Un nuovo partito europeo: spunti per la riflessione
ALESSANDRA SERVIDORI ed alcune amiche ed amici autenticamente
liberali e riformisti
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UN NUOVO PARTITO EUROPEO
Spunti per la discussione
Il “caso italiano” costituisce ormai un serio pericolo per tutti. Per il futuro della nostra democrazia e della nostra economia. Per le sorti dell’Unione europea.
Ormai da tempo l’Europa è attraversata da uno storica sfida tra le forze della responsabilità e quelle della demagogia populista. La grande crisi economica e finanziaria, il deficit di credibilità della politica e dei poteri, l’insicurezza demografica e culturale causata dalle inarrestabili ondate migratorie hanno reso senescente il bipolarismo destra-sinistra, facendo nascere un nuovo paradigma di conflitto tra chi vuole andare “avanti” governando con equilibrio riformista la globalizzazione e chi, viceversa, vuole tornare “indietro” chiudendo di nuovo le società europee nella gabbia dei nazionalismi, o come si dice oggi (per edulcorare il concetto) sovranismi.
E’ oramai chiaro che l’Italia è diventata un laboratorio “d’avanguardia” di tale fenomeno. Il 4 marzo 2018 l’insieme delle forze populiste ha superato il 50% dei consensi, arrivando a unirsi, pur partendo da diversi insediamenti sociali e culturali, per conquistare il governo. Al momento non sappiamo se il cosidetto governo giallo-verde spedirà l’Italia al pronto soccorso europeo, cucinando un pasticcio in salsa greca, oppure se le vistose differenze programmatiche, tenute insieme solo dal collante del potere, costringeranno 5stelle e Lega a dividersi.
Quel che però già sappiamo con certezza è che, in ogni caso, il loro governo non sarà mai messo alle corde da alcuna significativa opposizione. Semplicemente perché essa non esiste. Ce ne sono infatti due, Forza Italia e Pd, già sfiancate prima del tempo, e assai divise al loro interno.In questo contesto, il rischio che avvertiamo, come già avvenuto in altri tempi della nostra storia, è che si finisca per rimanere inerti di fronte alla gravità del pericolo. Perciò pensiamo che sia giunto il momento di un radicale cambio di passo delle forze che si richiamano all’europeismo, all’etica della responsabilità e al senso dello Stato.
Finora tali forze si sono accontentate di criticare populismo e sovranismo senza però rifiutare una buona dose di “contiguità”. Ciò è accaduto più visibilmente a destra, dove Forza Italia ha voluto comporre un’alleanza con la Lega che, nonostante tutto, molti continuano a voler riproporre. Ma anche a sinistra: se si pensa che una larga porzione di opinione pubblica (forte anche all’interno del Pd) continua a considerare il Movimento 5stelle una “costola della sinistra” non disdegnando, ancora oggi, di ritenerli possibili alleati. Ma non si vede che, permanendo tali incertezze, Forza Italia e Pd si stanno trasformando in ridotte elettorali, avamposti di bandiere ormai logore? Viene perciò logico chiedere alle loro classi dirigenti: volete aspettare di decomporvi definitivamente o sentite ancora la voglia di reagire, spezzando ogni contiguità?
Una cosa a noi appare certa: non è accettabile alcuna contaminazione tra responsabilità e demagogia, tra europeismo e nazionalismo. Non ci può essere, infatti, alcun “compromesso” tra chi vuole cambiare la governance finanziaria, bancaria e monetaria dell’Europa e chi è invece incline, persino in modo subdolo, a uscire dall’Euro. Tra chi si sente pienamente parte del sistema occidentale di alleanze e chi tifa per la politica di Putin. Tra chi ritiene che il vero traguardo italiano sia rilanciare la produttività dell’intero Paese e chi giudica prioritaria una forzosa redistribuzione della ricchezza come non si sapesse che, da sempre, essa è la principale responsabile del ritardo italiano. Tra chi sa che bisogna modernizzare l’intero sistema italiano delle infrastrutture e chi innalza solo luddistici “cartelli del no”. Tra chi continua a sognare di riformare la giustizia in senso liberale e chi continua a inseguire il giustizialismo giacobino. Non ci può essere “mediazione”, infine, tra chi ha imparato dalla storia a difendere ad ogni costo la democrazia rappresentativa e chi, invece, la combatte in nome dell’eterna, fallimentare, utopia della democrazia diretta.
Non sappiamo se sia possibile immaginare la nascita di un nuovo grande partito europeista, liberale, popolare, riformista. Quel che invece sappiamo, con urgente e pragmatica certezza, è che oggi è indispensabile unire tutte le forze europeiste ed europee (al centro, a destra o a sinistra che esse siano) in un unico fronte di azione e di iniziativa che proponga ai cittadini un’alternativa al populismo. A tutte queste forze si rivolge il nostro appello.
Attenzione: non si può però pensare ad una elementare quanto irrealistica, alleanza tra Forza Italia e Pd. L’unione tra due claudicanti, infatti, non fa un velocista. Si dovrebbe piuttosto pensare alla sigla di un solenne documento d’intesa, proposto da significative personalità d’area, che chiami a raccolta tutte le energie europeiste e repubblicane. Non c’è bisogno, ovviamente, di essere d’accordo su tutto. Basterebbe siglare tale intesa intorno a 5 punti: 1) La permanenza dell’Italia nel sistema dell’alleanza atlantica. 2) Il link sicurezza-umanità sul tema delle migrazioni. 3) la modifica delle regole della governance europea e la tenuta dell’Euro come orizzonte storico. 4) La salvaguardia della democrazia rappresentativa e dei diritti umani. 5) La modernizzazione del Paese e delle sue infrastrutture.
Al centro dello scontro c’è senza dubbio la “questione europea”. L’Europa è ancora un’incompiuta, colma di contraddizioni e pigrizie burocratiche che ormai concretamente rischiano di mandare in fumo il sogno dei suoi Padri Fondatori. E non c’è dubbio che la crescita esponenziale delle posizioni sovraniste e populiste è proprio figlia di tali contraddizioni e pigrizie a partire dalle rigide politiche di austerity per finire con la miopia dimostrata sulla questione dei migranti.
Ma una cosa è denunciare l’incompiutezza europea per superarla nella direzione di una vera Unione politica e finanziaria, altra cosa è prendere a pretesto le sue difficoltà per colpire al cuore l’intero progetto unitario, marciando all’indietro nella storia.
Gli europeisti vogliono una nuova Europa federale. Nella quale, ad esempio, si metta mano all’elezione popolare diretta del presidente della Commissione e si decida la nascita di un vero e proprio Esercito Europeo, mettendo in comune i fondi nazionali delle singole politiche di difesa. I populisti e i sovranisti vogliono, invece, la vecchia Europa dei rancori nazionalisti e delle autarchie economiche. La sfida è tutta qui: e per vincerla bisogna unire le forze.
E’ perciò urgente che, fin dalle prossime elezioni europee, si lavori in Italia e in Europa alla costruzione di un’alleanza trasversale antinazionalista, che eviti cupe derive separatiste all’origine di ogni tragedia europea, e renda concreto l’orizzonte di una nuova Europa federale, soggetto politico mondiale, patria della sicurezza e della libertà. Perciò anche in Europa va spezzata ogni contiguità con il fronte sovranista: da questo punto di vista guardiamo con preoccupazione alle tentazioni compromissorie che sembrano affiorare nel Ppe.
