BASTA CON LE BATTAGLIE IDEOLOGICHE E ANDIAMO AVANTI ANCHE CON I CONTRATTI DI ESPANSIONE
Alessandra Servidori BASTA CON LE BATTAGLIE IDEOLOGICHE E ANDIAMO AVANTI ANCHE CON I CONTRATTI DI ESPANSIONE
Non è più tempo per le battaglie ideologiche anzi chi le fa è proprio un irresponsabile. Ho ascoltato con interesse la conferenza di Paolo Gentiloni a Bologna sulla situazione europea e il destino dell’Italia se non andiamo avanti con un processo riformatore tosto . Rischiamo ancora moltissimo perché abbiamo avuto una grande frammentazione con potenziali ripercussioni sulla tenuta di tutto il progetto europeo –Sul recovery se l'Italia non riuscisse a vincere la sfida di mettere a frutto il Next Generation Ue sarebbe un "errore storico". Gli ostacoli dell'utilizzo dei fondi del Next Generation Eu sono diversi da Paese a Paese, l'Italia ha una responsabilità particolare perché ha una somma di circa 200 miliardi di euro da mettere a terra nei prossimi 4 o 5 anni e conoscendo le nostre difficoltà del nostro Paese nell'assorbimento dei fondi europei certamente non è facile. Negli anni 2010 il meccanismo economico europeo si è inceppato e una delle cause è stata l'idea prevalente che dietro la crisi del debito ci fosse l'azzardo morale, la convinzione che fosse necessario imporre austerità e sacrifici per mettere i conti in ordine e far ripartire l'economia. Il risultato è stato di strozzare la crescita, deprimere gli investimenti e rallentare inutilmente il percorso di ripresa. Senza, peraltro, produrre i risultati sperati sul piano del debito. Tra il 2010 e il 2019 il rapporto debito/Pil in paesi come Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia è peggiorato invece di migliorare. E d'altronde, se il denominatore non cresce….. Basta dunque con le battaglie ideologiche sull’omofobia e sul green pass e ancora peggio sul sistema di quiescenza anticipata voluta dal Conte1. Sappiamo dai numeri del fallimento di quella misura che solo il 22% della platea potenziale ne ha usufruito. Ad andare in pensione a 64 anni con 38 anni di contributi non sono state le fasce più basse di lavoratori, per esempio chi faceva lavori usuranti, ma prevalentemente uomini del settore pubblico e con un reddito medio e soprattutto pochissime donne che non arrivano mai a mettere insieme una contribuzione decente. E poi si è rivelata una presa in giro il ricambio generazionale che era stato promesso, perché il tasso di sostituzione non è stato di tre nuovi lavoratori ogni nuovo pensionato, ma nemmeno mezzo posto nuovo (0,40) ogni tre liberati. E diciamocelo che se “quota 100” durasse fino al 2030 come previsto costerebbe 18,8 miliardi, sottratti esattamente ai giovani, oggi i cittadini italiani più fragili come giustamente ci ricorda Veronica de Romanis . Le rigidità della politica elettoralistica è in grande confusione sia a destra che a sinistra e del sindacato miope e addirittura offensivo contro Draghi( Bombardieri che si rifiuta di dargli la mano ) o la leader dei metalmeccanici tale Re David che si chiede perché hanno assalito la cgil (che è contraria anche lei al green pass!) sono la rappresentazione di una sorta di armata brancaleone che ha limitato le mosse giuste del governo che si è limitato a tagliare “quota 100” mettendo “quota 102”, che certo non cambia significativamente le cose, e a promettere che essa durerà solo per il 2022, per poi lasciare spazio ad una riforma vera. Certo bisogna intervenire sulle pensioni in un contesto di generale revisione del welfare (anche per rendere plausibile il rifinanziamento del reddito di cittadinanza,( pare ma non è detto che la macchina dell’Anpal e Inps all’unisono si metta veramente a funzionare )solo se accompagnato da un radicale ripensamento degli strumenti di sostegno ai soggetti veramente falcidiati dalla crisi) e magari da un reinserimento del reddito di inclusione. Per ora ragionevolmente accompagniamo i piccoli passi compreso quella tipologia contrattuale che permette il pensionamento graduale delle persone affiancando loro magari i giovani , il cd contratto di espansione che la legge di conversione del decreto Sostegni bis (D.L. n. 73/2021) ha confermato quale strumento normativo principe per la gestione dei processi di ristrutturazione aziendale e di riqualificazione professionale dei lavoratori da parte delle aziende che occupano almeno 100 dipendenti. La misura consente l’accesso alla cassa integrazione straordinaria e, al contempo, l’accompagnamento all’esodo dei lavoratori prossimi alla pensione. Al fine di sostenere i processi di reindustrializzazione e riorganizzazione, la misura consente di ricorrere al prepensionamento dei lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi dal conseguimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata, anche tramite l'accesso alla cassa integrazione straordinaria per quelli che non possono usufruire dello scivolo di 5 anni, unitamente all’avvio di processi di formazione per l’aggiornamento delle competenze dei dipendenti in forza e alla stipula di nuovi contratti a tempo indeterminato.
Libera e democratica opinione sul decreto OMOFOBIA
Alessandra Servidori
La legge sull’omotransofobia si è caricata di norme e significati esodanti l’opportunità di introdurre regole contro la piaga dell’omofobia che purtroppo esiste. I diritti però non possono essere una partita da giocare in modo tattico, non sono né di destra, né di sinistra, ma toccano la carne viva del Paese, incidono situazioni che già esistono intorno a noi e che vanno trattate con molto più rispetto. Il tema è divisivo, non possiamo e non dobbiamo nascondercelo. Pensare che le ragioni possano trovarsi interamente in una posizione piuttosto che in un’altra, significa non voler comprendere le ragioni degli altri. Il Testo di legge in verità travalica il confine della tutela legislativa con l’effetto di imporre una diversa visione della società in odore di pensiero unico. Bisognava trovare un correttivo. Vero è che le Istituzioni riconoscono e anche però garantire davvero un diritto di libertà troppo spesso macchiato da violenze fisiche o verbali.
Non possiamo, infatti, negare diritti di libertà a nostri concittadini che fanno parte, a pieno titolo e senza distinzioni, di quel perimetro all’interno del quale agisce il nostro contratto sociale, sulla base del quale i diritti di ognuno di noi devono trovare come limite invalicabile solo ed esclusivamente i diritti dell’altro e dell’altra. Comprese le idee propugnate come espressione di modernità, libertà e di progresso, ma che invece nascondono un’inaccettabile e arretrata visione discriminatoria e di restaurazione che relega le donne a minoranza e addirittura nel testo affiancate alle persone disabili . Il disegno di legge si è trasformato in un manifesto ideologico, che rischia di mettere in secondo piano l’obiettivo principale e di ridurre pesantemente diritti e gli interessi delle donne e la libertà di espressione. E’ un testo che va modificato , perché una legge scritta male porta a delle interpretazioni ed applicazioni controverse che riducono i diritti e non ne consentono la piena tutela. Il ddl Zan facendo leva su un tecnicismo che appare secondario e terminologico introduce , se non modificato,una pericolosa sovrapposizione della parola “sesso” con quella di “genere” con conseguenze contrarie all’art. 3 della Costituzione per cui i diritti vengono riconosciuti in base al sesso e non al genere e non in armonia con la normativa vigente, legge n. 164/82 (e successive sentenze della Corte Costituzionale), che ammette e consente la transizione da un sesso ad un altro sulla base non di una semplice auto-dichiarazione. La definizione di “genere” contenuta nel ddl Zan, che non è accettata dagli altri Paesi, crea una forma di indeterminatezza che non è ammessa dal diritto, che invece ha il dovere di dare certezza alle relazioni giuridiche e di individuare le varie fattispecie.Una legge trasformata, in una proposta pasticciata, incerta sul tema della libertà d’espressione, offensiva perché introduce l’”identità di genere”, termine divenuto il programma politico di chi intende cancellare la differenza sessuale per accreditare una indistinzione dei generi. Un articolato che mischia questioni assai diverse fra loro e introduce una confusione antropologica inaccettabile. Fra le conseguenze vi sono la propaganda di parte, nelle scuole, a favore della maternità surrogata e l’esclusione di ogni visione plurale nei modelli educativi. Fuori veramente da ogni compatibile rispetto dei valori.
Nuova Professionalità la diversità e il genereITS settembre/ottobre
*Alessandra Servidori Pubblicato oggi 27/ottobre/2021 Rubrica ITS e divari di genere e non solo
Nuova Professionalità .Parliamo di ITS –Istituto Tecnico Superiore, e dunque percorsi post diploma a cui si possono iscrivere tutti i diplomati, da non confondersi con gli Itis –Istituto tecnico industriale Statale (scuole superiori)
Il PNRR ha previsto uno stanziamento di 1.500 milioni di euro a fondo perduto dal 2022 al 2026, per aumentare il numero degli iscritti e per potenziarne le strutture degli ITS nati esattamente solo 11 anni fa e ancora sconosciuti ai più. Esse sono “scuole di alta tecnologia” strettamente legate al sistema produttivo, legame favorito dalla modalità organizzativa, la Fondazione di partecipazione, alla quale partecipano diverse realtà, da quelle private come le aziende agli attori pubblici composti da università e centri di ricerca, enti locali e il sistema scolastico in ottica di PPP (public private partnership),percorsi che portano i diplomati all’acquisizione di una qualifica europea di specifico livello(EQF5) . Vero è che a undici anni dalla loro costituzione gli ITS continuano a far fronte alla domanda da parte del mercato del lavoro di nuove professionalità e nuove competenze (hard e soft). Il modello formativo è distinto rispetto ad altri sistemi e poggia su alcuni elementi caratterizzanti i percorsi e il lavoro delle Fondazioni ITS: la rete di governance, alcuni aspetti di flessibilità nella organizzazione della didattica e la capacità di innovazione rispetto all’uso delle tecnologie 4.0 .Intorno alla possibile riforma di queste strutture si è aperto un dibattito che affonda le sue radici sulla necessità di irrobustire questo ambito di alta formazione per affrontare i grandi cambiamenti tecnologici e la domanda sempre più incalzante di nuove competenze difficili da trovare , dalle risorse a disposizione a livello Ue legate ai fondi per la ricostruzione ,da proposte di legge che si discutono in parlamento, fermo restando che la mia opinione è sempre ancorata ad una certezza: la discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge per la ridefinizione della missione e dell'organizzazione del Sistema di Istruzione e formazione tecnica superiore, prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza,nato da un testo che assembla sei distinte proposte parlamentari presentate, che hanno trovato rilancio e in una proposta unificata a seguito del fatto che il PNRR ha previsto esplicitamente la riforma del sistema ITS che ,secondo i firmatari, è un testo che eleva al rango di norma primaria la disciplina riguardante il sistema di Istruzione Tecnica Superiore italiano, frammentata in numerosi decreti che si sono stratificati disordinatamente negli ultimi 13 anni. Ma la fretta non è mai buona consigliera. E sarebbe ragionevole partire dall’esperienza positiva facendola crescere .
