garantire il rispetto di specifici requisiti, indicati nell'allegato III del Trattato modificato.
c)Il riparto di competenze fra i soggetti chiamati a garantire l'attuazione del Trattato .Con la modifica del Trattato istitutivo, verrebbe ridefinito il riparto di competenze fra i soggetti chiamati a garantire l'attuazione del Trattato. In particolare, una posizione comune dovrebbe stabilire le nuove modalità di cooperazione tra il MES e la Commissione europea nell'ambito dei programmi di assistenza finanziaria, nel pieno rispetto del quadro giuridico dell'UE. Nel novembre 2018, il MES e la Commissione europea hanno firmato una posizione comune sulla loro futura cooperazione, nella quale è stato prospettato che l'effettiva ripartizione dei compiti deriverebbe dall'esatta portata dei criteri di ammissibilità e dalla condizionalità associata alle specifiche azioni di sostegno. Commissione e MES dovrebbero procedere ad incontri periodici e scambi di informazioni in relazione alle loro specifiche competenze.
d) Nella preparazione dell'assistenza finanziaria, la Commissione dovrebbe assicurare la coerenza fra le misure adottate e il quadro di coordinamento della politica economica, La valutazione della situazione macroeconomica e finanziaria degli Stati membri. L'introduzione delle clausole d'azione collettiva con approvazione a maggioranza unica, europea, lavorando sulla base delle proprie previsioni di crescita e delle ulteriori stime effettuate, mentre il MES dovrebbe valutare, nella prospettiva del creditore, le potenzialità di accesso al mercato da parte degli Stati membri e i relativi rischi. Nel caso in cui la collaborazione non dovesse portare a una posizione comune, alla Commissione europea spetterebbe la valutazione generale sulla sostenibilità del debito pubblico mentre al MES quella della capacità di rimborso del prestito da parte dello Stato membro interessato.
Si precisa anche che il MES non dovrebbe essere usato per coordinare le politiche economiche tra i suoi membri, mentre si conferma il testo vigente per cui, in merito alle controversie fra parti contraenti, o tra dette parti e il MES, relative all'interpretazione e applicazione del Trattato, sarà competente la Corte di Giustizia dell'Unione europea.
e)La valutazione della situazione macroeconomica e finanziaria degli Stati membri
Con la riforma dell'articolo 3 del Trattato, verrebbe specificato che, ove necessario per prepararsi internamente a poter svolgere adeguatamente e con tempestività i compiti attribuitigli dal Trattato, il MES può seguire e valutare la situazione macroeconomica e finanziaria dei suoi membri, compresa la sostenibilità del debito pubblico, e analizzare le informazioni e i dati pertinenti.
f) Per quanto riguarda la negoziazione della condizionalità e il successivo monitoraggio, che il Trattato in vigore riserva alla Commissione europea, quest'ultima e il MES dovrebbero definire la loro collaborazione in un protocollo d'intesa, preservando il ruolo e le prerogative istituzionali derivanti dai trattati.
g) L'introduzione delle clausole d'azione collettiva con approvazione a maggioranza unica
Con la riforma dell'articolo 12 del Trattato, sarebbero modificate le clausole d'azione collettiva con l'introduzione, a partire dal 1° gennaio 2022, per i titoli di Stato della zona euro di nuova emissione con scadenza superiore a un anno, anche delle clausole d'azione collettiva con approvazione a maggioranza unica.
La modifica più rilevante alla procedura di concessione del sostegno prevista dall'articolo 13 appare quella per cui il Direttore generale dovrebbe affiancare la Commissione e la BCE nella valutazione della domanda di sostegno presentata da uno Stato membro del MES. Sulla base di tali valutazioni, spetterebbe sempre al Direttore generale la redazione di una proposta da sottoporre all'approvazione del Consiglio dei governatori relativa all'esito della richiesta e la preparazione di una proposta di accordo su un dispositivo di assistenza finanziaria, comprese le modalità e condizioni finanziarie e la scelta degli strumenti, che dovrà poi essere adottata dal Consiglio dei governatori. Il Direttore generale dovrebbe inoltre affiancare la Commissione europea e la BCE nell'attività di monitoraggio delle condizioni cui è associato il dispositivo di assistenza finanziaria, salvaguardando la piena indipendenza degli Stati, pur con la precisazione per cui tale indipendenza dovrebbe essere esercitata in modo tale da salvaguardare la coerenza con il diritto dell'Unione europea, sulla cui applicazione vigila la Commissione europea. Al Consiglio di amministrazione, infine, verrebbe assegnato il compito di adottare specifiche linee direttrici inerenti alle modalità di applicazione dell'assistenza finanziaria precauzionale e direttive particolareggiate inerenti alle modalità di attuazione del dispositivo di sostegno al Fondo di risoluzione unico. Il percorso di definizione degli accordi di cooperazione dovrebbe concludersi entro il dicembre del 2019 e la posizione comune dovrebbe essere aggiornata a seguito dell'adozione delle modifiche al trattato del MES.
