Cattolici e politica
Alessandra Servidori www.formiche.net
Come un fiume carsico ri/torna la questione dei cattolici in politica e francamente le parole di Paolo VI “La politica è la più alta forma di carità” rimangono un riferimento straordinario anche se in questi ultimi tempi in la questione morale nella Chiesa vive tensioni notevoli in una situazione di incertezza sociale. La mia convinzione è che nel vuoto di prospettiva storica di che società e sistema può governare e su che valori deve realizzarsi la diffusione e il formarsi della classe dirigente vicina al popolo,forte e presente . C’è bisogno oggi di una Chiesa che torni ad essere autorevole e potente nel suo programma e nelle sue strutture intermedie,e quindi capace di legarsi e di agire poderosamente nel vuoto della società e della politica.La testimonianza si costruisce nell’azione e nella passione,avendo un credo e degli ideali da perseguire anche e soprattutto nella concretezza della politica,costruendo ,indirizzando, interagendo con un popolo oggi troppo indistinto attraverso una ricostituita vitalità per la promozione dell’uomo e della donna e il buon paese.Muoversi agire e con programmi partecipati e condivisi dedicati alla realtà della nostra situazione sociale camminando più vicini ai bisogni collettivi,costruendo una Fondazione organizzata e finanziata dalla Cei con lo scopo di sostenere una scuola di attività di formazione politica che siano stabili e continue e articolate. Una Fondazione che mette in campo i fondamentali della Dottrina Sociale e anche un approfondimento indispensabile della situazione dell’Europa che riteniamo necessaria perchè il contesto di riferimento è radicalmente cambiato ed occorre ripensare ad un sistema di welfare che sia più europeo e cioè una comunità che stabilisce -tra gli altri orientamenti- gli standard minimi di protezione di sicurezza sociale, ambientale da rispettare su tutto il territorio dell’unione comportando interventi perequativi tra le arre più deboli e le più ricche, cercando così di trovare la battaglia comune su cui i governi e le famiglie politiche europeiste e federaliste della UE potrebbero unirsi contro la cieca demagogia nazionalista populista e velleitaria di chi vuole una Europa divisa e debole e una Italia fragile preda di un governo centralista e punitivo. Anche questa è una azione di grande respiro cattolico.
Sempre peggio il gap del lavoro
Sempre peggio il gap del lavoro tra donne e uomini www.ildiariodellavoro.it 3 Giugno 2019 A.Servidori
Solo Malta presenta una forbice tra i tassi di occupazione maschile e femminile più elevata dell’Italia (22,5 punti percentuali), ma rimane più vicina al gruppo dei Paesi europei per via di una percentuale di occupazione femminile più alta (57,6%). Molto più contenuti i valori negli altri Paesi del Mediterraneo: Spagna, Portogallo e Cipro, infatti, si collocano al centro con un tasso di occupazione femminile compreso tra il 55% della Spagna e il 64,8 del Portogallo e una distanza meno marcata rispetto all’occupazione maschile. Mentre i Paesi emergenti dell’Est Europa hanno livelli molto bassi di gender employment gap e tassi di occupazione femminile più alti della media dei Paesi europei: basti pensare che in Lituania a un’occupazione femminile del 70,2% corrisponde un’occupazione maschile del 70,6 %.
Una peggiore condizione occupazionale delle donne in Italia rispetto al resto d’Europa si evidenzia anche osservando i dati della disoccupazione femminile. Nell’arco temporale considerato –cioè dal 2007 al 2017-, nei Paesi europei si registrano due fasi: nella prima, post crisi, si evidenzia un aumento del peso della disoccupazione sulla popolazione attiva, che dal 2008 al 2013 passa dal 7,5% al 10,9%; nella seconda fase si registra un miglioramento del dato, fino ad arrivare a un livello di disoccupazione del 7,9% nel 2017, solo lo 0,5% in più del tasso di disoccupazione maschile. In Italia, invece, il tasso di disoccupazione – sia femminile che maschile – presenta cifre peggiori, e anche la fase di diminuzione della disoccupazione inizia successivamente a quanto avviene nella media dei Paesi europei.
Nel 2007 le donne disoccupate erano il 7,8% della popolazione attiva, nel 2013 quasi il doppio (13,8%), mentre nel 2017 sono ancora il 12,4%, ossia 2 punti percentuali in più dei disoccupati di sesso maschile, sensibilmente di più del resto d’Europa. Tale evidenza diventa ancora più grave se si considera la percentuale di donne disoccupate nella fascia di età tra i 15-24 anni, che nel 2017 è quasi il doppio del dato europeo, registrando un valore del 19,7% a fronte dell’11,1% della media dei Paesi europei . Infine, anche osservando il trend della popolazione inattiva , è possibile evidenziare un forte gap tra la situazione lavorativa delle donne europee e di quelle italiane. Pur essendo lievemente diminuito il numero delle donne che non lavora né cerca alcun lavoro, dal 2001 al 2017 la distanza tra il valore italiano e quello della media europea si è quasi standardizzato, mantenendo un livello costante di circa 10 punti percentuali: nel 2017 in Italia è inattivo il 44,1% delle donne e il 25% degli uomini, mentre in Europa è inattivo il 32,2% delle donne e il 21,1% degli uomini.
L’Italia presenta tra i più alti livelli sia di gender employment gap, ossia di distanza tra percentuali di uomini occupati e donne occupate, che di disoccupazione femminile, specie in età giovanile e, in maniera ancora più accentuata, nelle ragazze con livelli educativi più bassi. Le sfide future connesse all’occupazione generata dall’economia digitale e dalla cosiddetta Industria 4.0, possono costituire un’opportunità per le donne italiane, soprattutto laddove se riesca ad accompagnare questo percorso innovativo con adeguati investimenti nella formazione. Ad esempio, agevolare l’aumento delle donne laureate nei settori STEM potrebbe contribuire all’incremento dell’occupazione femminile e, al contempo, alla riduzione della distanza tra la condizione delle donne in Italia e quella delle donne negli altri Paesi d’Europa. L’incontro del 22 maggio a Brussel come Equal-ist EU Gender equality in formation science and tecnology ha evidenziato quanto una scelta di questo genere sarebbe lungimirante e proattiva. Ma questo Governo lo capisce?
Alessandra Servidori
E adesso : riflessioni su cosa dobbiamo fare adesso in EUROPA
Alessandra Servidori - https://www.startmag.it/blog/come-cambiera-leuropa/ 27 MAGGIO 2019
“ Deficit blindato in Italia la Ue se ne farà una ragione” . Salvini rischia di soffocare con lo spumante mentre ripete questa ennesima provocazione supportata da quel 34% degli italiani aventi diritto che non solo lo hanno votato, ma di cui, dice lui “Si fidano di me”. Oggi il potere chi lo ha è convinto di averne sempre di più ed essere in grado di fare a meno degli altri ma in un Paese complesso l’autosufficienza non esiste: anche chi ha larghi consensi non può fare a meno delle coalizioni senza supponenza. Salvini fa leva sulla propaganda e sulla demagogia e dovrà in fretta confrontarsi con una realtà complicata sia in Italia che in Europa e soprattutto con quello che accade nel nostro mondo europeo schiacciato da pregiudizi ed egoismi. L’Italia deve affrontare il cammino verso una nuova integrazione comunitaria e l’unione è il risultato di una attività negoziale indefessa,articolata ,incalzante e sarà sul piano del peso internazionale che noi ci dovremo misurare e le premesse per i posti di comando più robusti non sono confortanti : NOI SIAMO FUORI DAL FUTURO EUROPARLAMENTO a maggioranza di forze europeiste,con ppe ,socialisti, i liberali e comunque i macroniani ( se pur ridotti), cioè la Presidenza del Parlamento la Commissione il Consiglio la BCE saranno comunque franco tedesca e finlandese e i partiti italiani per la prima volta saranno penalizzati a Strasburgo e altrove e per rinnovarsi e apparire credibile l’Unione europea deve ripensare il suo corso neoliberale sul versante economico,sociale, della sicurezza e delle relazioni industriali e commerciali con le grandi potenze mondiali. L’Europa deve arrivare ad avere leggi comuni perché è la convergenza giuridica che genera il senso di comunità partendo per esempio dal diritto di voto,dalle leggi tributarie e dai diritti sociali e dunque di previdenza sociale paneuropeo che significherebbe solidarietà istituzionalizzata tra i cittadini di ogni paese all’interno della ue.Ecco perché Salvini deve cambiare tono e passo sul versante di quota 100 così come sulla tassa flessibile-flat tax e così come sull’occupazione e il lavoro eliminando il corso perverso del reddito di cittadinanza e trovando una formula condivisa per il salario minimo orario lordo attraverso una applicazione corretta dell’art 39 della nostra costituzione ,convergendo in una eurozona poiché la convergenza delle leggi non comporta una centralizzazione .Infatti in Germania i benefici dell’assicurazione contro la disoccupazione sono gli stessi per tutti i cittadini anche se la Repubblica federale non è uno Stato centralizzato e i singoli lander sono molto diversi dal punto di vista culturale. Il Parlamento Europeo deve possedere pieni poteri divisi tra i paesi e soprattutto potere di iniziativa legislativa anche in ambito di bilancio. La procedura legislativa ordinaria che richiede l’approvazione di entrambe le Camere dovrebbe essere estesa a tutti i settori della politica europea. Le Regioni Europee autoctone devono comporre un Senato Ue come seconda Camera del Parlamento e l’elezione del presidente diretta. In buona sostanza una federazione di rete di regioni sarebbe efficace sia esternamente nella sua capacità di agire negli scenari internazionali e per esempio in Italia sarebbe vicina ai suoi cittadini attraverso una identità regionale. L’Europa ha bisogno come l’Italia di obiettivi chiari e stabili,prospettiva e direzione di programmi emancipati con una democrazia europea solidale economica di una moneta che è già un contratto sociale , di un mercato unico robusto che ha regole che si rispettano soprattutto sul versante della spesa pubblica e degli investimenti, del sistema fiscale.
Salvini se ne faccia una ragione e impari a governare con e per piuttosto che contro.
Alessandra Servidori https://www.ildiariodellavoro.it/adon.pl?act=doc&doc=72580#.XO62wYgzZPY 28 MAGGIO 2019
Matteo Salvini si può definire un buon politico? Se questo italiano verace vorrà costruire una comunità di destini forse ha qualche prospettiva di rimanere nel cuore e nel voto di quel 34% di gente diritto al voto che crede in lui. Perchè le basi culturali di Salvini non sono ancora ben definite essendosi furbescamente travestito conseguenzialmente da padano a populista da nazionalista a santone a predicatore in men che non si dica. Il dubbio è legittimo perché come ci ha insegnato Max Weber effettivamente le basi culturali di una comunità vanno ricostruite da storie e hanno bisogno di essere costantemente ristrutturate per mantenersi vive. Abbiamo un legittimo dubbio che Salvini cerchi , come ha già fatto con la triste esperienza penta stellata ,di impostare artificialmente le regole attraverso un patto ,un accordo con un contratto sociale ricostruendo un’altra trappola artificiale .Lui è un politico carico di demagogia che usa sfacciatamente l’esorcismo religioso con la propensione ad aggregare le persone per meglio garantirsi la carriera politica agendo sull’istinto naturale delle persone per garantirsi la sopravvivenza. L’esorcista ha individuato il nemico che in politica è fondamentale : la paura dell’immigrazione, della violenza, della mafia organizzata,dell’Europa matrigna, diventando l’amico del popolo che combatte il nemico ristabilendo come salvatore /sovrano della Patria la normalità rispetto all’eccezione che ha “ portato il Paese al declino” promuovendo leggi con procedure per cui l’ordinamento diventa sviluppo,superando la crisi ma se le scelte non sono razionali ecco che tutto salta. Salvini con la legge quota cento, con la legge sulla flak tax, con la chiusura dei porti , con la legge sull’immigrazione , sulla famiglia, contrastando l’assetto europeo che è ancora una volta uscito dalle recenti elezioni, tenta di cambiare regole che investe una parte della società ma non tiene conto che le modalità del cambiamento collettivo dell’altra parte della comunità che non lo ha votato sono escluse. E i fenomeni politici di maggior durata sono quelli che coinvolgono la maggioranza di grandi masse nei territori interessati e le generazioni coinvolte avendo come sfera politica la sfera economica,sociale,religiosa,occupazionale, di protezione concreta di una dimensione internazionale e quindi europea che protegga il nostro Paese dall’invasione di altre civiltà che non aspettano altro che potere ingoiare una Europa debole. Dunque Salvini a nome degli italiani dovrà operare in Italia perché la buona amministrazione prevalga sullo spreco e perché l’Europa che oggi è ancora un sistema debolmente confederale ostaggio degli opposti sovranismi che fanno credere che il problema sia l’Unione mentre i problemi stanno negli Stati che la compongono e nella stessa idea sovranista, diventi concretamente una repubblica federale. Le riforme richiedono condizioni favorevoli per poter essere attuate , non si possono improvvisare e non solo essere tecnicamente possibile ma devono essere efficaci,convincenti, devono avere consenso e comunque in ogni caso costruite sul modello della democrazia rappresentativa. Salvini agisce ma non con una modalità argomentativa autorevole in grado di modificare le mentalità ma sulla base di una voracità personale di potere,mentre un’opera di sensibilizzazione di consapevolezza intorno alla natura delle vere sfide che dobbiamo fronteggiare dissuadendo le interpretazioni semplicistiche e da programmi irrealizzabili perché meramente elettoralistici , è possibile da subito :dobbiamo impegnarci per realizzare gli obiettivi del Trattato più che mai concreti ed indispensabili: piena occupazione,progresso sociale ed economico,contrasto all’esclusione sociale e alle discriminazioni,tutela dei diritti umani. Si tratta ora di trovare la forza politica per inverarli.
