Previsioni Confindustria ? bene ma non mollare
Alessandra Servidori start mag
https://www.startmag.it/economia/perche-non-va-cestinato-del-tutto-il-lavoro-da-remoto/
Di fronte al rapporto sulle previsioni economiche di Confindustria* presentato la settimana scorsa, le riflessioni si affastellano incessantemente,perché le manifestazioni di questi giorni contro( o pretestuosamente ) il green pass sono anacronistiche e fuori da ogni logica di buonsenso. Reputo fondamentale iniziare dalle scuole medie inserire nei moduli didattici anche l’educazione finanziaria ed economica per crescere una generazione di cittadine e cittadini consapevoli di cosa significa, studiando, la situazione economica e politica del nostro paese. Il tifone Sars alita ancora tenace dopo due anni di marosi incessanti , ma anche se faticosamente le istituzioni hanno retto, le imprese hanno avuto la forza di ripartire, le famiglie sono sopravvissute e ora i ciarlatani vogliono compromettere lo stato di diritto,la ripresa economica,la pace sociale con questa idiozia della “dittatura sanitaria”. Draghi e il suo governo tengono la posizione per la tutela di quella stragrande maggioranza di cittadini che si è vaccinata, pagando consapevolmente il rallentamento e spesso il blocco di diverse attività e degli approvvigionamenti proprio mentre la nostra economia rialza la testa e ci sono le risorse europee da spendere. Oggi ratifichiamo che addirittura che il progressivo allontanamento della cittadinanza con l’astensione dal voto sia nel primo turno che peggiorato nel secondo, dalla politica e dalle istituzioni logora irrimediabilmente le forme di autorità, rappresentanza, sapere, competenza. Le rappresaglie terroristiche e disfattiste le contromanifestazioni mascherate dalla lotta di classe o da stampella elettorale , danneggiano gravemente il nostro paese che non poco faticosamente tenta di riprendere per i capelli lo sviluppo necessario. La risalita del PIL italiano è più forte delle attese: Confindustria nel rapporto presentato prevede un +6,1% nel 2021, 2 punti in più rispetto alle stime di aprile, seguito da un ulteriore +4,1% nel 2022. Questa robusta ripartenza del PIL, pari a oltre +10% nel biennio, dopo il quasi -9% del 2020, riporterebbe la nostra economia sopra i livelli pre-crisi nella prima metà del 2022, in anticipo rispetto alle attese iniziali.
Ma sebbene il recupero stia procedendo più spedito che altrove, il gap rispetto al pre-pandemia è, al momento, ancora più ampio di quello degli altri principali partner perché la caduta del 2020 in Italia è stata maggiore. E allora applicare e subito un metodo di analisi che è necessario adottare per poter programmare una resilienza e un rilancio maggiormente tenace e ci offrirebbe l’occasione così di impostare le priorità delle politiche attive territoriali. Bene la legge sulla parità salariale e retributiva che viaggia spedita in parlamento anche se in un paese moderno pare ancora anacronistico dovere difendere gli uguali diritti delle lavoratrici e lavoratori con una massa di norme a partire dalla Costituzione che ne prevedono già il rispetto. E ancora più anacronistico dover impiegare risorse per una certificazione di parità di genere da misurare ed eventualmente addirittura premiare per le aziende cd virtuose . Ma è fondamentale e subito non solo monitorare ma misurare rigorosamente a livello nazionale le dinamiche retributive, sistemi di incentivazione, politiche di inserimento dei neolaureati, indicatori dei premi variabili collettivi, diffusione delle misure di welfare aziendale, le differenze nelle strategie adottate riconducibili alle caratteristiche dell’impresa (dimensione e settore) più che alla sua localizzazione geografica. Viceversa, la specificità territoriale influisce su due aspetti: il ricorso al lavoro da remoto (le differenze possono essere molto accentuate, ad esempio, tra aziende localizzate in aree metropolitane piuttosto che in aree isolate di piccole province) e i livelli retributivi per profilo professionale (la concentrazione di determinate lavorazioni in un’area circoscritta può alimentare politiche di attraction per determinate figure e surriscaldare stipendi e salari). Su questi due ambiti, quindi, registarre i risultati relativi al territorio , diventa uno strumento di politiche attive formidabile. Bisogna far emergere novità di rilievo: la prima è una diretta conseguenza della situazione eccezionale creata dall’emergenza, che ovviamente ha influito su orari e assenze dal lavoro. Perchè le circostanze uniche (misure di chiusura molto differenziate per settore e territorio, eccezionale ricorso agli ammortizzatori sociali, ecc.) hanno necessariamente complicato informazioni senza realistiche possibilità di confronto tanto con il passato quanto, in prospettiva, con il futuro. E l’approfondimento sul ricorso allo smart working (una modalità organizzativa che le straordinarie circostanze che si sono venute a creare hanno posto al centro del dibattito) da un punto di vista che solo l’indagine retributiva, raccogliendo informazioni individuali, rende possibile, cipone una domanda a cui dare subito una risposta: quali mansioni si prestano maggiormente ad essere svolte da remoto? E l’altra grande e importante questione è quella della diversity e inclusione, di crescente attualità e della quale dobbiamo aver compiuta governance della diffusione tra le imprese e ovviamente dedicare molta attenzione e modalità organizzative adeguate da applicare. Infine dobbiamo cominciare ad essere autonomi e non dipendere solo dagli studi e organismi esteri per informazioni di confronto internazionale, a supporto soprattutto delle aziende che presentano un elevato grado di apertura internazionale e devono disporre di informazioni sia sul mercato del lavoro locale che su quello di altri Paesi.
*https://www.confindustria.it/home/centro-studi/temi-di-ricerca/congiuntura-e-previsioni/tutti/dettaglio/rapporto-previsione-economia-italiana-autunno-2021?__cf_chl_jschl_tk__=pm
Rapporto Education at a Glance 2021 OECD : in sintesi la situazione Italiana
Alessandra Servidori https://www.ildiariodellavoro.it/rapporto-education-at-a-glance-2021-oecd-la-situazione-italiana/
Rapporto Education at a Glance 2021 OECD : in sintesi la situazione Italiana. OECD Organizzazione per la cooperazione allo sviluppo economico ha redatto un Rapporto dettagliato sulla situazione educativa dei paesi e per l’Italia le indicazioni e i dati riflettono luci e ombre. ITALY- COUNTRY NOTE © OECD 2021. I punti analizzati.
Il nostro paese è impegnato per garantire pari opportunità per gli studenti provenienti da diversi contesti socioeconomici • Lo status socioeconomico può incidere in maniera significativa sulla partecipazione degli studenti all'istruzione, in particolare a quei livelli che, in molti Paesi, dipendono maggiormente dalla spesa privata, quali l'istruzione e la cura della prima infanzia e l'istruzione universitaria. In Italia, le fonti private hanno rappresentato il 19 % della spesa totale negli istituti scolastici della prima infanzia, il che costituisce una percentuale leggermente superiore alla media OCSE pari al 17 %. A livello di istruzione terziaria, in Italia il 36 % della spesa proviene da fonti private rispetto al 30 % in media nei Paesi dell'OCSE. • Le tasse universitarie degli istituti pubblici italiani per un corso di laurea sono nella media rispetto a tutti i Paesi con dati disponibili. Le tasse universitarie applicate per l’anno 2019-2020 agli studenti autoctoni ammontano a 2 013 USD all'anno per un corso di laurea, il che equivale al 29 % in più rispetto alla tassa universitaria media del periodo 2009-2010. • I trasferimenti finanziari dal settore pubblico a quello privato e il sostegno finanziario pubblico diretto agli studenti possono alleggerire l'onere finanziario dell'istruzione. In Italia, il 38 % degli studenti universitari autoctoni ha beneficiato di un sostegno finanziario sotto forma di contributi pubblici, borse di studio e prestiti agli studenti. Nel 2018 i trasferimenti da pubblico a privato hanno rappresentato il 12 % della spesa complessiva per gli istituti universitari, un dato superiore alla media OCSE pari all'8 %. I trasferimenti pubblico-privato sono generalmente meno frequenti nella scuola dell'infanzia e rappresentano in media lo 0,6 % della spesa totale in tutta l’area OCSE. In Italia, tuttavia, non si registrano trasferimenti pubblico-privato a questo livello. • Nella maggior parte dei Paesi dell'OCSE, lo status socioeconomico influenza i risultati dell'apprendimento più del genere e dello status di immigrati. In Italia la quota di minori posizionati nell'ultimo quartile dell'indice PISA2 in termini di status economico, sociale e culturale (ESCS) che hanno raggiunto almeno un livello PISA di competenza in lettura nel 2018 era inferiore del 28 % rispetto alla percentuale osservata tra gli studenti che si posizionano nel quartile più elevato dell'indice ESCS, il che corrisponde a una quota più ristretta rispetto alla media OCSE del 29 %. • La mobilità internazionale degli studenti universitari è aumentata costantemente raggiungendo circa 54.900 studenti in Italia, pari al 3 % degli studenti universitari nel 2019. La quota maggiore di studenti universitari internazionali presenti in Italia arriva dalla Cina. Gli studenti provenienti da Paesi a basso e medio-basso reddito sono generalmente meno propensi a studiare all'estero. Nel 2019 hanno rappresentato il 29 % degli studenti internazionali nei Paesi dell'OCSE, rispetto al 20 % registrato per l'Italia. • Grandi differenze nel livello di istruzione possono portare a disparità retributive più consistenti in molti Paesi. In Italia, nel 2017, il 29 % degli adulti di età compresa tra i 25 e i 64 anni con un livello di istruzione secondaria di primo grado o inferiore ha guadagnato al massimo la metà della retribuzione mediana, collocandosi al di sopra della media OCSE del 27 %.