NON E’ VERO CHE IL PARLAMENTO NON E’STATO INFORMATO
IL MES NEL PARLAMENTO ITALIANO E NEL PARLAMENTO EUROPEO
Il 24 gennaio 2018 la 5a Commissione permanente del Senato (Programmazione economica, bilancio) ha adottato una risoluzione (Doc XVIII, n. 232 della XVII Legislatura) sulla proposta di trasformazione del Meccanismo europeo di stabilità in un Fondo monetario europeo.
In occasione delle Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista delle riunioni del Consiglio europeo di fronte all'Assemblea del Senato, il presidente Conte ha fatto riferimento agli emendamenti al Trattato sul MES nelle seguenti occasioni:
- il 19 giugno 2019, in occasione delle Comunicazioni rese in vista del Vertice del 20 e 21 giugno 2019. Riferimento al MES è contenuto anche nella risoluzione 6-00065 (senatore Patuanelli e altri), approvata nel corso della seduta. Si veda anche la corrispondente seduta della Camera dei deputati; - il 19 marzo 2019, in occasione delle Comunicazioni rese in vista del Vertice del 21 e 22 marzo 2019. Si veda anche la corrispondente seduta della Camera dei deputati; - l'11 dicembre 2018, in occasione delle Comunicazioni rese in vista del Vertice del 13 e 14 dicembre 2018. Si veda anche la corrispondente seduta della Camera dei deputati; - il 27 giugno 2018, in occasione delle Comunicazioni rese in vista del Vertice del 28 e 29 giugno 2018. Si veda anche la corrispondente seduta della Camera dei deputati. Si rileva inoltre il dibattito avvenuto presso l'Aula della Camera dei deputati il 31 luglio 2019 in occasione dello svolgimento di un'interrogazione a risposta immediata in merito all'iter della riforma del Trattato sul MES, anche ai fini del coinvolgimento degli organi parlamentari competenti (3-00919). Il Parlamento nelle sue articolazioni è stato messo dal Governo, come avrebbe dovuto, in grado di esaminare le proposte di modifica del MES , ma non per consentire al parlamento di esprimersi con atto di indirizzo e sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si pronunci". Il Presidente Conte informerà il Parlamento e chiederà nei successivi minuti di accettare la risoluzione soprattutto per non fare brutta figura in Europa .. Si poteva fare di più e meglio e con i tempi richiesti, ma è troppo affermare che Conte abbia attentato alla Costituzione, ma il percorso compiuto ha visto sempre e costantemente i partiti di maggioranza e minoranza coinvolti e convocati a discutere insieme. Chi non c’era ora non può accusare chi c’era e ha rappresentato il nostro Paese alle condizioni date. Che francamente, diciamolo, sono disastrose per la politica.
