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Oggi 17 febbraio tanti contributi per noi Alessandra Servidori      oggi 17 febbraio tante analisi e contributi per noi... Read more
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Sostegno ai familiari dei disabili Alessandra Servidori Vaccinazione obbligatoria per il personale di nidi   e sostegno ai... Read more
IL TRIO MHR NON VA BENE : ecco perchè Alessandra Servidori           IL TRIO MHR NON VA BENE : ecco perchè Il panico schizza su e giù... Read more
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La mala formazione italiana Alessandra Servidori La mala/formazione economica del popolo italiano e un ringraziamento a... Read more
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Il bluf salviniano sull'immigrazione Alessandra Servidori  Il bluf   salviniano dell’immigrazione Dopo 7 mesi di non verità e di... Read more
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2022 : parità di genere lontana ma avanti ragazze!                        Alessandra Servidori                  ... Read more
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La maternità difficile se non impossibile

 ALESSANDRA SERVIDORI

La maternità  italiana difficile se non impossibile

Un dossier di Save the children  fa una classifica delle regioni e delle città italiane nelle quali conciliare figli e lavoro è maggiormente difficoltoso. Al Nord -Bolzano e Trento - i migliori servizi ed un welfare che permette alle mamme di lavorare e di conciliare casa e lavoro, mentre le maggiori difficoltà si riscontrano in Campania dove i servizi sono carenti ed il lavoro scarseggia. In generale, le regioni e le città del Nord dimostrano una politica family friendly, mentre quelle del Sud vedono una situazione difficile che spesso scoraggia le mamme dal lavoro, anche quando lo trovano con grande difficoltà. É evidente che l’annosa questione della conciliazione della vita familiare con quella professionale, in mancanza di un welfare amichevole e di supporto, continua a costituire un enorme problema per le donne, ma anche per l’intera società, dal punto di vista demografico visto che il tasso di natalità decresce continuamente. É sempre più urgente mettere in atto tentativi per risolvere questo gravissimo problema, pensare a miglioramenti strutturali ed anche organizzativi del lavoro, altrimenti il lavoro di cura continuerà, come giustamente ha osservato Save the Children, a gravare sulle donne e sull’occupazione con tutti i risvolti negativi che già vediamo ma che rischiano di diventare ancora più seri. Intanto l’Italia diventa sempre più vecchia: la popolazione italiana al primo gennaio 2018 è di 60 milioni 494 mila residenti, quasi 100 mila in meno rispetto all’anno precedente. Le nascite del 2017 sono 464 mila, il 2% in meno rispetto alle 473 mila del 2016: abbiamo raggiunto dunque un nuovo minimo storico. Le nascite, peraltro, registrano la nona consecutiva diminuzione dal 2008, anno in cui furono pari a 577mila. L’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità e gli altri riposi consentiti alla madre nei primi anni di vita del bambino hanno lo scopo di proteggere la salute della lavoratrice e del bambino. In Europa, negli Usa e in altri paesi sono perciò previsti speciali diritti e garanzie per le madri che lavorano, con durata e forme differenti. I criteri con i quali sono finanziate queste tutele hanno conseguenze economiche.A noi interessa la situazione italiana dove la componente femminile occupata  è  più distante dalla media europea (rispettivamente 52,5% e 66,5%).La legge italiana prevede l’astensione obbligatoria dal lavoro (il cosiddetto congedo di maternità) e successivamente riposi giornalieri e altri periodi di astensione facoltativa dal lavoro, finché il bambino non supera gli otto anni. Durante il congedo, l’Inps eroga alle lavoratrici l’80 per cento della retribuzione, con i corrispondenti contributi figurativi. Alcuni contratti collettivi pongono a carico dell’impresa il restante 20 per cento. Il periodo di congedo è computato “nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità, alla gratifica natalizia e alle ferie” (articolo 22, comma 3, legge 151 del 2001). Di conseguenza, durante il congedo per maternità la lavoratrice riceve il salario intero, in parte pagato dall’Inps e in parte, quando previsto dal Ccnl, dal datore di lavoro, che inoltre provvede interamente alla tredicesima, all’eventuale gratifica e al periodo di ferie, come se la lavoratrice non si fosse assentata dal lavoro. La maternità impone all’impresa anche costi indiretti organizzativi. Prima dell’inizio del congedo di maternità, sarebbe  necessario assumere un altro lavoratore e addestrarlo,mentre sempre più spesso una parte dei compiti della dipendente assente è  suddivisa fra i lavoratori più anziani che possiedono le competenze necessarie, ai quali vanno però pagati gli straordinari. Riorganizzare il lavoro per un’assenza per maternità ha dunque un costo per l’azienda, soprattutto per le competenze professionali che vengono a mancare. Il costo per il congedo di maternità di una lavoratrice è difficile da misurare :nel 2008  un lavoratore impegnava in media l’azienda per 39.647 euro e non è possibile distinguere il costo per un uomo da quello per una donna. Peraltro, nel 2010, nelle imprese e istituzioni con almeno dieci addetti (esclusa la Pa) il differenziale salariale fra femmine e maschi era( misurato per difetto) del 5,3 per cento. Supponendo tredici mensilità, sei rappresentano il costo di servizi lavorativi prestati, cinque sono pagate dall’Inps per l’80 per cento, una è relativa alle ferie e la restante alla tredicesima. Con questi dati, il costo sostenuto da un’impresa per un congedo di maternità nel 2008 era pari a 5.822 euro ai quali aggiungere i costi per i riposi giornalieri, le astensioni facoltative dal lavoro, e quelli organizzativi. Non sono costi irrilevanti e le imprese, a parità di produttività e salario, tendono a scegliere un uomo per coprire un posto di lavoro invece di una giovane donna. In Italia i costi della maternità sono una causa non trascurabile dei bassi tassi di occupazione delle donne fra i 25 e i 44 anni e della maggiore precarietà del lavoro femminile, fenomeni che a loro volta riducono il capitale umano delle donne. Con un contratto stabile, infatti, le imprese hanno convenienza a fornire maggiori competenze professionali al personale e il lavoratore si impegna di più per acquisirle. La soluzione  è ritenere la maternità un bene comune  e indennizzare completamente le imprese per i costi della maternità delle lavoratrici con contratto a tempo indeterminato. Attualmente le donne che lavorano, sono passate dal 51,6% del 2016 al 52,5% del 2017. Salgono   (+1,9%)  gli occupati over 55, passati su anno dal 50,3% al 52,2%, con differenze significative tra uomini (62,8% nel 2017) e donne (42,3%), dati che però risentono della riforma previdenziale, che ha allontanato di diversi anni l'età della pensione.  I nuovi nati, abbiamo visto sono diminuiti ,  e supponendo che i nati riguardino la popolazione femminile fra i 15 e i 44 anni e che si distribuiscano fra le lavoratrici con un contratto stabile di lavoro come fra le donne della stessa classe di età, i neonati con madre lavoratrice stabile sono veramente pochissimi. Nel 2008 il costo sostenuto dall’insieme dei datori di lavoro per il congedo di maternità era di poco inferiore a un miliardo di euro. Restano da calcolare i costi per le altre astensioni dal lavoro retribuite e i costi organizzativi della maternità, per la cui approssimazione mancano le informazioni necessarie. Per finanziare la maternità  se l’indennizzo fosse invece finanziato con la fiscalità generale, tramite il sistema dei fondi  bilaterali  si produrrebbero meno distorsioni nell’economia e  trascurando gli effetti del prelievo fiscale, si avrebbe un aumento della domanda di personale femminile stabile.

 

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