Disuguaglianze di genere nell'istruzione e risultati • In Italia, nei percorsi di istruzione e formazione iniziale l'1,9 % degli studenti della scuola secondaria di primo grado e il 3,3 % degli studenti nella scuola superiore hanno ripetuto un anno nel 2019, rispetto all'1,9 % e al 3 % della media dei Paesi dell'OCSE. I ragazzi hanno più probabilità di ripetere un anno nei percorsi di istruzione e formazione iniziale della scuola secondaria rispetto alle ragazze. In Italia, il 65 % dei ripetenti nella scuola secondaria di primo grado è costituito da ragazzi, il che rappresenta una quota superiore rispetto alla media OCSE, pari al 61 %. A livello di istruzione secondaria, la percentuale di ragazzi ripetenti in Italia scende al 48 % rispetto al 57 % in media nei Paesi dell'OCSE. • Nella maggior parte dei Paesi dell'OCSE la probabilità che gli uomini perseguano un percorso tecnico-professionale a livello secondario superiore è più alta rispetto alle donne. Ciò vale anche in Italia, dove il 61 % dei diplomati di istituti tecnico-professionali di secondo grado nel 2019 era composto da uomini (rispetto alla media OCSE del 55 %). È più probabile che le donne completino cicli di istruzione secondaria superiore di indirizzo liceale. Ciò accade anche in Italia, dove le donne rappresentano il 62 % dei diplomati di corsi di studio a indirizzo liceale di istruzione secondaria superiore, rispetto al 55 % della media OCSE . • Negli ultimi decenni l'istruzione terziaria si è maggiormente diffusa e, nel 2020, le donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni erano più propense degli uomini a conseguire un titolo di studi terziario in tutti i Paesi dell'OCSE. In Italia, nel 2020, il 35 % delle donne appartenenti alla suddetta fascia di età aveva una qualifica di istruzione terziaria rispetto al 23 % dei loro coetanei uomini, mentre in media nei Paesi dell'OCSE le percentuali erano del 52 % tra le giovani donne e del 39 % tra gli uomini della stessa età. • Le differenze di genere nella distribuzione dei nuovi immatricolati a corsi di istruzione terziaria nelle varie discipline di studio sono significative. Nella maggior parte dei Paesi dell'OCSE le donne tendono ad essere sottorappresentate in alcuni settori della scienza, della tecnologia, dell'ingegneria e della matematica (STEM). In media, nel 2019, il 26 % dei nuovi iscritti a corsi di laurea in ingegneria o attinenti all’ambito della produzione e dell'edilizia e il 20 % dei nuovi iscritti a corsi di laurea in tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) erano donne. In Italia, le donne hanno rappresentato il 27 % dei nuovi immatricolati a corsi di ingegneria o attinenti alla produzione e all'edilizia, e il 14 % dei nuovi immatricolati a corsi attinenti alle TIC. Al contrario, esse hanno costituito il 92 % dei nuovi immatricolati a corsi di studi abilitanti all'insegnamento, un settore in cui prevalgono tradizionalmente le donne. In Italia, gli uomini rappresentano il 23 % degli insegnanti di tutti i livelli di istruzione, rispetto alla media OCSE pari al 30 %. • Le giovani donne hanno meno probabilità di trovare un impiego rispetto ai loro coetanei uomini, in particolare quando sono in possesso di un titolo di istruzione di livello inferiore. In Italia, solo il 30 % delle donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni con un diploma di istruzione secondaria di primo grado ha trovato un impiego nel 2020 rispetto al 64 % degli uomini. Questa differenza di genere è superiore alla media dell’area OCSE, dove il 43 % delle donne e il 69 % degli uomini con un livello di istruzione secondaria di primo grado ha un lavoro. • In quasi tutti i Paesi dell'OCSE e a tutti i livelli di istruzione, le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni guadagnano meno dei loro coetanei uomini: il loro reddito corrisponde in media al 76-78 % del reddito degli uomini nei Paesi dell'OCSE. Tale percentuale varia maggiormente all'interno degli stessi Paesi a seconda dei livelli di istruzione conseguiti piuttosto che rispetto alla media OCSE. Rispetto ad altri livelli di istruzione, le donne con un'istruzione terziaria in Italia percepiscono un reddito più basso rispetto agli uomini con un livello di istruzione analogo, con una retribuzione pari al 71 % di quella degli uomini, mentre per le donne con un'istruzione secondaria di secondo grado o post-secondaria non terziaria tale percentuale è pari al 79 %. • In media nei Paesi dell'OCSE con dati disponibili, le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni tendono a partecipare maggiormente a corsi di formazione per adulti rispetto agli uomini della stessa età. In Italia, nel 2016, il 39 % delle donne ha preso parte a corsi di apprendimento e formazione formali e informali, rispetto al 44 % degli uomini. Il 52 % delle donne ha dichiarato che le incombenze familiari costituiscono un ostacolo alla loro partecipazione a corsi di istruzione e formazione formali e/o informali rispetto al 33 % degli uomini.
Istruzione e contesto migratorio • Nell'OCSE, in media, gli adulti nati all'estero (di età compresa tra i 25 e i 64 anni) rappresentano il 22 % di tutti gli adulti con un livello di istruzione inferiore a quello secondario, il 14 % di quelli con un'istruzione secondaria superiore o post-secondaria non terziaria e il 18 % degli adulti con istruzione terziaria. In Italia, come nella maggior parte dei Paesi dell'OCSE, nel 2020 la percentuale di adulti nati all'estero rispetto al totale degli adulti con un determinato livello di istruzione è risultata la più alta tra gli adulti senza un’istruzione secondaria superiore (19 %). • Gli adulti nati all'estero incontrano maggiori difficoltà a trovare un lavoro rispetto ai loro coetanei autoctoni, in quanto affrontano varie sfide, quali le discrepanze nel riconoscimento delle qualifiche e delle competenze, e la lingua. Pertanto, è probabile che i lavoratori nati all'estero abbiano un salario di riserva inferiore (vale a dire il tasso di retribuzione più basso al quale un lavoratore sarebbe disposto ad accettare un particolare tipo di lavoro). In molti Paesi dunque il tasso di occupazione degli adulti nati all'estero con un’istruzione secondaria di secondo grado è superiore al tasso corrispondente dei loro coetanei autoctoni. In media, nei Paesi dell'OCSE, tra gli adulti che non hanno conseguito un livello di istruzione secondaria superiore, il 57 % degli autoctoni ha un impiego rispetto al 61 % degli adulti nati all'estero. In Italia, nel 2020, il tasso di occupazione degli adulti nati all'estero senza un livello di istruzione secondaria superiore era del 59 %, un dato superiore rispetto a quello dei loro coetanei autoctoni (50 %). • La probabilità di essere occupati aumenta con il livello di istruzione, ma gli adulti nati all'estero con un livello di istruzione terziaria hanno generalmente prospettive occupazionali inferiori rispetto ai loro coetanei autoctoni. In media, nei Paesi dell'OCSE, l'86 % degli adulti autoctoni con un'istruzione terziaria ha un impiego rispetto al 79 % degli adulti nati all'estero con il medesimo livello di istruzione. In Italia, tra gli adulti con istruzione terziaria, l'82 % degli autoctoni e il 66 % degli adulti nati all'estero hanno un'occupazione. Gli adulti nati all'estero che sono arrivati nel Paese in giovane età hanno trascorso alcuni anni nel sistema di istruzione del Paese ospitante e hanno ottenuto qualifiche riconosciute a livello nazionale. Essi, pertanto, conseguono generalmente risultati migliori sul mercato del lavoro rispetto a coloro che hanno raggiunto il Paese ospitante in età più adulta con una qualifica estera. In Italia, tra gli adulti nati all'estero con un diploma terziario, il 72 % di coloro che sono arrivati entro i 15 anni di età ha un impiego rispetto al 65 % di quelli giunti nel Paese oltre l'età di 16 anni. • I giovani adulti nati all’estero (di età compresa tra i 15 e i 29 anni) hanno anche maggiori probabilità di essere disoccupati e di non seguire un percorso scolastico o una formazione (NEET) rispetto ai loro coetanei autoctoni. In media, nei Paesi dell'OCSE, il 18,8 % degli adulti nati all'estero e il 13,7 % degli adulti autoctoni sono NEET. In Italia la differenza è di 13 punti percentuali (35,2 % rispetto al 22 %). L'arrivo anticipato nel Paese ospitante è generalmente associato a un minor rischio di diventare NEET. In Italia, la percentuale di NEET tra i giovani adulti nati all'estero e arrivati nel Paese entro i 15 anni di età è del 27 %, mentre la percentuale di NEET tra coloro che sono arrivati all'età di 16 o più tardi è del 49 %. • In molti Paesi dell'OCSE, gli adulti nati all'estero guadagnano meno rispetto agli adulti autoctoni. Questo divario retributivo può ridursi con livelli di istruzione più elevati. In media, nei Paesi dell'OCSE, gli adulti nati all'estero senza un’istruzione secondaria superiore e che lavorano a tempo pieno guadagnano l'89 % dei loro coetanei autoctoni; tale divario scompare tra gli adulti con istruzione terziaria. In Italia, nel 2017, tra gli adulti senza un diploma di istruzione secondaria superiore, i redditi dei lavoratori a tempo pieno nati all'estero erano pari all'80 % di quelli dei loro coetanei autoctoni. Tale percentuale scende al 78 % per gli adulti con un diploma di istruzione secondaria superiore o post-secondaria non terziaria e al 79 % per coloro che hanno un diploma di istruzione terziaria. Istruzione e disparità tra le regioni • I dati a livello nazionale spesso nascondono importanti disuguaglianze a livello regionale per quanto riguarda l'accesso dei minori all'istruzione e la loro partecipazione ai programmi didattici. In generale, le disuguaglianze tra le regioni tendono ad ampliarsi nei livelli di istruzione non obbligatoria. Ad esempio, nella maggior parte dei Paesi, la variazione del tasso di iscrizione dei bambini di 3-5 anni è spesso maggiore della variazione tra i bambini di 6-14 anni. È il caso dell'Italia, dove il tasso di iscrizione dei bambini di 3-5 anni varia dall'89 % nella regione Lazio al 100 % in Basilicata, mentre l'iscrizione dei bambini di età compresa tra 6 e 14 anni varia dal 97 % al 100 % in tutte le regioni. Analogamente, in Italia il tasso di iscrizione dei giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni varia dal 79 % al 94 %. • Il conseguimento di un titolo di istruzione terziaria può variare in modo significativo all'interno di uno stesso Paese. In Italia, la percentuale di adulti di età compresa tra i 25 e i 64 anni con un livello di istruzione terziaria varia dal 15 % nella regione Sicilia al 27 % nel Lazio, il che corrisponde a una delle variazioni regionali più basse tra i Paesi dell'OCSE con dati disponibili. • In media, nei Paesi dell'OCSE e nei Paesi partner per cui sono disponibili dati subnazionali sullo status della forza lavoro, si osservano maggiori variazioni a livello regionale dei tassi di occupazione tra coloro senza un livello di istruzione secondaria superiore (17 punti percentuali) e coloro che hanno un livello di istruzione terziaria (8 punti percentuali). In Italia, vi è una differenza di 36 punti percentuali nel tasso di occupazione degli adulti senza un'istruzione secondaria superiore tra le diverse regioni del Paese, rispetto ai 19 punti percentuali per gli adulti con istruzione terziaria. • La percentuale di giovani NEET mostra notevoli differenze subnazionali e nazionali tra l'OCSE e i Paesi partner. In Italia, la differenza nella percentuale di NEET di età compresa tra i 18 e i 24 anni tra le regioni con il valore più elevato e quelle con il valore più basso è di 28 punti percentuali, contro gli 11 punti percentuali in media dei Paesi dell'OCSE. COVID-19: 18 mesi di pandemia • Nel 2021 la diffusione del COVID-19 ha continuato a impedire l'accesso all'istruzione in presenza in molti Paesi del mondo. A metà maggio dello stesso anno, 37 Paesi dell'OCSE e Paesi partner, avevano vissuto periodi di totale chiusura delle scuole dall’inizio del 2020. • I Paesi hanno affrontato decisioni difficili sul modo di gestire al meglio le loro risorse per garantire che gli studenti possano continuare ad accedere a un'istruzione di qualità nelle condizioni più sicure possibili e ridurre al minimo le interruzioni dell'apprendimento. Prima della pandemia, nel 2018, la spesa pubblica totale per l'istruzione primaria, secondaria e post-secondaria non terziaria in Italia aveva raggiunto il 3 % del prodotto interno lordo (PIL), che corrisponde a una percentuale inferiore alla media OCSE pari al 3,2 %. Circa due terzi dei Paesi dell'OCSE e dei Paesi partner hanno segnalato aumenti dei finanziamenti destinati alle scuole primarie e secondarie per aiutarle a far fronte alla crisi nel 2020. Rispetto all'anno precedente, per gli esercizi finanziari 2020 e 2021 ,l'Italia ha registrato un aumento di bilancio a favore dell'istruzione primaria e secondaria di primo grado. • Venti Paesi dell'OCSE e Paesi partner, tra cui l'Italia, hanno dichiarato che l'assegnazione di fondi pubblici aggiuntivi a sostegno della risposta dell'istruzione alla pandemia nelle scuole primarie e secondarie si è basata sul numero di studenti o classi. Al contempo, 16 Paesi tra cui anche l’Italia hanno destinato fondi aggiuntivi per agli studenti svantaggiati da un punto di vista economico e sociale al fine di garantire che le risorse fossero destinate a coloro che ne avevano più bisogno. • L'impatto della pandemia sull'economia ha sollevato preoccupazioni circa le prospettive dei giovani adulti, specialmente di coloro che hanno lasciato l'istruzione prima