La violenza sulle donne sul lavoro e spesso anche indirette
VIOLENZA DI GENERE
Le violenze sulle donne sono molte, anche sul lavoro e spesso indirette
Autore: Alessandra Servidori www.ildiariodellavoro.it
Celebrare la giornata internazionale contro la violenza sulle donne significa allargare lo sguardo sulla condizione delle donne lavoratrici e non, non per loro volontà. Dal Report Istat del Novembre 2019 a proposito di conciliazione: in Italia l’ 11,1% è la percentuale di donne con almeno un figlio che non hanno mai lavorato per prendersi cura dei figli mentre è 3,7% la media europea. 38,3% la quota di occupate 18-64enni con figli sotto i 15 anni che hanno modificato aspetti professionali per conciliare lavoro e famiglia e per i padri con le stesse caratteristiche il valore è 11,9%.In Italia i tassi di occupazione più bassi si registrano tra le madri di bambini in età prescolare: 53% per le donne con figli di 0-2 anni e 55,7% per quelle con figli di 3-5 anni. Per il lavoro delle madri è cruciale il titolo di studio: è occupato oltre l’80% delle madri con la laurea contro poco più del 34% di quelle con titolo di studio pari o inferiore alla licenza media. Il divario con le donne senza figli scende da 21 punti percentuali se il titolo di studio è basso a 3,7 punti se pari o superiore alla laurea. Il problema dell’assistenza a familiari malati, disabili o anziani bisognosi di cure è reso sempre più rilevante dall’invecchiamento progressivo della popolazione che interessa il nostro Paese. Nella fascia di età tra i 45 e i 64 anni, in sei casi su dieci sono le donne (un milione 343 mila) ad avere questo tipo di responsabilità: tra queste una su due è occupata (49,7%). Dal confronto con le donne che non hanno questo tipo di responsabilità emerge un divario tra i tassi di occupazione pari a quasi 4 punti percentuali.
L’interruzione lavorativa per chi è occupato o la mancata partecipazione al mercato del lavoro per motivi legati alla cura dei figli riguardano quasi esclusivamente le donne. Nel 2018, tra le donne da 18 a 64 anni che hanno avuto figli nel corso della vita, le occupate o le ex occupate che hanno interrotto l’attività lavorativa per almeno un mese continuativo allo scopo di prendersi cura dei figli piccoli sono quasi il 50%.
Le difficoltà di conciliazione si fanno più evidenti in presenza di bambini molto piccoli, tra 0 e 5 anni. In particolare, tra le donne con bambini in età prescolare (quasi un milione e 300 mila) la quota di quelle che incontrano ostacoli supera il 39%, arrivando al 46,7% tra quelle che lavorano a tempo pieno. Le madri che lavorano part-time hanno problemi di conciliazione in misura minore (27,5% dei casi). Stessa situazione per i padri, ma con percentuali inferiori: fra loro dichiara di avere un problema di conciliazione il 37%, la quota scende al 25,4% tra quelli in part-time. Ha almeno un problema di conciliazione quasi il 42% di coloro che devono prendersi contemporaneamente cura di figli minori di 15 anni e di familiari non autosufficienti, e il 34,4% di coloro che hanno solo responsabilità di cura verso familiari disabili, malati o anziani.
Sono poi soprattutto le donne ad aver modificato qualche aspetto della propria attività lavorativa per meglio combinare il lavoro con le esigenze di cura dei figli: il 38,3% delle madri occupate, oltre un milione, ha dichiarato di aver apportato un cambiamento, contro poco più di mezzo milione di padri (11,9%). La quota è più alta tra le occupate residenti al Centro-nord (41%), tra quelle con due o più figli minori di 15 anni (41,2%) o con figli in età prescolare (42,6%). Tra le occupate a tempo parziale cinque su dieci hanno modificato almeno un aspetto del proprio lavoro, contro tre su dieci di chi ha un lavoro a tempo pieno. Anche tra le indipendenti quasi il 50% ha modificato un aspetto del lavoro, contro il 36,5% delle dipendenti. La quota è superiore alla media tra le donne che svolgono una professione qualificata o impiegatizia (42,1% e 43,5% rispettivamente) mentre è leggermente più bassa tra le addette al commercio e servizi (36,8%). Invece, tra le madri operaie oppure occupate in professioni non qualificate solo una su quattro ha modificato aspetti del proprio lavoro. Le principali modifiche riguardano la riduzione o il cambiamento dell’orario di lavoro. Tra le madri che hanno modificato aspetti del proprio lavoro più di sei su dieci hanno ridotto l’orario e circa due su dieci lo hanno cambiato senza ridurlo. La possibilità di modificare l’orario di inizio o di fine della giornata lavorativa e di assentarsi un’intera giornata per motivi familiari senza dover ricorrere a giornate di ferie, rappresentano importanti strumenti di conciliazione dei tempi vita-lavoro per i dipendenti con responsabilità di cura. Nel 2018 quasi il 39% dei dipendenti tra i 18 e i 64 anni (6 milioni e 862 mila) ha dichiarato di occuparsi di figli con meno di 15 anni o di prendersi regolarmente cura di parenti non autosufficienti di 15 anni e più; tra questi un terzo ha affermato di poter modificare l’orario di inizio o fine della giornata lavorativa ogni volta se ne presenti la necessità mentre il 28,4% solo in casi particolari.