E’ mia convinzione che il sistema tecnico ha bisogno di una forte capacità di governo e gestione, un governo ed una gestione che sia in grado di valorizzare le eccellenze, eliminare gli enormi squilibri esistenti, avviare finalmente un processo di reclutamento serio, ecc. ecc. E il problema soprattutto non sta negli ordinamenti perché se così fosse dato che essi sono uguali per tutti , il sistema del Nord Italia dovrebbe ottenere risultati negativi o comunque non di eccellenza. Invece gli alunni veneti e trentini ottengono risultati alla pari delle migliori scuole europee. La realtà è che abbiamo (quantomeno) due sistemi scolastici: c’è un sistema che con questi ordinamenti, con questi programmi, con questi insegnanti, funziona molto bene, a livelli di eccellenza mondiale;ed una sistema che con gli stessi ordinamenti, con gli stessi programmi ed insegnanti formati allo stesso modo (anzi per certi versi ancora più selezionati) funziona molto male. Non dobbiamo costruire riforme palingenetiche del sistema, con il rischio di distogliere l’attenzione da una governance quotidiana da affrontare oggi, questa sì, veramente problematica.Il problema è nell’applicazione e nella gestione di questi ordinamenti e di questi programmi a livello centrale ed a livello territoriale. In una parola, il problema risiede nella mancanza di una governance a livello nazionale e territoriale. Il tessuto produttivo del paese necessita di energie e conoscenze che la nostra generazione e le future devono continuare a dare per mantenere il Paese al centro della scena globale. Se gli ITIS sono già di per sé un ottimo percorso e possono essere ampliati da un percorso ITS, questi ultimi sono un’ottima scelta anche per chi ha affrontato un percorso liceale e vuole sviluppare delle competenze spendibili nel mondo del lavoro senza intraprendere il più lungo percorso universitario, che comunque il diploma di ITS non impedisce.Secondo il monitoraggio Indire sul 2020 gli iscritti ai 201 percorsi ITS sono in prevalenza maschi (il 72,6%) tra i 20 e 24 anni (il 42,4%) e 18-19 anni (il 38,0%), in possesso di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado ad indirizzo tecnico (il 59%).Femmine 1.396 27,4 Maschi 3.701 72,6 Totale 5.097 100,0. E qui ovviamente sottolineiamo la netta prevalenza maschile e c’è da dire che In Italia solo il 18.9% delle laureate ha scelto discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e, nonostante le ragazze si laureino in corso e in media con voti più alti dei compagni, una volta entrate nel mondo del lavoro non ottengono gli stessi risultati, in termini di occupazione e di retribuzione. Le discipline STEM sviluppano competenze molto richieste dal mercato del lavoro: si stima che nei prossimi 10 anni le occupazioni in questo campo cresceranno due volte più velocemente rispetto alle altre occupazioni e garantiranno maggiori possibilità di carriera e di guadagno. Eppure è un settore caratterizzato da un forte gender gap.La ministra Bonetti (pari Opportunità) nel Prnn ha sottolineato e previsto non tanto la risoluzione di un problema normativo quanto culturale. Siamo nell'ambito delle politiche attive di induzione dei processi. Secondo un'indagine del programma per la valutazione internazionale dello studente dell'Ocse, nel nostro Paese c'è un forte divario di genere nelle competenze matematiche tra i bambini e i ragazzi di 16 punti a fronte di una media Ocse di 5 punti. È evidente che nel caso italiano si tratta di uno stereotipo di origine culturale. Credo che si debbano mettere in campo più azioni. Una di carattere formativo ed educativo, nelle scuole, che valorizzi le ragazze e le aiuti a superare la timidezza e la paura nei confronti di queste materie. Questo aspetto è molto importante e necessiterà di un lavoro di concerto con i ministri dell'Istruzione e dell'Università e la Ricerca. I dati ci dicono che le ragazze hanno prestazioni migliori scientifiche e nell'insegnamento bisogna valorizzare le capacità del mondo femminile di empatia, ascolto e organizzazione dei processi. l 65% dei bambini di oggi farà da adulto una professione che oggi ancora non esiste, e la maggior parte di queste professioni sarà nell'ambito delle intelligenze artificiali o comunque nell'ambito digitale e tecnologico. Se non interveniamo adesso il gap di genere già esistente nel mondo del lavoro diventerà incolmabile.Si devono prevedere incentivi promuovendo progetti di Erasmus al femminile: ossia la possibilità per giovani ricercatrici di fare esperienze in ambito europeo. Oltre a prevedere borse di studio per le studentesse. Naturalmente è importante il role model e la presenza di tante eccellenza femminili può indurre empatia e quindi emulazione nelle ragazze.Nell'ambito delle Stem universitario noi abbiamo il 40% di iscritte donne e il 60% di iscritti uomini, e nell'ambito tecnologico la distanza è ancora più marcata. Le donne si laureano in genere anche più brillantemente degli uomini, solo che dopo si apre il divario tra la qualità della posizione e della retribuzione. Io qui farei un passo in più: la meritocrazia non è neutra. Se una donna è in maternità è chiaro che la sua produttività cambia, ma in quel tempo acquisisce competenze anche intellettuali (problem solving, creatività) che possono essere ulteriormente qualificanti nel lavoro. Ad esempio, nei progetti Erc a livello europeo l'anzianità di carriera per ogni figlio è scontata di 18 mesi: così il gioco è alla pari.Negli ITS la distribuzione per area tecnologica degli iscritti, diplomati e occupati evidenzia la costante prevalenza di questi nell’area Nuove tecnologie per il made in Italy con un leggero incremento della percentuale al modificarsi della condizione (41,9% gli iscritti, 45,2% i diplomati, 45% gli occupati). Una riduzione della percentuale degli iscritti, al modificarsi della condizione, si registra per l’Efficienza energetica (10,6% gli iscritti, 8,6% i diplomati, 8,0% gli occupati) e per le Nuove tecnologie della vita (6,6% gli iscritti, 6,1% i diplomati, 5,8% gli occupati); pressoché stabili le altre aree tecnologiche. Tra gli ambiti del made in Italy, il Sistema meccanica (41,4% iscritti, 44,8% diplomati, 49,5% occupati) registra un significativo incremento della percentuale degli iscritti al modificarsi della condizione. In linea con quanto evidenziato anche dai dati di monitoraggio, in relazione alla composizione dell’utenza per genere, i maschi costituiscono, inoltre, il 76,1% dei diplomati . Tale fenomeno è dovuto essenzialmente alla caratterizzazione “per genere” dei percorsi, a seconda dell’area tecnologica di riferimento che vede una rara presenza di donne nei percorsi più tecnici (quali ad esempio mobilità sostenibile, meccanica, ecc.) e viceversa una loro concentrazione nelle aree tecnologiche dei servizi alle imprese, della moda e del turismo.Ma c’è un altro genere di gap di esclusione che va tenuto fortemente in considerazione.Indire La banca Nazionale dei dati ITS non ci permette di avere i dati ( o proprio non li ha raccolti, delle studentesse e degli studenti disabili) impegnati in questi percorsi. Certo è che la disabilità entra nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e l’attenzione al tema che riguarda direttamente oltre 4 milioni di donne e uomini in Italia trova spazio in alcuni riferimenti,però si nota la mancanza di trasversalità del tema disabilità nelle varie missioni del Pnrr e l’assenza di investimenti necessari per quanto riguarda l’inclusione lavorativa, il potenziamento del sostegno scolastico e soddisfacenti politiche sociali a favore delle famiglie dei più fragili colpite ancora di più nel corso della pandemia. Vero è che la Missione 4 prevede una specifica attenzione per le persone con disabilità nell’ambito degli interventi per ridurre i divari territoriali nella scuola secondaria di secondo grado. Nel Recovery ci sono passaggi già sostenuti per anni da molti Governi, ma quasi mai attuati, si pensi ad esempio alla riforma dei meccanismi di accertamento della disabilità , che però, uniti a quelli specificamente dedicati a scuola e lavoro, costituiscono un tutt’uno organico nuovo.La Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 spaziava dalla piena inclusione, alle politiche per il lavoro, all’accessibilità, all’istruzione più inclusiva, al miglioramento dell’assistenza medica e dei sistemi di protezione sociale sostenibili e di alta qualità. La prossima Strategia 2020-2030 rafforzerà questo richiamo. Il governo Draghi ne deve tener conto e investire quanto necessario. Per ora gli interventi sono limitati: infrastrutture sociali e supporti all’autonomia vanno bene ma non bastano. In altre missioni non si rileva alcuna particolare attenzione alla disabilità, in particolare l’assenza brilla appunto nelle pur previste politiche per l’occupazione, nell’housing sociale, come pure in altre linee dedicate alla disparità di genere e, ancora, all’istruzione.Non è solo e tanto una questione etica quanto l’incomprensione del fatto, evidentemente economico che la disabilità è una delle prime cause di impoverimento per le famiglie e queste condizioni incidono sulla ripresa e se non affrontate l’esito non può che essere quello delle nuove esclusioni e dell’inevitabile assistenzialismo discriminatorio. Nel merito del Testo della proposta di legge ,peraltro discutibile in alcune parti fondamentali : gli ITS diventano “Accademie per l’istruzione tecnica superiore (ITS Academy)” generando confusione tra la natura terziaria ma non accademica,lasciando l’ambiguità contenutistica del percorso che non ha materie classificabili come tecniche ma professionalizzanti per svolgere mestieri in laboratori di alta specializzazione che comunque saranno successivamente definiti con decreto apposito che modifica (????) le attuali sei aree tecnologiche sembrano già coprire, in maniera adeguata, le specializzazioni presenti nel tessuto produttivo italiano: inoltre, è cruciale che tale decreto non vada a togliere la libertà messa in discussione dalla proposta di legge delle singole fondazioni di personalizzare i profili in uscita in base alle specifiche esigenze del settore con cui collaborano. Sappiamo bene che se c’è un valore aggiunto del rapporto stretto con il mondo del lavoro, presente già nella governance delle fondazioni e operativo in fase di rilevazione dei fabbisogni e loro sistematizzazione nei percorsi formativi, ed è uno dei punti di forza del sistema ITS che non va modificato con l’adozione di figure standard e immutabili, stabilite a livello nazionale o regionale.Una preoccupazione reale e concreta attiene la Commissione nazionale per il coordinamento dell’offerta formativa del sistema ITS che coinvolge,nella proposta del ddl solo le associazioni datoriali e gli organismi paritetici e dunque esclude le organizzazioni sindacali .Sbagliato perché : se si vuole caratterizzare questi percorsi per la vicinanza al mondo del lavoro, è importante un coordinamento con i rappresentanti dei lavoratori raccordandosi così le politiche attive, rilevare i fabbisogni espressi in termini di competenze innovative e di professionalità richieste per la governance degli investimenti tecnologici legati al PNRR, promuovendo insieme orientamento, istruzione e formazione tecnica superiore,il prezioso apprendistato duale.La proposta di ddl poi conferma l’attuale strutturazione in corsi biennali o triennali e il relativo monte ore, specificando però che i primi sono percorsi ITS “di primo livello”, mentre i secondi “di secondo livello”. È confermato che i titoli conseguiti al termine dei percorsi biennali sono collocati al 5° livello EQF, mentre quelli dei percorsi triennali al 6°. Oggi il titolo di studio conseguito è lo stesso: la proposta intende diversificarli, e sappiamo bene che questi titoli saranno riconosciuti come abilitanti per l’accesso al concorso per l’insegnamento tecnico-pratico e, in generale, per l’accesso ai pubblici concorsi, in coerenza anche con le recenti riforme sulla materia di Brunetta .Il ddl proposto introduce innovazioni in ambito didattico, confermando il 30% del monte ore totale che deve essere svolto in stage – anche all’estero – e specificando che questi periodi devono essere “adeguatamente sostenuti da borse di studio” non è chiaro chi dovrà corrispondere queste borse ai tirocinanti e se debbano obbligatoriamente essere riconosciute. L’onere ricadrà presumibilmente sui datori di lavoro, che avranno quindi un aggravio dei costi sostenuti a margine della collaborazione con il sistema ITS, dato che oggi per i tirocini curriculari non vige l’obbligo di corrispondere l’indennità.È importante nel testo, il rimando al legame tra ITS, politiche attive, formazione e riqualificazione degli adulti. Si specifica infatti che la strutturazione oraria dei percorsi può essere modificata così da favorire la partecipazione di lavoratori occupati e viene auspicata “la promozione di organici raccordi con gli enti che si occupano della formazione continua dei lavoratori nel quadro dell’apprendimento permanente per tutto il corso della vita”. Si prevede dunque la realizzazione di corsi ITS (finalizzati quindi al diploma di tecnico superiore) anche per lavoratori adulti, occupati o disoccupati, attraverso la costruzione flessibile dei percorsi e il riconoscimento delle competenze già acquisite e, , lo sviluppo di percorsi di formazione degli adulti realizzati dagli ITS in partnership con altri enti che si occupano della formazione continua. Il tutto comunque avverrà attraverso patti federativi con il sistema accademico per cui gli ITS, sentite le parti sociali e quindi tramite ulteriori accordi, possono occuparsi della formazione dei lavoratori, dei disoccupati o dei lavoratori in cassa integrazione.Solo i corsi ITS rimarranno di esclusiva responsabilità delle fondazioni, anche quando riguarderanno gli adulti e gli occupati, mentre per occuparsi di formazione continua gli istituti dovranno necessariamente procedere alla sottoscrizione di patti federativi con le università e coinvolgere (comprensibilmente) le parti sociali nella progettazione dei percorsi e soprattutto nell’individuazione dei destinatari. Viene poi specificato, in merito al sistema di finanziamento del sistema, che risorse saranno dedicate alla realizzazione di nuove sedi, di nuovi laboratori all’avanguardia e di campus: investimenti infrastrutturali per un sistema che ancora poggia, nei casi di eccellenza, sulla sola disponibilità del mondo delle imprese. Non vi sono invece indicazioni in merito alle risorse del PNRR, perché quelle stanziate dalla proposta si riferiscono a quelle già previste dalle precedenti leggi di bilancio. Viene confermato l’obbligo regionale del cofinanziamento di almeno il 30% delle risorse destinate al sistema ITS, il quale riceverà direttamente dal livello centrale i finanziamenti, “saltando” la spartizione su base regionale dei fondi ancora oggi operativa. Come ultima, ma non ultima, considerazione il contenuto della proposta è complessa, prevede l’emanazione di ben 14 decreti che dovranno essere adottati, nei prossimi mesi, per implementare le novità introdotte dalla “riforma”, e su di essa non è ancora intervenuto lo stesso Ministro Bianchi. Attendiamo fiduciosi altre operazioni di chiarezza e di possibili modifiche :la partita è fondamentale e va portata avanti con buonsenso. Perchè la questione importante è la fotografia occupazionale che il monitoraggio ci consegna ma non hainoi ! ( e bisognerà provvedere) analizzato per genere : L’80% dei diplomati ITS ha trovato lavoro a un anno dal diploma, il 92% degli occupati in un’area coerente con il percorso di studi. Il dato risulta particolarmente significativo perché riferito al 2020, anno di esplosione della crisi pandemica. Del 20% dei non occupati o in altra condizione: l’11,1% non ha trovato lavoro, il 4,1% si è iscritto ad un percorso universitario, il 2,7% è in tirocinio extracurricolare e il 2,4% è risultato irreperibile. I dati relativi al tasso di occupati a 12 mesi, per area tecnologica, evidenziano in generale un trend in crescita per Mobilità sostenibile (83%) e Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (82%). In generale per gli ambiti delle Nuove tecnologie per il made in Italy si registra una lieve diminuzione rispetto all’anno precedente, nonostante i valori rimangano alti, è il caso dell’ambito del Sistema meccanica (88%) e del Sistema moda (82%) dove si ottengono i migliori risultati. Seguiremo attentamente l’evoluzione del percorso del ddl. E delle risorse stanziate dal PNNR (1500 milioni da spalmare dal 2022 al 2026).Che non sono poche e vanno spese bene.
Alessandra Servidori è componente del Consiglio d’indirizzo per l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
OGGI SU DONNA MODERNA INTERVISTA DONNE E PENSIONI SERVIDORI
https://www.donnamoderna.com/news/i-nostri-soldi/pensioni-50-anni-quota-zero
OGGI SU DONNA MODERNA INTERVISTA A NOI (SERVIDORI)
Pensioni. Hai meno di 50 anni? Sei "Quota zero" - Donna Moderna cosa accadrà alle pensioni di chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996? Le previsioni degli esperti dicono che la classica frase: "La pensione? Non la vedrò mai..." è realtà
- Chi sono i “Quota zero”
- La discontinuità pesa più del contributivo
- In pensione a 70 anni?
- Si vive di più, si lavora di più
- Il problema dei “buchi contributivi”
- Quanto pesa l’uscita anticipata dal lavoro
- Perché è importante l’integrazione al minimo
- Il contributivo è da correggere
- Opzione donna che fine farà?
Il tema delle pensioni è in primo piano: si discute del futuro dopo che sarà scaduta Quota 100, a fine dicembre 2021. Le ipotesi sono diverse, da Quota 102 a quota 104, per poter passare gradualmente all’applicazione totale della riforma Fornero entro il 2024. Ma esiste un problema, che riguarda una larga fetta di donne e uomini: quelli che sono entrati nel mondo del lavoro dopo il 1996 e che, soprattutto, hanno avuto impieghi discontinui, quindi di fatto hanno versato meno contributi o in modo non regolare. Che ne sarà della loro pensione?