di altri. In Italia, il tasso di disoccupazione tra i 25-34enni con un titolo di studio inferiore alla scuola secondaria superiore era pari al 20,3 % nel 2020, con un calo di 1 punto percentuale rispetto all'anno precedente. In confronto, il tasso medio di disoccupazione giovanile del 15,1 % registrato nel 2020 nei Paesi dell'OCSE ha rappresentato un aumento di 2 punti percentuali rispetto al 2019). • Al contempo, il numero di adulti che partecipano all'istruzione e alla formazione formale e/o informale è diminuito in media del 27 % nella zona OCSE tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 (vale a dire durante il picco della prima ondata di COVID-19 in molti Paesi dell'OCSE). In Italia la partecipazione degli adulti all'istruzione e alla formazione formale e/o informale nello stesso periodo è diminuita del 19 % • Nonostante l'impatto della crisi sull'occupazione, durante il primo anno della pandemia da COVID19 la quota di NEET tra i 18 e i 24 anni non è aumentata considerevolmente nella maggior parte dei Paesi dell'OCSE e dei Paesi partner. In media, la quota di NEET di età compresa tra 18 e 24 anni nei Paesi dell'OCSE è passata dal 14,4 % nel 2019 al 16,1 % nel 2020. In Italia, la quota di NEET appartenenti alla stessa fascia d'età era del 24,2 % nel 2019 ed è aumentata al 25,5 % nel 2020. Investire nell’istruzione • La spesa annuale per studente destinata agli istituti di istruzione è indice di quanto un Paese investe su ciascun discente. Al netto dei trasferimenti da pubblico a privato, la spesa pubblica per gli istituti di istruzione da primaria a terziaria per studente a tempo pieno in Italia è stata pari a 9 722 USD nel 2018 (in USD equivalenti convertiti utilizzando le PPA per il PIL) rispetto ai 10 000 USD in media nei Paesi dell'OCSE. • La spesa per i servizi dell'istruzione di base quali la didattica e l'insegnamento costituiscono la quota principale della spesa per l'istruzione. Tuttavia, anche i servizi ausiliari (quali quelli relativi al benessere degli studenti) e le attività di ricerca e sviluppo (R&S) incidono sul livello di spesa per studente. In Italia, in tutti i livelli di istruzione, dalla primaria al livello terziario, il 90 % della spesa degli istituti per studente è destinato ai servizi didattici di base (rispetto all'89 % in media nei Paesi dell'OCSE). Tale quota è generalmente più bassa a livello di istruzione terziaria in ragione della spesa per la ricerca e lo sviluppo. Ciò vale anche per l'Italia, dove il 62 % della spesa totale è destinato ai servizi dell'istruzione di base. • L'offerta formativa degli istituti pubblici e di quelli privati influenza l'attribuzione delle risorse tra i vari livelli di istruzione e i tipi di istituti. Nel 2018, l'Italia ha speso 11202 USD per studente nell'istruzione primaria, secondaria e post-secondaria non terziaria, 748 USD in più rispetto alla media OCSE di 10454 USD. A livello di istruzione terziaria, l'Italia ha investito 12 305 USD per studente, ossia 4 760 USD in meno rispetto alla media OCSE. La spesa per studente negli istituti pubblici è superiore a quella degli istituti privati in media nei Paesi dell'OCSE. Questo è anche il caso dell'Italia, dove la spesa totale per gli istituti pubblici dell'istruzione dalla primaria al livello terziario ammonta a 11 730 USD per studente, rispetto agli 8 058 USD degli istituti privati. • Tra il 2012 e il 2018, la spesa per studente per l'istruzione da primaria a terziaria è aumentata a un tasso medio annuo dell'1,6 % nei Paesi dell'OCSE. In Italia, la spesa per gli istituti di istruzione è cresciuta ad un tasso medio annuo dell'1,3 %, mentre il numero di studenti è diminuito in media dello 0,1% all'anno nello stesso periodo. Ciò ha generato un tasso di crescita medio annuo dell'1,4 % nella spesa per studente per il periodo preso in esame. • L'Italia si è collocata tra i dieci Paesi dell'OCSE ad aver speso la percentuale più bassa del PIL per gli istituti di istruzione da primaria a terziaria. Nel 2018 ha speso il 4,1 % del PIL per gli istituti di istruzione da primaria a terziaria, cifra pari a 0,8 punti percentuali in meno rispetto alla media OCSE. Tra i vari livelli di istruzione, l'Italia ha destinato una quota inferiore del PIL rispetto alla media OCSE a livello sia terziario che non terziario • In Italia, la quota della spesa in conto capitale sulla spesa totale per gli istituti di istruzione è inferiore alla media OCSE ai livelli da primario a terziario. A livello primario, secondario e postsecondario non terziario, la quota in conto capitale rappresenta l'1 % della spesa totale per gli istituti di istruzione, pari a 7 punti percentuali sotto la media OCSE (8 %). A livello terziario, tale quota rappresenta il 9 %, cifra leggermente inferiore alla media dei Paesi OCSE pari all'11 %. • La retribuzione dei docenti e del personale non docente impiegato negli istituti di istruzione rappresenta la quota maggiore della spesa corrente per l'istruzione, da quella primaria a quella terziaria. Nel 2018, l'Italia ha destinato il 72 % della sua spesa corrente alla retribuzione del personale, rispetto al 74 % in media tra i Paesi dell'OCSE. La retribuzione del personale tende a costituire una quota minore della spesa corrente degli istituti terziari in ragione dei costi più elevati delle strutture e delle attrezzature. In Italia la retribuzione del personale costituisce il 52 % della spesa corrente degli istituti terziari, rispetto al 77 % dei livelli non terziari. In media nei Paesi dell'OCSE, la quota è del 68 % a livello terziario e del 77 % a livello non terziario. L'istruzione primaria, secondaria e post-secondaria non terziaria comprende i programmi di studio di livello pre-primario. I Paesi sono classificati in ordine decrescente rispetto alla spesa complessiva destinata agli istituti di istruzione in percentuale del PIL. Condizioni di lavoro dei docenti • Gli stipendi del personale scolastico, e in particolare dei docenti e dei dirigenti scolastici, rappresentano la principale voce di spesa dell'istruzione formale. I loro livelli salariali influiscono sull'attrattiva della professione di insegnante. Nella maggior parte dei Paesi e delle economie dell'OCSE, gli stipendi tabellari degli insegnanti (e dei dirigenti scolastici) negli istituti pubblici aumentano proporzionalmente al grado di istruzione in cui insegnano, nonché in funzione degli anni di esperienza. In media, nel 2020, gli stipendi tabellari dei docenti con qualifiche al vertice della scala salariale di appartenenza (stipendi massimi) erano tra l'86 % e il 91 % più alti di quelli dei docenti con qualifiche minime all'inizio della loro carriera (stipendi minimi) ai livelli di scuola dell’infanzia (ISCED 02), primaria e secondaria di primo e secondo grado a indirizzo generale. In Italia, gli stipendi massimi erano tra il 46 % e il 55 % più alti degli stipendi minimi ad ogni livello di istruzione (Figura 4). Tuttavia, la maggior parte degli insegnanti percepisce una remunerazione compresa tra detti minimi e massimi salariali. • Tra il 2005 e il 2020, nei Paesi dell'OCSE con dati disponibili per tutti gli anni del periodo di riferimento, gli stipendi tabellari degli insegnanti con 15 anni di esperienza e con le qualifiche più diffuse sono aumentati (a prezzi costanti) dal 2 % al 3 % ai livelli di istruzione primaria e secondaria di primo e secondo grado a indirizzo generale, nonostante un calo degli stipendi seguito alla crisi finanziaria del 2008. In Italia, gli stipendi degli insegnanti a questi livelli sono diminuiti del 5 %. • Gli stipendi effettivi dei docenti si compongono dei loro salari tabellari e dei pagamenti aggiuntivi legati al loro lavoro. Gli stipendi effettivi medi dipendono altresì dalle caratteristiche del corpo docenti, quali l'età, il livello di esperienza e di qualifica. In Italia, gli stipendi medi effettivi degli insegnanti (dopo la conversione in USD utilizzando le PPA per il consumo privato) ammontano a 38 978 USD al livello di scuola dell’infanzia e primaria, a 41 800 USD per la scuola secondaria di primo grado a indirizzo generale, e a 44 464 USD al livello di secondaria di secondo grado a indirizzo generale. Nei Paesi dell'OCSE gli stipendi effettivi medi degli insegnanti sono stati registrati pari a 40 707 USD, 45 687 USD, 47 988 USD e 51 749 USD rispettivamente a livello infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado . • Detti stipendi rimangono inferiori a quelli dei lavoratori con istruzione terziaria in quasi tutti i Paesi e a quasi tutti i livelli di istruzione. Nei Paesi e nelle economie dell'OCSE gli stipendi medi effettivi degli insegnanti ai livelli di istruzione dell’infanzia , primaria e secondaria a indirizzo generale sono compresi tra l'81 % e il 96 % delle retribuzioni dei lavoratori con istruzione terziaria. In Italia, la proporzione varia dal 66 % al 76 % per i livelli di istruzione dell’infanzia, primaria e secondaria a indirizzo generale. • Tuttavia, si rilevano differenze significative tra uomini e donne nei salari dei docenti a causa del divario di genere nelle retribuzioni sul mercato del lavoro (gli stipendi tabellari sono uguali per i docenti di sesso maschile e femminile negli istituti scolastici pubblici). Nel confrontare gli stipendi medi effettivi degli insegnanti con quelli dei lavoratori con istruzione terziaria, si rileva che tali stipendi relativi sono solitamente più alti per le donne e più bassi per gli uomini. In Italia, la percentuale varia dall'80 % al 92 % per le donne (dal 98% al 110% in media nei Paesi e nelle economie dell'OCSE), e dal 56 % al 64 % per gli uomini (dal 76 % all'85 % in media nei Paesi e nelle economie dell'OCSE) nell'istruzione primaria e secondaria a indirizzo generale. • Il numero medio di ore di insegnamento all'anno richieste a un insegnante degli istituti pubblici nei Paesi dell'OCSE tende a diminuire con l'aumentare del livello di istruzione: nel 2020 varia da 989 ore per l’infanzia , a 791 ore a livello di scuola primaria, 723 ore al livello di secondaria di primo grado (programmi a indirizzo generale) e 685 ore a livello di secondaria di secondo grado (programmi a indirizzo generale). In Italia, i docenti insegnano 918 ore all'anno a livello infanzia, 746 ore a livello di scuola primaria, 610 ore a livello di scuola secondaria di primo grado (programmi a indirizzo generale) e 610 ore a livello di scuola secondaria di secondo grado (programmi a indirizzo liceale). • Nell'istruzione primaria e secondaria, circa il 35 % degli insegnanti ha almeno 50 anni in media nei Paesi dell'OCSE e potrebbe raggiungere l'età pensionabile nel prossimo decennio. Il numero della popolazione in età scolastica, invece, è destinato ad aumentare in alcuni Paesi, il che fa emergere la necessità impellente per molti governi di assumere nuovi insegnanti e formarli. Nel 2019, il 58 % degli insegnanti della scuola primaria in Italia aveva almeno 50 anni, una percentuale superiore alla media OCSE pari al 33 %. In media in tutti i Paesi dell'OCSE, la percentuale di insegnanti con almeno 50 anni di età aumenta con l'aumentare dei livelli di istruzione in cui essi esercitano l'insegnamento, fino al 36% nell'istruzione secondaria di primo grado e al 40% nell'istruzione secondaria di secondo grado. In Italia questa percentuale varia dal 53 % al livello di secondaria di primo grado al 62% al livello di secondaria di secondo grado. Stipendi medi effettivi dei docenti della scuola secondaria inferiore rispetto agli stipendi tabellari di partenza e massimi (2020) Stipendi annui tabellari degli insegnati degli istituti pubblici, in USD equivalenti convertiti utilizzando le PPA. Gli stipendi reali comprendono i bonus e le indennità e gli straordinari. Il Rapporto fornisce dettagliatamente tutti i dati comparati di Lussemburgo Germania Svizzera Danimarca Spagna Paesi Bassi Australia Austria Norvegia Stati Uniti Svezia Scozia (Regno Unito) Com. Fiamminga (Belgio) Islanda Canada Irlanda Media UE22 Media OCSE Italia France Portogallo Nuova Zelanda Corea Inghilterra (Regno Unito) Slovenia Turchia Giappone Lituania Messico Repubblica Ceca Cile Estonia Israele Colombia Grecia Polonia Repubblica slovacca Lettonia Ungheria Costa Rica Brasile Stipendio Per maggiori informazioni sulla metodologia per la raccolta dei dati per ogni indicatore, sui riferimenti alle fonti e sulle note specifiche per ogni Paese, https://www.oecd.org/education/education-at-a-glance/EAG2021_Annex3.pdf). Per informazioni di carattere più generale sulla metodologia consultare la pubblicazione dal titolo "OECD Handbook for Internationally Comparative Education Statistics: Concepts, Standards, Definitions and Classifications" http://dx.doi.org/10.1787/eag-data-en Per scoprire più dati, compararli e averne una raffigurazione si invita ad utilizzare l'"Education GPS": https://gpseducation.oecd.org/ I dati relativi alle risposte dell'istruzione durante la pandemia da COVID-19 sono stati raccolti ed elaborati dall'OCSE sulla base del "Survey on Joint National Responses to COVID-19 School Closures" (Indagine sulle risposte nazionali congiunte alle chiusure scolastiche dovute al COVID-19), che è frutto di uno sforzo collaborativo condotto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), dall'Istituto di Statistica dell'UNESCO (UIS), dal Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF), dalla Banca Mondiale e dall'OCSE. L'utilizzo della pubblicazione integrale , in formato sia digitale che cartaceo, è disciplinato dai termini e dalle condizioni generali consultabili all'indirizzo www.oecd.org/termsandconditions/.