Alessandra Servidori 29 MAGGIO 2019
Cattolici e politica https://formiche.net/2019/05/cattolici-e-politica/
Sabato scorso ho partecipato ad una interessante riunione in cui tra le altre riflessioni, abbiamo discusso anche dell’ipotesi di un partito dei cattolici. Stefano Zamagni ha affermato le sue ragioni definendo possibile un Codice come fu a Camaldoli cioè un documento programmatico elaborato in Italia nel 1943 da un gruppo di intellettuali di fede cattolica. Tratta tutti i temi della vita sociale: dalla famiglia al lavoro, dall'attività economica al rapporto cittadino-stato. Lo scopo fu quello di fornire alle forze sociali cattoliche una base unitaria che ne guidasse l'azione nell'Italia liberata. Il Codice di Camaldoli fu ispirazione e linea guida per l'azione della Democrazia Cristiana che in quel periodo si stava formando e che dopo la seconda guerra mondiale fu, per diverse legislature, il maggiore partito di governo . Ora in Italia la questione vera è che i cattolici in politica non hanno più visibilità e potere per portare avanti almeno i valori che sono alla base dell’art 3 della nostra Costituzione poiché inghiottiti da una situazione politica confusa e soprattutto animata da una democrazia liberale ben poco cristiana dominata da feroce arroganza. I risultati delle recenti elezioni con un 34% di italiani che ha votato Salvini, agguerrita icona di un cattolicesimo che pare più una sorta di arrogante metamorfosi di una facoltà morale congenita che ha soffocato il libero dibattito all’insegna dello spirito critico,ci pone di fronte all’ opportunità di ripensare ad una aggregazione cattolica e laica che faccia da riferimento alla memoria e alla attualità dei valori cristiani come strumento di salvaguardia della nostra umanità e di inversione del processo di annichilimento che viviamo. Peraltro partendo dalla Dottrina Sociale della Chiesa sulla via del Codice del 1943 sul bene comune, e la riconquista dell’armonia sociale, su un nuovo modello di sviluppo che sia incardinato sull’economia sociale e circolare, sui temi della sussidiarietà e ruolo dello Stato, sulla famiglia, l’educazione il lavoro,l’attività economica pubblica,la dimensione internazionale e qui una presenza forte in una nuova Europa Repubblica Federale.Abbiamo la forza insieme ai giovani per muoverci agilmente riconettendoci con le linee guida della Rerum Novarum ponendoci l’obiettivo di svolgere un ruolo attivo nella società anche per avanzare sul versante della rappresentanza non delegando ai partiti di oggi le concessioni,umiliandoci, di riservarci dei posti in lista come è stato fatto malamente recentemente. Un po’ di coraggio dunque.
EUROPA è anche donna e soprattutto insieme il nostro futuro senza contrapposizioni come l’impegno che MARA CARFAGNA esprime sostenuto dall’ONU.
Alessandra Servidori
EUROPA è anche donna e soprattutto insieme il nostro futuro senza contrapposizioni come l’impegno che MARA CARFAGNA esprime sostenuto dall’ONU.
A poche ore dalle elezioni per il Parlamento Europeo di domenica 26 maggio, sento il bisogno di esprimere il mio personale pensiero perché le idee chiare è necessario farsele se non le si possiede già. Ogni elettore può esprimere fino a un massimo di tre preferenze, a patto di rispettare l’alternanza di genere: verranno altrimenti annullati i voti successivi alla prima preferenza. Votare per la composizione del Parlamento Europeo è un diritto di tutti i cittadini, ma anche una grande responsabilità e quindi avendo la possibilità di aumentare la presenza femminile in Europa poiché in lista ci sono parecchie italiane l’attenzione è ovviamente per coerenza e forte determinazione rivolta a coloro che desiderano essere elette. Sarà la somma dei singoli voti a determinare gli equilibri e le inclinazioni dell’organo legislativo dell’Ue, in un momento cruciale nel delineare la direzione che l’Unione Europea deciderà di percorrere in futuro. Indicare una o più preferenze è altrettanto importante perché permette di scegliere le persone che, tra tutte, riteniamo possano rappresentare, comprendere e meglio battersi per la visione del mondo che abbiamo, anche capaci di poter dare voce alle problematicità del territorio in Europa e convogliare al meglio le opportunità messe a disposizione in sede comunitaria. “L ’Unione Europea deve divenire più inclusiva e giusta, ma è la migliore idea che abbiamo mai avuto”. Mi riconosco in queste parole del Presidente Mattarella .La mia preferenza va senz’altro a chi si è dimostrato coerente con il proprio programma e la propria provenienza, a chi ci ha espresso concretezza, a chi si è esposto sui temi del lavoro ed etici che mi stanno a cuore. Mi pare che si sia risvegliato un interesse nei confronti di queste elezioni, perché le elettrici e gli elettori comprendono che si tratta di un voto determinante per il nostro futuro; Europa più giusta, più equa, più sociale, che non lasci indietro nessuno è l’obiettivo che bisogna porsi e le priorità sono sicuramente le politiche per il lavoro , le politiche per la famiglia, i giovani e i diritti delle donne ancora molto,troppo violati, l’attenzione all’ambiente e alle infrastrutture . Apprezzo molto il lavoro che Mara Carfagna – che peraltro non è candidata- sui temi del contrasto alla violenza sulle donne che in queste ore ha trovato il Cedaw ,organismo dell’ONU , promotore dell’impegno della Vice Presidente della Camera Italiana che stimo e che esprime forza e intelligenza politica. L’invito dunque, è senz’altro quello di recarsi alle urne domenica, per essere protagonisti e protagoniste del nostro stesso futuro, per sostenere ed esercitare la democrazia: l’Europa è di tutti e di tutte ogni singola persona deve impegnarsi per realizzare questo progetto ancora in cammino.
L'arte e la storia per la scuola è come acqua nel deserto.Demenziale sopprimerle
Alessandra Servidori
Leonardo ,l’arte,la storia : un patrimonio straordinario che la scuola italiana vuole cacciare in un cono d’ombra.Privare i giovani di insegnamenti fondamentali per la crescita della persona è un suicidio collettivo al quale ci ribelliamo. In questi giorni dell’anniversario del genio italiano che ci ha lasciato in eredità capolavori meravigliosi cerchiamo di riannodare la trama stracciata di una scuola italiana ridotta ad un groviglio di riforme che disorienta e che soprattutto avrà un impatto devastante sui nostri giovani. Ma cosa è cambiato davvero nelle scuole italiane? Per quanto riguarda le discipline storico-artistiche il discorso è lungo e complesso, e nasce più o meno all'epoca della riforma del 2010: da allora, le ore dedicate alla Storia dell’arte sono state drasticamente diminuite sia nei licei sia negli istituti tecnici e professionali, in ottica di un’ottimizzazione del monte ore e delle risorse già esigue della scuola. Per l’insegnamento della Storia la materia continuerà, per fortuna, ad essere insegnata e studiata sia nei licei che negli istituti tecnici e professionali, ma il grande traguardo dell’esame di maturità subirà in questo senso una drastica modificazione. Niente più traccia storica fra le tipologie previste per il tema. Ci si chiede ora se decisioni di questo genere modificherà l’approccio allo studio di discipline che, soprattutto per la storia, scomparendo dalla “lista” di competenze e saperi richiesti ad un maturando, molto probabilmente verrà sempre di più sottovalutata. La maggior parte dei giovani, alla fine del secolo, è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni tipo di rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono. Il lavoro degli storici, il cui compito è ricordare ciò che altri dimenticano, è ancora più essenziale ora di quanto mai lo sia stato nei secoli scorsi. Scegliere di privare i giovani degli strumenti essenziali di lettura della realtà storica vuol dire privarli della possibilità di scegliere e determinare il loro futuro e in tal modo si accelera senza rendersene conto, un processo già in atto di riduzione del significato dell’esperienza del passato come patrimonio di conoscenze per la costruzione del futuro. E come al solito i Ministeri si muovono senza mai aver consultato gli storici, gli insegnanti e gli studenti, nelle scuole e nel mondo accademico. Ci si chiede dunque come una cauta esigenza di riforma si sia potuta trasformare nella cancellazione del riconoscimento del ruolo di una disciplina che nessuno finora aveva mai contestato, né messo in discussione.In Italia si dà molta enfasi alle materie scientifiche, e questo da una parte è corretto, è importante avere ingegneri, fisici, chimici. E tuttavia al contempo si assiste ad una perdita di valore della storia che è anche la cartina di tornasole della perdita del senso civico e modificare gli insegnamenti togliendo la storia e mettendo una generica educazione civica è profondamente sbagliato. E’ necessaria una revisione dei programmi scolastici, dando maggiore attenzione alla storia, fin dalle scuole medie, e in particolare alla storia contemporanea: di fatto, per ragioni di tempo, questa nelle aule è sacrificata, né di storia si parla più in famiglia. La storia fa parte del presente, e senza la consapevolezza di ciò che è accaduto non daremmo un senso alla nostra scena politica e sociale. Sostanzialmente studiare la storia o la storia dell’arte significa acquisire la capacità di leggere i fatti, gli accadimenti o, nel caso della storia dell’arte, i linguaggi creativi, in modo razionale e approfondito in modo da poter sviluppare una coscienza individuale, collettiva, civile, e politica. E anche l’Arte, forse soprattutto l’arte, in questo senso, è vitale: essa non è mai stata fine a sé stessa, e le grandi esperienze del Rinascimento ci hanno insegnato come un quadro o un dipinto possa nascondere molta più realtà e politica di quanto pensiamo.L’arte ha linguaggi e regole ben precise che, se approfondite, permettono di decifrare messaggi che altrimenti resterebbero nascosti: questa capacità, in un’epoca in cui tutto è immagine e comunicazione visiva, è indispensabile. Senza lo studio approfondito di Leonardo Raffaello o Caravaggio è impossibile comprendere qualcosa della Street Art che tanto piace ai più giovani, ma ancor di più di quello che ci circonda nella vita quotidiana. Allo stesso tempo la storia, che già per Cicerone era “magistra vitae”, non costituisce una semplice raccolta di fatti, date o nomi noiosissimi da imparare: è così che oggi viene insegnata, semmai, perché manca effettivamente il tempo di approfondirne il reale significato. Nel 2017 abbiamo lanciato un appello per il riconoscimento, da parte dell’Unesco, di latino e greco come patrimonio immateriale dell’umanità, superando i nazionalismi, mantenendo la pace, utilizzando sempre come collegamento il latino e la cultura classica come una forma di contaminazione della contemporaneita’ più tradizioni letterarie e storiche diverse possono convivere tra loro, fino all’unione di oralità, scrittura,memoria intesa come mezzo per comunicare attraverso il tempo e lo spazio. Manchiamo di coerenza ed è devastante scegliere di dimenticare e impedire ai giovani di conoscere :la storia è il presente che in qualche modo è già stato sperimentato, analizzato e vissuto: senza di esso, siamo come ciechi senza una guida.