Chi sono i “Quota zero”
Sono detti anche “Senza quota” o “Fuori quota”, in pratica chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996, quando è entrata in vigore la riforma delle pensioni che ha modificato il sistema di calcolo, da retributivo (in base allo stipendio) a contributivo (al numero di anni di contribuzione e alla loro “consistenza”). «Sono quelli della generazione che ha iniziato a lavorare negli anni ’90 e successivi. Me compresa. I giovani d’oggi che si pongono il dubbio se riceveranno mai la pensione…. Ebbene sì, probabilmente non prima dei 70 anni e forse oltre! Il regime applicato sarà il contributivo, ma temo che non porterà grandi assegni pensionistici» spiega Celeste Collovati dello studio legale Direttissimo, esperta anche di questioni previdenziali.
La discontinuità pesa più del contributivo
«Il calcolo contributivo di per sé non è meno conveniente di quello retributivo. In ciascuno dei due sistemi vi sono vantaggi e svantaggi. La vera differenza sta nel lavoro: sono la durata, la continuità del lavoro e la retribuzione percepita a condizionare anche la qualità della pensione» chiarisce Alessandra Servidori, componente Consiglio di Indirizzo CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) del Presidente del Consiglio e del Governo, e docente di politiche del welfare all’università di Bologna.
In pensione a 70 anni?
È la prima domanda che ci si pone se si è entrati nel mondo del lavoro dopo il 1996. Si tratta di chi all’epoca aveva circa 25 anni e oggi ne ha all’incirca 50. In questa categoria rientrano sia i lavoratori dipendenti o che comunque hanno avuto un percorso “lineare”, senza periodi di interruzione lavorativa, sia coloro che invece hanno firmato contratti a tempo determinato o hanno prestato servizio sotto forma di collaboratori, senza continuità. A fare un esempio è Antonello Orlando, esperto della Fondazione Consulenti del Lavoro: «Supponiamo che una persona nata nel 1976 abbia iniziato a lavorare nel 1996: potrà accedere alla pensione di vecchiaia all'età di circa 69 anni (età adeguata ad aumenti derivanti dalla speranza di vita) oppure alla pensione anticipata intorno al 2039/2040 (a seconda del sesso). Nel secondo caso, invece, sarà più difficile raggiungere i 20 anni di contribuzione minima richiesti per l’accesso alla pensione di vecchiaia».
Si vive di più, si lavora di più
A complicare la situazione c’è l’aspettativa di vita media, che è maggiore rispetto a quella delle precedenti generazioni, ma che spinge anche ad allungare la vita lavorativa e quindi a spostare l’età pensionabile. Se nel 1976 la speranza di vita era di 79,9 anni, nel 2019 è arrivata a 86 anni. È vero che la pandemia Covid ha “tagliato” oltre 1 anno, portando l’età media a 84,9 anni, ma oggi si è pur sempre di fronte alla prospettiva di dover lavorare più a lungo. «Più si allunga l’aspettativa di vita, più l’età in cui si va in pensione si allontana e si rischia di lavorare per più anni e non ricevere un assegno cospicuo. Facendo un esempio concreto, un lavoratore della mia generazione, circa 30 anni, se versa contributi da quando ne ha 25, lo stipendio crescerà del 1,5% annuo e il PIL dello 0,3%. Questi potrà verosimilmente andare in pensione con un assegno che sarà circa la metà del suo ultimo stipendio e come età forse anche oltre i 70 anni» spiega Collovati.
Il problema dei “buchi contributivi”
Che le pensioni dei giovani di oggi saranno più basse di quelle di padri e nonni, sembrano esserci pochi dubbi, tanto che qualcuno si è spinto a tradurre in cifre: oggi chi va in pensione prende circa il 60% dell’ultimo stipendio, contro l’80% delle due generazioni precedenti. A ciò va aggiunto il caso dei “buchi contributivi”: per esempio, se ci sono stati uno o più periodi di inattività (e quindi di mancata contribuzione), l’assegno pensionistico potrebbe scendere persino al 40/45%, cioè meno della metà dell’ultima busta paga. «Poiché nel retributivo la pensione si calcola sulla media degli ultimi 10 anni di retribuzione, non incidono anni precedenti in cui il soggetto ha avuto retribuzioni basse, mentre nel contributivo si sommano tutte. Il guaio del contributivo è che si applica a generazioni di lavoratori precari» conferma Servidori.
Quanto pesa l'uscita anticipata dal lavoro
Una situazione analoga si può avere in caso di uscita anticipata dal mondo del lavoro: «Se il lavoratore è costretto a lasciare anticipatamente il lavoro per cessazione attività (cosa non infrequente di questi tempi) la poca contribuzione versata lo costringerà a percepire un assegno ancora più esiguo – prosegue l’esperta – Poi va considerato anche un altro aspetto: i continui blocchi delle rivalutazioni (cioè l’adeguamento al costo della vita che è certamente in aumento) della pensione, che vengono istituiti con una cadenza periodica, come abbiamo visto dalla Legge Monti (2011 in poi): di questo passo porteranno anche a tagli ulteriori della pensione, il cui importo finale rischia di diventare sempre più esiguo» spiega Collovati.
Perché è importante l’integrazione al minimo
Come se non bastasse, i lavoratori più giovani non hanno la cosiddetta “integrazione al minimo”. Significa che se la pensione non arriva a 2,8 volte l’assegno sociale (che oggi è pari è 1.289 euro) chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 non può avere accesso alla pensione anticipata, che oggi è possibile da tre anni prima dell’età pensionabile, quindi a 64 anni invece che attendere i 67. Se la pensione, poi, non arriva a 1,5 volte l’assegno sociale (690 euro), non è possibile neppure usufruire della pensione di vecchiaia: non resterà che attendere di aver raggiunto la quota contributiva necessaria, uscendo dal mercato del lavoro solo 4 anni dopo, il che significa oggi a 71 anni.
Il contributivo è da correggere
«È un meccanismo tale per cui l’Inps, entro alcuni limiti reddituali, riconosce una prestazione economica che varia ogni anno, di solito, a chi percepisce una pensione molto esigua al di sotto del minimo vitale. Ma ne hanno diritto solo coloro che hanno pensioni liquidate con il sistema retributivo o col sistema misto (con prima contribuzione precedente al 1° gennaio 1996) – spiega Collovati – Invece le pensioni liquidate con il sistema contributivo (con prima contribuzione dopo il 31 dicembre 1995) non godono di tale beneficio». «Teniamo presente che in tutti i sistemi è richiesto un minimo, senza il quale non si ha diritto alla pensione a meno che non si prosegua con i versamenti volontari fino a raggiungere quel minimo. Il problema è che il sistema di integrazione non è previsto per il sistema contributivo e questo è un limite che andrebbe corretto» commenta Servidori
Opzione donna che fine farà?
In tutto questo che fine farà Opzione donna? Si continua a parlare di agevolazioni per le lavoratrici, specie se madri, ipotizzando un’uscita dal lavoro anticipata per chi ha avuto figli, ma cosa potrebbe cambiare? «Ad oggi ancora la conferma dell’Opzione donna è in dubbio e qualora venisse prorogata, sarebbero comunque previste alcune modifiche. Fino ad ora con tale regime, possono uscire anticipatamente dal lavoro le lavoratrici dipendenti che al 31.12.20 hanno 58 anni d’età e 35 anni di contribuzione; oppure le lavoratrici autonome a 59 anni e sempre 35 anni di contributi versati. Da quanto sembra - ma ciò, ripeto, dovrà essere confermato e definito con la Legge di Bilancio ’22 - l’idea è quella di alzare la soglia anagrafica sia per le lavoratrici dipendenti, sia per le autonome, rispettivamente a 59 e 60 anni che soddisfino tali requisiti al 31.12.2020» dice l’avvocato Collovati. «I requisiti sono comunque molto elevati per una donna a meno che non sia una dipendente pubblica. Poi la penalizzazione è forte perché il calcolo è interamente sottoposto al regime contributivo. Una possibile azione positiva e sussidiaria potrebbe essere valorizzare con contribuzione aggiuntiva e figurativa il periodo della maternità (due anni), per riconoscere il valore sociale della maternità» conclude Servidori.
Nella buona formazione e lavoro il nostro futuro
Alessandra Servidori * Nella buona formazione e lavoro il nostro futuro
Il lavoro ha subito in questi 2 anni di pandemia dei cambiamenti epocali .Le aziende hanno ripreso ad assumere, con circa 560.0000 offerte nei primi sei mesi del 2021. Ma in quasi un terzo delle ricerche faticano o non riescono a trovare personale qualificato. E per 84.000 figure ad alta specializzazione, 1 caso su 6, non si presentano candidati. Tutte le professioni stanno rapidamente cambiando, a ritmi mai visti prima. La ripresa economica va sostenuta e rafforzata. Il lavoro deve tornare ad essere la priorità attraverso politiche attive che favoriscano la mobilità e la formazione continua. Ora anche per colpevoli inerzie degli uffici per l’impiego naufragati completamente nonostante l’inserimento dei cd navigator con i quali il rapporto complicato con un meccanismo tortuoso dei destinatari del reddito di cittadinanza , non ha consentito di mettere in moto una ricerca virtuosa addirittura si è bloccato ancora prima dell’incontro con l’azienda. Ora e sempre di più le offerte di lavoro sono concentrate sul web. Dal 2015 al marzo 2021 sono stati circa 2 milioni 650.000 le ricerche online su oltre una ventina di portali che aggregano annunci di lavoro in modo continuativo .Una analisi puntuale della Fondazione per la Sussidiarietà conferma ( se ce ne fosse bisogno) il divario geografico nella Penisola. Nel 2020 quasi tre quarti delle posizioni ricercate su Internet riguardavano posti al nord (74%), il 15% nel centro e solo l'11% nel sud e isole.In base all’esame delle aree su cui si focalizzeranno i maggiori investimenti pubblici, anche attraverso i fondi europei, i settori che dovrebbero creare nuovi posti di lavoro nei prossimi anni sono energia; infrastrutture di trasporto e soluzioni di mobilità sostenibile; ambiente; bioeconomia (agricoltura e pesca sostenibile); telecomunicazioni, tecnologie e servizi digitali; ricerca, sviluppo e innovazione; turismo; economia sociale (formazione, assistenza, cultura, sanità).Da troppi anni il mercato del lavoro italiano, a causa di grandi difficoltà nel creare nuova occupazione e per la rigidità del sistema ha perso progressivamente terreno .Ci sono molte cause che concorrono a questo fenomeno strutturale. Da sempre l’Italia è il Paese europeo nel quale risulta più alto il tasso di disallineamento tra competenze delle persone e richieste delle imprese. E di conseguenza tra domanda e offerta di lavoro. Questo perché mancano totalmente gli anelli di congiunzione tra percorsi scolastici, orientamento, formazione professionale, avviamento al lavoro, incontro domanda e offerta. Restano mondi separati e il risultato è che le imprese non trovano personale e soprattutto le professionalità che cercano. O che si finisce per favorire l’irregolarità. L’impatto della crisi sull’occupazione è stato particolarmente grave, nonostante il ricorso massiccio agli ammortizzatori della CIG e il blocco dei licenziamenti Per la ripresa non bastano rimedi parziali. Non basta riformare gli ammortizzatori sociali, come pure è necessario per garantire una rete adeguata di sicurezza a tutti i lavoratori qualunque sia il loro status contrattuale. Occorre un cambio di rotta che affronti le radici della nostra debolezza occupazionale con interventi strutturali che diano effettiva centralità al lavoro e alla sua qualità. Servono misure innovative e organiche di politica economica . In dieci anni, dal 2011 al 2020, in Italia il tasso di occupazione delle persone da 15 a 64 anni è salito di poco, passando dal 56,8% al 58,1% (fonte Eurostat). Nell’Unione Europea è invece cresciuto dal 63,4% al 67,6%. In Germania l’indice è balzato dal 72,7% al record del 76,2% a fine 2020. La Spagna è passata dal 58,0% al 60,9% e la Francia dal 63,9 al 65,3%.Nel 2020 solo 2 lavoratori su 100 hanno cambiato impiego, contro i 3 di Francia e Spagna e i 5 della Danimarca (fonte Eurostat). Fra le maggiori economie europee, a fine 2020 l’Italia conservava il record di Neet, giovani che non studiano e non lavorano: circa il 23,3% (Eurostat). Quasi il doppio rispetto alla media europea (13,7%) e molto superiore a Germania (8,6%), Francia (14,0%) e Spagna (17,3%).La perdita di occupati determinata dalla crisi è stata di oltre 900mila unità poi piano piano abbiamo visto un moderato recupero.L'emergenza sanitaria ha penalizzato di più i settori dei servizi a prevalenza femminile e in prospettiva dalle analisi degli osservatori non mancano segnali positivi: è moderatamente aumentata la quota di imprese che hanno assunto nuovo personale e la modalità dello smart working ora, sotto lente di ingrandimento, segnala che a tutt’oggi la quota di lavoratori in lavoro agile si è assestata intorno al 30%. È peraltro in atto una rivoluzione digitale che investe soprattutto il mondo del lavoro e il Governo ha un duplice compito: garantire infrastrutture digitali che forniscano alle imprese strumenti per essere competitive e favorire l’inclusione sociale, attraverso la creazione di competenze, preziose per le persone e per le aziende, privilegiando nella programmazione dell’uso delle risorse l’istruzione e la formazione. Il Governo deve costruire nuovi strumenti di protezione e di promozione della persona che lavora o cerca lavoro, affidare la regolazione lavoristica alla buona adattività delle relazioni industriali, combattere lo skill mismatch promuovendo la formazione come diritto soggettivo e varando un grande piano sulle competenze digitali. Fondamentale è rendere universali gli ammortizzatori sociali, collegandoli a una rete di politiche attive che tuteli ogni persona durante le transizioni occupazionali non lasciandola mai priva di riqualificazione, sostegno al reddito, orientamento nel sistema produttivo. La sussidiarietà della contrattazione, della bilateralità e delle agenzie del lavoro può dare un contributo formidabile a questo scopo. Ci aspettiamo che il Governo riavvii l’assegno di ricollocazione, potenziando i centri per l’impiego attraverso le agenzie , rilanciando ITS, consolidando apprendistato e alternanza scuola-lavoro, esaltando i Fondi Interprofessionali soprattutto per potenziare la prevenzione e la sicurezza. L’urgenza di sbloccare gli investimenti per creare nuovo lavoro di qualità, stabile e ben contrattualizzato è fondamentale per l’utilizzo delle risorse del PNRR e l’implementazione delle riforme collegate: bisogna lavorare insieme , secondo uno spirito autentico di condivisione di un patto sociale come ha giustamente indicato il Presidente Draghi.
