A tredici anni dalla morte del Prof. Marco Biagi, per onorare a modo mio il suo ricordo, vado oltre il patrimonio prezioso di lavoro che ci ha lasciato, ancora oggi, sovente con stanche retoriche strumentalizzazioni, accade ancora che c’è chi a tutti i costi affianca i gli studi e le proposte di eccellenza del mio amico, senza nessun scrupolo morale, alle riforme che vengono messe in campo. Non proprio in sintonia con le sue proposte e la sua lungimirante competenza. Ricordo Marco chiedendomi anche in nome suo cos’è la Giustizia, quale giustizia alberga nel cuore di una società. Con tredici anni chiusi dai chiavistelli e calati a piombo sulle spalle, la mente ritorna agli anni affondati nella storia trascorsa blindata di chi in catene, sconta la pena accertata, di altri che mi auguro sentano almeno il peso della colpa di aver lasciato solo Marco, assassinato barbaramente dalle brigate rosse. Sono percorsi anni e frammenti di vita che non vanno nascosti, né manipolati, che però a me personalmente hanno reso trasparente il cammino da fare, quella mutazione possibile, accettabile, che invita le persone ad andare incontro a una intera società che vuole giustizia e non vendetta. Quando la Giustizia è lontana, non c’è richiamo o fronda che possa risvegliarne equità e umanità, è distanza di ogni giorno, a ogni grido di aiuto inascoltato, di ogni diritto annullato, anche solo per una frazione di secondo, nella frazione di uno sparo. Giustizia è un valore che non può rimanere fuori dall’uscio di noi che rimaniamo, delle famiglie private dei loro cari, neppure all’interno di una istituzione chiusa e refrattaria alla trasparenza, la giustizia dovrebbe essere assunta come obiettivo da perseguire pervicacemente per chi rimane , facendoci schierare apertamente dalla parte di chi non vede riconosciuti i propri diritti fondamentali, cercando di comprendere e sostenere chi è calpestato quotidianamente nei propri diritti e chi nasconde vigliaccamente fin’anche i propri doveri di verità collettiva e individuale. La Giustizia non è una parola da intendere a proprio piacimento, neppure paravento di una qualche e più grave ingiustizia come il permettere che tutti i colpevoli di un servitore dello Stato non rispettino la dignità di famiglie lasciate sole, una giustizia deve essere radice autorevole per ciascuno, perché consegna rispetto alla vita di chi rimane e di chi non si rassegna al silenzio omertoso di coloro che erano 13 anni fa e sono rimasti ancora colpevolmente nascosti.
Alessandra Servidori
17 marzo 2015
Venti anni. Sono passati 20 anni e siamo ancora alle celebrazioni di quella Conferenza a Pechino che nel 1995 spalancò la speranza di un mondo consapevole dei diritti delle donne. Ma ad un ventennio di distanza, all’Onu si apre la 59a sessione della Commissione sullo Status delle donne, formalmente come un rito stanco si legge l’approvazione di una Dichiarazione politica mondiale. In platea le donne del potere in tribuna, recinto per le rappresentanti delle organizzazioni, un atto forte: si alzano e si mettono una mano sulla bocca per denunciare che la Dichiarazione è stata scritta dagli Stati membri delle Nazioni Unite senza il loro contributo, dimenticando volutamente quello che lo stesso Segretario dell’Onu, Ban Ki-Moon ha dichiarato, quello che anche da noi in Italia per farci stare zitte dicono i Presidenti: le donne sono le agenti del progresso e del cambiamento. Posso dire come testimone attiva che allora fu una Dichiarazione coraggiosa e progressista per la promozione dell’eguaglianza di genere e dei diritti umani di donne e ragazze e venne approvata quella Piattaforma d’azione, puntuale e completa che indicava 12 aree critiche su cui impegnarsi. Non senza ovviamente alcuni compromessi che sapemmo adottare intelligentemente poiché di politica si tratta e si trattava: le resistenze per impegnarsi ad un programma concreto verso la parità di genere, ancora oggi anche in Italia, ma soprattutto in Africa, in Russia, in Arabia Saudita, India, Indonesia, con tratti sicuramente differenti, è ancora molto molto impervio. Intanto in questi anni il fondamentalismo religioso, oggi più che mai, la cultura maschilista dura ad essere sostituita dalla condivisione del rispetto reciproco tra donne e uomini nell’assunzione equilibrata della diversità, le disuguaglianze tra paesi mettono le giovani generazioni di ragazze e di donne di fronte a situazioni e sfide durissime di stupro quotidiano dei diritti umani. Di questa realtà nulla nella Dichiarazione letta nel marzo 2015, nulla sui diritti sessuali e riproduttivi, sparito il ruolo delle organizzazioni delle donne che difendono i loro diritti umani e del tanto impegno diffuso: la