GREEN PASS in azienda è bene sapere che .....
GREEN PASS è bene sapere che ....ALESSANDRA SERVIDORI
Il tampone pagato dal datore di lavoro al dipendente per potergli consentire l’accesso in azienda, senza un accordo o un regolamento aziendale appositamente redatto, diventa un benefit e come tale va passato in capo al dipendente. E quanto emerge dalla norma di legge che introduce l’obbligo per il dipendente di accedere in azienda o in ufficio solo se in possesso del Green pass, ottenuto anche a seguito di un tampone antigienico rapido effettuato nelle ultime 48 ore o al test molecolare (anche salivare) nelle ultime 72 ore. Il Green pass, infatti, derivando da un espresso obbligo di legge diventa a tutti gli effetti un titolo abilitante per poter svolgere la propria attività lavorativa. Seguendo questo principio, per accedere in azienda o in ufficio dal 15 ottobre, le spese dei tamponi non possono essere considerate effettuate nell’interesse esclusivo dell’azienda, ma rispondono ad un preciso onere cui sono tenuti i dipendenti, alternativo alla vaccinazione offerta gratuitamente dallo Stato.
Il datore di lavoro può, quindi, volontariamente rimborsare il costo sostenuto dal dipendente per i tamponi rapidi o molecolari che siano ma, queste somme, per il lavoratore dovranno essere considerate come un benefit e per questo assoggettate al prelievo fiscale.Per evitare la tassazione è allora opportuno far rientrare i servizi dei tamponi offerti ai dipendenti come forma di Welfare aziendale.Diversamente, il datore di lavoro potrebbe far rientrare i costi per i tamponi gratuiti ai dipendenti come benefit non soggetti a tassazione poiché erogati nel limite del plafond di 258 € annuo. Lo stesso plafond in cui rientrano il panettone o lo spumante regalati ai dipendenti a Natale.
Start Mag LOTTA ALLA POVERTA'
Alessandra Servidori https://www.startmag.it/economia/come-fare-davvero-la-lotta-alla-poverta/?ct=t(RSS_EMAIL_CAMPAIGN)
Per la lotta alla povertà non solo le risorse del PNRR ma per quanto riguarda i finanziamenti a disposizione se si mantengono certi strumenti come il reddito di cittadinanza è evidente che si sottraggono ad altri sussidi.
Le iniziative del Governo comportano una attenzione particolare ai provvedimenti che i vari Ministeri adottano contemporaneamente alla programmazione del PNRR. E questa settimana il Ministro del lavoro e politiche sociali Andrea Orlando ha firmato (7 ottobre) il decreto di riparto del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, che contiene al suo interno il Piano Sociale Nazionale 2021-2023 e il Piano Nazionale degli Interventi e i Servizi Sociali di contrasto alla povertà 2021-2023. Il decreto è stato trasmesso per la firma al Ministro dell'Economia e delle Finanze. In attesa della ratifica ,in specifico, sono stati adottati il capitolo 1 (La strutturalizzazione del sistema dei servizi sociali) e il capitolo 2 (Piano Sociale Nazionale 2021-2023) , approvato dalla Rete della protezione e dell'inclusione sociale lo scorso 28 luglio 2021. Le risorse complessivamente destinate al Fondo sono pari a € 390.925.678,00 per ognuna delle annualità 2021-2022-2023. Il documento prevede che le Regioni dovranno programmare per il triennio 2021-2023, gli impieghi delle risorse complessivamente loro destinate, entro 60 giorni dall'emanazione del decreto stesso. Inoltre, a valere sulla quota del Fondo nazionale per le politiche sociali destinata alle Regioni sono finanziate, per non meno di 3.937.500,00 euro, azioni volte all'implementazione delle Linee di indirizzo sull'intervento con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità (P.I.P.P.I.).Fra gli interventi di maggior rilevo della legge di bilancio 2021, si segnala il potenziamento del sistema dei servizi sociali comunali e contestualmente degli interventi e dei servizi sociali di contrasto alla povertà nella prospettiva del raggiungimento di un livello essenziale delle prestazioni e dei servizi sociali definito da un rapporto tra assistenti sociali impiegati nei servizi sociali territoriali e popolazione residente pari a 1 a 5.000 in ogni ambito territoriale, e dell'ulteriore obiettivo di servizio di un rapporto tra assistenti sociali impiegati nei servizi sociali territoriali e popolazione residente pari a 1 a 4.000. Tali interventi sono assicurati attraverso un contributo strutturale, pari a 180 milioni di euro annui, a valere sulla "Quota servizi" del Fondo Povertà. Si ricorda inoltre, che il decreto legge n.4 del 2019, istitutivo del Reddito e della Pensione di cittadinanza, ha assorbito il Reddito di Inclusione (ReI), la misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale, che, a decorrere dal mese di aprile 2019 non è più riconosciuta, né rinnovata. Il REI era finanziato nei limiti delle risorse del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale (Fondo povertà), istituito dalla legge di stabilità 2016. Gran parte delle risorse del Fondo povertà sono confluite nell'ambito del nuovo Fondo per il reddito di cittadinanza, riducendo, conseguentemente, a decorrere dal 2019, le risorse del Fondo povertà, nel quale residua ora la quota destinata al rafforzamento e alla programmazione degli interventi e dei servizi sociali (Quota servizi). Per quanto riguarda le misure di mitigazione adottate nel corso dell'emergenza sanitaria da COVID-19, per sostenere le fasce di popolazione più svantaggiate, è stato istituito il Reddito di emergenza - Rem, un sostegno straordinario, della durata di due mesi, rivolto ai nuclei familiari in condizione di grave necessità economica. Il Rem è stato in seguito esteso anche per i mesi di novembre e dicembre 2020. Nel giugno 2021, l'Istat ha diffuso i dati sulla povertà relativi al 2020: sono in condizione di povertà assoluta poco più di due milioni di famiglie (7,7% del totale da 6,4% del 2019) e oltre 5,6 milioni di individui (9,4% da 7,7%). Dopo il miglioramento del 2019, nell'anno della pandemia la povertà assoluta aumenta raggiungendo il livello più elevato dal 2005 (inizio delle serie storiche). Il valore dell'intensità della povertà assoluta - che misura in termini percentuali quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà (cioè "quanto poveri sono i poveri") - registra una riduzione (dal 20,3% al 18,7%) in tutte le ripartizioni geografiche. Tale dinamica è frutto anche delle misure messe in campo a sostegno dei cittadini (reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, estensione della Cassa integrazione guadagni, ecc.) che hanno consentito alle famiglie in difficoltà economica - sia quelle scivolate sotto la soglia di povertà nel 2020, sia quelle che erano già povere - di mantenere una spesa per consumi non molto distante dalla soglia di povertà. Per quanto riguarda la povertà relativa, le famiglie sotto la soglia sono poco più di 2,6 milioni (10,1%, da 11,4% del 2019). La fotografia di una Italia in grande sofferenza è tratteggiata anche dal Rapporto di Caritas Italiana che restituisce una fotografia dei gravi effetti economici e sociali dell'attuale crisi sanitaria legata alla pandemia da Covid-19. Analizzando il periodo maggio-settembre del 2019 e confrontandolo con lo stesso periodo del 2020 emerge che da un anno all'altro l'incidenza dei "nuovi poveri" passa dal 31% al 45%: quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in maggioranza (52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa; cala di contro la grave marginalità. Per quanto riguarda la procedura relativa alle assunzioni a livello dei comuni, in deroga ai vincoli di contenimento della spesa di personale, si prevede che, per il potenziamento dei servizi sociali, a valere sulle risorse del Fondo povertà (per una quota massima di 180 milioni), e nel limite delle stesse, nonché dei vincoli assunzionali vigenti, dunque i comuni possono effettuare assunzioni di assistenti sociali, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, fermo restando il rispetto degli obiettivi del pareggio di bilancio. Inoltre, fino al 31 dicembre 2023, le amministrazioni, possono indire procedure concorsuali riservate (anche su base regionale, in misura non superiore al 50 per cento dei posti disponibili), al personale non dirigenziale con qualifica di assistente sociale che possieda determinati requisiti. Infine, dal 2021, è incrementata di 2 milioni di euro annui la dotazione del Fondo povertà, mentre, corrispondentemente, è ridotto il Fondo nazionale per le politiche sociali di 2 milioni di euro a decorrere dal 2021. Si evidenzia inoltre che la legge di bilancio 2021, ai commi 791-794, ha stanziato ulteriori risorse per il rafforzamento dei servizi sociali territoriali, attraverso un'integrazione del fondo di solidarietà comunale di 215 milioni nel 2021, in crescita fino a 651 dal 2030. L'intervento prevede che gli obiettivi di servizio cui vincolare tali risorse siano definiti con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sulla base dell'istruttoria tecnica condotta dalla Commissione per i fabbisogni standard.
pensione prima a chi fa figli e bilateralità per congedi parentali
Alessandra Servidori https://www.ilsussidiario.net/news/in-pensione-prima-chi-fa-figli-la-proposta-da-potenziare-coi-fondi-bilaterali/2233370/
Dalla parte di Carlo Cottarelli.