* Componente Consiglio di Indirizzo CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile)del Presidente del Consiglio e del Governo
Invalidi e disabili sempre più lasciati soli
Alessandra Servidori
https://www.ilsussidiario.net/news/jaccuse-per-risparmiare-linps-toglie-lassegno-agli-invalidi-con-un-lavoretto/2239675/
Invalidi e disabili sempre più lasciati soli. Inps in difficoltà finanziarie batte cassa e così ritarda su tutto e cannibalizza là dove si apre un varco. In ritardo con l’assegno unico per la famiglia, in ritardo con le pratiche di richiesta di invalidità di prima istanza e revisione ( sono due milioni giacenti presso Inps) che devo essere espletate da INPS e commissioni ASL; in ritardo sull’assunzione di medici promessi ( sono solo 300 in tutta Italia che dovrebbero fare le visite di controllo per falsi certificati di malattia - che ora aumentano a dismisura per la lotta contro il vaccino-,in ritardo sui controlli di chi percepisce indebitamente il reddito di cittadinanza.In ritardo e confuso l’Istituto come mai prima d’ora. E però si affretta a infierire su chi svolgendo dei lavoretti , e toglie il “sostanzioso assegno” per cui niente assegno di invalidità. Lo dice l’Inps nel messaggio 3495 del 14 ottobre scorso. In altri termini, a partire da quella data l’Istituto di previdenza non erogherà più i 287,09 euro al mese per 13 mesi a chi ha una percentuale di invalidità tra 74 e 99% (dunque invalido non totale) e nel frattempo lavora. Dove per lavoro si intende lavoretto da 400 euro mensili al massimo. Una cifra che consente di stare nel tetto annuo di 4.931 euro, considerato sin qui compatibile con l’assegno di invalidità. Ora non più. Ma cosa è cambiato dal 2008 quando la stessa Inps ammetteva che «l’esiguità del reddito impedisce di ritenere che vi sia attività lavorativa rilevante ». Ovvero: se il lavoro non è stabile e non viene superata la soglia di reddito minimo personale, allora lavoretto e assegno possono convivere. L’'istituto oggi però si adegua cosi alle numerose sentenze della Corte di Cassazione, che sul requisito dell’inattività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, come modificato dall’articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, affermano che "il mancato svolgimento dell’attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio."Dunque l’assegno mensile di assistenza sarà liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario, il cui onere della prova è a suo carico. Una decisione illogica , giuridica e sociale che preclude al disabile disoccupato o inoccupato, ma svolge una piccola attività lavorativa percependo un reddito bassissimo, la possibilità di ricevere una prestazione economica istituita proprio per sostenere la persona disabile che è in cerca di un lavoro stabile e risulta completamente privo di reddito. Si punisce chi svolge attività occasionali, precarie con un reddito inferiore a quello già previsto per la avere diritto all’assegno di invalidità civile. La persona disabile che ha un reddito ad esempio proveniente dalla locazione di un appartamento, e che non raggiunge la soglia di accessibilità al beneficio dell’assegno mensile ha diritto ad ottenerlo. Mentre chi ha un reddito da lavoro, seppur basso, e che non raggiunge il limite previsto dalla legge invece non ne avrà diritto. Inoltre avrà conseguenze negative sulle possibilità dei giovani disabili di intraprendere un percorso di inclusione sociale grazie a brevi occasioni di lavoro. In pratica, a migliaia di ragazzi verrà impedito di svolgere minimi lavoretti. Precari e poco pagati. Lavori che preludono magari ad un’occupazione stabile e compiutamente remunerata. Ciò consentirebbe loro di rinunciare all’assegno di invalidità e di avviare una reale integrazione. Inps appoggiandosi alla giurisprudenza si fa scudo e modifica il contenuto sociale di norme che hanno grande valore per la dignità dei disabili. Un comportamento di discriminazione nei confronti degli invalidi civili, per i quali è necessario impostare azione di tutela contro tale decisione e per l’approvazione di una norma interpretativa che ponga fine ad un comportamento illegittimo.
Figli disabili :dal 1 gennaio 2022 arriva un assegnino
Alessandra Servidori https://formiche.net/2021/10/assegno-mensile-figli-disabili-genitori-disoccupati-monoreddito/
Figli disabili, dal 1 gennaio 2022 in arrivo l’assegno mensile in favore dei genitori disoccupati o monoreddito.
Il Presidente Di Istat Giancarlo Blangiardo in audizione recente ha segnalato che i NUCLEI FAMILIARI DEI CITTADINI DISABILI sono così composti :il 29% delle persone con disabilità vive sola, il 27,4% con il coniuge, il 16,2% con il coniuge e i figli, il 7,4% con i figli e senza coniuge, circa il 9% con uno o entrambi i genitori, il restante 11%circa vive in altre tipologie di nucleo familiare.
Il decreto che attua la misura prevista dalla Legge di Bilancio 2021 - comma 365 dell’Art. 1-LEGGE 30 dicembre 2020, n. 178. Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023.- stabilisce che “alle madri disoccupate o monoreddito facenti parte di nuclei familiari monoparentali con figli a carico aventi una disabilità riconosciuta in misura non inferiore al 60%, è concesso un contributo mensile nella misura massima di 500 euro netti, per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023. A tale fine è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023 che costituisce limite massimo di spesa”.è stato firmato il 15 ottobre dal Ministero del lavoro. Ecco come funziona e quali sono i requisiti per accedere a questa nuova prestazione che attua, dopo quasi un anno, la misura introdotta dalla scorsa Legge di Bilancio.La prestazione, per ora prevista fino al 2023, va da un minimo di 150 euro fino ad un massimo di 500 euro e verrà erogata dall’INPS ogni mese per un anno intero su domanda del genitore. Passati i 12 mesi la richiesta dovrà essere presentata nuovamente per l’anno successivo. Tra le novità contenute nella scorsa manovra c’è il contributo previsto per i genitori disoccupati o monoreddito con figli con disabilità.La misura, rimasta in stand-by fino ad ora, entrerà finalmente in vigore da gennaio dell’anno prossimo, così come disposto dal decreto adottato lo scorso 15 ottobre. Il provvedimento, sebbene non sia ancora in Gazzetta Ufficiale, è allegato al comunicato stampa con cui il Ministero ne ha annunciato la firma. L’assegno mensile sarà riconosciuto sia (*) ai genitori con figli colpiti da una disabilità certificata , che presentano i seguenti requisiti:essere residente in Italia,disporre di un valore ISEE in corso di validità non superiore a 3.000 euro. In caso di figlio minorenne l’indicatore verrà calcolato in base alle regole meno stringenti dell’art. 7 del DPCM n. 150/2013; sia (*) a chi é disoccupato, monoreddito o facente parte di un nucleo familiare monoparentale, e nello specifico:per disoccupato si intende la persona priva di impiego o con un reddito da lavoro inferiore a 8.145 se dipendente o a 4.800 se autonomo;per monoreddito si intende una persona che ricava tutti il suo guadagno solo dall’attività lavorativa, sia pure prestata in favore di più datori di lavoro, o che percepisce un trattamento pensionistico assistenziale. Si prescinde, in ogni caso, dall’eventuale proprietà della casa di abitazione;per nucleo familiare monoparentale si intende una famiglia con un solo genitore. I figli a carico, specifica il decreto, sono i figli che non essendo economicamente indipendenti continuano ad essere di fatto mantenuti dal genitore. Una situazione che, per la legge, si verifica quando ricorrono le seguenti circostanze:il figlio che non ha compiuto 24 anni deve avere un reddito annuo inferiore a 4.000 euro;il figlio che ha un età superiore ai 24 anni deve avere un reddito annuo non superiore a 2.840,51 euro. INPS rilascerà prossimamente la procedura telematica per presentare la domanda e fornirà tutte le istruzioni per la sua compilazione e per il suo inoltro.Il decreto attuativo, però, anticipa alcune indicazioni operative. In particolare, alla richiesta dovrà essere allegata un’autodichiarazione con cui il genitore interessato attesti di essere in possesso di tutti i requisiti richiesti. Qualora però le risorse messe a disposizione per finanziare la misura – 5 milioni di euro all’anno fino al 2023 – risultassero insufficienti per coprire tutte le domande presentate, si darà priorità ai richiedenti con ISEE più basso.
E, ancora, il decreto attuativo dispone, a parità di reddito ISEE, la seguente “graduatoria di priorità” nel caso i fondi non possano coprire tutte le domande: le prime ad essere favorite saranno le famiglie con minori non autosufficienti;le seconde saranno le famiglie con figli con disabilità grave;le ultime le famiglie con figli con disabilità di grado medio.Una volta ottenuto il riconoscimento, l’assegno verrà erogato dall’INPS ogni mese per un importo pari a 150 euro.
Qualora i figli disabili siano due o più di due, il valore della prestazione sarà rispettivamente di 300 e 500 euro mensili. Il diritto al contributo si perde qualora vengano meno sia i requisiti sopra elencati (disoccupazione, monogenitorialità etc…) sia per le cause seguenti: decesso del figlio;affidamento del figlio a terzi;decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale. Il genitore dovrà comunicare immediatamente il sopraggiungere di questi eventi e la prestazione verrà interrotta dal mese successivo alla comunicazione. Se all’esito di controlli l’Istituto riscontrerà irregolarità in tal senso, l’erogazione del contributo verrà interrotta e dovranno essere restituite tutte le quote indebitamente ricevute. Infine, in caso di ricovero del figlio, il genitore dovrà ugualmente darne comunicazione a INPS che sospenderà l’assegno per tutto il periodo corrispondente al ricovero. Per consultare il decreto www.lavoro.gov.it - www.inps.it
Previsioni Confindustria ? bene ma non mollare
Alessandra Servidori start mag
https://www.startmag.it/economia/perche-non-va-cestinato-del-tutto-il-lavoro-da-remoto/
Di fronte al rapporto sulle previsioni economiche di Confindustria* presentato la settimana scorsa, le riflessioni si affastellano incessantemente,perché le manifestazioni di questi giorni contro( o pretestuosamente ) il green pass sono anacronistiche e fuori da ogni logica di buonsenso. Reputo fondamentale iniziare dalle scuole medie inserire nei moduli didattici anche l’educazione finanziaria ed economica per crescere una generazione di cittadine e cittadini consapevoli di cosa significa, studiando, la situazione economica e politica del nostro paese. Il tifone Sars alita ancora tenace dopo due anni di marosi incessanti , ma anche se faticosamente le istituzioni hanno retto, le imprese hanno avuto la forza di ripartire, le famiglie sono sopravvissute e ora i ciarlatani vogliono compromettere lo stato di diritto,la ripresa economica,la pace sociale con questa idiozia della “dittatura sanitaria”. Draghi e il suo governo tengono la posizione per la tutela di quella stragrande maggioranza di cittadini che si è vaccinata, pagando consapevolmente il rallentamento e spesso il blocco di diverse attività e degli approvvigionamenti proprio mentre la nostra economia rialza la testa e ci sono le risorse europee da spendere. Oggi ratifichiamo che addirittura che il progressivo allontanamento della cittadinanza con l’astensione dal voto sia nel primo turno che peggiorato nel secondo, dalla politica e dalle istituzioni logora irrimediabilmente le forme di autorità, rappresentanza, sapere, competenza. Le rappresaglie terroristiche e disfattiste le contromanifestazioni mascherate dalla lotta di classe o da stampella elettorale , danneggiano gravemente il nostro paese che non poco faticosamente tenta di riprendere per i capelli lo sviluppo necessario. La risalita del PIL italiano è più forte delle attese: Confindustria nel rapporto presentato prevede un +6,1% nel 2021, 2 punti in più rispetto alle stime di aprile, seguito da un ulteriore +4,1% nel 2022. Questa robusta ripartenza del PIL, pari a oltre +10% nel biennio, dopo il quasi -9% del 2020, riporterebbe la nostra economia sopra i livelli pre-crisi nella prima metà del 2022, in anticipo rispetto alle attese iniziali.
Ma sebbene il recupero stia procedendo più spedito che altrove, il gap rispetto al pre-pandemia è, al momento, ancora più ampio di quello degli altri principali partner perché la caduta del 2020 in Italia è stata maggiore. E allora applicare e subito un metodo di analisi che è necessario adottare per poter programmare una resilienza e un rilancio maggiormente tenace e ci offrirebbe l’occasione così di impostare le priorità delle politiche attive territoriali. Bene la legge sulla parità salariale e retributiva che viaggia spedita in parlamento anche se in un paese moderno pare ancora anacronistico dovere difendere gli uguali diritti delle lavoratrici e lavoratori con una massa di norme a partire dalla Costituzione che ne prevedono già il rispetto. E ancora più anacronistico dover impiegare risorse per una certificazione di parità di genere da misurare ed eventualmente addirittura premiare per le aziende cd virtuose . Ma è fondamentale e subito non solo monitorare ma misurare rigorosamente a livello nazionale le dinamiche retributive, sistemi di incentivazione, politiche di inserimento dei neolaureati, indicatori dei premi variabili collettivi, diffusione delle misure di welfare aziendale, le differenze nelle strategie adottate riconducibili alle caratteristiche dell’impresa (dimensione e settore) più che alla sua localizzazione geografica. Viceversa, la specificità territoriale influisce su due aspetti: il ricorso al lavoro da remoto (le differenze possono essere molto accentuate, ad esempio, tra aziende localizzate in aree metropolitane piuttosto che in aree isolate di piccole province) e i livelli retributivi per profilo professionale (la concentrazione di determinate lavorazioni in un’area circoscritta può alimentare politiche di attraction per determinate figure e surriscaldare stipendi e salari). Su questi due ambiti, quindi, registarre i risultati relativi al territorio , diventa uno strumento di politiche attive formidabile. Bisogna far emergere novità di rilievo: la prima è una diretta conseguenza della situazione eccezionale creata dall’emergenza, che ovviamente ha influito su orari e assenze dal lavoro. Perchè le circostanze uniche (misure di chiusura molto differenziate per settore e territorio, eccezionale ricorso agli ammortizzatori sociali, ecc.) hanno necessariamente complicato informazioni senza realistiche possibilità di confronto tanto con il passato quanto, in prospettiva, con il futuro. E l’approfondimento sul ricorso allo smart working (una modalità organizzativa che le straordinarie circostanze che si sono venute a creare hanno posto al centro del dibattito) da un punto di vista che solo l’indagine retributiva, raccogliendo informazioni individuali, rende possibile, cipone una domanda a cui dare subito una risposta: quali mansioni si prestano maggiormente ad essere svolte da remoto? E l’altra grande e importante questione è quella della diversity e inclusione, di crescente attualità e della quale dobbiamo aver compiuta governance della diffusione tra le imprese e ovviamente dedicare molta attenzione e modalità organizzative adeguate da applicare. Infine dobbiamo cominciare ad essere autonomi e non dipendere solo dagli studi e organismi esteri per informazioni di confronto internazionale, a supporto soprattutto delle aziende che presentano un elevato grado di apertura internazionale e devono disporre di informazioni sia sul mercato del lavoro locale che su quello di altri Paesi.