Reddito di cittadinanza-di inclusione e salario minimo :un sandwuick indigeribile
WELFARE E LAVORO www.ildiariodellavoro.it
Il Reddito di cittadinanza: dopo il reddito di inclusione e prima del salario minimo
Il Ministero del lavoro ha recentemente fornito dei dati articolati in un comunicato ufficiale sul reddito di cittadinanza. ‘’ I numeri – è scritto – racchiudono sia le domande online, sia quelle pervenute agli uffici postali e quelle raccolte dai CAF. Al 7 aprile 2019, sono 806.878 le domande già caricate dall’INPS sulla piattaforma relativamente alle richieste di Reddito di cittadinanza (RdC): 433.270 sono giunte da donne (54%) e 373.608 da uomini (46%). Con riferimento all’età dei richiedenti, la percentuale maggiore si annida nella fascia d’età tra 45 e 67 anni con poco più del 61% (494.213 domande), seguiti con coloro che hanno un’età compresa tra i 25 e i 40 anni, con 182.100 domande (di poco inferiore al 23%). Il resto è distribuito tra gli ultra 67enni (105.699 domande, leggermente superiore al 13%) e poco più del 3% tra i minori di 25 anni’’. Ovviamente la raccolta delle domande e delle iscrizioni non è chiusa, avendo il RdC carattere strutturale.
Va riconosciuto, poi, che questa prima fase (grazie agli accordi con le Poste e con i Caf) è stata gestita senza quei disguidi organizzativi che si temevano con lunghe code agli sportelli e quant’altro. La distribuzione delle domande conferma gli effetti attesi per quanto riguarda le regioni del Sud e le donne, mentre il 3% degli under 25 anni è un fallimento (soprattutto se lo si aggiunge al 23% delle coorti comprese tra 25 e 40 anni).Un conto è il reddito di inclusione introdotto dal governo precedente che è una misura europea contro la povertà rivolto a una platea limitata, invece il reddito di cittadinanza, per come è stato disegnato, ha una platea molto più ampia e non è solo contro la povertà. E inevitabilmente sono coinvolte categorie molto diverse, come i disoccupati, i sottopagati, e quindi si rischia di andare a incidere su specifiche porzioni del mercato del lavoro, quelle a basso reddito, e non sulla disoccupazione. In altri paesi si agisce con altri strumenti. Anche in Italia avevamo misure differenziate. Quelli che guadagnano poco prendono gli 80 euro che sono un’integrazione al reddito; i disoccupati hanno la Naspi ovvero il sussidio di disoccupazione più l’assegno di ricollocazione, un aiuto per trovare lavoro, mentre i poveri veri – che hanno problemi di integrazione sociale – avevano il reddito di inclusione.
Il reddito di cittadinanza, invece, vuole tenere insieme tutte queste platee, ma è complicato farlo con uno strumento unitario. Nel licenziare il decreto attuativo del reddito di cittadinanza si sono apportate alcune blande modifiche, prevedendo due canali di accesso distinti: uno per i disoccupati e uno per i poveri con i problemi di inclusione sociale; questo permette in parte di salvaguardare il reddito di inclusione del governo Gentiloni, che è diretto alla platea dei poveri che meritano un’attenzione diversa da chi è disoccupato temporaneamente e da chi lavora ma ha un reddito basso. Inoltre, si è modifica toma sicuramente non risolto il rapporto con le Regioni riguardo le assunzioni dei tutor nei centri dell’impiego (i famosi Navigator) che rappresentano un segno tangibile che la retorica sullo sviluppo dei centri dell’impiego ha anche un qualche significato pratico. E infine la possibilità, per le aziende che assumono un disoccupato con il reddito di cittadinanza, di avere il beneficio del residuo del reddito di cittadinanza stesso aiutando a coinvolgere il mondo imprenditoriale nell’operazione.
Sono modifiche marginali rispetto il primo testo ma sta di fatto che ognuno di questi passaggi avrà problemi di implementazione assai rilevanti: bisognerà comunque passare prima da un centro dell’impiego quindi si disconnette l’amministrazione attuale del reddito di inclusione che stava ben funzionando; si procede alle assunzioni di navigator con contratti a termine attraverso Anpal Servizi con un maxi-bando; si danno incentivi potenzialmente molto alti a chi avrebbe comunque assunto profili professionali diversi creando incentivi distorti per una platea molto rilevante di persone e di aziende.
Il decreto sul reddito cittadinanza è scritto in maniera per cui prima INPS decide sulla base dell’Isee (già oggi un gran numero di dichiarazioni non sono veritiere e, per l’occasione, si prevede un peggioramento della situazione) il diritto al reddito e poi iniziano tutta una serie di adempimenti formali non esigibili (INPS deve rispondere entro 5 gg, il CPI ti deve convocare entro 30gg. etc.) con pene esagerate (e non credibili) in caso di false dichiarazioni da parte dei beneficiari. E soprattutto bisognerà contare molto sulle capacità dei navigator di adoperare la maxi-piattaforma ordinata dal presidente e amministratore delegato Parisi italo americano pentastellato (costo 25 milioni di euro!)- per far muovere e incrociare domanda e offerta di lavoro- ma essendo un consulente informatico dell’azienda fornitrice il super Presidente si ravvisa forse qualche problema di incompatibilità sul quale non si attardano però i pentastellati moralisti.
Questo è il tipico modo in cui si distribuiscono soldi senza condizionalità alcuna. È ben noto infatti che l’unica condizionalità che può eventualmente funzionare non è quella rispetto all’offerta di lavoro (che molti centri di impiego non faranno mai) che comunque esiste formalmente in Italia dal 2012 e non è una condizionalità funzionante neanche in paesi europei con una lunga tradizione di politiche attive ma la condizionalità rispetto alle attività: cioè il risultato finale del reddito cittadinanza sarà di pagare 780 euro al mese a persone che fanno 8 ore di lavori socialmente utili in Comune (sempre che i comuni riescano a organizzare così tanti lavoratori socialmente utili).
In conclusione, è evidente la necessità di ampliare la rete di protezione sociale ma questo si sarebbe potuto fare molto meglio e in maniera molto più efficace dividendo le platee degli interessati in tre gruppi separati: i poveri che meritano un ampliamento del REI; i disoccupati, che meritano un ampliamento del sussidio e un miglioramento dei servizi al lavoro e i lavoratori a basso reddito, che meritano sconti fiscali consistenti a integrazione degli 80 euro.
ll messaggio politico che il governo ha voluto dare fin dal primo momento è evidentemente: diversamente dal reddito di inclusione, che è una misura per una platea ben circoscritta ai poveri, il reddito di cittadinanza è sempre stato colpevolmente promesso come una misura potenzialmente estendibile a tutti; il dato per cui al Sud Italia 43% delle persone dichiara meno di 9.360 euro annui e quindi è un potenziale beneficiario fa presagire che quest’anno gli italiani si dedicheranno più a trovare il modo per rientrare nei parametri del reddito piuttosto che a trovare un lavoro.
A questo messaggio devastante dal punto di vista della crescita e della cultura del paese si associa l’altro limite insormontabile che riguarda l’implementazione della misura. La fase di implementazione è sempre stata il punto debole di tutte le leggi ma in questo caso l’implementazione pratica corretta della misura è (forse volutamente) impossibile. Infatti, l’unico risultato che si vuole ottenere è che qualcuno riceva dei soldi entro le elezioni europee.
In tema di salario minimo, non si può essere pregiudizialmente contrari perché si tratta di istituti che estendono, almeno nelle intenzioni, il perimetro dei diritti dei cittadini e dei lavoratori. Nel processo di valutazione però, questi provvedimenti non possono essere analizzati isolatamente ma bisogna guardare la storia e l’evoluzione del contesto economico, sociale e normativo in cui vengono inseriti. E dunque il problema è nei criteri del modello proposto. Si rischia di fare un altro disastro, perché in un paese che vive di contratti nazionali collettivi e che contemporaneamente si è dotato di un reddito di cittadinanza, il pericolo è quello di spostare il mercato del lavoro tutto verso l’alto, costringendo le aziende ad uscire dai contratti nazionali, o diminuire le ore ai lavoratori, o anche alimentando il nero. Potrebbe crearsi una forte interferenza tra Salario minimo legale – stabilito per legge – e Salario minimo contrattuale, determinato invece dalla contrattazione collettiva. La situazione attuale in Italia è che ci troviamo in un’emergenza di segno opposto:siamo passati in un decennio da 300 CCNL ad oltre 800, ed il motivo di questa proliferazione è che ogni CCNL fissa regole in parte diverse, anche sui Salari minimi contrattuali, tanto che molto spesso l’unico obiettivo da parte di un datore di lavoro è ricercare il contratto più conveniente, e più le imprese sono piccole, e meno i sindacati maggiori sono presenti, più vi è una ricaduta negativa in questo senso.
Anche il contesto normativo italiano è molto diverso da quello dei Paesi dove esiste il Salario minimo legale. In Italia non esistono forme di contrattazione collettiva di valore erga omnes, vale a dire che si applichino anche a chi non fa parte di una associazione firmataria del CCNL, non si applicano cioè se l’impresa non aderisce all’associazione sindacale dei datori di lavoro firmataria dell’accordo; se invece l’impresa aderisce, il singolo lavoratore è soggetto comunque al contratto anche nel caso in cui non faccia parte di alcun sindacato firmatario. E dunque, in caso di controversia relativa alla proporzionalità di una retribuzione, il giudice fa riferimento di solito all’articolo 36 della Costituzione, che stabilisce il diritto di un lavoratore ad una retribuzione dignitosa, non essendo nei fatti applicato dalle parti sociali il disposto dell’art. 39 della Costituzione che invece sancisce l’applicazione dei contratti collettivi erga omnes.
Il livello di nove euro lordi sarebbe vicino a quello della Germania ma con livelli dell’economia italiana ben lontani da quelli tedeschi, costituirebbe l’80% del salario mediano e sarebbe tra i più alti tra i paesi Ocse.
La strada non è quella di aumentare i salari per legge, perché si rischia andare nel paradosso di abbassarli. Quello che si può fare è diminuire la tassazione, ovvero il cuneo fiscale che tutti pagano sul lavoro, aziende e dipendenti. In tutti i paesi si è intervenuto così sui salari.