Ebbene sì reputo giusta la proposta di Carlo Cottarelli che ha il pregio di rilanciare 2 progetti di legge addirittura datati 2008 AC 1299, e uno del 2010 AC 3035 a firma Cazzola Treu che già in piena crisi finanziaria ed economica di allora, partendo dal fatto che era in atto un declino demografico, precipitato e certificato oggi da Istat, per cui i nati in Italia nel 2021 scenderanno sotto i 400,000, e dunque sono necessarie iniziative urgenti. Vero è che con pochi figli ci saranno meno lavoratori a produrre ciò che è necessario per gli anziani, obbligando questi a ritardare il pensionamento. Servirebbe,tra gli altri provvedimenti ,un meccanismo premiante: e cioè chi fa figli vada in pensione prima perché l’economia non è una opinione ma un fatto certo,certificato anche dalla Ragioneria generale dello Stato. Peraltro le sopra citate leggi delega n. 1299 art 1 a proposito di pensionamento proponevano rispettivamente:alla lettera…”e) riconoscimento di agevolazioni alle lavoratrici madri, anche stabilendo che i periodi di astensione dal lavoro per maternità e puerperio valgono il doppio fino a un massimo di anni due”.E 2010 AC 3035 alla lettera d ) Il riconoscimento di agevolazioni pensionistiche alle lavoratrici madri. In particolare: per le lavoratrici che possono accedere, in costanza di rapporto, agli strumenti obbligatori o volontari di astensione dal lavoro per maternità e per puerperio, la valutazione doppia, ai fini della maturazione del requisito di anzianità contributiva, dei periodi di astensione effettivamente goduti, fino a un massimo di due anni; per la generalità delle lavoratrici madri, il riconoscimento, per ciascun periodo di sospensione lavorativa entro due anni dall’evento del parto, di una contribuzione figurativa di base per la durata massima di sei mesi per ciascun evento.E’ oltremodo utile ricordare la recente posizione del segretario generale della Cisl che ha sostenuto “sarebbe necessario almeno un ulteriore intervento dedicato alle donne con figli: il riconoscimento di 12 mesi per figlio per anticipare l’età della pensione oppure a scelta della lavoratrice incrementare il coefficiente di calcolo della pensione. Anche la valorizzazione dei lavori di cura a fini pensionistici è un tema che vogliamo affrontare”.E naturalmente per quanto riguarda il lavoro di cura è chiaro che tale agevolazione potrà essere anche destinata ai maschi che svolgono il ruolo di cura in generale o come caregiver. La maternità ha un valore sociale indiscutibile assimilato ai periodi di leva militare ( oggi volontariato sociale) che vanno valorizzati doppiamente essendo oggi un braccio operativo straordinario dell’economia sociale indispensabile nel sistema di welfare sussidiario. All’insegna poi della ridistribuzione delle risorse per le lavoratrici e i lavoratori che hanno bisogno di maggiori congedi anche parentali, è necessario ridisegnare il sistema della bilateralità che si appoggia a ben 2 accordi sindacali confederali del 2006 e 2008 che hanno il pregio di rilanciare la cultura della bilateralità,della bilateralità e mutualità nella crisi del welfare State; di nuovi ambiti di intervento degli enti bilaterali nelle leggi di riforma del mercato del lavoro e le questioni tutt’ora aperte sull’utilizzo delle risorse di questo serbatoio sussidiario aziendale che hanno la necessità di essere dirottate verso le famiglie dei lavoratori e lavoratrici quando i bisogni oggi sono di ulteriore flessibilità lavorativa e dunque tempo di vita e di lavoro in equilibrio .Nel Patto di sviluppo richiesto dal Presidente Draghi alle parti sociali è presente anche questo tema perchè bisogna avere coraggio per innovare anche nella contrattazione di prossimità ed essere lucidamente consapevoli che la spesa sociale deve essere riposizionata condividendo alcune priorità in favore della comunità lavorativa e dunque farcene carico con strumenti già concordati, ma spesso poco utilizzati, che rappresentano nella fattispecie del bilateralismo applicato(termine comprensivo delle regole, specie di matrice contrattuale, da cui traggono origine e che disciplinano l’attività degli enti bilaterali nonché degli altri soggetti a conduzione congiunta)“la nuova frontiera” dell’azione sindacale sul piano dei servizi e della cooperazione con le imprese, di particolare efficacia in un mercato del lavoro frantumato e flessibile.
GENERE Donna Smart Working a tutto tondo
https://www.generedonna.it/smart-working-a-tutto-tondo/
Smart Working a tutto tondo
Smart Working: alzi la mano chi non ha pronunciato questa parola almeno una volta nell’ultimo anno e mezzo. Amato da alcuni, odiato da altri, per i lavoratori fragili rappresenta, in molti casi, una tutela. Abbiamo approfondito l’argomento insieme alla Prof.ssa Alessandra Servidori e sono emersi molti aspetti interessanti.
In questo articolo affrontiamo quelli inerenti alle normative più recenti. Successivamente, vedremo anche alcuni dati di scenario per capire meglio a che punto siamo in Italia.
Smart working e Covid-19
Recentemente lo Smart Working, ovvero il lavoro agile, è stato al centro di ulteriore discussione per i contenuti della legge del 16 settembre 2021, n. 126 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche”.
Nel provvedimento, che conferma lo stato di emergenza sino al 31 dicembre 2021 (art. 1), sono introdotte nuove misure volte a contrastare la diffusione della pandemia. Tra le altre previsioni, si ricorda che, a decorrere dal 16 ottobre 2020 e fino al 31 ottobre 2021, i lavoratori fragili svolgono di norma la prestazione lavorativa in smart working, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto (art. 9).
Chi è il lavoratore fragile?
È bene chiarire che per lavoratore/lavoratrice fragile si intende chi ha patologie preesistenti e cause dalle quali potrebbe avere conseguenze anche molto gravose in caso di infezione da COVID-19. Si tratta di una condizione temporanea, e correlata all’emergenza pandemica da COVID-19.
Il lavoratore è dunque “fragile” se rientra nelle categorie dell’art. 26 del Decreto “Cura Italia” (rischio in relazione a COVID-19 derivante da immunodepressione, esiti oncologici o disabilità in condizioni di gravità ex L. 104 art. 3 comma 3). Oppure, è “fragile” in quanto non rientra nelle categorie di cui sopra, ma soffre di patologie che possono incidere sulla prognosi in caso di infezione, per cui vanno previste soluzioni maggiormente cautelative come da Circ. Min. Salute del 4/9/2020.
La fragilità del lavoratore dipende dall’età, dalle patologie pregresse, che incrementano la sua vulnerabilità. L’età avanzata (>55 anni) e la presenza di più di una patologia rappresentano in conclusione “aggravanti”, mentre sono meno rilevanti le situazioni ben compensate e sotto efficace controllo farmacologico.
La certificazione di “lavoratore fragile”
In base all’articolo 26 comma 1 bis del dl 104/2020 i “lavoratori fragili” sono dipendenti pubblici e privati che siano in possesso di una certificazione rilasciata dalle autorità sanitarie o dal medico di base. Poiché il lavoratore aveva come riferimento anche il Medico di Medicina Generale (MMG), al quale poteva fare ricorso per la certificazione di uno stato di malattia, per tali patologie, ove il MMG non fosse stato informato dal lavoratore o non avesse ritenuto di certificare stato di malattia o altri provvedimenti al lavoratore, il medico competente adito dallo stesso lavoratore, o la struttura pubblica, avrebbero potuto redigere certificazioni di idoneità/prescrizioni/inidoneità sulla base delle lavorazioni e del contesto clinico esistente ed evidenziato, tenendo presente per primo lo smartworking come attività di elezione. La condizione di rischio da certificare può derivare da immunodepressione, patologie oncologiche, svolgimento di terapie salvavita, disabilità con connotazione di gravità con riferimento alla Legge 104. L’età non è una condizione necessaria per stabilire se un lavoratore possa rientrare nella categoria dei lavoratori fragili.
Le donne in gravidanza
Oggi, vi è un generale consenso a considerare anche la gravidanza tra le condizioni di ipersuscettibilità. Recentemente il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) americano ha infatti osservato che “sulla base di ciò che conosciamo in questo momento, le donne in gravidanza sono a maggior rischio di gravi malattie da COVID-19 e morte, rispetto alle donne non in gravidanza”. Inoltre, le donne incinte che contraggano COVID-19 potrebbero essere a maggior rischio di altri esiti avversi, come la nascita pretermine.
Per i fragili, smart working in pandemia
Riassumendo, dunque:
- I lavoratori e le lavoratrici fragili dovranno lavorare in smartworking fino al termine dell’emergenza sanitaria, circostanza confermata con la conversione in legge del dl 105/21
- Essi potranno ricevere l’assegnazione di compiti differenti, che rientrino nelle loro mansioni e siano fattibili sulla base del rispettivo contratto di lavoro
- Potranno svolgere dei corsi di formazione professionale a distanza
Sulla materia rimane da chiarire (l’invito è dunque al legislatore) che le norme indichino in modo chiaro se per i lavoratori “fragili” che non possono essere riammessi al lavoro, e che quindi saranno messi in malattia, sia sufficiente il giudizio di non idoneità rilasciato dal Medico Competente o dalle strutture pubbliche (ex art. 5 L. 300/70) ovvero sia necessario il certificato del Medico di Medicina Generale. E le indicazioni normative sulle soluzioni possibili e le tutele applicabili in tutti i casi di non idoneità dovranno riguardare i lavoratori di tutti i settori lavorativi.
Quanto incidono i rapporti economici tra ITALIA ed EGITTO www.il diariodellavoro.it
Egitto/ Italia e Giulio Regeni/ Patric Zaki https://www.ildiariodellavoro.it/quanto-incidono-i-rapporti-economici-italia-egitto-sui-rapporti-politici-e-i-diritti-umani/
Alessandra Servidori
L’Egitto è un paese in cui, e lo vediamo ricorrentemente la dignità delle persone è per usare un eufemismo spesso calpestata. E dopo anni di ostruzionismo da parte del Governo Egiziano sulla morte di Giulio Regeni e la detenzione dello studente bolognese Patric Zaki in prigione è legittimo domandarsi e informarsi : quali sono i rapporti economici tra i due paesi? In queste settimane un altro modello di elicottero di produzione Leonardo (ex Finmeccanica) è impiegato dalle forze armate egiziane per lo svolgimento dell’imponente esercitazione aeronavale multinazionale Bright Star 2021 nel nord-ovest del Paese. Si tratta del biturbina multiruolo AW139E: quattro le unità acquistate in Italia ed entrate in servizio operativo e proseguite dal 2019 fino ad oggi. Alcune immagini diffuse dal Comando Centrale delle forze armate USA (Centcom) mostrano l’impiego degli AW139 egiziani in attività di ricerca e salvataggio di militari . La trattativa tra le forze armate egiziane e l’italiana Leonardo per l’acquisizione degli elicotteri da guerra è stata tenuta rigorosamente top secret; l’esito favorevole della commessa lo abbiamo saputo il 7 maggio 2020, quando il governo italiano ha reso note le autorizzazioni alle esportazioni di armi nel corso del 2019. Nello specifico si rilevava l’autorizzazione ministeriale alla fornitura all’Egitto di 32 elicotteri AgustaWestland (Leonardo), 24 di tipo AW149 e 8 AW189 (una versione con le stesse qualità tecniche del modello AW149, utilizzato prevalentemente dalle industrie petrolifere per il trasporto di personale e attrezzature agli impianti off shore). Per questi velivoli è stato fissato un tetto di spesa di 871,7 milioni di euro. «I documenti resi pubblici dal governo italiano non contengono alcuna informazione sui tempi di produzione o di consegna degli elicotteri e su quale forza armata egiziana li utilizzerà» scriveva la rivista d’intelligence internazionale “Janes” il 21 maggio 2020. In un tweet pubblicato il 23 luglio scorso dalla Marina militare egiziana è immortalato uno di questi velivoli mentre decolla dalla nave d’assalto anfibia ENS Gamal Abdel Nasser, nel corso di un’esercitazione militare svolta a largo della mega-base navale Gargoub, a 255 km ad ovest di Alessandria d’Egitto, quasi al confine con la Libia, inaugurata a inizio luglio dal presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi. Grazie al dislocamento dei nuovi elicotteri di Leonardo a bordo della ENS Gamal Abdel Nasser, l’Egitto diventa il primo paese del continente africano e del Medio oriente a disporre di una portaelicotteri che consentirà una proiezione militare e di pronto intervento nel Mediterraneo, nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico. Nelle intenzioni del Comando generale della Marina egiziana, l’unità da guerra con i suoi AW149 sarà assegnata proprio alla base di Gargoub (10 milioni di metri quadri d’estensione), dotata di un molo lungo 1.000 metri, hangar per elicotteri, depositi munizioni e numerose infrastrutture addestrative. L’installazione è stata denominata 3 Aprile, il giorno del 2013 in cui il generale Al Sisi rovesciò con un colpo di stato l’allora presidente Mohamed Morsi a capo del partito dei Fratelli Musulmani.Intanto si è aperta al Cairo la gara tra le maggiori industrie aerospaziali internazionali per la fornitura di un nuovo caccia-addestratore per le scuole piloti dell’Aeronautica egiziana. In pole position per quella che si prefigura una commessa miliardaria, la tedesca Grob con i turboelica G120TP; la statunitense Sierra Nevada Corporation con i caccia A-29 Super Tucano e l’immancabile Leonardo S.p.A. con gli Alenia Aermacchi M346 “Master”, già in dotazione a le forze aeree di Italia e Israele e prossimi ad essere consegnati pure alla Nigeria.A cinque anni dalla morte di Giulio Regeni, e a un anno dall’arresto di Patrick Zaki, l’Egitto è sotto accusa per gravi e incessanti violazioni ai diritti umani. Sul versante italiano, le indagini giudiziarie sulla morte di Giulio Regeni, concluse dopo anni di difficile confronto tra le procure di Roma e del Cairo, hanno incriminato direttamente i vertici degli apparati di sicurezza egiziani. Eppure, l’Egitto si auto-assolve, rifiutando ogni responsabilità. L’Europa delle istituzioni esprime unanime censura nei confronti dell’Egitto, eppure gli stati europei continuano a fare affari con il regime del Cairo e a riceverlo con tutti gli onori. Se i crimini egiziani appaiono sempre più gravi, allora, la tragica vicenda di Giulio Regeni e quella ancora aperta di Patrick Zaki ci interrogano su quali siano le responsabilità italiane e quelle europee non solo nelle sorti dei due ricercatori, ma nel sostegno ad un regime sempre più impune, e sempre meno difendibile.