*https://www.confindustria.it/home/centro-studi/temi-di-ricerca/congiuntura-e-previsioni/tutti/dettaglio/rapporto-previsione-economia-italiana-autunno-2021?__cf_chl_jschl_tk__=pm
Rapporto Education at a Glance 2021 OECD : in sintesi la situazione Italiana
Alessandra Servidori https://www.ildiariodellavoro.it/rapporto-education-at-a-glance-2021-oecd-la-situazione-italiana/
Rapporto Education at a Glance 2021 OECD : in sintesi la situazione Italiana. OECD Organizzazione per la cooperazione allo sviluppo economico ha redatto un Rapporto dettagliato sulla situazione educativa dei paesi e per l’Italia le indicazioni e i dati riflettono luci e ombre. ITALY- COUNTRY NOTE © OECD 2021. I punti analizzati.
Il nostro paese è impegnato per garantire pari opportunità per gli studenti provenienti da diversi contesti socioeconomici • Lo status socioeconomico può incidere in maniera significativa sulla partecipazione degli studenti all'istruzione, in particolare a quei livelli che, in molti Paesi, dipendono maggiormente dalla spesa privata, quali l'istruzione e la cura della prima infanzia e l'istruzione universitaria. In Italia, le fonti private hanno rappresentato il 19 % della spesa totale negli istituti scolastici della prima infanzia, il che costituisce una percentuale leggermente superiore alla media OCSE pari al 17 %. A livello di istruzione terziaria, in Italia il 36 % della spesa proviene da fonti private rispetto al 30 % in media nei Paesi dell'OCSE. • Le tasse universitarie degli istituti pubblici italiani per un corso di laurea sono nella media rispetto a tutti i Paesi con dati disponibili. Le tasse universitarie applicate per l’anno 2019-2020 agli studenti autoctoni ammontano a 2 013 USD all'anno per un corso di laurea, il che equivale al 29 % in più rispetto alla tassa universitaria media del periodo 2009-2010. • I trasferimenti finanziari dal settore pubblico a quello privato e il sostegno finanziario pubblico diretto agli studenti possono alleggerire l'onere finanziario dell'istruzione. In Italia, il 38 % degli studenti universitari autoctoni ha beneficiato di un sostegno finanziario sotto forma di contributi pubblici, borse di studio e prestiti agli studenti. Nel 2018 i trasferimenti da pubblico a privato hanno rappresentato il 12 % della spesa complessiva per gli istituti universitari, un dato superiore alla media OCSE pari all'8 %. I trasferimenti pubblico-privato sono generalmente meno frequenti nella scuola dell'infanzia e rappresentano in media lo 0,6 % della spesa totale in tutta l’area OCSE. In Italia, tuttavia, non si registrano trasferimenti pubblico-privato a questo livello. • Nella maggior parte dei Paesi dell'OCSE, lo status socioeconomico influenza i risultati dell'apprendimento più del genere e dello status di immigrati. In Italia la quota di minori posizionati nell'ultimo quartile dell'indice PISA2 in termini di status economico, sociale e culturale (ESCS) che hanno raggiunto almeno un livello PISA di competenza in lettura nel 2018 era inferiore del 28 % rispetto alla percentuale osservata tra gli studenti che si posizionano nel quartile più elevato dell'indice ESCS, il che corrisponde a una quota più ristretta rispetto alla media OCSE del 29 %. • La mobilità internazionale degli studenti universitari è aumentata costantemente raggiungendo circa 54.900 studenti in Italia, pari al 3 % degli studenti universitari nel 2019. La quota maggiore di studenti universitari internazionali presenti in Italia arriva dalla Cina. Gli studenti provenienti da Paesi a basso e medio-basso reddito sono generalmente meno propensi a studiare all'estero. Nel 2019 hanno rappresentato il 29 % degli studenti internazionali nei Paesi dell'OCSE, rispetto al 20 % registrato per l'Italia. • Grandi differenze nel livello di istruzione possono portare a disparità retributive più consistenti in molti Paesi. In Italia, nel 2017, il 29 % degli adulti di età compresa tra i 25 e i 64 anni con un livello di istruzione secondaria di primo grado o inferiore ha guadagnato al massimo la metà della retribuzione mediana, collocandosi al di sopra della media OCSE del 27 %.
Disuguaglianze di genere nell'istruzione e risultati • In Italia, nei percorsi di istruzione e formazione iniziale l'1,9 % degli studenti della scuola secondaria di primo grado e il 3,3 % degli studenti nella scuola superiore hanno ripetuto un anno nel 2019, rispetto all'1,9 % e al 3 % della media dei Paesi dell'OCSE. I ragazzi hanno più probabilità di ripetere un anno nei percorsi di istruzione e formazione iniziale della scuola secondaria rispetto alle ragazze. In Italia, il 65 % dei ripetenti nella scuola secondaria di primo grado è costituito da ragazzi, il che rappresenta una quota superiore rispetto alla media OCSE, pari al 61 %. A livello di istruzione secondaria, la percentuale di ragazzi ripetenti in Italia scende al 48 % rispetto al 57 % in media nei Paesi dell'OCSE. • Nella maggior parte dei Paesi dell'OCSE la probabilità che gli uomini perseguano un percorso tecnico-professionale a livello secondario superiore è più alta rispetto alle donne. Ciò vale anche in Italia, dove il 61 % dei diplomati di istituti tecnico-professionali di secondo grado nel 2019 era composto da uomini (rispetto alla media OCSE del 55 %). È più probabile che le donne completino cicli di istruzione secondaria superiore di indirizzo liceale. Ciò accade anche in Italia, dove le donne rappresentano il 62 % dei diplomati di corsi di studio a indirizzo liceale di istruzione secondaria superiore, rispetto al 55 % della media OCSE . • Negli ultimi decenni l'istruzione terziaria si è maggiormente diffusa e, nel 2020, le donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni erano più propense degli uomini a conseguire un titolo di studi terziario in tutti i Paesi dell'OCSE. In Italia, nel 2020, il 35 % delle donne appartenenti alla suddetta fascia di età aveva una qualifica di istruzione terziaria rispetto al 23 % dei loro coetanei uomini, mentre in media nei Paesi dell'OCSE le percentuali erano del 52 % tra le giovani donne e del 39 % tra gli uomini della stessa età. • Le differenze di genere nella distribuzione dei nuovi immatricolati a corsi di istruzione terziaria nelle varie discipline di studio sono significative. Nella maggior parte dei Paesi dell'OCSE le donne tendono ad essere sottorappresentate in alcuni settori della scienza, della tecnologia, dell'ingegneria e della matematica (STEM). In media, nel 2019, il 26 % dei nuovi iscritti a corsi di laurea in ingegneria o attinenti all’ambito della produzione e dell'edilizia e il 20 % dei nuovi iscritti a corsi di laurea in tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) erano donne. In Italia, le donne hanno rappresentato il 27 % dei nuovi immatricolati a corsi di ingegneria o attinenti alla produzione e all'edilizia, e il 14 % dei nuovi immatricolati a corsi attinenti alle TIC. Al contrario, esse hanno costituito il 92 % dei nuovi immatricolati a corsi di studi abilitanti all'insegnamento, un settore in cui prevalgono tradizionalmente le donne. In Italia, gli uomini rappresentano il 23 % degli insegnanti di tutti i livelli di istruzione, rispetto alla media OCSE pari al 30 %. • Le giovani donne hanno meno probabilità di trovare un impiego rispetto ai loro coetanei uomini, in particolare quando sono in possesso di un titolo di istruzione di livello inferiore. In Italia, solo il 30 % delle donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni con un diploma di istruzione secondaria di primo grado ha trovato un impiego nel 2020 rispetto al 64 % degli uomini. Questa differenza di genere è superiore alla media dell’area OCSE, dove il 43 % delle donne e il 69 % degli uomini con un livello di istruzione secondaria di primo grado ha un lavoro. • In quasi tutti i Paesi dell'OCSE e a tutti i livelli di istruzione, le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni guadagnano meno dei loro coetanei uomini: il loro reddito corrisponde in media al 76-78 % del reddito degli uomini nei Paesi dell'OCSE. Tale percentuale varia maggiormente all'interno degli stessi Paesi a seconda dei livelli di istruzione conseguiti piuttosto che rispetto alla media OCSE. Rispetto ad altri livelli di istruzione, le donne con un'istruzione terziaria in Italia percepiscono un reddito più basso rispetto agli uomini con un livello di istruzione analogo, con una retribuzione pari al 71 % di quella degli uomini, mentre per le donne con un'istruzione secondaria di secondo grado o post-secondaria non terziaria tale percentuale è pari al 79 %. • In media nei Paesi dell'OCSE con dati disponibili, le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni tendono a partecipare maggiormente a corsi di formazione per adulti rispetto agli uomini della stessa età. In Italia, nel 2016, il 39 % delle donne ha preso parte a corsi di apprendimento e formazione formali e informali, rispetto al 44 % degli uomini. Il 52 % delle donne ha dichiarato che le incombenze familiari costituiscono un ostacolo alla loro partecipazione a corsi di istruzione e formazione formali e/o informali rispetto al 33 % degli uomini.