Attenzione: a imporre una svolta nelle culture politiche italiane ed europee non è solo l’emergenza. Nel tempo passato i sostenitori della società solidale e quelli della società aperta si sono a ragione ritenuti avversari. Il tempo attuale, segnato da una crisi che aggredisce il ceto medio e spalanca incubi di nuove povertà, impone invece a chi difende la solidarietà e a chi propugna la libertà del mercato di battersi insieme contro pericolose “autarchie redistributive”, che non possono che rendere insieme più povere e più chiuse le nostre società. Perciò liberali, popolari e socialisti possono oggi camminare insieme contro il populismo assistenzialista e contro gli inediti orizzonti di “democrazie illiberali” che sempre più segnano il mondo.
In conclusione: i populisti si muovono, gli antipopulisti sono fermi al palo. Se ci si vuole svegliare l’unica strada per farlo è quella di un “patto trasversale” di tutte le energie europeiste e repubblicane che proponga all’Italia e all’Europa una concreta alternativa al populismo e al nazionalismo. Non c’è più tempo da perdere. La storia europea si è rimessa in cammino. Costruire la nuova Europa “aperta” del XXI secolo o tornare indietro alla vecchia Europa “illiberale” del XX secolo. E’ questa l’alternativa. Ed è tempo che ciascuno decida verso dove vuole andare.
NON siamo un popolo di brava gente
Alessandra Servidori
Non siamo un popolo di brava gente.
Il silenzio è il peggior male che si possa agire: e infatti parlo, scrivo,giudico le nefandezze che stanno consumandosi ,sfidando la demagogia dilagante, prendendo spunto da un’inchiesta nella quale si evidenzia che il 61% di italiani intervistati sarebbe d’accordo con le scelte di Salvini rispetto la nave Diciotti e le note vicende. Ma la menzogna appunto ,ripetuta pedissequamente, appare come la verità e così è in questa Italia devastata da scorribande ignoranti il popolo dei gialloverdi è ben rappresentato da chi come i suoi odierni parlamentari esprime il desiderio reazionario di due capi + uno e di un gruppo di alcuni parlamentari, finalmente identico al suo popolo che li hanno eletti ,cioè analfabeti e ignoranti. Così ieri sera davanti alle immagini di una folla che in Piazza Venezia decenni fa osannava le leggi razziste ,ne vedo assolutamente tutte le diffamanti sembianze odierne quando un ragazzo scaltro e un viso ribaldo conquistatore di prime pagine di quotidiani internazionali,sono al balcone dell’Italia umiliata. Sì umiliata dalla vera verità perché i mercati sono la politica europea,sono cioè uno dei principali meccanismi e strumenti attraverso i quali i rapporti politici tra i paesi europei vengono definiti,controllati,rideterminati.i problemi dell’economia del mercato rimandano ai problemi specifici della politica estera:controllo,sicurezza, influenza nelle decisioni e l’Italia senza una politica estera non esiste alcuna possibilità di vedere riformati i trattati e ridefiniti i rapporti sia con l’Europa che con gli altri super stati USA e URSS. E la verità è che questa Italia avvilita deve fare i conti con i millecento posti di lavoro bruciati ogni giorno a luglio;il calo della produzione industriale ,la diffidenza del capitale straniero rispetto alle parole in libertà del governo e alle sue sorti incerte e grigie. Così grigie che appaiono offensive ai giovani italiani che cominciano a capire- e finalmente- che questi giallo verdi corteggiano gli anziani promettendo sgravi fiscali sulle pensioni nonché una accelerazione dell’età pensionabile degli attuali lavoratori sulla loro pelle e per avere i voti,lasciando i nostri giovani, perché no, a casa con il reddito di “disoccupazione” chiamato cittadinanza che farà del sud il terzo mondo e del nord il colabrodo del mediterraneo. Questo sinistro progetto di sabotare l’Italia va combattuto con coraggio e azione.
LA VERITA' VERA SU ILVA
Alessandra Servidori
La verità vera su ILVA per rispetto di chi ci lavora e degli italiani
Chi studia e deve spiegare bene ai propri studenti la vicenda ILVA deve essere soprattutto sincera ed è quello che sto facendo mettendo nero su bianco perché nell’accordo con la multinazionale ArcelorMittal il ministro Di Maio ha consumato per l’ennesima volta la sua bulimia di potere ingannando attraverso una trattativa portata a settembre-in vista della scadenza del termine per la sopravvivenza del polo industriale in amministrazione straordinaria e sulla pelle dei lavoratori- la soluzione che era già stata disegnata dal precedente Ministro Calenda. Niente di nuovo dunque se non l’evidente strumentalizzazione del furbetto ministro della eventuale scorrettezza del bando assegnato ad AncelorMittal che poi si è rivelato nella norma- per perdere e prendere tempo- rischiando così di allontanare l’unico compratore disponibile- e sbandierando quei 10.700 posti di lavoro che erano già nell’accordo Calenda/ArcelorMittal dal febbraio scorso che prevedeva che altri 1500 lavoratori sarebbero stati assunti e dunque riassorbiti in società pubbliche per le esternazionalizzazioni .Si poteva risparmiare un’ angoscia delirante per l’avvenire di questa comunità . Al netto delle promesse che Di Maio ha ricacciato in gola agli ambientalisti per suo interesse facendo dietrofront sulle modalità di chiusura di alcune operazioni di bonifica: è un successo dei sindacati che hanno anche essi con l’aiuto del bravo cislino Bentivogli percorso pazientemente la strategia della contrattazione di prossimità arrivando a dare una risposta concreta ai 13.500 lavoratori e lavoratrici investendo contemporaneamente 2,4 miliardi per investimenti ambientali e produttivi e mettendo un limite a 6 milioni nel limite alle tonnellate di produzione annua fissata per tutelare l’ambiente e 250 milioni di euro stanziati per gli esodi incentivati fino a 100 euro a persona.Tutto dunque già nell’accordo Calenda. Di Maio nel massimo della sua autoreferenziale eccitazione gonfiata anche da alcuni commenti pidiessini euforici che tradiscono il fuoco contro Calenda e la deriva attrattiva pentastellata ,promette la sua visita a Taranto città mortificata e offesa da questa vicenda per la sua narcisistica passerella copyrigth.La verità è che l’Italia è un manuale di come la democrazia muore in mano a questi giallo/verdi con la enfatizzazione delle nequizie che la casta precedente-perché loro ora sono la casta-e dei pericoli per la sicurezza dei cittadini .Ma il web giallo/verde è più potente del buonsenso degli italiani ? Non mi rassegno a pensare di essere in balia di figuri imbroglioni che creano e diffondono una realtà taroccata e virtuale distorsiva di quella vera. Dunque racconto, spiego e scrivo la verità.
La tragedia della Libia è anche un problema dell'Italia
Alessandra Servidori-La tragedia della Libia è anche un problema dell’Italia.