violenza politica sulle donne denunciata più volte anche da donne importanti che agiscono il potere come Merkel.Clinton,Lagarde, sparita, sostituita da una blanda e inutile Dichiarazione che si limita a riconoscere che il progresso è lento e diseguale e che a venti anni dall’approvazione della Piattaforma d’azione di Pechino nessun paese ha ancora raggiunto l’eguaglianza e l’empowerment delle donne e ragazze che continuano a sperimentare molteplici forme di discriminazione, vulnerabilità e marginalizzazione durante l’intero ciclo della loro vita. La Dichiarazione chiede ancora una volta stancamente, l’implementazione di leggi, politiche, strategie e programmi per donne e ragazze e un rafforzamento dei meccanismi istituzionali per la parità, la trasformazione delle norme discriminatorie e degli stereotipi di genere nonché la promozione di norme sociali e pratiche che riconoscano il ruolo positivo e il contributo delle donne. Chiede inoltre che si eliminino la discriminazione contro le donne e le ragazze, mobilitando le risorse necessarie e rafforzando l’impegno e la accountability dei Governi, la raccolta di dati, il monitoraggio e la valutazione e l’accesso e l’uso delle nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Ancora e sempre chiede da vent’anni chiede inutilmente inascoltata perché la politica osteggia evidentemente, quando va bene paternalisticamente infilando nei posti di potere donne che possono garantire la fedeltà, diversamente osteggiando l’intelligenza e il talento. La forte leadership da parte dei nostri governi per la realizzazione dell’eguaglianza di genere, l’empowerment e l’affermazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze chi la vuole? Chi vuole veramente mettere in atto politiche per il lavoro delle donne per dare loro la concreta possibilità di entrare e restare nel mercato del lavoro, di essere “agenti e protagoniste dello sviluppo e dell’economia”, come, sapendo di mentire, si riempiono pagine e pagine di programmi rimasti sulla carta?
Alessandra Servidori
14 marzo 2015
Dal 1 maggio 1014 al 5 Marzo 2015 le registrazioni sono state 441.480: è il valore corrisponde alla somma progressiva da quando è nato il Progetto Garanzia Giovani. Nella prima settimana di marzo sì è registrato un lieve incremento settimanale, ma è bene sottolineare chele registrazioni rappresentano il numero di giovani che aderiscono al programma, ma non la presa in carico che è cominciata dal primo ottobre 2014, e dunque è con estrema lucidità che dalla registrazione/adesione al processo di presa in carico dei giovani da parte dei Centri per l’Impiego e il rapporto delle aziende, il risultato è comunque molto deludente. Degli oltre 2 milioni di interessati, solo appunto 441,480 si sono registrati e appena 12mila hanno ricevuto un'offerta di lavoro o formazione. Ricordiamoci bene che è un progetto di respiro europeo, rivolto a quei Paesi con una percentuale di giovani senza lavoro superiore al 25% (in Italia è al 42%), su cui Bruxelles ha investito 6 miliardi di euro: 1,5 solo per il nostro Paese. I fondi in Italia sono stati distribuiti in base al tasso di disoccupazione delle diverse aree geografiche, affidando alle Regioni, che controllano il sistema dei servizi per il lavoro, la definizione e la realizzazione delle misure da adottare. Sono stati coinvolti i giovani che non studiano né lavorano, i cosiddetti Neet, di età compresa fra 15 e 29 anni (nello schema comunitario il meccanismo è previsto per gli under 25). Per sensibilizzare gli Stati coinvolti nel piano, il 22 aprile 2013 il Consiglio della Ue ha inviato loro una “Raccomandazione” che prevede, ad esempio, l’identificazione di un’autorità pubblica incaricata di istituire e gestire il sistema di garanzia, lo sviluppo di partnership tra servizi per l’impiego pubblici e privati e il potenziamento dell’apprendistato come forma contrattuale. Peccato che in Italia il meccanismo non stia funzionando. Complici i ritardi nell’attuazione del piano da parte degli enti locali, di un sistema incancrenito di formazione e l’assenza di un’efficace struttura di coordinamento, poiché solo una minima parte dei giovani iscritti al piano (tramite un portale dedicato), che entro 4 mesi dall’inizio della disoccupazione o dal termine degli studi avrebbero dovuto iniziare un’esperienza lavorativa, un tirocinio o uno stage, ha tratto reale beneficio dalla Youth Guarantee. Nome accattivante del Progetto che ha messo in moto delle giuste aspettative da parte dei giovani ma che sono progressivamente andate a infrangersi sulla maledetta burocrazia e inerzia. Abbiamo approfondito lucidamente e i risultati studiando il monitoraggio istituzionale e non affidandoci a