Istruzione e contesto migratorio • Nell'OCSE, in media, gli adulti nati all'estero (di età compresa tra i 25 e i 64 anni) rappresentano il 22 % di tutti gli adulti con un livello di istruzione inferiore a quello secondario, il 14 % di quelli con un'istruzione secondaria superiore o post-secondaria non terziaria e il 18 % degli adulti con istruzione terziaria. In Italia, come nella maggior parte dei Paesi dell'OCSE, nel 2020 la percentuale di adulti nati all'estero rispetto al totale degli adulti con un determinato livello di istruzione è risultata la più alta tra gli adulti senza un’istruzione secondaria superiore (19 %). • Gli adulti nati all'estero incontrano maggiori difficoltà a trovare un lavoro rispetto ai loro coetanei autoctoni, in quanto affrontano varie sfide, quali le discrepanze nel riconoscimento delle qualifiche e delle competenze, e la lingua. Pertanto, è probabile che i lavoratori nati all'estero abbiano un salario di riserva inferiore (vale a dire il tasso di retribuzione più basso al quale un lavoratore sarebbe disposto ad accettare un particolare tipo di lavoro). In molti Paesi dunque il tasso di occupazione degli adulti nati all'estero con un’istruzione secondaria di secondo grado è superiore al tasso corrispondente dei loro coetanei autoctoni. In media, nei Paesi dell'OCSE, tra gli adulti che non hanno conseguito un livello di istruzione secondaria superiore, il 57 % degli autoctoni ha un impiego rispetto al 61 % degli adulti nati all'estero. In Italia, nel 2020, il tasso di occupazione degli adulti nati all'estero senza un livello di istruzione secondaria superiore era del 59 %, un dato superiore rispetto a quello dei loro coetanei autoctoni (50 %). • La probabilità di essere occupati aumenta con il livello di istruzione, ma gli adulti nati all'estero con un livello di istruzione terziaria hanno generalmente prospettive occupazionali inferiori rispetto ai loro coetanei autoctoni. In media, nei Paesi dell'OCSE, l'86 % degli adulti autoctoni con un'istruzione terziaria ha un impiego rispetto al 79 % degli adulti nati all'estero con il medesimo livello di istruzione. In Italia, tra gli adulti con istruzione terziaria, l'82 % degli autoctoni e il 66 % degli adulti nati all'estero hanno un'occupazione. Gli adulti nati all'estero che sono arrivati nel Paese in giovane età hanno trascorso alcuni anni nel sistema di istruzione del Paese ospitante e hanno ottenuto qualifiche riconosciute a livello nazionale. Essi, pertanto, conseguono generalmente risultati migliori sul mercato del lavoro rispetto a coloro che hanno raggiunto il Paese ospitante in età più adulta con una qualifica estera. In Italia, tra gli adulti nati all'estero con un diploma terziario, il 72 % di coloro che sono arrivati entro i 15 anni di età ha un impiego rispetto al 65 % di quelli giunti nel Paese oltre l'età di 16 anni. • I giovani adulti nati all’estero (di età compresa tra i 15 e i 29 anni) hanno anche maggiori probabilità di essere disoccupati e di non seguire un percorso scolastico o una formazione (NEET) rispetto ai loro coetanei autoctoni. In media, nei Paesi dell'OCSE, il 18,8 % degli adulti nati all'estero e il 13,7 % degli adulti autoctoni sono NEET. In Italia la differenza è di 13 punti percentuali (35,2 % rispetto al 22 %). L'arrivo anticipato nel Paese ospitante è generalmente associato a un minor rischio di diventare NEET. In Italia, la percentuale di NEET tra i giovani adulti nati all'estero e arrivati nel Paese entro i 15 anni di età è del 27 %, mentre la percentuale di NEET tra coloro che sono arrivati all'età di 16 o più tardi è del 49 %. • In molti Paesi dell'OCSE, gli adulti nati all'estero guadagnano meno rispetto agli adulti autoctoni. Questo divario retributivo può ridursi con livelli di istruzione più elevati. In media, nei Paesi dell'OCSE, gli adulti nati all'estero senza un’istruzione secondaria superiore e che lavorano a tempo pieno guadagnano l'89 % dei loro coetanei autoctoni; tale divario scompare tra gli adulti con istruzione terziaria. In Italia, nel 2017, tra gli adulti senza un diploma di istruzione secondaria superiore, i redditi dei lavoratori a tempo pieno nati all'estero erano pari all'80 % di quelli dei loro coetanei autoctoni. Tale percentuale scende al 78 % per gli adulti con un diploma di istruzione secondaria superiore o post-secondaria non terziaria e al 79 % per coloro che hanno un diploma di istruzione terziaria. Istruzione e disparità tra le regioni • I dati a livello nazionale spesso nascondono importanti disuguaglianze a livello regionale per quanto riguarda l'accesso dei minori all'istruzione e la loro partecipazione ai programmi didattici. In generale, le disuguaglianze tra le regioni tendono ad ampliarsi nei livelli di istruzione non obbligatoria. Ad esempio, nella maggior parte dei Paesi, la variazione del tasso di iscrizione dei bambini di 3-5 anni è spesso maggiore della variazione tra i bambini di 6-14 anni. È il caso dell'Italia, dove il tasso di iscrizione dei bambini di 3-5 anni varia dall'89 % nella regione Lazio al 100 % in Basilicata, mentre l'iscrizione dei bambini di età compresa tra 6 e 14 anni varia dal 97 % al 100 % in tutte le regioni. Analogamente, in Italia il tasso di iscrizione dei giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni varia dal 79 % al 94 %. • Il conseguimento di un titolo di istruzione terziaria può variare in modo significativo all'interno di uno stesso Paese. In Italia, la percentuale di adulti di età compresa tra i 25 e i 64 anni con un livello di istruzione terziaria varia dal 15 % nella regione Sicilia al 27 % nel Lazio, il che corrisponde a una delle variazioni regionali più basse tra i Paesi dell'OCSE con dati disponibili. • In media, nei Paesi dell'OCSE e nei Paesi partner per cui sono disponibili dati subnazionali sullo status della forza lavoro, si osservano maggiori variazioni a livello regionale dei tassi di occupazione tra coloro senza un livello di istruzione secondaria superiore (17 punti percentuali) e coloro che hanno un livello di istruzione terziaria (8 punti percentuali). In Italia, vi è una differenza di 36 punti percentuali nel tasso di occupazione degli adulti senza un'istruzione secondaria superiore tra le diverse regioni del Paese, rispetto ai 19 punti percentuali per gli adulti con istruzione terziaria. • La percentuale di giovani NEET mostra notevoli differenze subnazionali e nazionali tra l'OCSE e i Paesi partner. In Italia, la differenza nella percentuale di NEET di età compresa tra i 18 e i 24 anni tra le regioni con il valore più elevato e quelle con il valore più basso è di 28 punti percentuali, contro gli 11 punti percentuali in media dei Paesi dell'OCSE. COVID-19: 18 mesi di pandemia • Nel 2021 la diffusione del COVID-19 ha continuato a impedire l'accesso all'istruzione in presenza in molti Paesi del mondo. A metà maggio dello stesso anno, 37 Paesi dell'OCSE e Paesi partner, avevano vissuto periodi di totale chiusura delle scuole dall’inizio del 2020. • I Paesi hanno affrontato decisioni difficili sul modo di gestire al meglio le loro risorse per garantire che gli studenti possano continuare ad accedere a un'istruzione di qualità nelle condizioni più sicure possibili e ridurre al minimo le interruzioni dell'apprendimento. Prima della pandemia, nel 2018, la spesa pubblica totale per l'istruzione primaria, secondaria e post-secondaria non terziaria in Italia aveva raggiunto il 3 % del prodotto interno lordo (PIL), che corrisponde a una percentuale inferiore alla media OCSE pari al 3,2 %. Circa due terzi dei Paesi dell'OCSE e dei Paesi partner hanno segnalato aumenti dei finanziamenti destinati alle scuole primarie e secondarie per aiutarle a far fronte alla crisi nel 2020. Rispetto all'anno precedente, per gli esercizi finanziari 2020 e 2021 ,l'Italia ha registrato un aumento di bilancio a favore dell'istruzione primaria e secondaria di primo grado. • Venti Paesi dell'OCSE e Paesi partner, tra cui l'Italia, hanno dichiarato che l'assegnazione di fondi pubblici aggiuntivi a sostegno della risposta dell'istruzione alla pandemia nelle scuole primarie e secondarie si è basata sul numero di studenti o classi. Al contempo, 16 Paesi tra cui anche l’Italia hanno destinato fondi aggiuntivi per agli studenti svantaggiati da un punto di vista economico e sociale al fine di garantire che le risorse fossero destinate a coloro che ne avevano più bisogno. • L'impatto della pandemia sull'economia ha sollevato preoccupazioni circa le prospettive dei giovani adulti, specialmente di coloro che hanno lasciato l'istruzione prima di altri. In Italia, il tasso di disoccupazione tra i 25-34enni con un titolo di studio inferiore alla scuola secondaria superiore era pari al 20,3 % nel 2020, con un calo di 1 punto percentuale rispetto all'anno precedente. In confronto, il tasso medio di disoccupazione giovanile del 15,1 % registrato nel 2020 nei Paesi dell'OCSE ha rappresentato un aumento di 2 punti percentuali rispetto al 2019). • Al contempo, il numero di adulti che partecipano all'istruzione e alla formazione formale e/o informale è diminuito in media del 27 % nella zona OCSE tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 (vale a dire durante il picco della prima ondata di COVID-19 in molti Paesi dell'OCSE). In Italia la partecipazione degli adulti all'istruzione e alla formazione formale e/o informale nello stesso periodo è diminuita del 19 % • Nonostante l'impatto della crisi sull'occupazione, durante il primo anno della pandemia da COVID19 la quota di NEET tra i 18 e i 24 anni non è aumentata considerevolmente nella maggior parte dei Paesi dell'OCSE e dei Paesi partner. In media, la quota di NEET di età compresa tra 18 e 24 anni nei Paesi dell'OCSE è passata dal 14,4 % nel 2019 al 16,1 % nel 2020. In Italia, la quota di NEET appartenenti alla stessa fascia d'età era del 24,2 % nel 2019 ed è aumentata al 25,5 % nel 2020. Investire nell’istruzione • La spesa annuale per studente destinata agli istituti di istruzione è indice di quanto un Paese investe su ciascun discente. Al netto dei trasferimenti da pubblico a privato, la spesa pubblica per gli istituti di istruzione da primaria a terziaria per studente a tempo pieno in Italia è stata pari a 9 722 USD nel 2018 (in USD equivalenti convertiti utilizzando le PPA per il PIL) rispetto ai 10 000 USD in media nei Paesi dell'OCSE. • La spesa per i servizi dell'istruzione di base quali la didattica e l'insegnamento costituiscono la quota principale della spesa per l'istruzione. Tuttavia, anche i servizi ausiliari (quali quelli relativi al benessere degli studenti) e le attività di ricerca e sviluppo (R&S) incidono sul livello di spesa per studente. In Italia, in tutti i livelli di istruzione, dalla primaria al livello terziario, il 90 % della spesa degli istituti per studente è destinato ai servizi didattici di base (rispetto all'89 % in media nei Paesi dell'OCSE). Tale quota è generalmente più bassa a livello di istruzione terziaria in ragione della spesa per la ricerca e lo sviluppo. Ciò vale anche per l'Italia, dove il 62 % della spesa totale è destinato ai servizi dell'istruzione di base. • L'offerta formativa degli istituti pubblici e di quelli privati influenza l'attribuzione delle risorse tra i vari livelli di istruzione e i tipi di istituti. Nel 2018, l'Italia ha speso 11202 USD per studente nell'istruzione primaria, secondaria e post-secondaria non terziaria, 748 USD in più rispetto alla media OCSE di 10454 USD. A livello di istruzione terziaria, l'Italia ha investito 12 305 USD per studente, ossia 4 760 USD in meno rispetto alla media OCSE. La spesa per studente negli istituti pubblici è superiore a quella degli istituti privati in media nei Paesi dell'OCSE. Questo è anche il caso dell'Italia, dove la spesa totale per gli istituti pubblici dell'istruzione dalla primaria al livello terziario ammonta a 11 730 USD per studente, rispetto agli 8 058 USD degli istituti privati. • Tra il 2012 e il 2018, la spesa per studente per l'istruzione da primaria a terziaria è aumentata a un tasso medio annuo dell'1,6 % nei Paesi dell'OCSE. In Italia, la spesa per gli istituti di istruzione è cresciuta ad un tasso medio annuo dell'1,3 %, mentre il numero di studenti è diminuito in media dello 0,1% all'anno nello stesso periodo. Ciò ha generato un tasso di crescita medio annuo dell'1,4 % nella spesa per studente per il periodo preso in esame. • L'Italia si è collocata tra i dieci Paesi dell'OCSE ad aver speso la percentuale più bassa del PIL per gli istituti di istruzione da primaria a terziaria. Nel 2018 ha speso il 4,1 % del PIL per gli istituti di istruzione da primaria a terziaria, cifra pari a 0,8 punti percentuali in meno rispetto alla media OCSE. Tra i vari livelli di istruzione, l'Italia ha destinato una quota inferiore del PIL rispetto alla media OCSE a livello sia terziario che non terziario • In Italia, la quota della spesa in conto capitale sulla spesa totale per gli istituti di istruzione è inferiore alla media OCSE ai livelli da primario a terziario. A livello primario, secondario e postsecondario non terziario, la quota in conto capitale rappresenta l'1 % della spesa totale per gli istituti di istruzione, pari a 7 punti percentuali sotto la media OCSE (8 %). A livello terziario, tale quota rappresenta il 9 %, cifra leggermente inferiore alla media dei Paesi OCSE pari all'11 %. • La retribuzione dei docenti e del personale non docente impiegato negli istituti di istruzione rappresenta la quota maggiore della spesa corrente per l'istruzione, da quella primaria a quella terziaria. Nel 2018, l'Italia ha destinato il 72 % della sua spesa corrente alla retribuzione del personale, rispetto al 74 % in media tra i Paesi dell'OCSE. La retribuzione del personale tende a costituire una quota minore della spesa corrente degli istituti terziari in ragione dei costi più elevati delle strutture e delle attrezzature. In Italia la retribuzione del personale costituisce il 52 % della spesa corrente degli istituti terziari, rispetto al 77 % dei livelli non terziari. In media nei Paesi dell'OCSE, la quota è del 68 % a livello terziario e del 77 % a livello non terziario. L'istruzione primaria, secondaria e post-secondaria non terziaria comprende i programmi di studio di livello pre-primario. I Paesi sono classificati in ordine decrescente rispetto alla spesa complessiva destinata agli istituti di istruzione in percentuale del PIL. Condizioni di lavoro dei docenti • Gli stipendi del personale scolastico, e in particolare dei docenti e dei dirigenti scolastici, rappresentano la principale voce di spesa dell'istruzione formale. I loro livelli salariali influiscono sull'attrattiva della professione di insegnante. Nella maggior parte dei Paesi e delle economie dell'OCSE, gli stipendi tabellari degli insegnanti (e dei dirigenti scolastici) negli istituti pubblici aumentano proporzionalmente al grado di istruzione in cui insegnano, nonché in funzione degli anni di esperienza. In media, nel 2020, gli stipendi tabellari dei docenti con qualifiche al vertice della scala salariale di appartenenza (stipendi massimi) erano tra l'86 % e il 91 % più alti di quelli dei docenti con qualifiche minime all'inizio della loro carriera (stipendi minimi) ai livelli di scuola dell’infanzia (ISCED 02), primaria e secondaria di primo e secondo grado a indirizzo generale. In Italia, gli stipendi massimi erano tra il 46 % e il 55 % più alti degli stipendi minimi ad ogni livello di istruzione (Figura 4). Tuttavia, la maggior parte degli insegnanti percepisce una remunerazione compresa tra detti minimi e massimi salariali. • Tra il 2005 e il 2020, nei Paesi dell'OCSE con dati disponibili per tutti gli anni del