Lo scontro degli ultimi giorni nella capitale della Libia,Tripoli potrebbe estendersi e mettere a dura prova la tenuta del Governo di Accordo nazionale internazionalmente riconosciuto e guidato da Fayez al-Sarraj, un’evenienza che avrebbe un peso notevole tanto a livello interno quanto sul piano internazionale. Si è riaccesa una nuova ondata di violenza fra i diversi gruppi armati che si contendono il controllo del paese con un raggruppamento di milizie islamiste che già in passato ha provato a prendere la capitale e che ha sferrato un attacco contro milizie rivali, fedeli al Governo di Accordo Nazionale. A causa del deteriorarsi della situazione – e dopo che un colpo di mortaio ha colpito un albergo vicino all’ambasciata italiana – il governo italiano ha ritenuto necessario evacuare parte del personale diplomatico e tecnico, benché la sede diplomatica resti comunque operativa. Nel tentativo di porre un freno alle violenze e ristabilire l’ordine, al-Sarraj ha dichiarato lo stato di emergenza e richiesto l’intervento della Forza anti terrorismo di Misurata. La missione Unsmil delle Nazioni Unite, invece, ha fatto appello alle varie parti coinvolte nello scontro perché si incontrino oggi per provare a trovare un accordo e preservare il governo internazionalmente riconosciuto. Ma a Tripoli dal marzo 2016, quattro fra le più rilevanti milizie locali – riunite in una sorta di unico “cartello” – si sono progressivamente divise il controllo della capitale libica, gradualmente radicandosi nel territorio e nei ranghi delle istituzioni al potere. Estorsioni e frodi sono state uno degli strumenti di finanziamento privilegiati per tali milizie, che si sono dimostrate capaci di infiltrarsi nei gangli della pubblica amministrazione . Anche gli attori esterni stanno contribuendo in maniera rilevante al protrarsi del caos nel paese. Gli attori regionali sembrano sfruttare la complessa situazione libica per guadagnare maggiore influenza nell’area nordafricana; mentre Egitto ed Emirati Arabi Uniti supportano il parlamento di Tobruk e il suo uomo forte, il Generale Khalifa Haftar, Turchia e Qatar sono invece schierati a sostegno delle varie milizie islamiste presenti in Libia. Una sostanziale incapacità di incidere sembra invece caratterizzare l’azione degli attori internazionali, primi fra tutti le Nazioni Unite e l’Unione Europea. Quest’ultima, in particolare, rimane vittima di dissidi tra gli stati membri sulla politica estera per la Libia, che non sembrano destinati a venire meno. In questo contesto, la Francia si è dimostrata particolarmente attiva, nonostante le sue azioni destino forti perplessità. Da una parte, nonostante il sostegno formalmente accordato al Gna di al-Sarraj, Parigi continua ad appoggiare il Generale Haftar. Dall’altra, le iniziative promosse dall’Eliseo negli ultimi mesi – come il vertice convocato dal presidente francese Emmanuel Macron a fine maggio – hanno coinvolto soltanto un numero limitato di rappresentanti politici libici, ben lontano dall’essere rappresentativo della complessità del panorama degli attori coinvolti. La posizione dell’Italia è ambigua e bisognerebbe sostenere i negoziati internazionali ma includendo anche le milizie nella trattativa che devono compiere un passo essenziale trasformandosi da attore militare ad attore politico Occorre, cioè, disinnescare le motivazioni che continuano a rendere più opportuno tenere le armi anziché deporle, rendendole partecipi della distribuzione del potere e delle risorse nel paese. Per arrivare a questo, sul piano interno, è necessario allargare le negoziazioni a tutti gli attori coinvolti, mentre sul piano esterno e in particolare a livello europeo occorre abbandonare interessi peculiari per poter riprendere un processo di pace che, fino a ora, si è mostrato troppo fragile per condurre a risultati tangibili. Resta inteso che in uno scenario così volatile, dove non vi è alcuna prospettiva di pacificazione nazionale nel breve termine, le elezioni previste per il prossimo 10 dicembre si rivelerebbero sostanzialmente inutili se non addirittura controproducenti per dare stabilità al paese. |
Presidente Mattarella operi l’impeachment
Alessandra Servidori Presidente Mattarella operi l’impeachment verso questi irresponsabili e chieda a Mario Draghi di governare l’Italia
La valutazione di Fitch, con il pollice verso, con conseguenze drammatiche per la piazzabilità dei titoli del nostro debito e sul sistema bancario, ci danno un altro colpo mortale e fanno prevedere il peggio. I mercati finanziari stanno già punendo l’Italia esattamente da giugno e nel caso in cui dovesse prevalere l’idea di andare allo scontro frontale con l’Europa e l’individuazione dell’Europa, dell’euro e dei mercati finanziari come i peggiori dei mali, capri espiatori di tutti i nostri problemi quando li abbiamo creati noi è assolutamente disastrosa. E’ su questo fronte che l’Italia corre il peggiore dei suoi rischi: creare le condizioni perché il costo e la gestione del suo enorme debito pubblico divengano insostenibili e ci butta nelle fauci di una congiuntura economica che non solo è frenante, ma accentua il gap con il resto d’Europa e con gli Stati Uniti. La questione è pratica e va compresa bene : l’aumento dello spread avvenuto dopo la formazione del governo gialloverde costa all’Italia almeno 4 miliardi di euro in più all’anno e se il differenziale con i titoli di Stato tedeschi dovesse finire fuori controllo (alcune stime di Bloomberg indicano un repentino aumento almeno fino a 470 punti) i bilanci della finanza pubblica e del settore bancario non sarebbero più sostenibili. E a pagare il conto di uno spread fuori controllo siamo noi cittadini e le nostre imprese perché lo spread è un parametro strettamente e concretamente legato agli interessi pagati su mutui e prestiti e l’aumento del costo del denaro sarebbe accompagnato anche da una restrizione del credito erogato dal sistema bancario con il congelamento delle attività produttive e il ritorno della recessione. Si tratta un circolo vizioso con conseguenze pesanti per tutti: maggiore deficit e debito pubblico, nuovi tagli alla spesa pubblica, licenziamenti disoccupazione e povertà con prezzi pesantissimi per i giovani e le famiglie . Il primo ministro Conte tra i due Salvini e Di Maio irresponsabili venditori sciacalli di promesse irrealizzabili, non ha l’intelligenza di salvare non solo il suo onore ma soprattutto il suo ruolo di Presidente del Consiglio e appare come sull’orlo di una crisi di nervi, tra il ruolo di mediatore nei contrasti tra i due suoi vicepresidenti che lo tengono tra due fili tesi alimentati dalla loro bulimia di potere .Troppe le vaneggianti e ignoranti proposte di tagliare le (presunte) pensioni d’oro; il lavoro a tempo determinato; i concessionari autostradali (senza distinguere); Tav, Tap e tutte le infrastrutture (malate di corruzione per definizione); l’Ilva (per la quale è stato inventato il sillogismo “gara irregolare ma non revocabile”). Matti da legare sofferenti di populismo, giustizialismo, pregiudizio antiscientifico e desiderio di decrescita economica (definita felice, ma in realtà infelicissima) e questo mantra demenziale che individua l’Europa, l’euro e i mercati finanziari come gli untori dell’Italia e le loro proposte giallo verde come le migliori al mondo non è più sopportabile .L’impeachment di questi va operato e subito perché o prevale la ragionevolezza, che però va dimostrata ora anticipando la nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria (Def), che altrimenti avrebbe la scadenza del 27 settembre, inserendo in esso gli intendimenti su deficit e debito che poi rappresenteranno l’ossatura della Legge di Stabilità, oppure tanto vale affrontare le incognite di una crisi politica, pur sapendo che ad oggi non c’è un’ alternativa in piedi se non il commissariamento da parte di Mattarella mettendo a capo del Governo il saggio e competente Mario Draghi.