Alessandra Servidori
03 Maggio 2019
Lo smart working compie due anni ma sul digitale siamo indietro
LAVORO ildiariodellavoro
Lo smart-working compie due anni, ma non c’è molto da festeggiare
Dunque una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e di lavoro, la flessibilità e la produttività. Ma a due anni appunto dall’avvio ci incalza la nuova rivoluzione industriale, la digitalizzazione, perché dunque lo smart-working non è però una semplice iniziativa di work-life balance e welfare aziendale per le persone: si innesca in un percorso di profondo cambiamento culturale e richiede un’evoluzione dei modelli organizzativi aziendali, per cui si deve prevedere una roadmap dettagliata fase per fase affiancata alla digitalizzazione. Bisogna sempre ricordare, infatti, che è un progetto intrinsecamente multidisciplinare, che presuppone una governance integrata tra gli attori coinvolti. Un progetto di smart-working è quindi un processo di cambiamento complesso che richiede di agire contemporaneamente su più leve e che deve partire da un’attenta considerazione degli obiettivi, delle priorità e delle peculiarità tecnologiche, culturali e manageriali dell’organizzazione. Inteso come nuovo modo di lavorare che consente un miglior bilanciamento tra qualità della vita e produttività individuale, è quindi anche il risultato di un sapiente uso dell’innovazione digitale a supporto di approcci strategici che puntano sull’integrazione e sulla collaborazione tra le persone, in particolare, e tra le organizzazioni, in generale.In tutto questo la tecnologia gioca un ruolo chiave, perché quando si parla di Digital Transformation nei luoghi di lavoro si pensa anche all’applicazione di tecnologie avanzate per connettere persone, spazi, oggetti ai processi di business, con l’obiettivo di aumentare la produttività, innovare, coinvolgere persone e gruppi di lavoro. A rendere possibile lo Smart Working sono le tecnologie digitali che permettono di scegliere il dove e quando lavorare, sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione. Le tecnologie che supportano il lavoro da remoto sono diffuse ma adottate relativamente dalle aziende italiane perché la digitalizzazione delle imprese non è ancora per l’Italia. La Commissione Europea, nell’ultimo report relativo all’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI – Digital Economy and Society Index), boccia ancora una volta il nostro Paese. Le informazioni evidenziano accuratamente la competitività dei paesi UE nell’ambito dell’adozione delle tecnologie digitali, analizzando una serie di fattori quali la connettività, il capitale umano, i servizi pubblici digitali, l’utilizzo di internet e della tecnologia digitale in ambito business. Da questa analisi l’Italia ne esce sconfitta, posizionandosi al 25° posto nella classifica dei 28 Stati membri dell’Unione Europea, quart’ultima tra le nazioni più obsolete del vecchio continente insieme a Romania, Grecia e Bulgaria. Nonostante il pessimo risultato, però, nel corso degli ultimi anni l’Italia ha fatto registrare nel complesso un lieve miglioramento, anche se la sua posizione nella classifica DESI è rimasta invariata. Quindi anche per lo smart-working le soluzioni a maggiore penetrazione dovrebbero essere quelle a supporto della sicurezza e dell’accessibilità dei dati da remoto e da diversi device,iniziative di Mobility, che prevedono la presenza di device mobili e mobile business app e dai servizi di Social Collaboration .Secondo poi il modello proposto da P4I (Organizzazione,gestione e controllo ), una delle leve è quella legata alle policy organizzative, ovvero le regole e linee guida relative alla flessibilità di orario (inizio, fine e durata complessiva), di luogo di lavoro e alla possibilità di scegliere e personalizzare i propri strumenti di lavoro. Le tecnologie digitali , in funzione della loro qualità e diffusione, possono ampliare e rendere virtuale lo spazio di lavoro, abilitare e supportare nuovi modi di lavorare, facilitare la comunicazione, la collaborazione e la creazione di network di relazioni professionali tra colleghi e con figure esterne all’organizzazione. Anche il layout fisico degli spazi di lavoro, inteso come configurazione degli spazi, ha un impatto significativo sulle modalità di lavoro delle persone e può condizionarne l’efficienza, l’efficacia e il benessere delle persone nel contesto lavorativo: la progettazione degli ambienti è fondamentale per garantire alle persone di lavorare in un luogo che soddisfi le loro necessità professionali, perché lo Smart Working non è praticabile solo fuori dall’ufficio. Un Paese come l’Italia – da sempre a forte vocazione creativa, industriale ed esportatrice – non può permettersi di rimanere indietro e perdere le molteplici occasioni che la digitalizzazione può offrire. Per far fronte alla necessità di colmare il gap di competitività accumulato in questi decenni, dal 2012 l’Agenda Digitale Italiana (ADI), documento strategico realizzato in seguito alla sottoscrizione dell’Agenda Digitale Europea, è entrata in azione definendo linee guida, modalità e priorità di intervento per permettere alle PMI di avviare un processo di digitalizzazione e informatizzazione. Produrre e servire in modo “intelligente” vuol dire connettere con la miglior efficienza possibile i processi dell’intera filiera produttiva, ma anche agire con maggiore reattività e flessibilità in un mercato sempre più mutevole, esigente e imprevedibile. Le aziende della maggior parte degli stati europei viaggiano a una velocità decisamente non sostenibile dalle nostre imprese, e l’Italia, nel suo piccolo, ha cercato di tenere il passo con l’attivazione di una serie di strategie come il Piano Impresa 4.0, il cui fattore di leva più importante è la digitalizzazione della PA, che può assicurare piattaforme e infrastrutture di servizio più semplici ed efficaci, nonché fondi per incrementare le competenze digitali della popolazione, accelerando tutto il processo e soprattutto risorse fresche e certe per ammortamento e super ammortamento per le imprese private. Una volta che tutti gli elementi del Piano Impresa 4.0 saranno finalmente operativi si prevede un’accelerazione del processo di digitalizzazione delle PMI. Ma senza risorse adeguate rimaniamo al palo e questo governo non ha sicuramente aiutato la ripresa. Anzi la sta soffocando.
Alessandra Servidori
29 Aprile 2019
Prevenzione salute e sicurezza sul lavoro?Le misure che mancano
INCIDENTI SUL LAVORO/ Le misure che mancano per la sicurezza IL SUSSIDIARIO.NET
24.04.2019 - Alessandra Servidori
Un nuovo incidente sul lavoro richiama l’attenzione sulla sicurezza a pochi giorni dalla giornata mondiale dedicata a questo tema
Sede centrale Inail (LaPresse)
Il 28 aprile ricorre a livello internazionale la giornata dedicata alla prevenzione salute e sicurezza sul lavoro e proprio ieri in Italia si è registrata l’ennesima morte in un cantiere. Dati dell’Inail, anche se solo parziali rispetto al consuntivo annuale, segnano un incremento incalzante di eventi negativi. Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Inail entro lo scorso mese di febbraio sono state 100.290, in aumento di oltre quattromila casi (+4,3%) rispetto alle 96.121 del primo bimestre del 2018. I dati rilevati al 28 febbraio di ciascun anno evidenziano a livello nazionale un incremento sia dei casi avvenuti in occasione di lavoro (+2,8%), sia di quelli in itinere, occorsi cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro, che hanno fatto registrare un incremento pari al 15,0%, da 12.332 a 14.180.
Un particolare questo che coinvolge in maggior misura annualmente sempre le lavoratrici, un dato già registrato negli anni precedenti da Inail che conferma la rilevanza degli infortuni in itinere per le lavoratrici che sono oltre la metà dei casi mortali nel tragitto di andata e ritorno tra la casa e il luogo di lavoro. Un problema evidentemente da attribuirsi alla stanchezza del doppio lavoro e della mancanza di conciliazione tra lavoro di cura e azienda e allo stress correlato. Inoltre, sempre in ottica di genere, le denunce di malattie dell’apparato osteo-muscolare, del tessuto connettivo e del sistema nervoso sono il 90,1% del totale delle patologie professionali delle donne.
A febbraio 2019 il numero degli infortuni sul lavoro denunciati è aumentato del 2,6%, nella gestione Industria e servizi del 7,4%, in Agricoltura del 10,0%. L’analisi a livello territoriale evidenzia un aumento delle denunce di infortunio in tutte le ripartizioni geografiche: Nord-Ovest (+4,9%), Nord-Est (+5,2%), Centro (+4,6%), Sud (+1,0%) e Isole (+4,1%). Tra le regioni con gli incrementi percentuali maggiori spiccano l’Umbria (+13,4%), la Sardegna, le Marche e la Basilicata (intorno al +10%). Le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail nel primo bimestre del 2019 sono state 9.937, una in più rispetto a gennaio-febbraio 2018. Le patologie denunciate sono aumentate in Agricoltura (+2,5%), calate leggermente nell’Industria e servizi (-0,2%). Dall’analisi territoriale emergono incrementi delle denunce nel Nord-Est (+1,1%) e al Sud (+0,9%) e decrementi nel Nord-Ovest (-1,8%), al Centro (-0,6%) e nelle Isole (-0,1%).
In ottica di genere per ora si rilevano 13 denunce di malattia professionale in più per i lavoratori, da 7.314 a 7.327 (+0,2%), e 12 casi in meno per le lavoratrici, da 2.622 a 2.610 (-0,5%). In diminuzione le denunce dei lavoratori italiani, che sono passate da 9.330 a 9.275 (-0,6%), mentre sono aumentate quelle dei lavoratori comunitari, da 198 a 218 (+10,1%), e dei lavoratori extracomunitari, da 408 a 444 (+8,8%). Le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, quelle del sistema nervoso e dell’orecchio continuano a rappresentare le prime tre malattie professionali denunciate, seguite dalle patologie del sistema respiratorio e dai tumori. L’aumento che emerge dal confronto dei primi bimestri del 2018 e del 2019 è legato sia alla componente maschile, che registra un +3,7% (da 60.376 a 62.589 denunce), sia a quella femminile, con un +5,5% (da 35.745 a 37.701). L’incremento ha interessato i lavoratori extracomunitari (+7,7%) e quelli italiani (+4,1%), mentre tra i comunitari il calo è pari allo 0,7%. Dall’analisi per classi di età emergono aumenti generalizzati in tutte le fasce, a eccezione di quella compresa tra i 30 e i 44 anni, che registra una flessione dell’1,6%.
Le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Istituto entro il mese di febbraio sono state 121, alla quale aggiungiamo quella avvenuta nelle scors ore di un giovane di solo 28 anni. Questa situazione è l’esempio evidente di come non si può approcciare al complesso tema della prevenzione salute e sicurezza solo pensando di agire sull’onda delle urgenze rappresentate dai momenti di maggior concentrazione di eventi drammatici, potendo permettersi di porre in secondo piano il tema delle tutele e della salute e sicurezza sul lavoro.
La prevenzione efficace è un’azione di sistema che richiede interventi programmatici, svolti in sinergia e perseguiti in modo sistematico e continuativo. Il denunciare da anni la mancanza di una Strategia nazionale di prevenzione vuol dire non avere come Paese una progettazione a medio-lungo termine e, pertanto, una visione chiara di insieme su quali devono essere le priorità da realizzare, i controlli e le verifiche da svolgere, gli interventi mirati da pianificare, prevedendo modalità di collaborazione permanente tra i principali attori, istituzionali e delle parti sociali, impegnati nella prevenzione, a livello nazionale, ma anche sul livello regionale, dove le responsabilità non sono meno rilevanti, tenuto conto del ruolo che la legislazione concorrente oggi ancora gli attribuisce, sia in tema di prevenzione, di salute, che di formazione che è di scarsissima qualità.
Il tempo delle sole analisi statistiche e degli osservatori è giunto al capolinea, occorre agire, operando con interventi concreti ed efficaci, pensando ai posti di lavoro che ogni giorno sono chiamati a confrontarsi con il rischio. Perché, se si perde, non sono le regole che vanno cambiate, ma occorre operare su chi non vuole applicarle nel modo giusto. Oltre agli infortuni sul lavoro, infatti, occorre farsi carico delle tante malattie professionali che a oggi procurano sofferenza nella vita delle lavoratrici e dei lavoratori, ma soprattutto è fondamentale aggredire il fenomeno dei danni da lavoro nella sua complessità, sapendo che i numeri delle denunce sono solo la punta di un iceberg dalla base ben più ampia che riguarda i tanti casi oggi ancora purtroppo costretti a rimanere sommersi.
Le Pmi sono punto nevralgico su cui occorre intervenire con forme di supporto a favore dell’implementazione di buone prassi e con trasferimento di competenze. La formazione dei diversi attori della prevenzione è centrale, ma le competenze e il cambiamento dei comportamenti non si acquisiscono solo con la quantità di ore, ma con la qualità, la pertinenza e la specificità degli interventi. Basta quindi con gli enti che fanno della formazione solo un business e rilasciano attestati on line. Il ruolo della pariteticità, quale intesa permanente tra le Parti sociali, titolari dei tavoli contrattuali di livello nazionale e locale, in questo senso, è centrale e determinante per fare la differenza. Il finanziamento per l’Impresa 4.0 non può essere solo a favore della produttività, ma anche di un sistema che pone al centro la persona, a partire dal garantire le tutele sul lavoro, indipendentemente dalle tipologie contrattuali, guardando al raggiungimento diffuso e certo per tutti di adeguate condizioni di lavoro, verso il raggiungimento di uno stato di benessere organizzativo permanente, nel sistema privato, così come nel sistema del lavoro pubblico.