periodo di riferimento, gli stipendi tabellari degli insegnanti con 15 anni di esperienza e con le qualifiche più diffuse sono aumentati (a prezzi costanti) dal 2 % al 3 % ai livelli di istruzione primaria e secondaria di primo e secondo grado a indirizzo generale, nonostante un calo degli stipendi seguito alla crisi finanziaria del 2008. In Italia, gli stipendi degli insegnanti a questi livelli sono diminuiti del 5 %. • Gli stipendi effettivi dei docenti si compongono dei loro salari tabellari e dei pagamenti aggiuntivi legati al loro lavoro. Gli stipendi effettivi medi dipendono altresì dalle caratteristiche del corpo docenti, quali l'età, il livello di esperienza e di qualifica. In Italia, gli stipendi medi effettivi degli insegnanti (dopo la conversione in USD utilizzando le PPA per il consumo privato) ammontano a 38 978 USD al livello di scuola dell’infanzia e primaria, a 41 800 USD per la scuola secondaria di primo grado a indirizzo generale, e a 44 464 USD al livello di secondaria di secondo grado a indirizzo generale. Nei Paesi dell'OCSE gli stipendi effettivi medi degli insegnanti sono stati registrati pari a 40 707 USD, 45 687 USD, 47 988 USD e 51 749 USD rispettivamente a livello infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado . • Detti stipendi rimangono inferiori a quelli dei lavoratori con istruzione terziaria in quasi tutti i Paesi e a quasi tutti i livelli di istruzione. Nei Paesi e nelle economie dell'OCSE gli stipendi medi effettivi degli insegnanti ai livelli di istruzione dell’infanzia , primaria e secondaria a indirizzo generale sono compresi tra l'81 % e il 96 % delle retribuzioni dei lavoratori con istruzione terziaria. In Italia, la proporzione varia dal 66 % al 76 % per i livelli di istruzione dell’infanzia, primaria e secondaria a indirizzo generale. • Tuttavia, si rilevano differenze significative tra uomini e donne nei salari dei docenti a causa del divario di genere nelle retribuzioni sul mercato del lavoro (gli stipendi tabellari sono uguali per i docenti di sesso maschile e femminile negli istituti scolastici pubblici). Nel confrontare gli stipendi medi effettivi degli insegnanti con quelli dei lavoratori con istruzione terziaria, si rileva che tali stipendi relativi sono solitamente più alti per le donne e più bassi per gli uomini. In Italia, la percentuale varia dall'80 % al 92 % per le donne (dal 98% al 110% in media nei Paesi e nelle economie dell'OCSE), e dal 56 % al 64 % per gli uomini (dal 76 % all'85 % in media nei Paesi e nelle economie dell'OCSE) nell'istruzione primaria e secondaria a indirizzo generale. • Il numero medio di ore di insegnamento all'anno richieste a un insegnante degli istituti pubblici nei Paesi dell'OCSE tende a diminuire con l'aumentare del livello di istruzione: nel 2020 varia da 989 ore per l’infanzia , a 791 ore a livello di scuola primaria, 723 ore al livello di secondaria di primo grado (programmi a indirizzo generale) e 685 ore a livello di secondaria di secondo grado (programmi a indirizzo generale). In Italia, i docenti insegnano 918 ore all'anno a livello infanzia, 746 ore a livello di scuola primaria, 610 ore a livello di scuola secondaria di primo grado (programmi a indirizzo generale) e 610 ore a livello di scuola secondaria di secondo grado (programmi a indirizzo liceale). • Nell'istruzione primaria e secondaria, circa il 35 % degli insegnanti ha almeno 50 anni in media nei Paesi dell'OCSE e potrebbe raggiungere l'età pensionabile nel prossimo decennio. Il numero della popolazione in età scolastica, invece, è destinato ad aumentare in alcuni Paesi, il che fa emergere la necessità impellente per molti governi di assumere nuovi insegnanti e formarli. Nel 2019, il 58 % degli insegnanti della scuola primaria in Italia aveva almeno 50 anni, una percentuale superiore alla media OCSE pari al 33 %. In media in tutti i Paesi dell'OCSE, la percentuale di insegnanti con almeno 50 anni di età aumenta con l'aumentare dei livelli di istruzione in cui essi esercitano l'insegnamento, fino al 36% nell'istruzione secondaria di primo grado e al 40% nell'istruzione secondaria di secondo grado. In Italia questa percentuale varia dal 53 % al livello di secondaria di primo grado al 62% al livello di secondaria di secondo grado. Stipendi medi effettivi dei docenti della scuola secondaria inferiore rispetto agli stipendi tabellari di partenza e massimi (2020) Stipendi annui tabellari degli insegnati degli istituti pubblici, in USD equivalenti convertiti utilizzando le PPA. Gli stipendi reali comprendono i bonus e le indennità e gli straordinari. Il Rapporto fornisce dettagliatamente tutti i dati comparati di Lussemburgo Germania Svizzera Danimarca Spagna Paesi Bassi Australia Austria Norvegia Stati Uniti Svezia Scozia (Regno Unito) Com. Fiamminga (Belgio) Islanda Canada Irlanda Media UE22 Media OCSE Italia France Portogallo Nuova Zelanda Corea Inghilterra (Regno Unito) Slovenia Turchia Giappone Lituania Messico Repubblica Ceca Cile Estonia Israele Colombia Grecia Polonia Repubblica slovacca Lettonia Ungheria Costa Rica Brasile Stipendio Per maggiori informazioni sulla metodologia per la raccolta dei dati per ogni indicatore, sui riferimenti alle fonti e sulle note specifiche per ogni Paese, https://www.oecd.org/education/education-at-a-glance/EAG2021_Annex3.pdf). Per informazioni di carattere più generale sulla metodologia consultare la pubblicazione dal titolo "OECD Handbook for Internationally Comparative Education Statistics: Concepts, Standards, Definitions and Classifications" http://dx.doi.org/10.1787/eag-data-en Per scoprire più dati, compararli e averne una raffigurazione si invita ad utilizzare l'"Education GPS": https://gpseducation.oecd.org/ I dati relativi alle risposte dell'istruzione durante la pandemia da COVID-19 sono stati raccolti ed elaborati dall'OCSE sulla base del "Survey on Joint National Responses to COVID-19 School Closures" (Indagine sulle risposte nazionali congiunte alle chiusure scolastiche dovute al COVID-19), che è frutto di uno sforzo collaborativo condotto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), dall'Istituto di Statistica dell'UNESCO (UIS), dal Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF), dalla Banca Mondiale e dall'OCSE. L'utilizzo della pubblicazione integrale , in formato sia digitale che cartaceo, è disciplinato dai termini e dalle condizioni generali consultabili all'indirizzo www.oecd.org/termsandconditions/.
GREEN PASS in azienda è bene sapere che .....
GREEN PASS è bene sapere che ....ALESSANDRA SERVIDORI
Il tampone pagato dal datore di lavoro al dipendente per potergli consentire l’accesso in azienda, senza un accordo o un regolamento aziendale appositamente redatto, diventa un benefit e come tale va passato in capo al dipendente. E quanto emerge dalla norma di legge che introduce l’obbligo per il dipendente di accedere in azienda o in ufficio solo se in possesso del Green pass, ottenuto anche a seguito di un tampone antigienico rapido effettuato nelle ultime 48 ore o al test molecolare (anche salivare) nelle ultime 72 ore. Il Green pass, infatti, derivando da un espresso obbligo di legge diventa a tutti gli effetti un titolo abilitante per poter svolgere la propria attività lavorativa. Seguendo questo principio, per accedere in azienda o in ufficio dal 15 ottobre, le spese dei tamponi non possono essere considerate effettuate nell’interesse esclusivo dell’azienda, ma rispondono ad un preciso onere cui sono tenuti i dipendenti, alternativo alla vaccinazione offerta gratuitamente dallo Stato.
Il datore di lavoro può, quindi, volontariamente rimborsare il costo sostenuto dal dipendente per i tamponi rapidi o molecolari che siano ma, queste somme, per il lavoratore dovranno essere considerate come un benefit e per questo assoggettate al prelievo fiscale.Per evitare la tassazione è allora opportuno far rientrare i servizi dei tamponi offerti ai dipendenti come forma di Welfare aziendale.Diversamente, il datore di lavoro potrebbe far rientrare i costi per i tamponi gratuiti ai dipendenti come benefit non soggetti a tassazione poiché erogati nel limite del plafond di 258 € annuo. Lo stesso plafond in cui rientrano il panettone o lo spumante regalati ai dipendenti a Natale.
Start Mag LOTTA ALLA POVERTA'
Alessandra Servidori https://www.startmag.it/economia/come-fare-davvero-la-lotta-alla-poverta/?ct=t(RSS_EMAIL_CAMPAIGN)
Per la lotta alla povertà non solo le risorse del PNRR ma per quanto riguarda i finanziamenti a disposizione se si mantengono certi strumenti come il reddito di cittadinanza è evidente che si sottraggono ad altri sussidi.
Le iniziative del Governo comportano una attenzione particolare ai provvedimenti che i vari Ministeri adottano contemporaneamente alla programmazione del PNRR. E questa settimana il Ministro del lavoro e politiche sociali Andrea Orlando ha firmato (7 ottobre) il decreto di riparto del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, che contiene al suo interno il Piano Sociale Nazionale 2021-2023 e il Piano Nazionale degli Interventi e i Servizi Sociali di contrasto alla povertà 2021-2023. Il decreto è stato trasmesso per la firma al Ministro dell'Economia e delle Finanze. In attesa della ratifica ,in specifico, sono stati adottati il capitolo 1 (La strutturalizzazione del sistema dei servizi sociali) e il capitolo 2 (Piano Sociale Nazionale 2021-2023) , approvato dalla Rete della protezione e dell'inclusione sociale lo scorso 28 luglio 2021. Le risorse complessivamente destinate al Fondo sono pari a € 390.925.678,00 per ognuna delle annualità 2021-2022-2023. Il documento prevede che le Regioni dovranno programmare per il triennio 2021-2023, gli impieghi delle risorse complessivamente loro destinate, entro 60 giorni dall'emanazione del decreto stesso. Inoltre, a valere sulla quota del Fondo nazionale per le politiche sociali destinata alle Regioni sono finanziate, per non meno di 3.937.500,00 euro, azioni volte all'implementazione delle Linee di indirizzo sull'intervento con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità (P.I.P.P.I.).Fra gli interventi di maggior rilevo della legge di bilancio 2021, si segnala il potenziamento del sistema dei servizi sociali comunali e contestualmente degli interventi e dei servizi sociali di contrasto alla povertà nella prospettiva del raggiungimento di un livello essenziale delle prestazioni e dei servizi sociali definito da un rapporto tra assistenti sociali impiegati nei servizi sociali territoriali e popolazione residente pari a 1 a 5.000 in ogni ambito territoriale, e dell'ulteriore obiettivo di servizio di un rapporto tra assistenti sociali impiegati nei servizi sociali territoriali e popolazione residente pari a 1 a 4.000. Tali interventi sono assicurati attraverso un contributo strutturale, pari a 180 milioni di euro annui, a valere sulla "Quota servizi" del Fondo Povertà. Si ricorda inoltre, che il decreto legge n.4 del 2019, istitutivo del Reddito e della Pensione di cittadinanza, ha assorbito il Reddito di Inclusione (ReI), la misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale, che, a decorrere dal mese di aprile 2019 non è più riconosciuta, né rinnovata. Il REI era finanziato nei limiti delle risorse del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale (Fondo povertà), istituito dalla legge di stabilità 2016. Gran parte delle risorse del Fondo povertà sono confluite nell'ambito del nuovo Fondo per il reddito di cittadinanza, riducendo, conseguentemente, a decorrere dal 2019, le risorse del Fondo povertà, nel quale residua ora la quota destinata al rafforzamento e alla programmazione degli interventi e dei servizi sociali (Quota servizi). Per quanto riguarda le misure di mitigazione adottate nel corso dell'emergenza sanitaria da COVID-19, per sostenere le fasce di popolazione più svantaggiate, è stato istituito il Reddito di emergenza - Rem, un sostegno straordinario, della durata di due mesi, rivolto ai nuclei familiari in condizione di grave necessità economica. Il Rem è stato in seguito esteso anche per i mesi di novembre e dicembre 2020. Nel giugno 2021, l'Istat ha diffuso i dati sulla povertà relativi al 2020: sono in condizione di povertà assoluta poco più di due milioni di famiglie (7,7% del totale da 6,4% del 2019) e oltre 5,6 milioni di individui (9,4% da 7,7%). Dopo il miglioramento del 2019, nell'anno della pandemia la povertà assoluta aumenta raggiungendo il livello più elevato dal 2005 (inizio delle serie storiche). Il valore dell'intensità della povertà assoluta - che misura in termini percentuali quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà (cioè "quanto poveri sono i poveri") - registra una riduzione (dal 20,3% al 18,7%) in tutte le ripartizioni geografiche. Tale dinamica è frutto anche delle misure messe in campo a sostegno dei cittadini (reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, estensione della Cassa integrazione guadagni, ecc.) che hanno consentito alle famiglie in difficoltà economica - sia quelle scivolate sotto la soglia di povertà nel 2020, sia quelle che erano già povere - di mantenere una spesa per consumi non molto distante dalla soglia di povertà. Per quanto riguarda la povertà relativa, le famiglie sotto la soglia sono poco più di 2,6 milioni (10,1%, da 11,4% del 2019). La fotografia di una Italia in grande sofferenza è tratteggiata anche dal Rapporto di Caritas Italiana che restituisce una fotografia dei gravi effetti economici e sociali dell'attuale crisi sanitaria legata alla pandemia da Covid-19. Analizzando il periodo maggio-settembre del 2019 e confrontandolo con lo stesso periodo del 2020 emerge che da un anno all'altro l'incidenza dei "nuovi poveri" passa dal 31% al 45%: quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in maggioranza (52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa; cala di contro la grave marginalità. Per quanto riguarda la procedura relativa alle assunzioni a livello dei comuni, in deroga ai vincoli di contenimento della spesa di personale, si prevede che, per il potenziamento dei servizi sociali, a valere sulle risorse del Fondo povertà (per una quota massima di 180 milioni), e nel limite delle stesse, nonché dei vincoli assunzionali vigenti, dunque i comuni possono effettuare assunzioni di assistenti sociali, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, fermo restando il rispetto degli obiettivi del pareggio di bilancio. Inoltre, fino al 31 dicembre 2023, le amministrazioni, possono indire procedure concorsuali riservate (anche su base regionale, in misura non superiore al 50 per cento dei posti disponibili), al personale non dirigenziale con qualifica di assistente sociale che possieda determinati requisiti. Infine, dal 2021, è incrementata di 2 milioni di euro annui la dotazione del Fondo povertà, mentre, corrispondentemente, è ridotto il Fondo nazionale per le politiche sociali di 2 milioni di euro a decorrere dal 2021. Si evidenzia inoltre che la legge di bilancio 2021, ai commi 791-794, ha stanziato ulteriori risorse per il rafforzamento dei servizi sociali territoriali, attraverso un'integrazione del fondo di solidarietà comunale di 215 milioni nel 2021, in crescita fino a 651 dal 2030. L'intervento prevede che gli obiettivi di servizio cui vincolare tali risorse siano definiti con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sulla base dell'istruttoria tecnica condotta dalla Commissione per i fabbisogni standard.
pensione prima a chi fa figli e bilateralità per congedi parentali
Alessandra Servidori https://www.ilsussidiario.net/news/in-pensione-prima-chi-fa-figli-la-proposta-da-potenziare-coi-fondi-bilaterali/2233370/
Dalla parte di Carlo Cottarelli.