Chiediamo l'impeachment dei ribaldi al governo
Formiche 28 agosto 2018
Alessandra Servidori
Quando il furore della politica oltrepassa il buonsenso e ci costringe ostaggi di ribaldi
Non c’è limite all’improvvisazione del governo verdegiallo che sbanda anche sugli immigrati attraverso messaggi whatsapp :prima Salvini che ordina attraverso il telefonino al comandante della nave Diciotti ciò che non poteva bloccando i 150 immigrati , poi in sequenza gli “alleati per caso” forza italianisti e fratelli d’italia che lo difendono dai giusti interventi della magistratura, e poi ancora il ragazzino Di Maio che invoca un fantomatico Codice Etico “ dei loro ministri” che prevede che vanno comunque difesi qualsiasi iniziativa prendano,rovesciando così i principi Costituzionali del nostro ordinamento.E ancora DI MAIO che nel giorno in cui OCSE certifica il declino dell'Italia promette di sforare il 3% del debito con la nuova finanziaria. Siamo ormai in mano consapevolmente a una banda di improvvisati e arroganti personaggi che stanno demolendo il nostro prestigio agli occhi della comunità internazionale e non solo Europea e soprattutto stanno erodendo il sistema economico già pesantemente messo a dura prova sventrato da anni di aumento della spesa pubblica.L’autunno grigio della Repubblica Italiana è già arrivato con la fuga dei capitali dall’Italia e la ricerca quasi ridicola di Tria che in Cina chiede con la mano tesa di comprare i nostri titoli di Stato ormai disfatti sui mercati :a giugno se ne sono andati 38 miliardi e altri 93 pesantissimi miliardi in luglio e aspettiamo il bollettino delle perdite di agosto che condannano l’Italia ad una sfiducia con le prospettive nerissime della “crescita in calo” dell’economia nostrana e con questi ribaldi al Governo che promettono uno scontro durissimo con l’Europa per oltrepassare il limite del deficit ben oltre il 0,9% nel prossimo documento di economia e finanza.Questi vanno fermati con o senza la magistratura.Non lasciamoli disfare : un impeachment italiano,per esempio……..
Un secchio di acqua gelata in testa a quei tre
Alessandra Servidori
L’economia italiana e quella internazionale : non possiamo non dirci non in ansia perché noi sappiamo fare i conti e chi è al potere no.
Il decreto scassa conti nostrano è passato alla Camera e passerà inevitabilmente anche al Senato anche con quei 600 emendamenti perché il governo demolitore senza tenere conto della situazione economica e monetaria ci ha infilato nel tritacarne del declino. Resta da capire perché una persona seria come TRIA avvalli l’annuncio di oggi, un sabato da bollino nero, si presti ad avvallare delle fandonie come quella urlata anche stamane dal trio Conte Salvini Di Maio che si fa nella legge di stabilità prossima sia il reddito di cittadinanza che la flat tax .Le Banche centrali stanno resettando la fine stagione dei mega stimoli monetari che dal 2008 hanno consentito la ripresa economica dopo la crisi finanziaria. Negli ultimi giorni e dunque agli idi di agosto le inquietudini dei mercati finanziari si sono fatti sentire massacrando Borsa e titoli di Stato, e rimesso in pista l’aumento dello spread, dove finira’ inghiottita una manciata di miliardi per oneri diretti (costo del debito) e indiretti (banche strozzate che tornano a rarefare il credito all’economia reale).Infatti il trio BCE, Bank of England e la Fed hanno rialzato i tassi di interesse e dunque il duo verde e pentastellato non solo a corto di competenze economiche ma soprattutto alla faccia degli interessi dell’economia italiana hanno deliberatamente ignorato la situazione in cui ci troviamo pensando solo a mantenere i loro magnmini lombi sulle seggiolone del potere.Fine del Quantitative Easing,ovvero l’acquisto dei titoli pubblici dei paesi dell’eurozona da parte della BCE e avanti con il conflitto tra i vincoli finanziari europei e nostrani con sprechi del governo incapace a cominciare dal decreto taglia posti di lavoro e gambe delle imprese con la legge finanziaria-di stabilità che attaccherà alla giugulare il nostro sistema di debito .Noi italiani abbiamo ben presenti i limiti e le fragilità e il dilettantismo di questo governo e del patto populista-sovranista che lo sorregge, e sappiamo che si sta per scatenare una bufera . E’ una situazione internazionale che ha perso la bussola, se persino certezze granitiche di sempre come l’atlantismo sembrano venir meno per l’autolesionismo dell’Occidente e come sempre, sarà l’economia a fare da cartina di tornasole. In Italia viviamo un quadro congiunturale caratterizzato ormai da qualche mese, e in via di accentuazione, da un netto rallentamento della crescita, che in mancanza di stimoli ci riporterebbe tra questo e il prossimo anno nella zona grigia dello “zero virgola”, con il conseguente allargamento della già ampia forbice che distanzia l’andamento del nostro pil da quello europeo e americano. Tria parla di “avvio delle riforme”, riferendosi a flat tax e reddito di cittadinanza ma non ci sono risorse e una manovra maldestramente espansiva, senza badare ai vincoli europei ci metterebbe in rotta di collisione con la reazione dei mercati e dell’Europa che non si farebbero attendere. Già dopo il demenziale decreto taglia occupazione ne abbiamo avuto un assaggio, con lo spread arrivato a toccare i 270 punti e i Btp oltre il 3% di rendimento. Non me la sento di augurarci buone vacanze perché prenderei volentieri una secchio di acqua ghiacciata e la butterei in testa al “trio lescano” e non credo di essere la sola.
Social vigliaccamente predatori
Alessandra Servidori
Considerazioni lucide sull’era del social e buone vacanze, senza.