A BOLOGNA TutteperItalia il 27 e il 29 settembre per vincere le sfide
A BOLOGNA TUTTEPERITALIA Il 27 settembre e il 29 Settembre
DISABILITA' E DIRITTI 27 settembre 19,30
Casa dell'Angelo, via san mamolo 24 Bologna ORE 19,30
Cosa prevede il Piano Colao per le persone disabili e per le infrastrutture
Cresce la spesa per le persone disabili ma semper sotto la media Ue
Legge di bilancio 2021 cosa prevede per i disabili in ambito sanitario
La Legge Quadro sulla disabilità
Gli interventi del Pnrr riguardano molti ambiti in coesione sociale
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EUROPA E LAVORO 29 SETTEMBRE ORE 18,30
VIA BATTINDARNO 123 centro civico SALA FALCONE BORSELLINO
IL FUTURO DEL MONDO DEL LAVORO E' AL CENTRO DEL NOSTRO PROGETTO
La pandemia ha peggiorato l’accesso al mondo del lavoro e molti sono stati costretti a nuove forme di lavoro per nulla sicure
Per combattere questo clima di incertezza bisogna rafforzare, insieme alle associazioni datoriali, i sindacati, le agenzie e i centri per l’impiego il Progetto INSIEME PER IL LAVORO istituito dal Comune, potenziando anche il rapporto tra Università e imprese per l’inserimento lavorativo.
Bisogna far incrociare domanda e offerta di lavoro in modo coerente, risolvendo anche il disallineamento delle competenze professionali e coinvolgendo la scuola, la formazione professionale, il mercato del lavoro, gli ammortizzatori sociali e le politiche attive, usando se necessario sia le risorse esistenti sia prevedendo un piano di investimenti a fondo perduto per la digitalizzazione delle piccole e medie imprese (PMI) del territorio, cosi da favorire e incoraggiare il mercato elettronico.
Aiutiamo i giovani e le donne ad entrare e rimanere sul mercato del lavoro imparando a governare i finanziamenti europei dell’agenda EUROPA 2030
E stamane a Radio inblu in diretta Lavoro agile
ALESSANDRA SERVIDORI
www.radioinblu.it/streaming/?vid=O_wvfsfOtp
La bozza di ARAN Quando si potrà essere operativi e quando staccare ? SMART WORKING
Ogni ufficio pubblico dovrà stabilire un 15% di attività che si possono svolgere da remoto. Il lavoro sarà diviso in tre fasce: operatività, contattabilità e inoperabilità...............
previsto per il prossimo 31 dicembre, ogni ufficio pubblico dovrà dotarsi del Piano organizzativo per il lavoro agile (il cosiddetto pola), che identifica un massimo del 15% di attività da svolgere a casa, nonostante la percentuale di dipendenti in smart working sia ancora oggi attorno al 50%. Il Pola però è solo un piano interno di organizzazione e non riguarda le modalità contrattuali con cui regolamentarlo. Per questo l’Aran ha preparato la prima bozza di contratto per i lavoratori delle cosiddette funzioni centrali, cioè i ministeri, le agenzie fiscali e gli enti pubblici non economici.
, i contratti saranno stretti in forma individuale tra le amministrazioni e i lavoratori e verranno concordate la durata, le giornate in cui poter lavorare da casa e il luogo in cui lavorare, che non potrà essere fuori dai confini nazionali. Inoltre, il tempo di lavoro per lo smart working nelle pubbliche amministrazioni sarà diviso in 3 fasce: operatività, contattabilità e inoperabilità. Questa specifica serve a separare il tempo di lavoro da quello libero ed evitare che il lavoratore o la lavoratrice si trovino nella situazione di essere sempre operativi. Nell’ultima fase infatti, al dipendente o alla dipendente verrà assicurata la disconnessione completa.
Tuttavia, non tutti i lavoratori e le lavoratrici potranno usufruire del lavoro a distanza. Secondo quanto si sa da anticipazioni di alcuni giornali , il lavoro agile sarà attivato solo “per processi e attività di lavoro previamente individuati dalle amministrazioni, per i quali sussistano i necessari requisiti organizzativi e tecnologici per operare con tale modalità”. Alcune categorie di lavoratori saranno facilitate ad accedere allo smart working, come i genitori con figli e figlie minori di 3 anni o con disabilità e i lavoratori disabili. Mentre saranno esclusi dal lavoro a distanza i lavoratori impiegati a turno e quelli che richiedono l’uso di strumentazioni non utilizzabili da remoto.
Anche nel settore privato potrà essere utile approvare una normativa relativa al lavoro agile. Sul tema si è espresso il ministro del Lavoro Andrea Orlando che, ha sottolineato la necessità di un “accordo quadro nazionale sul lavoro da remoto. Per questo convocherò le parti sociali per riaprire il discorso, perché la contrattazione individuale non può rispondere a fenomeni che si sono sviluppati in questi mesi. Va tenuto conto del tema del diritto alla disconnessione, perché sta sfumando la differenza tra tempo di riposo e di lavoro”. Il ministro ha poi aggiunto che è pronto ad avviare un processo legislativo per regolare questi rapporti lavorativi se non si raggiungerà un accordo tra le parti sociali.
Politiche attive urge accordo tra regioni e ministero del lavoro
Alessandra Servidori https://www.startmag.it/economia/politiche-attive-urge-accordo-tra-regioni-e-ministero-del-lavoro/?
D’accordo il green pass ora sembra ancora il problema maggiore sia nelle scuole dove comunque il personale ausiliare tecnico amministrativo una volta ricevuta l’app dove si registrano i dati sia del personale sia degli alunni ( ora esistono già da alcuni anni gli istituti comprensivi che facilitano l’organizzazione delle strutture), possono almeno, se non a tappeto ma a campione controllare la correttezza della documentazione sanitaria. E la questione sui luoghi di lavoro il problema si può affrontare con un collegamento stretto con il medico competente che ha sicuramente assunto un ruolo determinante per gestire la situazione dei dipendenti anche dal punto di vista dei presidi per la prevenzionee e la sicurezza che è anch’essa una “emergenza” che ci trasciniamo da anni ma che vede ancora troppe distonie sia dal punto sanitario che della governance delle strutture ispettive preposte. Poche e separate tra loro istituzionalmente insieme solo sulla carta da una riforma mai attuata.Ma il problema grande oggi sono l’anellamento delle politiche attive che trovano ancora un assetto confuso sia a livello nazionale che regionale e che hanno un impatto devastante sul livello territoriale. Bisogna cominciare dalla testa del problema che è un intervento preliminare e cioè agire sul piano istituzionale con un accordo di programma da sottoscrivere subito tra Regioni e Ministero del lavoro perché per Anpal agenzia per l’impiego a livello Nazionale e gli assessorati regionali al lavoro collaborino veramente poichè non è accettabile ripetere gli antichi dispetti di mancata sussidiarietà sia per gestire alcuni strumenti fondamentali come l’apprendistato duale ancora in netta sofferenza, sia il rapporto con le agenzie per l’impiego che sono attivissime sul territorio e posseggono i dati e le professionalità per garantire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e soprattutto un utilizzo intelligente dei dipendenti dei centri per l’impiego e i cd navigator ancora adesso o inutilizzati ma contrattualizzati, o assorbiti dalle regioni ma per fare altro e non lavorare a fianco degli 8 mila operatori dei preesistenti uffici di collocamento mai decollati. Dopo la gestione fallimentare del rdc conclamato dall ‘’ultimo report di Anpal ( anch’essa reduce dai disastri di bilancio di Parisi tornato finalmente negli USA da dove è venuto a far danno),che ha evidenziato il flop del reddito di cittadinanza sul fronte delle politiche attive, rafforzando la necessità di un deciso cambio di passo che il governo deve imprimere, con il piano su cui sta lavorando il ministro Orlando. In questa situazione i 2.481 navigator ancora presenti nei centri per l’impiego (rispetto ai 2.798 originari) si avvicina il termine del 31 dicembre, quando scadrà il contratto di collaborazione con Anpal servizi. Una parte ha deciso di candidarsi per gli 11.600 posti a tempo indeterminato che le regioni stanno bandendo per potenziare gli organici dei centri per l’impiego (che hanno 8mila dipendenti). Ma di fronte ai ritardi piuttosto generalizzati delle regioni nelle assunzioni , i navigator premono per ottenere dal governo una nuova proroga, e sarebbe la seconda , ma Anpal non ha mai consegnato rapporti ufficiali sul loro lavoro e poi la verità è che manca l’interoperabilità dei sistemi informatici dei vari attori coinvolti dal Rdc, i data base delle regioni non dialogano tra loro, ci sono disallineamenti temporali anche nel dialogo con Inps, quando accoglie una domanda dopo due mesi se ne ha il via libera dai centri per l’impiego. Solo la guardia di finanza lavorando a testa bassa ha scoperto coloro che percepiscono indebitamente il rdc .Dunque le criticità sono tante ma bisogna aver coraggio e tagliare i rami secchi di un sistema in sofferenza e rimettere in moto con le risorse che abbiamo a disposizione le politiche attive risanando le esperienze fallimentari e inefficienti senza sprechi e per agganciare soprattutto la ripresa.
Lavoratrici e lavoratori fragili e COVID è importante sapere che
Alessandra Servidori
Speciale : lavoratrici e lavoratori fragili
Con le norme sanitarie che si susseguono ripetutamente a causa della pandemia è bene chiarire, possibilmente e alle condizioni date, a chi sono rivolti particolari adempimenti :
I lavoratori fragili sono le lavoratrici e i lavoratori ritenuti particolarmente a rischio, durante l’attuale situazione dovuta all’emergenza sanitaria da Covid-19, per specifiche patologie. In particolare,le e i lavoratori a rischio considerati lavoratrici e lavoratori i fragili durante l’emergenza Covid 19 sono:
- Le e i lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita;
- Le i lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della Legge n. 104/1992.