La Strategia nazionale non può essere un mero programma di attività, ma deve essere coerente con le indicazioni europee sulla materia e avere un carattere pluriennale di sistema, che renda più coerente e armonico l’impegno dei diversi soggetti oggi attivi e responsabili in materia di prevenzione negli ambienti di lavoro.
La Giornata Mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, che si svolge il 28 aprile di ogni anno, è stata istituita nel 2003 dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). La manifestazione, di respiro mondiale, ha lo scopo di focalizzare l’attenzione internazionale sull’importanza della prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro e delle malattie professionali e sulla necessità di un impegno collettivo per la creazione e la promozione della cultura della sicurezza e della salute sul lavoro. Ma qui in Italia si continua a sbagliare. Il tema della sicurezza scolastica rappresenta ancora un’emergenza trascurata. Il numero di crolli e distacchi di intonaco è impressionante: 250 dal 2013, uno ogni tre giorni nell’anno scolastico in corso e sono una dolorosa realtà le morti di bambini e ragazzi, la cui assenza è un vuoto profondo per le famiglie e le comunità.
Il territorio italiano conta oltre 17.000 scuole (dati ARES, Anagrafe Regionale Edilizia scolastica, ottobre 2018) in aree a rischio sismico alto (zona 1) e medio-alto (zona 2) e 4 milioni e mezzo di studenti dai 6 ai 16 anni (dati elaborati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia per Save the Children); un Paese in cui oltre metà delle scuole – 22.000 su circa 40.000 – è stata costruita prima del 1970 e il certificato di agibilità/abitabilità manca per più della metà degli edifici (il 53% del totale).
A oggi, il 53,2% degli edifici possiede il certificato di collaudo statico (la prima norma che introduce in Italia l’obbligo del certificato di collaudo statico è la legge 5 novembre 1971, n. 1086), il 22,3% degli edifici senza questo certificato è costruito prima del 1970. Il 59,5% non ha quello di prevenzione incendi. Il 53,8% non ha quello di agibilità/abitabilità. Il 78,6% delle scuole ha il piano di emergenza. Il 57,5% degli edifici è dotato di accorgimenti per ridurre i consumi energetici. Le barriere architettoniche risultano rimosse nel 74,5% degli edifici. Nei recenti provvedimenti finanziari la questione non è stata neanche presa in considerazione. Ancora.
Le recentissime modifiche al Testo Unico 81/ 2008 più volte novellato, con la Legge di bilancio 2019, hanno previsto solo la maggiorazione di alcune sanzioni per violazioni relative al contrasto del lavoro nero, al distacco transnazionale e al lavoro somministrato e il cosiddetto decreto sicurezza solo la vigilanza rafforzata dei Prefetti, ma nulla sulla formazione autenticamente certificata sui luoghi di lavoro. Anzi, sul versante delle aziende il Governo ha addirittura con la Legge di bilancio apportato la revisione delle tariffe dei premi, in vigore da gennaio, che riguarda in particolare l’aggiornamento del nomenclatore, il ricalcolo dei tassi medi e il meccanismo di oscillazione del tasso per andamento infortunistico.
La riduzione dei tassi, definita con tre decreti interministeriali Lavoro-Mf, dovrebbe generare un risparmio per i datori di lavoro attorno a 1,7 miliardi di euro secondo il Governo, ma non assicura per niente che vi sia una ricaduta positiva sulla copertura antinfortunistica concreta dei lavoratori. Il diritto alla salute, compresa quella sul lavoro, è affermato nel nostro ordinamento come diritto fondamentale dell’individuo, oltre che interesse della collettività (cfr. art. 32, 1° comma, della Costituzione): significa che esso riveste un rilievo preminente rispetto ad altri diritti pur riconosciuti dalla Costituzione (in particolare riguardo alla libertà di iniziativa economica privata, di cui all’art.41, Cost., nonché rispetto allo stesso diritto al lavoro, di cui all’art.4, Cost.). Ne consegue che la salute, quale fondamentale diritto del lavoratore e interesse della collettività, non può essere considerata un mero auspicio o una fase tendenziale dell’organizzazione produttiva, ma di quest’ultima costituisce una precisa condizione di esercizio.
Nella dialettica, propria delle relazioni industriali, tra logica produttivistica ed esigenze di tutela del lavoro è dunque la salvaguardia dell’integrità psico-fisica dei lavoratori a rappresentare il momento privilegiato, non potendo il datore di lavoro invocare la libertà d’impresa per giustificare scelte organizzative che possano mettere a repentaglio la sicurezza dei propri dipendenti o collaboratori. Ricordiamoci bene e sempre: con il termine salute, ai sensi dell’art.2, comma 1, lett.o), del d.lgs. n.81/2008 si intende lo “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”.
Riflettere sul valore della sicurezza del lavoro oggi e soprattutto su come si possa concretamente operare per contrastare la piaga delle morti sul lavoro è un dovere fondamentale.
La Ue diminuisce sensibilmente le risorse per la parità di genere.
QUI EUROPA www.ILDIARIODELLAVORO:IT
Rapporto EIGE, meno dell’1% dei Fondi Strutturali Ue viene accantonato per la parità di genere
L’ Istituto Europeo per l'Uguaglianza di Genere (EIGE) ha pubblicato un rapporto che mostra che meno dell' 1% dei fondi Strutturali dell'UE e i Fondi di Investimento sono stati accantonati per la promozione della parità di genere. Secondo questo rapporto, le proposte per il post-2020 bilancio - il Quadro Finanziario Pluriennale dell'UE (QFP) – evidenza un livello ancora più basso di ambizione. Eige analizza nel dettaglio come le istituzioni dell’Ue e gli stati membri possono contribuire a realizzare l'obiettivo della parità di genere attraverso il miglioramento il bilancio di genere, che identifica le diverse esigenze di donne e uomini e assegna le risorse di conseguenza.
Sappiamo -come impatto negativo della diversità di genere- che attualmente le donne guadagnano meno per dedicare più tempo alla cura e del lavoro domestico, e di conseguenza con significativamente pensioni molto più basse rispetto agli uomini. Il Rapporto evidenzia che la strategia del gender budgeting è finalizzata a raggiungere l'uguaglianza tra donne e uomini concentrandosi su come le risorse pubbliche vengono raccolte e spese. Il bilancio di genere è un approccio al bilancio che può migliorarlo, quando le politiche fiscali e le procedure amministrative sono strutturate per affrontare la disuguaglianza di genere e ricordiamo che già il Consiglio d'Europa del 2005 definisce il gender budgeting come una "valutazione di genere dei bilanci che comprende una prospettiva di genere a tutti i livelli del processo di bilancio e la ristrutturazione delle entrate e delle spese al fine di promuovere l'uguaglianza di genere" .
Lo scopo del gender budgeting è triplice: 1. promuovere la responsabilità e la trasparenza nella pianificazione fiscale; 2. aumentare la partecipazione sensibile al genere nella procedura di bilancio, ad esempio adottando misure per coinvolgere ugualmente donne e uomini nella preparazione del bilancio; 3. Promuovere l'uguaglianza di genere e i diritti delle donne. In Italia questa strategia e metodologia è attuata in misura quasi inesistente nonostante i dati sulla situazione femminile siano di gran lunga peggiori di altri paesi Ue soprattutto rispetto l’occupazione inchiodata al 48 % quando l’obiettivo Ue è il raggiungimento della manodopera femminile al 75%.
L'integrazione di una metodologia di gender budgeting nei processi ordinari di bilancio consente ai governi di comprendere meglio in che modo entrate e spese e le politiche che guidano il budget possono avere impatti diversi su donne e uomini. Poiché le prospettive di genere non sono normalmente prese in considerazione nel bilancio, i bilanci sono spesso considerati neutrali rispetto al genere e il Rapporto dimostra che la mancanza di attenzione alle questioni di genere porta in realtà a bilanci di genere quasi inesistenti e quindi a decisioni non ottimali. Il bilancio di genere si fonda sull'analisi di genere, che valuta quanto un bilancio risponda alle divergenze di genere e riveda l'effettiva distribuzione delle risorse tra donne e uomini e ragazze e ragazzi. Tale analisi consente anche l'inclusione di questioni chiave che sono spesso trascurate nei bilanci e nelle analisi politiche, come l'effetto economico della distribuzione irregolare del lavoro non retribuito e il suo effetto economico netto sulle donne, così come la distribuzione disomogenea delle risorse all'interno delle famiglie.
Una buona analisi di genere porta a una buona pianificazione e definizione del bilancio per l'uguaglianza di genere e la crescita economica. n Importante, il bilancio di genere riguarda la ristrutturazione del bilancio per garantire che il governo utilizzi le risorse pubbliche in modo da aumentare la parità di genere e aumentare quindi l'efficienza e l'efficacia dei budget e delle politiche. Questo a sua volta aiuta ad accelerare la crescita inclusiva e sostenibile. Il gender budgeting ha una solida base nell'impegno dell'UE per l'integrazione della dimensione di genere espresso nel trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea hanno ripetutamente invitato gli Stati membri a sviluppare e attuare il bilancio di genere.
A livello dell'UE, il Parlamento europeo è in ultima analisi responsabile per il bilancio dell'UE e la direzione generale del bilancio della Commissione europea per la sua esecuzione. I parlamenti e le amministrazioni pubbliche degli Stati membri dell'UE sono responsabili dei loro cicli di bilancio nazionali e subnazionali Il budget di genere può essere applicato a qualsiasi tipo di sistema di bilancio a tutti i livelli di governo. L'introduzione del gender budgeting a livello di governo centrale è importante perché le decisioni di bilancio relative alle entrate e alle spese sono prese a questo livello.
Ottimo esempio è quello dell’Austria mentre in Italia NON è stato prodotto. La vicinanza dei governi regionali e locali alla vita quotidiana delle persone significa che esiste la possibilità di rispondere più direttamente alle esigenze delle donne e degli uomini quando si tratta di politiche pubbliche e fornitura di servizi. A questi livelli, vi è un grande potenziale per utilizzare approcci partecipativi al bilancio di genere che coinvolgono la popolazione locale e ottimi performance sono state adottate in Spagna e Andalusia. L'efficace attuazione del bilancio di genere richiede un impegno politico associato a una capacità tecnica per l'integrazione della dimensione di genere. La leadership impegnata è di particolare importanza per garantire che l'uguaglianza di genere sia integrata nei processi di pianificazione e di bilancio e che le entrate e le spese del bilancio pubblico siano di beneficio sia per le donne che per gli uomini.
I principali fattori abilitanti per il gender budgeting includono: la volontà politica e leadership politica; un impegno ad alto livello delle istituzioni amministrative pubbliche; una migliore capacità tecnica dei dipendenti pubblici; il coinvolgimento della società civile; analisi dei dati disaggregati per sesso. La volontà politica e la leadership politica, dimostrata attraverso l'impegno politico attivo a promuovere l'uguaglianza di genere, è il fattore abilitante più importante. Al fine di ottenere progressi reali, il bilancio di genere deve essere sostenuto da un governo centrale reattivo e responsabile. La volontà politica può essere dimostrata attraverso la sensibilizzazione degli attori chiave, quali parlamenti nazionali, partiti politici, assemblee regionali e locali e i loro organi consultivi. Può anche essere evidenziato sostenendo i budget sensibili di genere in pubblico o adottando chiari orientamenti politici per il lavoro di gender budgeting. I legislatori possono anche rendere obbligatorio includere le prospettive di genere nel budget e nelle politiche correlate.
L'impegno ad alto livello delle istituzioni amministrative pubbliche è un importante fattore abilitante. Con l'emanazione di chiare istruzioni per l'attuazione e il follow-up, i dipendenti pubblici sono in grado di contribuire al rispetto degli impegni di eguaglianza di genere del governo. La società civile ha un ruolo importante da svolgere nel garantire che i governi siano ritenuti responsabili per il rispetto degli impegni internazionali e nazionali sull'uguaglianza di genere. Può anche svolgere un ruolo cruciale nel collegare il governo alla società e promuovere processi di bilancio partecipativi e i dati disaggregati per sesso sono un fattore abilitante nel condurre analisi. Pertanto, le statistiche nazionali e i sistemi di informazione gestionale nei ministeri, nelle agenzie pubbliche e negli istituti di ricerca svolgono un ruolo cruciale così come gli insegnamenti a livello accademico nei vari corsi economici e giurisprudenziali, approfondendo argomenti come la distribuzione del lavoro non retribuito tra donne e uomini.