Trovo ormai delirante l’uso sfrenato dei social e mi riprometto di fare scuola ai miei studenti i quali per studiare il diritto del lavoro devono usare bene la ricerca scientifica e non abusare di internet. Mi rendo conto che bisogna aiutare soprattutto i giovani a prender in considerazione la percezione che hanno dei rischi collegati all’utilizzo di Internet e dei social network. Infatti si forma una gerarchia che mette in luce alcuni aspetti pericolosi: pur essendo rilevanti le notizie relative alla violenza, all’odio e ad atteggiamenti bulleschi di questo genere,parlando sempre con i miei studenti non sono ritenuti importanti ma comunque capiscono che inducono a emulazione. Per esempio è necessario allertare sulla navigazione in rete di furti e delle truffe , così come la lesione della privacy ,le false informazioni; emergono, poi, degli aspetti legati alla persona, al suo vivere in relazione problematica con la frequentazione della rete (dipendenza, pedofilia, distacco dalla realtà, isolamento). L’opinione pubblica deve imparare a identificare la vera un’opportunità, una possibile sfida, un problema concreto. Vero è che i social consentono a tutti di esprimersi, sono un’informazione ma non sempre libera e indipendente, e sono anche uno strumento per l’aggiornamento. Vi è una criticità evidente che è quella del saper utilizzare lo strumento da un lato e quella della libertà di espressione,nel senso della maturazione nel misurarsi con una novità così impegnativa e potente perché molti miei studenti –per fortuna- ne vedono i problemi: sfogatoio, megafono di bufale, strumento di propaganda. I due temi della violenza e delle falsificazioni sono i più importanti perché vero è che l’aggressività e la violenza verbale sono sempre esistite ma operavano in ambiti ristretti o non avevano un’amplificazione consistente,ma vero è che vi è una responsabilità dei nuovi mezzi di comunicazione dai quali ci si deve difendere anche attraverso la denuncia penale. L’odio in rete è pervasivo e antidemocratico perché non accetta la diversità di opinioni e va oltre volgarmente la polemica ma io non transigo e a chi mi rivolge volgarità e insulti rispondo con la querela. I millennials e gli utenti intensivi vivono i social di più come nuove opportunità, ma in parte si trovano anche a giustificare più degli altri le dinamiche di hate speech, ravvisando una continuità con ciò che è sempre successo fuori dalla rete .Comunque ai miei studenti nell’insieme appare chiara la ripulsa di fondo delle dinamiche di odio innescate sui social media e nel rifiuto di quanto sta accadendo motivato da sensazioni quali fastidio, rabbia, tristezza e delusione, asprezza,e una sensazione di sorpresa negativa rispetto o a un mondo ritenuto di grande valore potenziale. Con i miei studenti è importante osservare gli argomenti e le persone che suscitano maggiormente il lancio di campagne di odio sui social network e, in generale, sulla rete. Come temi più caldi troviamo: • politica e l’economia • immigrazione • sesso e le relazioni di coppia Ciò a riprova di come in questi spazi le dimensioni pubblica e privata si compenetrano; anche le questioni personali divengono oggetto di confronto e scontro anche aspro sulla pubblica piazza. Per quanto riguarda le categorie più colpite dal fenomeno si osserva una maggior diversificazione, con prevalenza di: • migranti; • politicici • gay • donne • minoranze . Scelte e opzioni diverse, interessi spesso contrapposti che dall’acrimonia giungono alla violenza verbale estrema. Si coglie così l’emergere di tutto il conformismo, l’ignoranza e anche la paura che trova cassa di risonanza, spesso estremizzandosi, tra le maglie dei social. Bisogna segnalare i contenuti offensivi ai gestori dei siti o dei social network e isolare gli autori per frenare lo scivolamento in atto .Non si riesce infatti a interloquire, abbassare i toni o pacificare gli animi perché l’ anonimato e la virtualità sono i precursori responsabili principali dunque gli utenti frustrati insieme ai gestori e l’economia della rete. Anonimato e ‘virtualità’ favoriscono le dinamiche di odio in rete e anche delle false notizie. I pascoli più rigogliosi per le bufale sono riconosciuti nella politica e nell’economia, anche l’interesse e la vastità degli argomenti che li caratterizzano. Vengono, poi, i diversi aspetti in cui si estrinseca la vita sociale: l’emigrazione, la cronaca, lo star system . E’ un passaggio a un nuovo paradigma comunicativo: e dunque una nuova realtà a cui fare fronte. Il contrasto, ritenuto necessario e urgente, dovrà passare dall’educazione degli utenti e, più in generale, dall’educazione al rispetto degli altri; un compito lungo, dunque e contemporaneamente bisogna porre in moto le funzioni ‘censorie’ della responsabilità dei gestori e delle istituzioni nazionali ne sovranazionali .La violenza e le falsità provocano rabbia tristezza delusione e fastidio con reazioni indignate . Ecco appunto dobbiamo andare oltre e saperci difendere da questi meccanismi vigliaccamente predatori.
DI MAIO ,la cultura dell'ignoranza
Alessandra Servidori
Di Maio, la cultura del non saper fare i conti e non dire la verità.
L’inesperto Ministro del Lavoro continua a dimostrare di essere improvvidamente fuori crosta terrestre. Al Presidente di CONFINDUSTRIA Boccia cerchiobottista di lungo corso e alla stampa filo/governativa dichiara che ci saranno centinaia di euro di incentivi per assumere a tempo indeterminato che permetteranno agli imprenditori di abbattere il 10% del costo del lavoro cioè il famoso cuneo fiscale-cioè il costo del lavoro che pesa sulla busta paga a causa dell’imposizione sui redditi sommati ai contributi sociali- nel famigerato decreto che deve essere partorito entro la pausa estiva. Ma noi abbiamo fatto i conti con l’aiuto formidabile dell’Inps e al solito non tornano. Dieci punti di taglio del cuneo fiscale ( che in Italia è del 47,7%) significano 4,7 % e oltre miliardi all’anno e dunque non i 300 milioni annunciati dal penta stellato che basterebbero si e no per le merendine e anche se si pensasse di applicarlo ai nuovi contratti a decorre dal 2018 –nei primi 5 mesi sono 744mila ,e pensando di arrivare a fine anno ottimisticamente a 1,8 milioni divisi per i 300 milioni di euro di Di Maio si tradurrebbero in 17 euro a contratto sgravato che sono ben poco incentivanti. Noi che dobbiamo insegnare diritto del lavoro ai giovani abbiamo il dovere morale di raccontare come stanno le cose e francamente la situazione è questa che di seguito spieghiamo. La vera e unica operazione di sgravio contributivo operativo è nella legge di stabilità in vigore che è un esonero contributivo triennale fino a 3 mila euro per nuove assunzioni degli under 35 ma solo per il 2018 e al massimo con i 300 mila euro del pentastellato si potrà allungare anche nel 2019 e 2020 il provvedimento che però non basterà a “rimediare” al provvedimento previsto dal decreto 87/2018 sgradito ovviamente agli imprenditori che prevede diverse modifiche alla disciplina dei nuovi contratti di lavoro a termine, che andranno a impattare anche proroghe e rinnovi dei contratti già in corso, con nuovi limiti di durata, insieme all’aggravio in termini di contribuzione Naspi. L’ambito di applicazione si estende poi anche ai rapporti in somministrazione, ma esclude attività stagionali e pubblica amministrazione. Il rinnovo del contratto a termine diventa anche più caro per le aziende. Ogni proroga infatti, avrà un costo contributivo crescente dello 0,5%, anche in somministrazione. Questo rincaro si va ad aggiungere a quello dell’1,4% già introdotto dalla legge Fornero, che aveva previsto il suddetto aumento per finanziare la Naspi o indennità di disoccupazione. Nei casi in cui risulta accertato che non siano presenti gli estremi del licenziamento per giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento ma cambia il calcolo delle indennità per i lavoratori. E, anche in questo caso, aumentano i costi per le aziende: l’indennizzo infatti, che con il Jobs Act andava da 4 a 24 mesi, aumenta del 50% e passa da 6 a 36 mesi. Francamente poi rispetto al temporeggiare del Presidente Boccia meraviglia – e fa onore- l’audizione del direttore generale di Confindustria Marcella Panucci che afferma che il ritorno delle causali, esponendo le imprese “all’imprevedibilità di un’eventuale contenzioso, finisce nei fatti per limitare a 12 mesi la durata ordinaria del contratto a tempo determinato, generando potenziali effetti negativi sull’occupazione oltre quelli stimati nella Relazione tecnica al decreto (in cui si fa riferimento a un abbassamento della durata da 36 a 24 mesi).
Italiane e Italiani sveglia!
Alessandra Servidori Meglio tardi che mai
I numeri non sono un’opinione : italiane e italiani sveglia!