Tra le madri di figli di 0-14 anni che dichiarano di non utilizzare i servizi circa il 15% ne avrebbe bisogno; tale quota sale al 23,2% per chi ha figli tra 0 e 5 anni, a 19,1% tra le non occupate e al 17,5% per le residenti nel Mezzogiorno. Le motivazioni per le quali non si ricorre all’utilizzo dei servizi sono perché troppo costosi (9,6%) oppure assenti o senza posti disponibili (4,4%). In particolare, lamentano costi troppo alti le madri con figli di 0-5 anni (15,6%) e le non occupate (12,9%), le quote più alte per la mancanza dei servizi sono sempre tra le madri di figli in età prescolare (6%) e le residenti nel Mezzogiorno (5,5%).
Dunque, il problema che ci si trova ancora ad affrontare è quello della scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro, tenendo conto della società contemporanea in cui è in aumento il numero delle donne che vuole lavorare, è in aumento la popolazione anziana e quindi bisognosa di cure e ci si trova anche di fronte al dato di fatto che molti uomini vogliono partecipare attivamente al lavoro di cura, ma non sono incoraggiati a farlo. Il problema accomuna le donne in tutta Europa però sono differenti tra vari Stati le politiche adottate e ne dimostra la varietà una ricerca comparata interessante compiuta da un gruppo di ricercatori di ANPAL. C’è una stretta connessione tra la distribuzione delle responsabilità di cura tra uomini e donne e la sotto rappresentazione delle donne nell’occupazione. Le donne sono sempre più qualificate, superando persino gli uomini in termini di risultati scolastici in Europa, ma rimangono notevolmente sottorappresentate nel mondo del lavoro rispetto agli uomini. Nel 2017 il divario occupazionale di genere (età 20-64 anni) nell’UE ha raggiunto 11,5 punti percentuali.
Affrontare il problema della sotto rappresentazione delle donne nel mercato del lavoro, significa affrontare uno dei suoi principali fattori trainanti, che è sicuramente l’ineguale distribuzione delle responsabilità di cura tra donne e uomini. Altri fattori, come i disincentivi economici, compreso il divario di retribuzione tendono a rafforzare lo sbilanciamento dei carichi familiari a svantaggio della componente femminile. La genitorialità e le altre responsabilità di cura sembrano, quindi, essere una delle principali cause delle differenze occupazionali tra donne e uomini Le madri tendono ad essere meno rappresentate sul mercato del lavoro rispetto alle donne senza figli in tutti i livelli di istruzione e in tutti i tipi di famiglia. Il divario occupazionale di genere è particolarmente elevato per le donne poco qualificate e i genitori soli Nel complesso, la quota sproporzionata di responsabilità di cura assunta dalle donne ha come conseguenza che siano più assenti dal posto di lavoro, che prendano con maggior frequenza congedi più lunghi rispetto agli uomini, e siano costrette a ridurre l’orario di lavoro e in alcuni casi ad abbandonare del tutto il mercato del lavoro.
L’elaborazione di politiche di conciliazione vita lavoro può avere un forte impatto nel rafforzare o attenuare l’influenza del lavoro di cura sui risultati occupazionali delle donne. La concessione di congedi retribuiti tende ad aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro consentendo loro di prendersi cura di un figlio o di un parente a carico, rafforzando al tempo stesso il loro rientro nel mercato del lavoro subito dopo la nascita del bambino o diversi anni dopo. Norme minime sulla durata del congedo sono stabilite nelle direttive sul congedo di maternità e sul congedo parentale e, sebbene esistano requisiti minimi in termini di retribuzione per il congedo di maternità, non esistono requisiti per la retribuzione del congedo parentale. Sebbene le modalità di lavoro flessibili, in particolare il telelavoro e lo smart working, siano di più facile fruizione grazie alle moderne tecnologie e abbiano dimostrato di migliorare l’equilibrio globale lavoro-vita privata e la produttività, l’organizzazione del lavoro tende tuttavia a rimanere rigida, ancorata alla presenza sul posto di lavoro sulla base dell’orario di lavoro. Anche le difficoltà di accesso ai servizi formali di custodia dei bambini possono indurre molte donne a ridurre l’orario di lavoro o a ritirarsi dal mercato del lavoro. La disponibilità dei servizi di cura per l’infanzia è un problema, in quanto la domanda di questi servizi supera l’offerta. Inoltre, spesso esiste un ampio divario tra la fine del congedo di maternità/parentale e il momento in cui si rende disponibile per i genitori un posto in un asilo, costringendo i genitori a trovare, ove possibile, soluzioni informali per poter ritornare entrambi nel mercato del lavoro.