Questi dati sono necessari per formulare anche obiettivi di uguaglianza di genere basati su evidenze e per monitorare sistematicamente i progressi e i processi di implementazione del gender budgeting e le statistiche di genere. Un'analisi efficace di genere combina un'analisi dell'impatto su donne e uomini con un'analisi intersettoriale comprendente altre categorie come età, background socioeconomico ed etnia,nella pianificazione , nel processo decisionale e nell'attuazione regolari, nonché nel monitoraggio e nella valutazione delle politiche di bilancio. Ciò significa che condurre un'analisi di genere di un budget, una politica o un programma non è un compito una tantum, ma dovrebbe essere integrato nel ciclo di budget per informare continuamente i decisori su come migliorare i budget e le politiche correlate al fine di raggiungere la parità di genere.
È importante stabilire collegamenti chiari tra stanziamenti di bilancio e programmi e gli obiettivi di uguaglianza di genere definiti nelle strategie generali per la parità di genere, ad esempio strategie e priorità nazionali e impegni a livello UE e internazionali perché il bilancio di genere ha lo scopo di ristrutturare i budget e cambiare le politiche al fine di affrontare le disuguaglianze esistenti. Ciò significa che l'analisi del budget di genere non è fine a sé stessa. Sulla base delle prove prodotte attraverso l'analisi è necessario attuare i cambiamenti necessari nelle dotazioni di bilancio e nelle politiche correlate. In questo modo, i governi possono utilizzare le scarse risorse in modo più efficiente ed efficace e allo stesso tempo lavorare per promuovere la parità di genere.
Nello spirito dell'integrazione della dimensione di genere, il gender budgeting dovrebbe essere integrato durante tutto il ciclo di bilancio. Ciò significa passare dall'analisi di genere isolata a un approccio globale che tenga conto delle prospettive di genere nella pianificazione di politiche e budget, nel processo decisionale e nell'attuazione, nonché nell'auditing, nel monitoraggio e nella valutazione. In linea di principio, il gender budgeting può essere integrato in tutte le fasi del ciclo di bilancio regolare e in quanto tale, può essere combinato con i diversi approcci , applicato a vari livelli nel lavoro sistematico sul bilancio di genere come avviene virtuosamente in Belgio, Austria, Finlandia e Svezia, oltre che a livello locale a Berlino e Vienna.
L'approccio principale si concentra sull'integrazione delle prospettive di genere e delle priorità di uguaglianza di genere nella definizione di obiettivi, , attività e indicatori al fine di misurarli, oltre a collegare questa pianificazione strategica agli stanziamenti di bilancio e svolgere regolari attività di controllo, monitoraggio e valutazione per informare un nuovo ciclo di pianificazione strategica. Esempi di combinazione del bilancio partecipativo e del bilancio di genere si possono trovare in diverse città tedesche, ad esempio a Berlino e Friburgo e in Gran Bretagna Pertanto, i bilanci di genere e le relative politiche contribuiranno al raggiungimento dell'uguaglianza di genere e allo stesso tempo miglioreranno il benessere della popolazione e porteranno a una crescita e all'occupazione più sostenibili e inclusivi.
L'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (EIGE) ha studiato come i miglioramenti nell'uguaglianza di genere possano contribuire a una crescita economica sostenibile, inclusiva e intelligente nell'Unione europea. Lo studio elettronico dell'EIGE sui benefici economici dell'uguaglianza di genere è unico nel contesto dell'UE. È il primo ad utilizzare un robusto modello econometrico per stimare un'ampia gamma di benefici macroeconomici dell'uguaglianza di genere in diverse vaste aree come l'istruzione, l'attività sul mercato del lavoro e le retribuzioni. Inoltre, considera l'impatto demografico di tali miglioramenti mostrando che una maggiore uguaglianza di genere porterebbe a • Tra 6,3 e 10,5 milioni di posti di lavoro supplementari nel 2050 a causa del miglioramento dell'uguaglianza di genere affrontando la segregazione di genere nelle scelte educative e aumentando la partecipazione delle donne nei settori scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico (STEM), con circa il 70% di questi posti occupati dalle donne • Un aumento della produttività occupazionale e della potenziale capacità produttiva dell'economia come risultato di affrontare la sottorappresentazione delle donne in settori con carenze di competenze e buone prospettive di occupazione come STEM. • Impatto positivo del PIL pro capite che aumenta nel tempo :nell'UE, il miglioramento della parità di genere contribuirebbe a un aumento del PIL pro capite fino al 9,6% entro il 2050.In Italia si continua a dichiarare che si deve intervenire per l’aumento della presenza femminile sul mercato del lavoro ma rimaniamo clamorosamente indietro anche sull’applicazione delle strategie suggerite dalle migliori performance di altri Paesi e il bilancio di genere non si fa nelle leggi finanziarie e ancora meno a livello locale. Per questa ragione fondamentale nei percorsi di studio universitario è necessario- come facciamo a Modena e Reggio Emilia con corsi ad hoc- insegnare agli studenti nell’ambito delle politiche attive di pari opportunità nel lavoro pubblico e privato l’importanza della realizzazione dei bilanci di politiche attive di sostegno per una programmazione sia nazionale che locale che aziendale ancorate al gender budgeting.
Alessandra Servidori
15 Aprile 2019
UN DEF DEMENZIALE e 4 anime colpevoli
Alessandra Servidori
4 Anime : 1 in pena( Tria) 1 Spavalda( Conte) e 2 sciallate (Salvini e Di Maio).Dovrebbero andare a lavorare
Di DEF e dei deliranti contenuti se ne parla poco e soprattutto del fatto che il ministro Tria riconosca esplicitamente la responsabilità dell'Esecutivo nella crisi economico-finanziaria italiana, che verrà approvato dal Parlamento con una mozione voluta dai due vicepremier, che esprimono una linea diametralmente opposta appoggiata servilmente dal Premier.
E’ orribile la situazione in cui versiamo e drammatica sarà sicuramente dal 27 maggio in poi, quando il passaggio politico del voto europeo si sarà compiuto e anche gli italiani più disinvolti dovranno rendersi conto che l’alternativa è una sola : o sperare di dare un nuovo inizio alla legislatura o metterci fine. La così detta verità uscita finalmente come un coniglio spelacchiato dal cappello del Ministro del tesoro ha messo in luce le bugie, le falsità reiterate sulle reali condizioni di salute sia dell’economia che della finanza pubblica.I numeri sono lì nero su bianco e non si possono cambiare : una crescita tendenziale del pil quasi azzerata (+0,1%), e neanche sarà rinforzata dal minimo rimbalzo della produzione industriale registrato a febbraio perché si trattta di export e di merce di cui i magazzini sono ancora pieni dal fermo dell’occupazione in atto ,e non è scalfibile la stima di un decimo punto in più rispetto alle previsioni più negative che ipotizzano realmente un 2019 a -0,1% o addirittura a -0,2%. E questo reddito di cittadinanza sicuramente non sosterrà l’occupazione in quanto le furbizie si stanno già evidenziando. E’ il caso di chi si è dimesso da un posto di lavoro regolare che non può chiedere subito il “reddito di cittadinanza” ma per averlo subito basta far figurare un licenziamento invece che le dimissioni. Quanto alla possibilità di perdere il sussidio per il rifiuto di un’“offerta di lavoro congrua”, tutti sanno che è un rischio soltanto teorico perchè avendo stabilito che il rdc è di 780 euro , c’è la prospettiva seria che qualche milione di lavori a tempo parziale sparisca, o si inabissi nell’economia sommersa, portando con sé altrettanti matrimoni trasformati in convivenze non dichiarate. Così la quota 100 non significa più giovani al lavoro ma anzi impoverimento dei settori nevralgici come la sanità e l’istruzione, il reddito di cittadinanza appunto significa più lavoro irregolare , perché il Governo ha deciso di impostare l’intero schema del cosiddetto “reddito di cittadinanza” come misura di politica del lavoro, per sottrarne la gestione ai comuni. Come se non bastasse ha condizionato l’erogazione del sussidio alla disponibilità del beneficiario ad aderire “almeno alla terza offerta di lavoro congrua” che gli pervenga entro il primo anno. Nessuno, evidentemente, ha informato il Governo che da ormai mezzo secolo le aziende non comunicano più agli uffici di collocamento posti di lavoro che possano essere offerti a Tizio o a Caio indifferentemente: nessuna azienda offre un’assunzione “al buio”, prima di aver vagliato attentamente le attitudini e motivazioni del candidato. Tanto meno lo farebbe con la prospettiva di vedersi avviare una persona non qualificata, che per di più si presenterebbe solo perché costretta. Il meccanismo di “condizionalità”, previsto per limitare la natura assistenzialistica del sussidio, non può dunque funzionare. Quel che è peggio, però, è che nello stesso decreto è contenuta questa disposizione strabiliante: si esclude chi ha perso il posto, e sta godendo del trattamento di disoccupazione (NASpI), dal servizio di assistenza qualificata istituito nel 2015 e finanziato conl’assegno di ricollocazione e lo si riserva ai soli beneficiari del RDC, per i quali per lo più esso non può funzionare. Aggiungiamo che lo sblocca cantieri è bloccato e la decrescita è in atto. : il DEF è una dichiarazione di fallimento completa e reale. I 4 non solo non si fanno carico di un ciclo economico italiano, già così più basso di oltre un punto rispetto alla media Ue che ha una differenza ancor più larga con l’eurozona, ed è francamente offensivo per gli italiani continuare ad affermare che è colpa della Germania .E’ evidente, che il Def ci porta dritti dritti all’aumento dell’Iva, per il programmato ammontare di 23 miliardi nel 2020 e di 28 nel 2021 e la necessità di ottemperare all’obbligo delle clausole di salvaguardia europee facendo aumentare le aliquote Iva per un gettito complessivo di 23,1 e 28,7 miliardi. C’è poi in vista la promessa anch’essa demenziale che si vuole introdurre quella che impropriamente è stata chiamata flat tax, la quale prevedendo ben sei classi di aliquote tributarie altro non sarebbe che una riformina fiscale, dal costo di 17 miliardi di minori entrate (se avesse le caratteristiche prevista dalla proposta leghista) che sarebbero recuperate attraverso l’aumento del pil e quindi del gettito solo nel giro di qualche anno, sempre che gli effetti reali sulla base imponibile non si rivelino negativi. Il che, nel combinato disposto del non aumento dell’Iva e dell’entrata in vigore della manovra fiscale, farebbe salire il deficit 2020 fino al 4,1 del pil. Altro che procedura di infrazione ,un buco nero che ci porta in una crisi economica enorme e le tasche degli italiani completamente svuotate da questi irresponsabili.