Sono una cristiana molto laica e non oso definirmi “brava” come fa Salvini il trucido ministro accusato con la stessa violenza che usa lui di dover arretrare mefistocamente da Famiglia Cristiana che ha deciso di combattere ad armi pari colui che opportunisticamentee volgarmente gesticola con vangelo e rosario in mano .Bene mi associo al settimanale . E aggiungo da professoressa i numeri che dimostrano le fandonie di questi soggetti che pretendono di mandare in cenere il nostro paese. Le misure previste dall’accordo Lega 5 stelle- come certificato da Cnel e Agenzia Reuters portano ad un aumento della spesa pubblica del 90% e all’aumento delle spese degli interessi del 115% e abbiamo un debito pubblico di 2300 miliardi e lo Stato lo finanzia con 350 miliardi cioè 1 miliardo al giorno e da quando ci sono i verdi gialli lo spread è aumentato di 100 punti base e significa che l’Italia paga l’1% fisso sul rifinanziamento del debito cioè sono 3,5 miliardi in più.L’Italia ha perso dunque credibilità e sempre questi figuri vogliono introdurre la flax tax,tagliare la legge Fornero e introdurre il reddito di cittadinanza per un costo totale di 100 miliardi. Non è un tabù sforare il 3% anche se sarebbe meglio di no nel rapporto deficit / pil però purchè sia finalizzato alla crescita non per aumentare il debito pubblico e pagare il reddito di cittadinanza e il problema non è Bruxelles ma i mercati che NON lo approvano e noi rimaniamo dunque fuori dal mercato perché ci penalizzano in quanto non credibili. Quanto alle loro guerre alle persone intelligenti e di buon senso questi ignorantoni che stanno nascondendo la perdita di posti lavoro –ha ragione Boeri sugli almeno 8 mila posti all’anno dimostrati numeri alla mano- e fomentano la paura dell’invasione di immigrati fermando navi e massacrando il parlamento dicendo che la democrazia del web può sostituire la democrazia del parlamento sono comportamenti scellerati da dittatura e da manipolatori. E infine quello che è successo con la nomina di Fabrizio Palermo,manager dal cv non gonfiato ma impeccabile- alla Cassa Depositi Prestiti e cioè che ha promesso fiducia al contratto di governo rappersenta un fattaccio disgustoso e senza precedenti e dunque il Capo della Cassa ,la cassaforte del Paese è prigioniero di due obblighi verso la Cassa che è nei suoi interessi e verso il contratto burla. E allora io dico no e anche la mia Associazione.
Perchè è sbagliato il decreto del 12 luglio n.87 che non si può chiamare dignità
ALESSANDRA SERVIDORI
……. Perché è sbagliato il DECRETO-LEGGE 12 luglio 2018, n. 87-Disposizioni urgenti per …….lavoratori e imprese , ed è perfetta invece la relazione tecnica .
In premessa è d’obbligo dati comparativi alla mano commentare e contraddire l’affermazione del Governo per cui il numero dei contratti a tempo determinato o temporanei in Italia è molto superiore alla media Europea : secondo l’agenzia Europea di statistica e i dati Eurostat –dunque due autorevoli fonti- il modo semplice per capire se davvero il lavoro a tempo determinato è in aumento o meno consiste nel contare quanto pesa la fetta di occupati con questo genere di contratti sul totale dei dipendenti. E’ più utile confrontare questo numero con il resto d’Europa, per capire quanto è frequente in Italia il ricorso al lavoro a termine e se siamo o meno un’eccezione rispetto agli altri paesi avanzati . Così si rileva che il numero complessivo di contratti a termine sottoscritto in Italia è, più o meno, in linea con quello della media dell’Area Euro. Secondo Istat, in Italia ci sono 22 milioni e 874 mila lavoratori di questi, sono dipendenti 17 milioni e 640 mila, divisi tra 14 milioni e 878 mila tempi indeterminati e 2 milioni 762 mila tempi determinati. Gli indipendenti sono 5 milioni e 234 mila. Secondo l'ultima rilevazione Eurostat disponibile, i contratti a tempo determinato in Italia nella fascia 15-64 anni erano il 12,1% del totale, una quota pari a quella della media europea a 28 Stati ma inferiore all'area euro (13,7%). La Francia è al 14,9%, la Germania 11,7%. Spagna e Portogallo sono rispettivamente al 22,4% e al 19%.
Il decreto è sbagliato fondamentalmente perché non affronta il tema di come preparare i lavoratori a un mercato dove è richiesto di transitare spesso da un mestiere all'altro aggiornando le proprie competenze,e si concentra sui contratti a tempo determinato oltre i 12 mesi, che sono numericamente esigui rispetto a quelli più brevi e dove il comportamento opportunistico delle aziende è oggettivamente meno evidente. Il rischio vero è quello di contribuire ad un rafforzamento del turnover tra lavoratori a termine. Infatti considerata la causale come un elemento di rischio la volontà di evitarla si traduce facilmente nell’estinzione del rapporto di lavoro e con l’assunzione di un nuovo lavoratore che, complice la disoccupazione che sfiora ancora l’11%, non è difficilissimo da trovare. Questo si aggrava ancora di più per i lavoratori con un contratto a termine in corso , stipulato quindi senza causale, e per i quali, in assenza di un regime transitorio o di incentivi importanti per la conversione a rapporto a tempo indeterminato, si prospetta quasi con certezza la fine del rapporto onde evitare il grande rischio di dover apporre una causale che porterebbe con sé, in questo caso più che in altri, un elevatissimo rischio di contenzioso.
Capovolgiamo poi per una analisi l’articolato del decreto in oggetto cominciando dall’art 14 che recita testualmente e senza nessun “Imbroglio” ART 14 comma 2 -…….Agli oneri derivanti dagli articoli 1 e 3, valutati in 17,2 milioni di euro per l'anno 2018, in 136,2 milioni di euro per l'anno-2019, in 67,10 milioni di euro per l'anno 2020, in 67,80 milioni di euro per l'anno 2021, in 68,5 milioni di euro per l'anno 2022, in 69,2 milioni di euro per l'anno 2023, in 69,8 milioni di euro per l'anno 2024, in 70,5 milioni di euro per l'anno 2025, in 71,2 milioni-di euro per l'anno 2026,…… omissis “…… Significa che c’è una spesa che va coperta perché evidentemente la riforma del contratto a termine riduce le entrate infatti essendoci meno occupazione c’è meno retribuzione, meno tasse ed entrate fiscali e contributiva. Dunque la relazione tecnica accompagna obbligatoriamente ogni legge ed è responsabilità del Ministero che la propone ed è firmata dalla Ragioneria generale dello Stato che si avvale dei dati inps.Punto
Nel merito .Queste norme nel momento in cui entreranno in vigore, andranno a insistere sulla disciplina del contratto a termine e della somministrazione di lavoro, intervenendo così su di una serie di istituti tradizionalmente oggetto di negoziazione nell’ambito della contrattazione collettiva di ogni livello, e che porterà inevitabilmente vari profili di complessità nel coordinamento tra fonte legale e fonte contrattuale. Sono infatti le relazioni industriali che hanno gli strumenti in grado di regolare, al di là di quanto possa fare la legge dello Stato, i rapporti tra lavoratori ed imprese, tanto a livello nazionale, attraverso la fissazione di trattamenti economici e normativi minimi, quanto a livello aziendale con la declinazione di regole per la composizione degli interessi specifici sino alle realtà produttive di prossimità. La difficoltà che si presenterà con il decreto in oggetto, sarà non come la contrattazione collettiva possa derogare alla legislazione, ma come lo spazio di deroga già preso dalle parti sociali possa essere poi compresso da una legislazione successiva che modifichi gli stessi istituti. In (buona) problematica sostanza ci si dovrà misurare sull’applicazione di questa nuova disciplina sugli spazi lasciati aperti dalla contrattazione collettiva, quegli spazi in cui le parti sociali hanno scelto di non regolare in maniera particolare una materia (come nel caso della somministrazione) o di de-regolare degli istituti nel rispetto di una “liberalizzazione” normativa (come nel caso delle causali nel contratto a termine) o di richiamare generalmente alla disciplina vigente (senza citarne gli estremi). Laddove invece la contrattazione collettiva ha utilizzato la propria voce per regolare istituti che verranno poi modificati dalla novella legislativa, l’analisi dell’impatto del decreto sulla contrattazione collettiva fa emergere una concreta difficoltà sulla reale portata della novella legislativa, con particolare riguardo all’efficacia temporale di essa, in ragione di vincoli molto diversificati di natura contrattuale e collettiva e dalla mancanza di una disciplina transitoria, che porterà a sicura incertezza nella corretta applicazione del decreto e a contenziosi inevitabili.