percezioni e non sono allo stato lusinghieri e anzi è diffusa, tra i giovani prima ancora che tra gli esperti l’opinione pubblica, che si tratti di una occasione perduta, delle politiche del lavoro in Itali che soffrono di lacci e lacciuoli anche figli di una mala politica del lavoro. Le cifre appunto parlano da sole non sono una opinione sono dei fatti. Vediamo insieme: la percentuale dei giovani che, una volta presi in carico dai servizi competenti, ha ricevuto una qualche forma di risposta in termini di lavoro o di stage: 3%. Su un bacino stimato dal governo di 2.254.000 giovani italiani che non studiano e che non lavorano, 1.565.000 se consideriamo il target scelto per il piano, solo 441,480 hanno infatti aderito al piano ‘Garanzia Giovani'”. Di questi solo 160.178 risultano essere stati effettivamente contattati per un primo colloquio. Mancano dunque all’appello ancora tanti giovani, la stragrande maggioranza dei quali iscritti da oltre, molto oltre, 4 mesi al programma. Quindi dei 160.178 giovani contattati dopo la registrazione al progetto “solo 12.273 hanno poi effettivamente ricevuto un’offerta di lavoro, di stage o di formazione”. Il 3%, appunto. L’Italia non ha rispettato le linee guida della “Raccomandazione” dell’Unione europea, a partire dalla mancata creazione dell’autorità pubblica di coordinamento ed è ancora in attesa di una annunciata riforma dei servizi pubblici per il lavoro , affidando il compito di coordinamento delle azioni di “Garanzia Giovani” ad una tecnostruttura pubblicistica denominata “struttura di missione” che ha cessato le sue funzioni il 31 dicembre 2014 senza che l’annunciata riforma dei servizi per il lavoro abbia preso effettivamente avvio e senza che siano stati nominati ad interim altri soggetti. E’ evidente allo stato attuale, nel nostro Paese il ruolo di coordinamento del programma non è in funzione. L’altro ostacolo oggettivo e obiettivo, è rappresentato dalle Regioni. In molte di queste, soprattutto in quelle con i più alti tassi di disoccupazione e dispersione giovanile, la “Garanzia Giovani” “non è ancora neppure partita rivelandosi al più occasione per convegni e per l’apertura di nuovi siti internet pubblici che non funzionano e non mettono in contatto domanda e offerta di lavoro. In Sicilia, addirittura, il bando è stato aperto e poi subito ritirato sollevando dubbi sulla trasparenza delle procedure adottate nell’erogazione dei finanziamenti. E anche nei casi “virtuosi” non mancano le criticità. In Veneto ed Emilia Romagna, le Regioni che si sono sempre distinte per l’attenzione alla disoccupazione, si registrano importanti ritardi e discrezionalità sulle procedure. Ragazzi che hanno iniziato a settembre attendono ancora la liquidazione della prima indennità mensile, oppure confusioni sull’apprendistato, individuato come principale leva di placement dalla Raccomandazione europea, viene investita solo una percentuale residuale delle risorse a disposizione e le procedure previste per il finanziamento di questa tipologia contrattuale sono spesso insopportabilmente barocche e repellenti piuttosto che attraenti. Infatti il contratto a tempo determinato è la tipologia maggiormente ricorrente tra le offerte caricate nel portale (74%), la maggioranza delle quali non incide sui settori indicati come prioritari dall’Europa – mentre tirocinio e apprendistato occupano le ultime due posizioni (8% e 2%). Il governo, anche se in ritardo ha deciso di intervenire con due decreti per cercare di rimediare: il primo per correggere l’attuale sistema di “profilazione” dei giovani, il secondo per allargare il bonus anche ai contratti a termine (di durata inferiore a 6 mesi) e a quelli di apprendistato. Ma non siamo così sicuri che porteranno benefici perché è la macchina che è ferma e non ha meccanici operosi in grado di rimetterla in moto. E intanto ai nostri giovani non diamo risposte, neanche dalla parte dell’istruzione, che è tutto meno che buona e non lo sarà neanche con il decreto appena varato dal CDM. Ma a questo dedicheremo un bell’approfondimento anch’esso lucido e leale.
Alessandra Servidori
13 marzo 2015
Un 7 marzo al Quirinale anticipando l’8. Sono soddisfatta di aver partecipato perché è uno strano mondo ingessato quello che ho visto stamane, molto simile agli altri anni, ma comunque diverso, quasi insofferente, per il clima che si è respirato, e che mi ha confermato le mie opinioni. La cosa più gradevole : una scoperta confortante nel Presidente Sergio Mattarella, sobrio ed essenziale nel suo rigore umano e istituzionale, nel suo ricordare che la democrazia paritaria è l’essenza della responsabilità politica ed economica e le italiane sono il volto della coesione sociale.