Governo Irresponsabile
Alessandra Servidori
Questo governo non ha il pudore della responsabilità :sui conti pubblici noi italiani sicuramente siamo già più che allertati dalla situazione di emergenza in cui ci troviamo con i provvedimenti che sono stati adottati e che ci hanno portato giù nel declino e nel disastro. Martedì 9 aprile sarà la nuova manovra finanziaria, che ha un’anticipazione nel Def, il documento di programmazione, che il ministro Tria deve presentare appunto martedì prossimo, che chiarirà questa impresentabile disfatta. Perchè sarà la legge di bilancio autunnale, salvo la necessità di farla precedere da una manovra correttiva che riduca almeno un po’ lo scarto tra le indicazioni contenute nella legge finanziaria varata a dicembre scorso e la realtà delle condizioni del ciclo economico e della finanza pubblica. L’apice del programma di governo contenuto nel famoso “contratto” e il conseguente “stallo” che si è creato dentro l’esecutivo e nella maggioranza parlamentare che lo sostiene ha bloccato il nostro Paese. I due della banda Bassotti del governo, Lega e 5stelle, in totale dissenso su tutto, le liti anche sul piano delirante e il Presidente Mattarella pronto a “riparare” per quanto fosse possibile i danni enormi per la salvaguardia degli interessi del Paese che nel tutelare l’agibilità dei ministri cosiddetti tecnici ha finito, e meno male , per assumere un ruolo sempre più politico. Per nostra misericordia sono più gli italiani che giudicano negativamente la politica economica gialloverde fatta fin qui di quelli che l’approvano e dobbiamo augurarci che il ministro Tria, forte dell’appoggio del Quirinale, sia in grado e deciso nell’adottare una linea che sia di verità detta al Paese, di argine a derive populiste (vedi le banche), di rigore nella gestione della finanza pubblica e di spinta agli investimenti produttivi e infrastrutturali, a cominciare dalla Tav. Noi ci auguriamo che agisca in questo modo e riteniamo che sia anch’egli disgustato dagli attacchi personali che ha subito, ma non è l’unico e anche perché a chiederglielo, oltre che il Colle – e già sarebbe più che sufficiente, per lui – sono tutti gli interlocutori internazionali, europei e non, preoccupati che l’Italia salti in aria trascinando nuovamente l’eurozona, e con essa altre aree economiche e monetarie, nell’ennesima fase di crisi. E’ aumentato il livello di tensione dentro governo e maggioranza e la situazione è insostenibile : è indispensabile che la scelta di Tria sia di presentare un Def veritiero e non elettorale non cadendo nella scia deleteria di precedenti governi che in questi anni hanno adottato il criterio speculativo di fare del documento di programmazione un falso in bilancio, scrivendo previsioni virtuose, cui Bruxelles faceva finta di credere, che tutti sapevano non avrebbero retto a consuntivo. Ma che era anche, convenzionalmente, il modo per fare deficit spending: non dicendolo preventivamente, anzi. TerzaRepubblica capitanata da Enrico Cisnetto ha preso le previsioni del rapporto deficit-pil contenute nei vari Def e le ha confrontate con quanto successivamente consuntivato. Dal 2011 in poi sulle 22 previsioni contenute nei 7 Def presi in esame (escluso l’ultimo, scritto “a politiche invariate” dal governo Gentiloni dimissionario), solo una volta il deficit preventivato si è rivelato superiore o almeno uguale a quello poi riscontrato a consuntivo l’anno dopo. In tutti gli altri casi i governi sono sempre stati troppo “ottimisti”, con uno scarto che in media è risultato di quasi un punto percentuale (0,86 per la precisione).Ora è giunto il momento di non nascondere niente : abbiamo una condizione recessiva con una crescita del pil pari allo 0,1% ed è più probabile – perché largamente stimato dai maggiori centri di analisi internazionali – che davanti a quel decimo di punto ci sia il segno meno. Questo Governo vuole arrivare alle elezioni del 26 maggio negando ostentatamente la crisi ma comunque sia chi vorrà prendere a mano una nuova manovra che deve aumentare l’Iva per 52 miliardi e e’effetto accumulo dei problemi lasciati irrisolti da anni, e di tutte le bugie raccontate a quegli italiani che ci hanno creduto : chi incrementa oggi la sua storia retributiva sul versante pensionistico acquista solo dei diritti che NON saranno onorati dai giovani di oggi perché NON ci saranno le risorse e continuerà il blocco dell’adeguamento delle pensioni,anche perché gli andamenti demografici ci dicono che c’è un processo di invecchiamento e una denatalità inversamente proporzionale: le pensioni a quota 100 sono tutte lunghe e a scapito dei giovani e resta una bugia grossissima che andare in pensione prima rilancia l’occupazione.Circa 700 mila insegnanti e bidelli stanno scappando dalle scuole,il settore sanitario che rimane senza medici, e l’Italia si impoverisce sempre di più,perché anche il welfare soffre moltissimo e questo governo NON ha favorito il welfare aziendale che è la trasformazione di una parte della retribuzione tassata in retribuzione esente e la cui funzione principale è quella di conciliare il tempo di lavoro con il tempo per la famiglia.Senza un Piano nazionale vero per gli asili nido,senza un incentivo per negozi e aziende,attività produttive, se non si sostengono i distretti produttivi con i servizi per le famiglie compresi gli anziani, le coppie continueranno a non fare figli perché non sanno a chi lasciarli e gli anziani staranno sempre più soli e abbandonati e l'istruzione dei pochi bambini sarà lasciata a insegnanti sempre più avanti negli anni e stanchi.
EUROPA SOSTANTIVO PLURALE FEMMINILE
https://formiche.net/2019/04/europa-sostantivo-plurale-femminile/
Alessandra Servidori EUROPA è sostantivo plurale anche femminile
In Slovacchia vince le presidenziali Zuzana Caputova, una donna che si è fatta strada lottando contro la corruzione e il degrado ambientale, portando avanti così gli stessi temi su cui era impegnato il giornalista Jan Kuciak, recentemente assassinato. La giovane signora si è dichiarata europeista e questo è di già una notizia eccezionale visto che la Slovacchia è uno di quei paesi che fino ad ora è stata governato con uno spirito molto antireupeista insieme alla Polonia, Repubblica Ceca, quel gruppo di Paesi detti di Visegrad, piccola città ungherese in cui fu costituito il blocco, nel 1991. l gruppo, nato dopo il crollo dell’Unione sovietica per rafforzare la cooperazione tra questi paesi, negli ultimi anni si è caratterizzato in particolare per sostenere posizioni euroscettiche, sovraniste e rigide in tema di immigrazione.Queste posizioni hanno portato a un avvicinamento tra l’alleanza e il governo dell’Austria, guidato dal premier di destra Kurz..Le relazioni con l’Italia sono state spesso difficili, soprattutto per la mancata disponibilità del gruppo a farsi carico dell’accoglienza dei migranti extra-europei. In Italia noi siamo sotto scacco di una premier ship sostanzialmente antireupeista e ,almeno nella destra,si fa sempre più concreta la possibilità che a guidare Forza Italia sia Mara Carfagna abile intelligente e colta europeista e che il triumvirato femminile Carfagna/Bernini/Gelmini del partito azzurro abbia fatto una alleanza formidabile per dare impulso allo storico partito berlusconiano che comunque ha sempre tenuto alto il dialogo con Merkel e la UE e ha garantito l’alleanza. Sappiamo bene che le conseguenze dei no decisi alla Ue ci stanno davanti agli occhi ed è già accaduto che un Paese membro ci ripensasse come appunto la Grecia. Potrebbe accadere anche al Regno Unito perché l’economia britannica si è ormai integrata troppo in quella del continente perché sia indolore tornare indietro. Perché il problema del confine tra Ulster e Irlanda, in caso di Brexit, appare insolubile e l’Ulster stesso potrebbe essere indotto a chiedere l’annessione all’Irlanda pur di rimanere nella UE. Perché gli scozzesi sono decisi a opporsi in tutti i modi all’uscita dalla UE, minacciando altrimenti la secessione. Di fronte ai danni economici si aggiunge questo sfaldamento drammatico della Gran Bretagna,il parlamento che non si mette d’accordo e anche la maggioranza degli inglesi potrebbe convincersi a tornare sui propri passi. Vero è che il danno, in termini di incertezza e paralisi, sarà comunque ingente. Ma il significato di un epilogo di questo genere, per il futuro dell’UE, sarebbe opposto a quello che la Brexit fa temere. È interesse primario anche della UE favorire questa soluzione. Dunque: niente ritorsioni, niente atteggiamenti arcigni, se e quando il figliol prodigo decidesse di tornare (anzi: rimanere) a casa. In questa situazione drammatica è intervenuto Macron sulla Brexit proponendo di lasciare il Regno Unito fuori, perché in questa fase delicata di rilancio dell’UE sarebbe solo un problema.I britanni pagheranno caro questo loro errore del 2016, (e questo sarà di monito per tutti gli euroscettici, così facilitando il processo di integrazione) ma l’errore lo pagheremo tutti quanti. Un divorzio traumatico UE/UK è stato ed è l’obiettivo pervicacemente perseguito dai servizi segreti di Putin e dal capo-stratega di Trump Steve Bannon, uomo di estrema destra e nemico giurato della democrazia europea: la hard Brexit sarebbe il trionfo di gente come questa. Viceversa un Regno Unito che dopo aver votato Leave finisse col Remain sarebbe la loro sconfitta; sarebbe la dimostrazione che non esiste una vera alternativa tra vecchia sovranità nazionale e nuova sovranità europea, perché quest’ultima è oggi l’unica sovranità possibile nel nostro continente. E così tutti noi comunitari potremo fare squadra contro il gioco tra USA, Russia e Cina.
Ci vuole lucidità per i cinesi e non pressapochismo
https://formiche.net/2019/03/cinesi-italia-cina-ue/
Alessandra Servidori Ragioniamo con lucidità sui cinesi sbarcati in Italia
Mentre in Italia hanno sventolato le bandiere cinesi e abbiamo accolto a cavallo l’ultimo imperatore- che lo sarà a vita- il Consiglio europeo sulla Cina, ha accusato il gigante asiatico di irregolarità commerciali, a cominciare dalla chiusura del suo mercato alle imprese estere; di dare sussidi a pioggia alle sue industrie, distorcendo la competizione; e di non proteggere in maniera adeguata i diritti di proprietà intellettuale. E questo è solo una parte delle politiche commerciali che la Commissione europea e il Servizio di azione esterna europeo (Seae) come incipit per il Consiglio europeo dello scorso 21-22 marzo. Vero è che per anni l’Europa era incapace di rispondere all’ascesa della potenza cinese e che anche quando una risposta comune veniva adottata, questa era solitamente debole e poco incisiva. Ora la risposta è arrivata, e molto forte. Nel suo ultimo documento – che servirà anche a preparare il Vertice Ue-Cina del 9 aprile – la Ue ha deciso di definire la Cina un ‘competitore economico’ e ‘rivale sistemico’. Contemporaneamente il Consiglio europeo ha discusso la questione della creazione dei cosiddetti ‘campioni nazionali’, una proposta dell’asso franco-tedesco fortemente sostenuta dalle elites politiche e industriali dei due paesi. Ricordiamo molto bene il manifesto di Macron nel quale il presidente francese dice chiaramente che per competere con potenze quali gli Stati Uniti, la Cina e la Russia, l’Europa deve dotarsi di politiche che difendano la sua sovranità tecnologica e creare industrie europee capaci di competere con le grandi imprese di stato cinesi.Un tassello fondamentale della sovranità tecnologica è la difesa delle imprese europee dagli investimenti predatori. In tal senso, il Consiglio europeo ha dato il via libera al meccanismo di scrutinio degli investimenti esteri nella Ue – il cosiddetto screening mechanism– indirizzato a impedire alle grandi imprese di stato cinesi di fare ‘shopping tecnologico’ in Europa –che porta con sé il rischio di de-industrializzazione dell’Europa nel medio-lungo periodo. Questa proposta che mira a difendere l’interesse nazionale degli stati membri dovrebbe essere accolta con favore dalla coalizione di governo in Italia, formata da due partiti che hanno fatto della difesa della sovranità (e delle aziende nazionali) la loro bandiera. Eppure, l’Italia prima che l’imperatore venisse a firmare il Memorandum in questi giorni ,il 5 marzo, durante la votazione sulla bozza del testo che ora permette alla Commissione europea e ai paesi membri di ‘scrutinare’ gli investimenti cinesi nella Ue, si era astenuta. Con lei solo la Gran Bretagna, che è già praticamente fuori dall’Unione e che commercia allegramente con la Cina.Il nuovo provvedimento legislativo inerente gli investimenti cinesi è parte dell’armamentario che il Consiglio europeo ha adottato per rispondere al progetto cinese di una Nuova Via della Seta (nota come Bri, acronimo inglese diBelt and Road Initiative).E’ bene sapere che una risposta al progetto della Bri l’Ue l’aveva data lo scorso settembre, con la pubblicazione del documento sulla Strategia per la connettività euro-asiatica, contiene norme e principi di ispirazione occidentale e ai quali spesso le aziende cinesi non si attengono. In questi giorni diversi paesi membri dell’Ue hanno avuto parole molto dure riguardo il progetto infrastrutturale di Pechino e l’ Italia invece ha sottoscritto il progetto cinese di Nuova Via della Seta durante la visita del presidente cinese Xi Jinping.. I nuovi “compagni” penta stellati con la copertura dei leghisti possono dire quel che vogliono e cioè che il Memorandum d’Intesa che l’Italia ha firmato con la Cina fa chiaro riferimento alla Strategia europea per la connettività euro-asiatica e rappresenta un modello anche per altri paesi avanzati. Anche no però perché non va dimenticato che una tale strategia può essere efficace nei confronti di Pechino solo se dietro si muove compatto l’intero blocco europeo, altrimenti singoli paesi – anche molto forti economicamente come la Germania – poco possono di fronte al gigante asiatico. Il Governo italiano con i bulimici sovranisti pentastellatileghisti ha agito da battitore libero ed è così che indebolisce l’area EURO in un momento storico dando anche i numeri a caso come per esempio che si sono sottoscritti per due miliardi di euro di accordi che “possono diventare 20 miliardi”.Ma noi ora siamo piccoli e deboli e l’attuale divisione dell’Europa porta immediati benefici a Pechino ma non sicuramente a noi nei confronti delle politiche commerciali della tigre asiatica e del rafforzamento dell’Unità europea.