Il decreto ha l’ambizione di combattere la precarietà ma la identifica unicamente nel lavoro a termine e nel lavoro in somministrazione. Vengono così dimenticate numerose altre figure, come i tirocinanti che sono in crescita e che oggi risultano meno tutelati rispetto a tanti occupati a termine, anche per la mancanza di un contratto di lavoro in nome di un percorso formativo che spesso non esiste e soprattutto vero è che con questo decreto si massacra lo staff leasing e la somministrazione a tempo indeterminato in una accelerazione errata verso l’annunciata riforma dei centri per l’impiego pubblici, che dovrebbe condurre al reddito di cittadinanza. Ma sappiamo bene che incombono tempistiche lunghissime per reperire risorse per realizzare una riforma di questo genere immaginata su una riforma delle politiche del lavoro da costruirsi sulle fondamenta dei centri per l’impiego e ciò alimenterà così il dualismo tra sistema pubblico e privato. Questo decreto silura un mercato del lavoro flessibile e soprattutto internazionale incardinato su una accelerata innovazione tecnologica a cui siamo impreparati: un mercato del lavoro delle persone e delle aziende che va ripensato invece e subito attivando politiche attive, rinnovando i sistemi di welfare , politiche per favorire la formazione e la riqualificazione dei lavoratori e politiche dell’istruzione.
Cronaca di andata e ritorno dall'ospedale
Alessandra Servidori
Cronaca di 4 giorni di” ospitalità” in medicina d’urgenza al S.Orsola
Sabato 30 giugno ore 4 del mattino : febbre alta cado mi procuro una vasta ferita alla testa .Chiamo il 118 dopo pochissimi minuti arrivano Greta e un altro giovane infermiere/autista mi prestano le prime cure e mi portano al Pronto Soccorso S.Orsola. Qui subito elettrocardiogramma, misurazione parametri, visita di due giovani dottori maschio e femmina gentilissimi, dirottamento alla Tac, torace,radiografia maxillofacciale, sutura ad opera di un giovane chirurgo che con pazienza mi sutura con 8 punti ravvicinati,lavoro perfetto.Ottima assistenza sono le 8 del mattino.Attendo su una barella la destinazione a medicina d’urgenza.Arriva alle 10 una dottoressa che decide di ricoverarmi :padiglione Pelagi Prof.Zoli .Ricovero in reparto mi ritengo fortunata accanto una giovane paziente affetta da disturbi del comportamento,notte e giorno molto irrequieta nonostante la presenza continua di una persona che si occupa di lei,giornata lunghissima senza possibilità di riposo. Personale giovane ,professionale, gentile –unico limite questo tu confidenziale che usano con le pazienti che francamente non è comprensibile- medici specializzanti che si alternano , visitano,vanno.Nel corridoio i parenti disturbano moltissimo con un vocio da capannello salottiero molto molto molesto che non dovrebbe essere permesso,indice di una maleducazione e di una mancanza di rispetto incivile per chi è ricoverato. Domenica passa faticosamente in una situazione di permanenza continua di parenti lungo i corridoi e in reparto ,lamenti delle pazienti,notte ancora insonne .Lunedì mattina è dimessa la giovane del letto al mio fianco ,destinazione “struttura protetta” mi fa una gran tenerezza è troppo presto per rinchiuderla in un incubo per non autosufficienti, si dispera una amica che si prende cura di lei per non poterla aiutare diversamente .Pace fino alle 14 poi arriva Mafalda nata nel 1929, è caduta anche lei era in una casa di riposo è attaccata all’ossigeno rantola e respira molto faticosamente. Arriva il figlio compila la cartella insieme alla dottoressa,poi va. Rimango sola con Mafalda che si lamenta mi avvicino le prendo una mano me la stringe ed io mi sento meglio,perché mi sento utile e meno disperata. Alle 2 di notte Mafalda passa ad altra vita siamo una vicina all’altra e l’ospedale mi pare proprio una dimora comune in una notte insonne di disperazione .La mattina arriva prestissimo e mi comunicano che ricoverano una signora affetta da malattia batteriologica infettiva :non mi devo muovere dal letto non toccarla non mi devo impressionare per le misure di sterilizzazione del personale. Chiedo di essere messa in condizioni di non rischiare una contemporanea infezione posto che la mia salute è già compromessa. Mi destinano alla camera n.7 un camerone di sei letti tutte signore con patologie invalidanti gravi :l’infermiere mentre mi spostano lava le parti intime di una paziente appoggiando il catino sopra i miei effetti personali,li sposto cerco di difendermi mentre un’altra infermiera vedendo la scena, mi passa un disinfettante chiedendo scusa per il suo collega. La stanza è caldissima va a bomba una condizionatore :il prof.Zoli la mattina mi aveva raccomandato di NON stare in ambienti con aria condizionata.Chiedo di firmare per salvarmi da questo incubo e chiamo il mio medico curante che mi prepara un ricovero a Villa Toniolo: trattativa faticosa con la dottoressa responsabile del reparto che continua a dire che non è “una spa”.lo so bene ma devo pur salvaguardarmi da un luogo di disperazione e di probabile ulteriore disagio. Notti e giorni di dolore e poi la fuga.