I ministeri hanno individuato con specifiche considerazioni l’identificazione delle “Situazioni di fragilità” rilevate dal Protocollo condiviso del 24 aprile 2020, da parte del medico competente (che ha assunto una nuova centralità durante l’emergenza covid-19): fra i criteri c’era l’età e la presenza di co-morbilità con alcune tipologie di malattie cronico degenerative (ad es. patologie cardiovascolari, respiratorie e dismetaboliche) tali da caratterizzare una condizione di maggiore rischio (ai sensi del Documento del Comitato tecnico Scientifico n.630/2020)-Dati ancora più consolidati, diffusi dall’istituto Superiore di Sanità e dalle cartelle sanitarie dei pazienti deceduti, hanno messo in evidenza però che “il concetto di fragilità va individuato in quelle condizioni dello stato di salute del lavoratore/lavoratrice rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto e può evolversi sulla base di nuove conoscenze scientifiche sia di tipo epidemiologico sia di tipo clinico”.In tal senso l’età non costituisce elemento sufficiente per definire uno stato di fragilità (altrimenti non si renderebbe a necessaria la valutazione medica per accertare la condizione di fragilità) e si esclude quindi l’automatismo fra le caratteristiche anagrafiche e di salute del lavoratore e la eventuale condizione di fragilità e con la Circolare congiunta n.13 del 04/09/2020 Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero della salute sulla sorveglianza sanitaria nei luoghi di lavoro, in relazione al contenimento del rischio di contagio da SARS-CoV-2 con particolare riguardo alle lavoratrici e ai lavoratori fragili,hanno chiarito in parte la materia.
L’articolo 9 del decreto legge 105/2021 ( «Proroga delle misure emergenziali in materia di disabilità»), allunga fino al 31 ottobre 2021 le speciali tutele previste dalla precedente legislazione emergenziale in favore dei lavoratori fragili, esclusa però la tutela di malattia Covid con il riconoscimento della assimilazione dell’assenza dal lavoro al ricovero ospedaliero. La norma specifica, conferma e aggiorna le misure già previste dall’articolo 26, commi 2 e 2-bis, del Dl Cura Italia (18/2020, convertito dalla legge 27/2020, e successivi provvedimenti di riferimento) in favore delle evidenziate categorie di dipendenti pubblici e privati, prevedendone l’applicazione dal 1° luglio 2021. È stato così coperto il “vuoto di normativa” che si era creato come conseguenza di leggi che si sono susseguite con reiterazioni continue o proroghe di precedenti provvedimenti, consentendo l’applicazione delle tutele anche per il periodo antecedente all’entrata in vigore del Dl 105/2021, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale 175 del 23 luglio 2021. La precedente proroga era infatti scaduta il 30 giugno 2021, lasciando così scoperto il periodo compreso dal 1° al 23 luglio, ora dunque espressamente salvaguardato dall’articolo 9, comma 3, del Dl 105/2021, che consente l’applicazione delle tutele nella versione aggiornata dallo stesso decreto. Ai lavoratori fragili è consentito svolgere la prestazione in modalità di lavoro agile fino al 31 ottobre 2021, anche con l’adibizione a una diversa mansione, compresa nella stessa categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale, anche da remoto. Per i soggetti che non possono lavorare da remoto, il periodo di assenza dal lavoro – laddove consentito – non è coperto da alcuna prestazione previdenziale e/o assistenziale di sostegno. Non è stata invece prorogata la possibilità di assenza per malattia, equiparata al ricovero ospedaliero, con il relativo trattamento economico, e con il beneficio dell’esclusione dal calcolo del comporto. I lavoratori cosiddetti “fragili”, cioè quelli che per determinate condizioni di salute, devono ridurre le probabilità di contagio dal virus Covid-19, hanno una particolare tutela, introdotta a suo tempo dai primi interventi legislativi emergenziali e, dunque, confermata nelle norme di particolare attenzione che si sono susseguite dal marzo 2020 a oggi, ovvero dal decreto Cura Italia al Dl 105/2021, in vigore dal 23 luglio scorso. I lavoratori e le lavoratrici fragili sono una categoria di lavoratori (che potrebbe definirsi anche aperta, considerata la terminologia della legge e il riferimento alle condizioni di immunodepressione) da considerare particolarmente a rischio in caso di contagio dal virus Sars-Covid 19, i quali, necessitano di particolari forme di tutela, nella logica di un allineamento con i lavoratori comuni e allo scopo di eliminare una gap di protezione.
Ad oggi 17 Settembre2021 la linea seguita dal premier Draghi e appoggiata dai ministri Speranza (Salute) e Brunetta (Pa) è passata in Consiglio dei Ministri e dunque si punta tutto sui vaccini e quindi sul green pass e non agevolando invece l’accesso ai test per eludere così le vaccinazioni rallentandole. Il governo come nel metodo” Draghiano “ è venuto incontro ad alcune richieste: innanzitutto diventerà più stringente l’accordo che è stato siglato questa estate dalla struttura commissariale guidata da Paolo Figliuolo con le associazioni che rappresentano le farmacie italiane. Un accordo che ha previsto già da agosto un costo massimo di 15 euro per i test antigenici rapidi che scendono a 8 euro per quelli eseguiti dai ragazzi under 18. Prezzi questi già praticati da molte farmacie, ma non da tutte sempre in modo così capillare. Dunque sarà una disciplina più stringente con multe da mille a 10mila euro per le farmacie che non praticheranno questi prezzi e la possibilità per i prefetti di «disporre la chiusura dell’attività per una durata non superiore a cinque giorni». L’accordo con le farmacie per tenere bassi i prezzi dei tamponi rapidi con il nuovo decreto i prezzi calmierati per i test in farmaci saranno validi fino al prossimo dicembre e cioè fino alla fine dello stato di emergenza. Lo stesso decreto potenzia anche il Fondo - al momento di 10 milioni - che garantisce tamponi gratuiti per i fragili e disabili che non possono effettuare la vaccinazione «a causa di patologie ostative certificate» e per tutti quei «soggetti - si legge nella bozza di decreto - esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti dalla circolare del ministero della Salute». Infine vi è l’estensione della durata del tampone molecolare (anche salivare) ai fini del green pass: sarà infatti portato da 48 ore a 72 ore ,la validità del test «antigenico rapido di 72 ore dall'esecuzione del test molecolare”.
Ancora incertezze abbastanza gravi per le e i lavoratori fragili riguardano la questione della tutela nei limiti di 180 giorni nell’anno solare e gli impiegati dell’industria che sono sempre esclusi dalla tutela della malattia per assenza da quarantena. In attesa di conoscere le concrete intenzioni del Governo per ripristinare la tutela della malattia ai lavoratori assenti per quarantena e ai lavoratori fragili che non possono rendere la prestazione in smart working, sono queste due interpretazioni restrittive adottate dall’Inps durante il periodo emergenziale che pongono ulteriori problemi applicativi che vanno oltre la mancata copertura finanziaria delle norme. La regola generale è che l’indennità di malattia è normalmente a carico dell’Inps per un massimo di 180 giorni in ciascun anno solare e con esclusione di alcune categorie di lavoratori come impiegati industria, quadri e dirigenti. L’articolo 26 del Dl 18/2020 ha stabilito, invece, che il periodo trascorso in quarantena «dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto». Quindi, la norma non ha esteso le regole ordinarie della malattia ai casi di quarantena, ma ha stabilito una nuova tutela equiparandola solo sul piano economico all’indennità di malattia. Analogamente, le disposizioni ordinarie stabiliscono che la tutela dell’Inps è riconosciuta in ogni caso entro il limite di 180 giorni nell’anno solare. L’articolo 26, invece, ha stabilito tempo per tempo il periodo di tutela cui fare riferimento nei limiti della copertura finanziaria. Anche la relazione tecnica del decreto 18 sembra andare verso questa direzione stabilendo che le nuove tutele sono «in deroga alle disposizioni vigenti». Nel quantificare la spesa il legislatore fa un calcolo che prescinde dalle qualifiche contrattuali ma è connesso al numero dei contagi e ai potenziali contatti avuti da ciascuno di essi. A fronte di questo quadro normativo che appare sufficientemente chiaro, l’Inps ha adottato un’interpretazione molto restrittiva con il messaggio 2584/2020, poi con i messaggi 4157/2020 e 171/2021. Inps afferma che «Nulla è invece innovato... per quanto attiene alla tutela previdenziale, compresi i limiti temporalmente posti dal legislatore per le diverse categorie di lavoratori (lavoratori a tempo indeterminato, a tempo determinato, operai agricoli a tempo determinato, lavoratori dello spettacolo, lavoratori marittimi eccetera)». In altri termini, secondo l’Inps tutti i limiti delle regole ordinarie si applicano anche alle tutele emergenziali previsti per la quarantena e per i lavoratori fragili e questo nonostante le due disposizioni agiscono proprio in deroga alla normativa vigente.
E’ importante sapere che : Alle lavoratrici e ai lavoratori fragili è consentito di svolgere la prestazione in modalità di lavoro agile fino al 31 ottobre 2021, anche essendo adibiti a una diversa mansione, compresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto. Per i soggetti che non possono lavorare da remoto, il periodo di assenza dal lavoro – laddove consentito – non sarà più coperto da alcuna prestazione previdenziale e/o assistenziale di sostegno. Non è stata prorogata la possibilità di assenza per malattia, con il trattamento economico e con il beneficio dell’esclusione dal calcolo del comporto. Prosegue comunque fino al 31 dicembre l’obbligo, per i datori di lavoro pubblici e privati, di effettuare la sorveglianza sanitaria eccezionale dei dipendenti maggiormente esposti al rischio di contagio da Coronavirus in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia Covid-19, o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità. Le lavoratrici e I lavoratori assenti per malattia hanno diritto alla conservazione del posto per un periodo stabilito dai contratti collettivi, durante il quale non possono essere licenziati. Rientrano nel calcolo del comporto tutte le assenze per malattia Covid 19, non essendo allo stato prevista alcuna possibilità di esclusione dal calcolo, cosa che invece avveniva per i lavoratori in quarantena o in permanenza domiciliare fiduciaria, finché la quarantena era considerata malattia. Una lavoratrice ,un lavoratore ammalato di Covid-19 vede le sue assenze computate nel periodo di comporto. Un lavoratore in stato di sospensione o in stato di accertamenti, come nel caso della quarantena, finora è stato più tutelato di quello assente per malattia, nonostante fosse sano e nel pieno della salute ma assoggettato semplicemente a una misura di cautela e di contenimento. La situazione che ne conseguiva provocava una disparità di trattamento, che appare in violazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione. La condizione di immunodepressione, o immunodeficienza, è la situazione medica in cui il sistema immunitario di un individuo funziona meno efficacemente del normale o non funziona affatto. Sono a rischio di immunodeficienza (o immunodepressione) tutti i soggetti con una storia familiare di immunodepressione primaria, in quanto le condizioni responsabili di questo tipo di immunodepressione sono generalmente ereditabili. Sono poi a rischio di immunodepressione: coloro che, per motivi diversi, sono venuti a contatto con i fluidi corporei di un malato di Aids e hanno sviluppato la stessa patologia infettiva; coloro che, a causa di un tumore, della rottura della milza, di un’infezione o altro hanno subito l’asportazione della milza; gli anziani; coloro che, per mancanza di disponibilità o per altri motivi, non assumono un quantitativo adeguato di proteine; coloro che non dormono un numero adeguato di ore, durante la notte; coloro che, a causa di un tumore, devono sottoporsi a chemioterapia.