Le politiche di conciliazione tra lavoro e vita privata, se ben concepite e implementate in alcuni stati Europei possono sostenere l’indipendenza economica e il benessere di uomini e donne, in particolare consentendo una più equa ripartizione delle responsabilità di cura. Al contrario la loro mancanza conduce a rafforzare gli stereotipi di genere e ad incrementare le diseguaglianze tra uomini e donne tra lavoro retribuito e lavoro di cura non retribuito. Le politiche assunte da alcuni Paesi relative ai congedi - disposizioni relative al congedo di maternità, al congedo parentale, al congedo di paternità e al congedo per assistenza ai familiari malati o disabili - si concentrano sulla possibilità, per le persone con responsabilità di cura di rimanere nel mondo del lavoro. La loro logica in relazione alla partecipazione femminile al mondo del lavoro è quella di dare alle donne, che spesso si occupano di un’ampia parte dell’assistenza informale, l’opportunità di conciliare l’occupazione con il lavoro di assistenza.
L’impatto potenziale di questa tipologia di politiche dovrebbe essere quello di riequilibrare l’utilizzo dei congedi stessi tra uomini e donne. L’utilizzo dei congedi da parte dei padri è una questione difficile da affrontare, ma vitale sia dal punto di vista culturale che economico: uno dei temi di maggior attenzione è la retribuzione dei congedi che spesso non è sufficiente affinché il padre ne possa usufruire. Dove il lavoro flessibile è attuato come un diritto universale e viene ad essere percepito come reciprocamente vantaggioso per i dipendenti e i datori di lavoro si riesce ad offrire alle famiglie una maggiore flessibilità spostandosi verso un riequilibrio degli impegni lavorativi e familiari non limitati alle donne. Le misure di work life balance hanno dimostrato di essere dirimenti per rimuovere gli ostacoli all’occupazione femminile, anche se a livello europeo sono sempre le donne che usufruiscono in misura maggiore di queste politiche e gli uomini tendono a limitarne l’utilizzo, dei progressi si sono comunque avuti soprattutto nei paesi che hanno coniugato servizi di cura accessibili, convenienti e di qualità.
È noto, inoltre, che la partecipazione delle donne al mercato del lavoro risponde a (dis)incentivi fiscali, per cui la pressione fiscale relativamente più elevata può avere un impatto negativo sproporzionato sui risultati occupazionali. La stragrande maggioranza delle persone che percepisce un secondo reddito in coppia sono per lo più donne. L’introduzione, poi, di misure di flessibilità organizzativa significa introdurre un maggior bilanciamento nella ripartizione dei carichi di cura. L’assenza di queste politiche tende comunque a rafforzare gli stereotipi tradizionali per quanto riguarda i ruoli di genere sul lavoro e a casa e, di conseguenza, ad ostacolare un maggiore coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro. Un tasso di partecipazione femminile più elevato può aumentare la parità di genere, promuovere la crescita economica e contribuire a migliorare la sostenibilità dell’attuale stato sociale, soprattutto alla luce dell’invecchiamento della popolazione. È perciò necessario intervenire con politiche strutturali e innovative - e non disperdere energie e risorse una tantum per niente sistematiche - che seguano il cambiamento sia del mercato del lavoro che l’evolversi della struttura della famiglia.
Bisogna investire su una cultura che consideri la conciliazione vita lavoro non un mero affare femminile, perché è a questo livello che si giocano i diritti dei cittadini europei. Ciò nella consapevolezza che le esperienze qui analizzate mettono in evidenza che permangono sostanziali disuguaglianze di genere nel lavoro retribuito e non retribuito, anche in quei paesi in cui sono state adottate politiche per la famiglia estensive.
Alessandra Servidori
25 Novembre 2019