Dalla parte di GIOVANNI TRIA
ALESSANDRA SERVIDORI Dalla parte di TRIA 7 luglio 2018
Di Giovanni Tria e del galantuomo dell’economia abbiamo già scritto su queste pagine e volentieri lo seguiamo in questo ardito compito in una situazione come l’attuale, in cui confermare la “permanenza dell’Italia nell’euro”, indicare “la riduzione del debito e il contenimento del deficit” come stelle polari, imbrigliare nella “gradualità” la realizzazione del programma, rinviando ad opportune verifiche tutte le misure, che comunque “devono rispettare i vincoli di bilancio” sapendo che “le risorse aggiuntive devono essere trovate entro i limiti della credibilità”, non sono affermazioni da poco. Sono affermazioni granitiche quelle che Tria ha voluto piantare. Quindi in altre ma chiare parole congelare la spesa corrente primaria nominale, che significa blocco per i prossimi 3 anni delle uscite della Pa a quota 727,7 miliardi di euro. Cioè bloccare del tutto la spesa corrente, dando fiato a quella per gli investimenti, fino ad oggi penalizzata nelle politiche di bilancio.I tagli ipotizzati ammonterebbero a 33 miliardi di euro in tre anni che farebbero risparmiare allo Stato già nel prossimo anno 10 miliardi di euro. Soldi necessari se si pensa all’introduzione di misure come la flat tax o il reddito di cittadinanza che ci sarà se ci sarà. Le voci che rientrano nella spesa corrente che dovranno essere penalizzate per pareggiare i conti sono gli stipendi dei dipendenti pubblici che solo nel 2018 lo Stato costeranno 171 miliardi di euro che però negli anni seguenti è destinata a scendere. Tuttavia da sciogliere c’è il nodo aumento che dovrebbe scattare proprio nel 2019. Poi c’è il capitolo pensione la cui spesa, tra il 2018 e il 2021 a conti fatti, aumenterà di circa 23 miliardi di euro e l’avvertimento del Presidente INPS Boeri che numeri alla mano e non solo affermazioni, avverte che massacrare la Legge Fornero costerebbe 20 miliardi e non ce lo possiamo permettere. Spesa corrente da sistemare è anche la spesa sanitaria quindi bloccare gli aumenti previsti, ma sicuramente un fronte può essere quello della spesa per beni e servizi a cui hanno attinto anche i governi precedenti ma sarà difficile trovare solo lì quei 30 miliardi previsti dal ministro Tria. La politica in questi giorni appare in una bolla di confusione e perfide prospettive e gli italiani sono giustamente e profondamente intrisi di scetticismo . la ripersa in verità se c’è non si vede e sappiamo che la crescita è ben tutt’altra cosa anche perché la disoccupazione anche lei è tanta, il paese non è governato e con la prospettiva dei prossimi mesi di manovre deboli di bilancio ci giocheremo la residuale credibilità dell’Europa ma nonostante tutto ma nonostante tutto , non vogliamo e non dobbiamo arrenderci.
Lezione 7 Perchè è importante il prossimo Consiglio Ue
Alessandra Servidori Lezione n.7 Meglio tardi che mai : Perché è importante e decisivo il prossimo Consiglio UE
L’unione Europea è in grande difficoltà per l’appuntamento del Consiglio di fine mese che si annuncia delicatissimo per tante ragioni : la questione migratoria, ridiventata emergenza divisiva; i dazi di Trump; l’aggravarsi dello stallo dell’accordo Brexit; il timore di atteggiamenti antieuropei del nuovo governo italiano; le tensioni nella maggioranza politica tedesca e il sospetto di debolezza della sua leadership; le ribadite divisioni nell’UE originate dai Paesi di Visegrad e dal gruppo del recente manifesto degli Otto a guida olandese. Il tema migrazioni potrebbe spiazzare i temi economico-finanziari e l’Italia soffrirebbe da un fallimento del vertice, ma vi si avvicina in posizione isolata e controversa.I dossier economico-finanziari del vertice sono comunque ricchi: su qualche tema si potrebbe fare qualche passo avanti ma i dossier riguardano, innanzitutto, il bilancio dell’Unione che, oltre ad avere una nuova parte riservata all’eurozona, potrebbe impegnarsi per investimenti pubblici, per fronteggiare la disoccupazione ciclica, per armonizzare le imposte sulle imprese. Sono inoltre all’ordine del giorno cambiamenti del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) per renderlo più efficace nella cura e nella prevenzione di crisi delle finanze pubbliche di uno Stato membro e di istituti bancari. Al funzionamento del MES si collegano proposte per affrontare eventuali ristrutturazioni del debito di Paesi membri in difficoltà. Un fronte è quello del completamento dell’Unione Bancaria con l’avvio di un sistema europeo di assicurazione dei depositi che riduca le differenze di rischio percepite da chi sposta liquidità da un Paese all’altro dell’eurozona. L’aspetto più controverso è la convivenza di regole che prescrivono ai singoli Stati membri di ridurre i rischi delle loro situazioni economico-finanziarie con i progetti europei per condividere parte di tali rischi: la convivenza fra disciplina decentrata e solidarietà comunitaria. Ciò è più evidente nell’unione bancaria, dove vanno ridotti i rischi dei sistemi bancari nazionali (prestiti in sofferenza e troppi titoli di Stato) per facilitare un’assicurazione europea che garantisca il rimborso dei depositi di una banca insolvente. Ma il tema della convivenza di risk reduction e risk sharing è presente in quasi tutti i dossier di approfondimento dell’integrazione dell’UE e dell’eurozona.La controversia che rischia di far fallire ogni accordo riguarda l’ordine con cui procedere a ridurre e condividere i rischi. Prevale infatti l’idea, ribadita più volte anche nella dichiarazione franco-tedesca di Meseberg (probabilmente per insistenza tedesca), che la riduzione (e quindi l’azione degli Stati membri per “mettere la loro casa in ordine”) debba precedere e condizionare la condivisione: la disciplina prima della solidarietà. L’assicurazione europea dei depositi, per esempio, comincerebbe solo quando tutti i Paesi hanno alleggerito i bilanci delle loro banche da prestiti e titoli troppo rischiosi. Con questa regola di precedenza la difficoltà di ridurre i rischi in tempi brevi può compromettere ogni prospettiva di condivisione. Ciò minaccia anche di inasprire i rapporti fra i Paesi, come il nostro, che sentono più viva l’esigenza di solidarietà, anche per ragioni simbolico-politiche, e ne fanno una condizione per confermare il loro “europeismo”, e i Paesi che si sentono finanziariamente più sicuri, come la Germania, che non vogliono solidarizzare con chi considerano troppo a rischio.Senza superare questa controversia, l’avanzare dell’unità dell’UE e dell’eurozona può incontrare ostacoli insormontabili. Non è facile immaginare se e come potrà essere superata. Si può però sostenere che essa nasconde un equivoco: una vera riduzione dei rischi è impossibile senza una loro condivisione, sicché far precedere quest’ultima dalla prima non ha senso. L’impossibilità è dovuta a due ordini di ragioni. La prima, sottolineata anche in un intervento del Presidente della BCE, è che i rischi di insolvenza dipendono dalla solidarietà con cui i creditori si attendono che le difficoltà di singoli debitori verranno affrontate. Se i creditori di una banca sanno che un fondo di assicurazione europeo rimborserà i depositanti in caso la banca sia insolvente, eviteranno di ritirare improvvisamente loro prestiti e i loro depositi per il timore, magari ingiustificato, di una sua insolvenza: ciò renderà l’insolvenza stessa meno probabile, riducendo anche il panico e il contagio dall’insolvenza di altre banche. La seconda ragione è che in un’area interdipendente come l’eurozona (e, in misura appena minore, anche l’UE), il rischio di crisi di un Paese membro o di suoi importanti operatori economico-finanziari, è comunque condiviso dagli altri Paesi europei. Se l’Italia o una grande banca italiana non ripagassero i loro debiti, vi sarebbero gravi costi per la Germania. I rischi sono dunque già condivisi: si tratta di gestirne la condivisione in modo da migliorare la stabilità finanziaria dell’eurozona e dell’UE.Converrebbe all’Italia che la necessità di procedere con sufficiente contemporaneità alla riduzione e alla esplicita condivisione dei rischi risultasse più chiara. A questo fine, d’altra parte, converrebbe al nostro Paese mostrarsi più deciso e meno sulla difensiva nell’impegnarsi a ridurre i suoi rischi finanziari nella misura in cui può farlo per conto suo. AS 27 giugno 2018