Politiche attive l'avvio solo cambiando il reddito di cittadinanza
Alessandra Servidori https://www.ilsussidiario.net/news/politiche-attive-lavvio-possibile-solo-cambiando-il-reddito-di-cittadinanza
Il programma del Governo Draghi per sistemare le politiche attive e sociali piano ma come un motore diesel si sta concretizzando, nonostante le insostenibili provocazioni di Salvini occupino provocatoriamente le giornate di lavoro dell’esecutivo molto più responsabile di partiti che lo compongono o di chi sta all’opposizione. Sul reddito e pensione di cittadinanza è chiara la divisione sconcertante in due dell’Italia : i nuclei familiari che hanno usufruito del reddito e pensione al Sud e Isole sono 858.267( ovvero 2.045072 persone ) al centro 215.270 ( 431.046 persone) e 302.400 al nord ( 595.357 persone) per un totale di ben 3 milioni di persone coinvolte ben di 755 milioni di euro i costi per noi cioè lo Stato. E dunque vero è che non sono state avviate politiche attive ma solo sussidi Quello che non ha funzionato è prima di tutto è l’incontro tra domanda e offerta di lavoro che ad oggi segna il passo con ben 750mila persone che “sembra” aspettino una nuova occupazione. L’inerzia dei centri per l’impiego, i cd navigator,il mal funzionamento di Anpal, hanno fallito clamorosamente la promessa del governo Conte bis di sconfiggere la povertà e la disoccupazione .E per fortuna che la guardia di finanza ha scoperto un numero enorme di percettori fasulli a cui è stato tolto il sussidio. Le persone collocate al lavoro anche a causa della pandemia sono state pochissime e adesso si sta mettendo in porto un progetto di sinergia pubblico/privata prevedendo una collaborazione con le agenzie di collocamento ,una banca dati nazionale comune di incontro domanda offerta riqualificazione professionale.E si sta lavorando perché il rdc vada alle famiglie numerose poiché i dati ci dicono che il sussidio lo hanno ricevuto 610.683 famiglie composte da una sola persona il 44% , mentre le famiglie numerose sono solo 106.783 e dunque solo il 7%. Bisogna cambiare i criteri e diversificare gli importi a seconda le aree del paese, legandoli ovviamente all’isee e al caro vita , alla presenza di minori e accertamenti più stringenti per evitare le truffe. Insomma far arrivare i soldi a chi ne ha più bisogno e fare ripartire i servizi alle famiglie. I sussulti e le grida di chi non condivide la linea ragionevole del pass sanitario per i dipendenti pubblici, il personale della scuola, della sanità e la posizione autorevole del Rappresentante delle Università per annientare con parole forti e chiare i manifesti dei ridicoli dissidenti accademici, accompagnati da una Confindustria granitica sulla tutela della salute e sicurezza di tutti i lavoratori e per evitare chiusure, quando la ripresa sta dando timidissimi segni di risveglio, aiutano Draghi a tenere la barra del comando ferma. Lui governa i partiti (o pseudo tali ) rumoreggiano molestamente. Le priorità :pandemia,investire bene e subito le risorse europee con buonsenso e senza sprechi,organizzare gli appuntamenti economici e il G 20, tenere il timone del semestre bianco, dialogare con i grandi della terra sulle alleanze e per che cosa. Nonostante le bizze insopportabili di chi pensa solo ai voti elettorali,o chi ha la presunzione di dettare legge sulle modalità di lavoro come lo smart working che va sicuramente migliorato ma non abolito pensando anche ad allargare lo sguardo anche ai lavoratori disabili che ne possono usufruire e ad una pa inclusiva che desidera più che mai essere al servizio dei cittadini sfoltendo quelle burocrazie barocche che la perseguitano.
AL LAVORO E SUBITO nel Consiglio di indirizzo !!!
ALESSANDRA SERVIDORI
Istituito il Consiglio d’indirizzo per l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica
Dal 24 settembre al servizio delle Istituzioni. Ancora una volta ed è una grande soddisfazione
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Bruno Tabacci, in forza della delega ricevuta dal presidente Mario Draghi in materia di coordinamento della politica economica e programmazione degli investimenti pubblici di interesse nazionale, ha provveduto con due distinti decreti già registrati a istituire un Consiglio d’indirizzo che avrà il compito, a titolo gratuito, di orientare, potenziare e rendere efficiente l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica presso il DIPE. Tale organismo sarà presieduto dallo stesso sottosegretario Tabacci con il coordinamento del capo del DIPE, professor Marco Leonardi.
Sono stati dunque nominati e ne fanno parte: Antonio Calabrò, Patrizia De Luise, Giuseppe De Rita, Elsa Fornero, Giuseppe Guzzetti, Alessandra Lanza, Mauro Magatti, Alessandro Palanza, Alessandro Pajno, Monica Parrella, Paola Profeta, Silvia Scozzese, Alessandra Servidori, Anna Maria Tarantola, Mauro Zampini.
Smart working ? Si ma con regole certe
Alessandra Servidori https://formiche.net/2021/09/smart-working-si-ma-con-regole-certe/
Le valutazioni politiche sull’opportunità o meno per lavoratrici, lavoratori e studenti di operare a distanza, meritano al di là delle definizioni, lavoro da remoto, smart working, dad dal marzo 2020,una proposta concreta per agire innanzi tutto se l’emergenza persiste o no e come attrezzarci per il futuro molto prossimo. Sicuramente l’impatto di Covid-19 è stato massacrante per chiunque doveva svolgere una attività in presenza,ma per i giovani decisamente di più stando ai resoconti di ciò che si calcola in quanto a perdita di acquisizione e rendimento di conoscenze e di solitudine e di comprensione di quanto la comunità scolastica e formativa serve per la propria crescita sociale e di gruppo, e soprattutto con quel disastroso effetto collaterale soprattutto per gli adolescenti che hanno ripiegato ancora di più sulla comunicazione on line perdendo il rapporto diretto con amici e amori. E certamente le madri ed i padri hanno avuto più difficoltà nella gestione dei figli, spesso in didattica a distanza per seguirli, accudirli soprattutto i più piccoli che richiedono un’attenzione che precedentemente era minore. Penso che tutti noi abbiamo affrontato questa “malattia” oltre tutto senza certezze di come uscirne e in situazioni di grande sofferenza sia fisica che psicologica. In questa situazione non ancora finita si torna a parlare di lavoro a distanza a volte con tribolazione a volte come opportunità soprattutto se legata al tempo di vita e all’organizzazione della vita lavorativa e familiare,contemporaneamente con una capacità organizzativa veramente manageriale che non avevamo e non abbiamo “ordinato, sistemato” perché non abituati né attrezzati. E dunque cambiando tutto in una nuova dimensione : tempo alla dimensione operativa e sociale della comunità lavorativa, tempo per i figli piccoli adolescenti,tempo per i nostri anziani per i nostri disabili,tempo (poco ) per vivere. Tutto insieme senza soluzione di continuità e con incalzante quotidianità che impediva qualsiasi programmazione . Ebbene sì caos, sentimenti di inadeguatezza, ruoli sovrapposti,panico continuato. E allora ora o mai più assestare la materia contrattualmente come dice la legge si può e si deve fare. E si poteva fare da quando abbiamo capito che il Covid rimane e vive con noi .Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working, le persone che hanno lavorato da remoto nel 2020 sono stati 6,58 milioni: ossia, un terzo dei lavoratori dipendenti italiani (nel 2019 erano stati poco più di 570 mila). Con il decreto Covid numero 15 del 23 luglio 2021 il governo ha prorogato, con effetto reatroattivo dal 1° luglio, lo smart working per tutti quei dipendenti pubblici e privati che presentano particolari patologie e dunque i lavoratori fragili e ancora successivamente fino al 31 ottobre 2021.Non c’è dubbio che bisognerà prorogarlo a perché per i lavoratori disabili è una grande opportunità sapendo oltre tutto la difficoltà reale di essere inseriti, nonostante la normativa lo preveda, sui luoghi di lavoro. Il Parlamento ha approvato degli emendamenti al decreto Sostegni: tra questi, la proroga per tutto il 2021 dell’aumento a 516,46 euro destinati ai cosiddetti “ fringe benefits ovvero il un bonus smart working, che permette ai datori di cedere ai dipendenti una cifra da spendere in beni e servizi per allestire l’ufficio in casa e lavorare da remoto. Il Bonus smart working può essere usato per acquistare sedie ergonomiche, scrivanie, prodotti di illuminazione specifici per lavorare in modo adeguato (in termini di salute e sicurezza) anche da casa. Bisogna allora per il lavoro pubblico , ma non solo e lo sta facendo Aran avviare la contrattazione sindacale peraltro già prevista dalla legge LAVORO AUTONOMO E SMART WORKING Legge 22 maggio 2017, n. 81: Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato. Se poi il datore di lavoro è lo Stato ancora più necessario dare corpo a modelli non improvvisati come quelli che si sono adottati disinvoltamente fino ad ora. La legge del 2017 prevedeva la sperimentazione ora è stata fatta (malamente) ed è tempo di passare a regolare il lavoro agile. Ciò significa dare un profilo giuridico all’accordo sindacale previsto e non continuare a dire che è una modalità di lavoro perché è una tipologia di lavoro; significa prevedere il turno over a rotazione dei dipendenti pubblici privati, dotarli di computer e accesso internet,prevedere l’orario di lavoro in connessione e anche il diritto alla disconnessione e imparare subito a misurare gli obiettivi e le performance di produttività assolutamente misurabili anche da remoto .C’è poi una questione ormai non discutibile : pensare che i genitori che lavorano in smart working – ma siamo solo noi in Italia a chiamarlo così, negli altri paesi si parla di remote working, home working, distance working perché di smart, intelligente, non abbiano bisogno di congedi parentali quando le scuole sono chiuse significa non riconoscere lo stato reale delle cose, né il valore del lavoro che, nonostante tutto, è stato fatto da casa in questi mesi.Significa non considerare lo smart working come un lavoro a tutti gli effetti, incompatibile con un contemporaneo carico di cura a tempo pieno come lo è una qualsiasi prestazione svolta in esterno.Significa, ancora una volta, non riconoscere che il lavoro di cura richiede energie, tempo, dedizione e che non può essere svolto in contemporanea con un altro lavoro, considerato prioritario solo perché retribuito. Padri e madri vogliono ovviamente lavorare, preferibilmente a tempo pieno, solo che non possono farlo nello stesso tempo in cui si prendono cura dei propri figli.E la fatica di questo periodo passato in “smart” ricade su padri e madri in misura direttamente proporzionale al numero e inversamente proporzionale all’età dei figli all’interno del nucleo familiare. Vero è che quanto più la famiglia è impostata secondo ruoli tradizionali e stereotipati tanto più sono le madri a essere in prima linea nella cura dei figli, nella gestione della casa e nella responsabilità dei loro successi o insuccessi scolastici. Donne che sono sempre più madri a tempo pieno, responsabili della casa a tempo pieno, maestre di sostegno a tempo pieno e lavoratrici a tempo pieno. E’ quindi necessario, oltre che urgente, rafforzare le cd infrastrutture sociali e rendere i servizi di cura di qualità accessibili a tutti, ragionando su come si possa garantire sicurezza sanitaria e fruibilità del servizio anche quando la prevenzione richiede la chiusura delle scuole. Ma occorre anche promuovere i congedi parentali affinché siano utilizzati, da donne e da uomini, e considerati come un investimento sociale. I congedi sono fondamentali per tenere in vita quella stessa società che da un lato insiste nel lamentarsi per i bassi tassi di fecondità e dall’altro dimentica troppo spesso che per crescere un figlio ci vuole una comunità , risorse, attenzioni ed energie di tutti, non solo delle madri. I congedi Covid emergenziali vanno quindi potenziati non soltanto rendendoli accessibili anche per chi lavora in modalità agile ma estendendo la retribuzione collegata all’attivazione del congedo, per evitare che all’interno delle famiglie si arrivi alla scontata conclusione che si può rinunciare al 50% dello stipendio di importo inferiore (che nella stragrande maggioranza dei casi è quello delle donne) e che siano solo le madri ad utilizzarli. La Ministra Bonetti ha promesso di sviluppare trasversalmente gli aiuti per l’occupazione femminile e i servizi con le risorse del PNRR e del Family act.Stiamo aspettando.E vigileremo.