Contro il meeting di Verona.Ecco perchè.
Alessandra Servidori
Sono decisamente contro il raduno di Verona . La chiama” festa” il senatore Pillon quel seminario di tre e costosissimi lunghi giorni che ha come pretesto il dialogo sulla famiglia. Ma se c’è qualcuno che vuole proprio massacrare la famiglia sono coloro che mettono in difficoltà reale e concreta il rapporto tra genitori .Un rapporto molto privato che il disegno di legge di Pillon appunto prevede di normare conculcando la restaurazione di un diritto di famiglia obsoleto. Le mie opinioni sono fondate sui fatti.Con una recente decisione, la Corte di Cassazione, ribadendo numerose sue precedenti pronunzie, ha specificato che quando i genitori si lasciano il figlio ha il diritto di godere dell’apporto di entrambi (il c.d. diritto alla bigenitorialità).La Cassazione, che, è bene ricordarlo, sono i giudici più importanti e “alti in grado” in Italia, ha anche precisato che il diritto del minore alla bigenitorialità non è il diritto dei genitori a spartirselo a metà secondo i propri capricci o logiche, tipiche di molte coppie “scoppiate”, di vendetta trasversale. Questo non vuole dire che sia vietato prevedere che, in caso di rottura della coppia genitoriale, il figlio possa passare metà tempo con un genitore e metà con l’altro. Sarebbe però sbagliato, secondo questa e altre, numerosissime decisioni, fissare come regola generale quella del metà tempo: ogni famiglia e ogni bambino costituiscono un mondo a parte, con singolarità, storie, abitudini e specificità che devono essere rispettate anche, e soprattutto, se i genitori si lasciano. In alcuni casi la parità temporale è la soluzione ideale - pensiamo a due genitori che abitano vicini che hanno orari di lavoro simili o complementari - in altri no. Si tratta di un’interpretazione della norma in linea con quello che succede nella maggior parte dei paesi occidentali e che rispetta i diritti dei figli come stabiliti in tantissime Convenzioni internazionali che anche l’Italia ha firmato. D’altra parte, anche se qualcuno fatica a capirlo, i bambini non sono proprietà dei genitori che se li possono dividere a fette come le torte: il tempo di Salomone è finito da un pezzo. Mentre i media riportano quotidianamente storie di femminicidi, stupri, violenze e abusi, in una sequenza cronicizzata di orrore , non solo continuiamo a sentir parlare del problema come di un'emergenza sociale a dispetto dell'evidenza dei dati che dimostrano ampiamente come la violenza maschile contro le donne sia un problema strutturale e profondamente radicato nel nostro paese, ma registriamo l'avanzare indisturbato di proposte di legge che, se approvate, favorirebbero inevitabilmente il persistere della violenza, in particolare quella intrafamiliare". La Convention integralista di Verona, con questo viscido paternalistico motivo “festivo” intende dare una spallata al DDL 735 presentato dal senatore Pillon che rappresenta "la sistematizzazione di un processo di riappropriazione del potere maschile minacciato dalle nuove norme transnazionali e in particolare dalla Convenzione di Instanbul".Il disegno di legge "Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità" intende dare attuazione a quanto previsto in materia nel contratto di Governo attraverso una serie di modifiche normative, a partire dalla mediazione civile obbligatoria in tutte le separazioni in cui siano coinvolti i figli minorenni, prevedendo l'equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari nella cura e nell'educazione, e quindi affidamento congiunto e doppio domicilio per i minori.Il DDL Pillon prevede anche il mantenimento in forma diretta dei figli, senza automatismi nel riconoscimento di un assegno da corrispondere al coniuge attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al reddito e ai tempi di permanenza presso ciascun genitore del minore, e il contrasto dell'alienazione genitoriale "che, disconfermata dal mondo scientifico, rientra mal camuffata come supposta tutela dei 'diritti relazionali' dei minori"."Il DDL dimostra che chi ha redatto il testo sia completamente decontestualizzato e non tenga conto di cosa accade nei tribunali, nei territori e soprattutto tra le mura domestiche. Il testo sembra quasi completamente ignorare la pervasività e l'insistenza della violenza maschile che determina in maniera molto significativa le richieste di separazioni e genera le situazioni di maggiori tensioni nell'affidamento dei figli che diventano per i padri oggetto di contesa e strumento per continuare ad esercitare potere e controllo sulle madri.Ignora inoltre il persistente squilibrio di potere e di accesso alle risorse proponendo un'equiparazione tra i genitori, il doppio domicilio dei minori, l'eliminazione dell'assegno di mantenimento e dando per scontate disponibilità economiche molto spesso impossibili da garantire per le donne in un paese con elevatissimi tassi di disoccupazione femminile, dove è ancora presente il gap salariale, che continua ad espellere dal mercato del lavoro le madri, ne penalizza la carriera e garantisce sempre meno servizi in grado di conciliare le scelte genitoriali con quelle professionali, mentre scarica i crescenti tagli al welfare sulle donne schiacciate dai compiti di cura.Il dispositivo proposto appare dunque, una presa di posizione consapevole e di parte "che alimenta il senso di frustrazione e di rivalsa dei padri separati, rischia di sostenere gli interessi della parte peggiore di ordini professionali, oltre che supportare una cultura patriarcale e fascista che, fingendo di mettere al centro la famiglia come istituto astratto e borghese, tenta di schiacciare la soggettività e la libertà delle donne ancorché dei minori.La previsione, ad esempio, della mediazione civile obbligatoria (e onerosa) per le questioni in cui siano coinvolti figli minorenni, introdotta oltretutto con il dichiarato intento di 'salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia', rischia di produrre effetti opposti a quelli che vorrebbe perseguire, ossia l’alleggerimento del carico giudiziario per le questioni familiari e il contenimento dei costi per i coniugi separandi, visto che da un lato onera di un procedimento più farraginoso e di spese probabilmente più rilevanti tutte quelle coppie con figli minori che, fino a oggi, in condizioni di non conflittualità e reciproco accordo, potevano far ricorso a una snella e tutto sommato economica procedura giudiziaria di separazione consensuale; dall’altro perché nei casi opposti, ossia in quelle situazioni in cui la procedura di separazione è figlia di condizioni di forte conflittualità o addirittura di abusi e violenza di un coniuge nei confronti dell’altro, obbliga le due parti a mantenere frequenti e reiterati contatti, finalizzati alla definizione del 'piano genitoriale' previsto dalla nuova normativa, con il conseguente rischio di procrastinare e aggravare condizioni di disagio e di violenza, quantomeno psicologica, che finirebbero inevitabilmente per incidere anche sull’accordo fissato dal suddetto piano.Con questo DDl che sarà tema di appoggio sfrenato nella tre giorni Veronese si va contro a quell’affido condiviso che dalla L. 54/2006 è divenuto il provvedimento più applicato in sede giurisdizionale, in concreto poi non si realizza, in pratica rischia di innescare invece meccanismi di prevaricazione nei confronti del genitore socio-economicamente più debole (statisticamente le madri), specie in quelle situazioni di soggezione dovute a precedenti (e poi perduranti?) condotte vessatorie e violente che richiederebbero invece un allontanamento e un distacco fra gli ex coniugi, in primis a tutela dei figli, già provati da un clima di estrema conflittualità fra i genitori in costanza di matrimonio. Si va contro con un evidente e insanabile scollamento fra i tempi della giustizia civile, e tanto più della mediazione obbligatoria, e quelli dell’accertamento penale, e a proporre l’introduzione di una significativa modifica all’art. 572 del codice penale, ossia la norma che punisce il reato di maltrattamenti in famiglia, prevedendo che tali condotte debbano avere il connotato della 'sistematicità' in luogo della 'abitualità' oggi prevista, ossia essere pressoché continue, restringendo in modo significativo il campo di applicazione della fattispecie, la soppressione dell’assegno di mantenimento per il figlio minore (che di fatto toglie rilevanza anche al recentemente novellato art. 570 c.p. che sanziona penalmente l’inosservanza di tale contribuzione, aggravando così ulteriormente la posizione del coniuge debole) e la sua sostituzione con la previsione secondo cui ciascun genitore deve contribuire direttamente a livello economico per il tempo in cui il figlio gli è affidato e che il piano genitoriale debba contenere la ripartizione per ciascun capitolo di spesa, sia delle spese ordinarie che di quelle straordinarie. E dall’altro quelle dirette a neutralizzare il rischio della c.d. alienazione genitoriale, ossia il trauma psicologico subito dal figlio minorenne in caso di condotta di uno dei genitori tesa a ostacolare i contatti con l’altro (effetto peraltro ancora assai discusso in ambito scientifico), con la previsione di una possibilità d’intervento coercitivo e fortemente invasivo del Giudice anche laddove tale rischio sia soltanto denunciato ma non dimostrato (gli articoli 17 e 18 del ddl dicono infatti che se il figlio minore manifesta 'comunque' rifiuto, alienazione o estraniazione verso uno dei genitori, 'pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori' stessi, il giudice può prendere dei provvedimenti d’urgenza: limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale, inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore e anche il 'collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata'). Dunque in buona sostanza i TRE GIORNI VERONESI dobbiamo ben capire cosa stanno producendo. Sicuramente sono più che fondate le preoccupazioni e le proteste delle numerose associazioni a tutela della donna (come già detto statisticamente parte debole a livello socio-economico nelle procedure di separazione), ma anche da diverse associazioni di avvocati, psicologi e operatori che si occupano di famiglia e minori, da giuristi, anche cattolici, da giudici minorili, dai centri antiviolenza, dai movimenti femministi e anche dalle relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne, in ordine alla possibile entrata in vigore di una siffatta normativa. E poi prendiamoci il tempo per scoprire questa oligarchia di Dio legata alla Lega dei rapporti tra Lega e Russia , relatori al congresso della famiglia come Alexey Komov integralista cristiano partners del Fondo Bonifacio insieme a Molofeev che ha trattato per conto insieme a Gianluca Savoini –fedelissimo di Salvini-a Mosca per ottenere finanziamenti per Salvini in vista delle elezioni Europee. Tutto documentato dal luglio del 2018. Tutto documentato i finanziamenti a Nuova Terrae Fondazione che si nutre di tesorerie russo-azere,capitanata da Luca Volontè – oggi sotto processo per corruzione- attraverso documenti bancari completi , che mostrano fondi di offshore attraverso la Fondazione hanno finanziato quasi tutte le organizzazioni del meeting di Verona compresi Filippo Savaresi che guida la costola italiana di Le manif pour tous ovvero generazione famiglia,Mario Sberna, Gianfranco Amato, ecc tutti relatori a Verona .A cominciare appunto dal world congress of famiglie l’ultimo dei quali in Moldavia e ora arrivato poco felicemente tra di noi. E avrà ben un senso se anche la CEI ne ha preso garbatamente le distanze.