Ebbene sì reputo giusta la proposta di Carlo Cottarelli che ha il pregio di rilanciare 2 progetti di legge addirittura datati 2008 AC 1299, e uno del 2010 AC 3035 a firma Cazzola Treu che già in piena crisi finanziaria ed economica di allora, partendo dal fatto che era in atto un declino demografico, precipitato e certificato oggi da Istat, per cui i nati in Italia nel 2021 scenderanno sotto i 400,000, e dunque sono necessarie iniziative urgenti. Vero è che con pochi figli ci saranno meno lavoratori a produrre ciò che è necessario per gli anziani, obbligando questi a ritardare il pensionamento. Servirebbe,tra gli altri provvedimenti ,un meccanismo premiante: e cioè chi fa figli vada in pensione prima perché l’economia non è una opinione ma un fatto certo,certificato anche dalla Ragioneria generale dello Stato. Peraltro le sopra citate leggi delega n. 1299 art 1 a proposito di pensionamento proponevano rispettivamente:alla lettera…”e) riconoscimento di agevolazioni alle lavoratrici madri, anche stabilendo che i periodi di astensione dal lavoro per maternità e puerperio valgono il doppio fino a un massimo di anni due”.E 2010 AC 3035 alla lettera d ) Il riconoscimento di agevolazioni pensionistiche alle lavoratrici madri. In particolare: per le lavoratrici che possono accedere, in costanza di rapporto, agli strumenti obbligatori o volontari di astensione dal lavoro per maternità e per puerperio, la valutazione doppia, ai fini della maturazione del requisito di anzianità contributiva, dei periodi di astensione effettivamente goduti, fino a un massimo di due anni; per la generalità delle lavoratrici madri, il riconoscimento, per ciascun periodo di sospensione lavorativa entro due anni dall’evento del parto, di una contribuzione figurativa di base per la durata massima di sei mesi per ciascun evento.E’ oltremodo utile ricordare la recente posizione del segretario generale della Cisl che ha sostenuto “sarebbe necessario almeno un ulteriore intervento dedicato alle donne con figli: il riconoscimento di 12 mesi per figlio per anticipare l’età della pensione oppure a scelta della lavoratrice incrementare il coefficiente di calcolo della pensione. Anche la valorizzazione dei lavori di cura a fini pensionistici è un tema che vogliamo affrontare”.E naturalmente per quanto riguarda il lavoro di cura è chiaro che tale agevolazione potrà essere anche destinata ai maschi che svolgono il ruolo di cura in generale o come caregiver. La maternità ha un valore sociale indiscutibile assimilato ai periodi di leva militare ( oggi volontariato sociale) che vanno valorizzati doppiamente essendo oggi un braccio operativo straordinario dell’economia sociale indispensabile nel sistema di welfare sussidiario. All’insegna poi della ridistribuzione delle risorse per le lavoratrici e i lavoratori che hanno bisogno di maggiori congedi anche parentali, è necessario ridisegnare il sistema della bilateralità che si appoggia a ben 2 accordi sindacali confederali del 2006 e 2008 che hanno il pregio di rilanciare la cultura della bilateralità,della bilateralità e mutualità nella crisi del welfare State; di nuovi ambiti di intervento degli enti bilaterali nelle leggi di riforma del mercato del lavoro e le questioni tutt’ora aperte sull’utilizzo delle risorse di questo serbatoio sussidiario aziendale che hanno la necessità di essere dirottate verso le famiglie dei lavoratori e lavoratrici quando i bisogni oggi sono di ulteriore flessibilità lavorativa e dunque tempo di vita e di lavoro in equilibrio .Nel Patto di sviluppo richiesto dal Presidente Draghi alle parti sociali è presente anche questo tema perchè bisogna avere coraggio per innovare anche nella contrattazione di prossimità ed essere lucidamente consapevoli che la spesa sociale deve essere riposizionata condividendo alcune priorità in favore della comunità lavorativa e dunque farcene carico con strumenti già concordati, ma spesso poco utilizzati, che rappresentano nella fattispecie del bilateralismo applicato(termine comprensivo delle regole, specie di matrice contrattuale, da cui traggono origine e che disciplinano l’attività degli enti bilaterali nonché degli altri soggetti a conduzione congiunta)“la nuova frontiera” dell’azione sindacale sul piano dei servizi e della cooperazione con le imprese, di particolare efficacia in un mercato del lavoro frantumato e flessibile.
GENERE Donna Smart Working a tutto tondo
https://www.generedonna.it/smart-working-a-tutto-tondo/
Smart Working a tutto tondo
Smart Working: alzi la mano chi non ha pronunciato questa parola almeno una volta nell’ultimo anno e mezzo. Amato da alcuni, odiato da altri, per i lavoratori fragili rappresenta, in molti casi, una tutela. Abbiamo approfondito l’argomento insieme alla Prof.ssa Alessandra Servidori e sono emersi molti aspetti interessanti.
In questo articolo affrontiamo quelli inerenti alle normative più recenti. Successivamente, vedremo anche alcuni dati di scenario per capire meglio a che punto siamo in Italia.
Smart working e Covid-19
Recentemente lo Smart Working, ovvero il lavoro agile, è stato al centro di ulteriore discussione per i contenuti della legge del 16 settembre 2021, n. 126 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche”.
Nel provvedimento, che conferma lo stato di emergenza sino al 31 dicembre 2021 (art. 1), sono introdotte nuove misure volte a contrastare la diffusione della pandemia. Tra le altre previsioni, si ricorda che, a decorrere dal 16 ottobre 2020 e fino al 31 ottobre 2021, i lavoratori fragili svolgono di norma la prestazione lavorativa in smart working, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto (art. 9).
Chi è il lavoratore fragile?
È bene chiarire che per lavoratore/lavoratrice fragile si intende chi ha patologie preesistenti e cause dalle quali potrebbe avere conseguenze anche molto gravose in caso di infezione da COVID-19. Si tratta di una condizione temporanea, e correlata all’emergenza pandemica da COVID-19.
Il lavoratore è dunque “fragile” se rientra nelle categorie dell’art. 26 del Decreto “Cura Italia” (rischio in relazione a COVID-19 derivante da immunodepressione, esiti oncologici o disabilità in condizioni di gravità ex L. 104 art. 3 comma 3). Oppure, è “fragile” in quanto non rientra nelle categorie di cui sopra, ma soffre di patologie che possono incidere sulla prognosi in caso di infezione, per cui vanno previste soluzioni maggiormente cautelative come da Circ. Min. Salute del 4/9/2020.
La fragilità del lavoratore dipende dall’età, dalle patologie pregresse, che incrementano la sua vulnerabilità. L’età avanzata (>55 anni) e la presenza di più di una patologia rappresentano in conclusione “aggravanti”, mentre sono meno rilevanti le situazioni ben compensate e sotto efficace controllo farmacologico.
La certificazione di “lavoratore fragile”
In base all’articolo 26 comma 1 bis del dl 104/2020 i “lavoratori fragili” sono dipendenti pubblici e privati che siano in possesso di una certificazione rilasciata dalle autorità sanitarie o dal medico di base. Poiché il lavoratore aveva come riferimento anche il Medico di Medicina Generale (MMG), al quale poteva fare ricorso per la certificazione di uno stato di malattia, per tali patologie, ove il MMG non fosse stato informato dal lavoratore o non avesse ritenuto di certificare stato di malattia o altri provvedimenti al lavoratore, il medico competente adito dallo stesso lavoratore, o la struttura pubblica, avrebbero potuto redigere certificazioni di idoneità/prescrizioni/inidoneità sulla base delle lavorazioni e del contesto clinico esistente ed evidenziato, tenendo presente per primo lo smartworking come attività di elezione. La condizione di rischio da certificare può derivare da immunodepressione, patologie oncologiche, svolgimento di terapie salvavita, disabilità con connotazione di gravità con riferimento alla Legge 104. L’età non è una condizione necessaria per stabilire se un lavoratore possa rientrare nella categoria dei lavoratori fragili.
Le donne in gravidanza
Oggi, vi è un generale consenso a considerare anche la gravidanza tra le condizioni di ipersuscettibilità. Recentemente il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) americano ha infatti osservato che “sulla base di ciò che conosciamo in questo momento, le donne in gravidanza sono a maggior rischio di gravi malattie da COVID-19 e morte, rispetto alle donne non in gravidanza”. Inoltre, le donne incinte che contraggano COVID-19 potrebbero essere a maggior rischio di altri esiti avversi, come la nascita pretermine.
Per i fragili, smart working in pandemia
Riassumendo, dunque:
- I lavoratori e le lavoratrici fragili dovranno lavorare in smartworking fino al termine dell’emergenza sanitaria, circostanza confermata con la conversione in legge del dl 105/21
- Essi potranno ricevere l’assegnazione di compiti differenti, che rientrino nelle loro mansioni e siano fattibili sulla base del rispettivo contratto di lavoro
- Potranno svolgere dei corsi di formazione professionale a distanza
Sulla materia rimane da chiarire (l’invito è dunque al legislatore) che le norme indichino in modo chiaro se per i lavoratori “fragili” che non possono essere riammessi al lavoro, e che quindi saranno messi in malattia, sia sufficiente il giudizio di non idoneità rilasciato dal Medico Competente o dalle strutture pubbliche (ex art. 5 L. 300/70) ovvero sia necessario il certificato del Medico di Medicina Generale. E le indicazioni normative sulle soluzioni possibili e le tutele applicabili in tutti i casi di non idoneità dovranno riguardare i lavoratori di tutti i settori lavorativi.
Quanto incidono i rapporti economici tra ITALIA ed EGITTO www.il diariodellavoro.it
Egitto/ Italia e Giulio Regeni/ Patric Zaki https://www.ildiariodellavoro.it/quanto-incidono-i-rapporti-economici-italia-egitto-sui-rapporti-politici-e-i-diritti-umani/
Alessandra Servidori
L’Egitto è un paese in cui, e lo vediamo ricorrentemente la dignità delle persone è per usare un eufemismo spesso calpestata. E dopo anni di ostruzionismo da parte del Governo Egiziano sulla morte di Giulio Regeni e la detenzione dello studente bolognese Patric Zaki in prigione è legittimo domandarsi e informarsi : quali sono i rapporti economici tra i due paesi? In queste settimane un altro modello di elicottero di produzione Leonardo (ex Finmeccanica) è impiegato dalle forze armate egiziane per lo svolgimento dell’imponente esercitazione aeronavale multinazionale Bright Star 2021 nel nord-ovest del Paese. Si tratta del biturbina multiruolo AW139E: quattro le unità acquistate in Italia ed entrate in servizio operativo e proseguite dal 2019 fino ad oggi. Alcune immagini diffuse dal Comando Centrale delle forze armate USA (Centcom) mostrano l’impiego degli AW139 egiziani in attività di ricerca e salvataggio di militari . La trattativa tra le forze armate egiziane e l’italiana Leonardo per l’acquisizione degli elicotteri da guerra è stata tenuta rigorosamente top secret; l’esito favorevole della commessa lo abbiamo saputo il 7 maggio 2020, quando il governo italiano ha reso note le autorizzazioni alle esportazioni di armi nel corso del 2019. Nello specifico si rilevava l’autorizzazione ministeriale alla fornitura all’Egitto di 32 elicotteri AgustaWestland (Leonardo), 24 di tipo AW149 e 8 AW189 (una versione con le stesse qualità tecniche del modello AW149, utilizzato prevalentemente dalle industrie petrolifere per il trasporto di personale e attrezzature agli impianti off shore). Per questi velivoli è stato fissato un tetto di spesa di 871,7 milioni di euro. «I documenti resi pubblici dal governo italiano non contengono alcuna informazione sui tempi di produzione o di consegna degli elicotteri e su quale forza armata egiziana li utilizzerà» scriveva la rivista d’intelligence internazionale “Janes” il 21 maggio 2020. In un tweet pubblicato il 23 luglio scorso dalla Marina militare egiziana è immortalato uno di questi velivoli mentre decolla dalla nave d’assalto anfibia ENS Gamal Abdel Nasser, nel corso di un’esercitazione militare svolta a largo della mega-base navale Gargoub, a 255 km ad ovest di Alessandria d’Egitto, quasi al confine con la Libia, inaugurata a inizio luglio dal presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi. Grazie al dislocamento dei nuovi elicotteri di Leonardo a bordo della ENS Gamal Abdel Nasser, l’Egitto diventa il primo paese del continente africano e del Medio oriente a disporre di una portaelicotteri che consentirà una proiezione militare e di pronto intervento nel Mediterraneo, nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico. Nelle intenzioni del Comando generale della Marina egiziana, l’unità da guerra con i suoi AW149 sarà assegnata proprio alla base di Gargoub (10 milioni di metri quadri d’estensione), dotata di un molo lungo 1.000 metri, hangar per elicotteri, depositi munizioni e numerose infrastrutture addestrative. L’installazione è stata denominata 3 Aprile, il giorno del 2013 in cui il generale Al Sisi rovesciò con un colpo di stato l’allora presidente Mohamed Morsi a capo del partito dei Fratelli Musulmani.Intanto si è aperta al Cairo la gara tra le maggiori industrie aerospaziali internazionali per la fornitura di un nuovo caccia-addestratore per le scuole piloti dell’Aeronautica egiziana. In pole position per quella che si prefigura una commessa miliardaria, la tedesca Grob con i turboelica G120TP; la statunitense Sierra Nevada Corporation con i caccia A-29 Super Tucano e l’immancabile Leonardo S.p.A. con gli Alenia Aermacchi M346 “Master”, già in dotazione a le forze aeree di Italia e Israele e prossimi ad essere consegnati pure alla Nigeria.A cinque anni dalla morte di Giulio Regeni, e a un anno dall’arresto di Patrick Zaki, l’Egitto è sotto accusa per gravi e incessanti violazioni ai diritti umani. Sul versante italiano, le indagini giudiziarie sulla morte di Giulio Regeni, concluse dopo anni di difficile confronto tra le procure di Roma e del Cairo, hanno incriminato direttamente i vertici degli apparati di sicurezza egiziani. Eppure, l’Egitto si auto-assolve, rifiutando ogni responsabilità. L’Europa delle istituzioni esprime unanime censura nei confronti dell’Egitto, eppure gli stati europei continuano a fare affari con il regime del Cairo e a riceverlo con tutti gli onori. Se i crimini egiziani appaiono sempre più gravi, allora, la tragica vicenda di Giulio Regeni e quella ancora aperta di Patrick Zaki ci interrogano su quali siano le responsabilità italiane e quelle europee non solo nelle sorti dei due ricercatori, ma nel sostegno ad un regime sempre più impune, e sempre meno difendibile.