Fa piacere sentire valori così condivisi e potergli stringere la mano, e ringraziarlo personalmente. Perché, signore mie, la platea era sempre quella, ministre e ministri in prima fila, donne delle professioni, donne della comunicazione, donne e anche qualche colletto grigio maschile, gran commis. L’intervento più maldestro quello del Ministro dell’ambiente Galletti , che si è persino sbagliato a leggere quel che gli avevano scritto.
E non è il profumo delle mimose che ci consola . Siamo di fronte a ritardi insopportabili nell’evoluzione del Paese e delle sue istituzioni, inchiodate e inchiodati ancora nella Prima Repubblica, con i suoi riti , con ancora quel paternalismo che decapita l’entusiasmo e la speranza delle donne che credono ancora di poter essere protagoniste di un modello politico di sistema funzionale all’Italia, con una riforma Costituzionale sbagliata già nel Senato, che non rimedia di per sè le disfunzioni parlamentari e che sta per essere partorita malamente .
E ancora il Jobs act che va conosciuto a fondo, perché nel suo complesso ha delle contraddizioni che vanno approfondite e valutate, con grande attenzione perché oltretutto non sarà in grado di riassorbire da solo la disoccupazione e togliamoci dalla testa che spinga da solo la crescita economica. E per fortuna che abbiamo Draghi che ci ha salvato : ma dobbiamo salvarci anche dal populismo sia della sinistra che del centrodestra. La politica italiana non ha ancora trovato un equilibrio stabile e una modalità che renda efficace le istituzioni attraverso cui si esprime non avendo ancora dimostrato di autoregolarsi e rinnovarsi.
DRAGHI ha fatto una operazione straordinaria ci ha messo a disposizione una opportunità di ripresa economica ma se non sapremo prenderla al volo ripiomberemo nel lungo declino e nella drammatica fase recessiva. Renzi nel suo bulimico potere accampato a Palazzo Chigi , senza Ministri che contano e decidono, sta cercando un assetto durevole, ma le italiane e gli italiani non sopportano più uno stop and go” delle larghe intese” alternato “al tutti contro tutti”.
Il decisionismo di Renzi non può essere fine a se stesso, così come il merito dei provvedimenti che si prendono (o vogliono prendere) non è indifferente. Ma, soprattutto, è un errore imperdonabile pensare di poter fare a meno della ridefinizione del sistema politico, e delle regole che lo governano, e dalla preventiva ristrutturazione della macchina amministrativa di palazzo Chigi e dei ministeri. Ecco alle donne della Repubblica Italiana bisognerebbe riconoscere il diritto di avere un Governo che Governa in questa prospettiva. Anche dopo l’8 marzo.
Alessandra Servidori
Analisi sincera e lucida del documento COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT 2014 Report on equality between women and men- (allegato )
La strategia “Europa 2020” stabilisce l’obiettivo strategico di una crescita intelligente, sostenibile e socialmente inclusiva, basata su alti tassi occupazionali e sostenuta da coesione sociale e territoriale. Queste priorità vengono declinate secondo obiettivi quantitativi da raggiungere entro il 2020, tra cui rilevanti l’obiettivo di un’occupazione al 75% della popolazione di età compresa tra 20 e 64 anni, la riduzione di 20 milioni del numero delle persone che vivono a rischio di povertà e esclusione sociale, la riduzione del tasso di abbandono scolastico dall'attuale 15% al 10% e l’aumento dal 31% al 40% della quota di giovani 30 -34enni laureati. Non crediamo di essere severe se ancora oggi in piena crisi economica non ancora superata la dimensione di genere è decisamente carente nella strategia Europa 2020. Non solo manca un riferimento esplicito alla prospettiva di gender mainstreaming ma, diversamente da quanto stabilito nella precedente Agenda di Lisbona, manca anche un obiettivo occupazionale disaggregato per sesso e, dunque, l’obiettivo quantitativo di occupazione femminile da raggiungere entro il 2020. Diversamente negli orientamenti per le politiche occupazionali, contengono, invece, la raccomandazione di integrare la parità di genere in tutte le politiche e più precisi riferimenti alle misure per le donne Questi orientamenti raccomandano agli Stati di incrementare la partecipazione al mercato del lavoro e l’occupazione femminile, di ridurre il divario salariale di genere e la segmentazione del mercato del lavoro e di migliorare la formazione professionale delle donne nei settori scientifico, matematico e tecnologico.
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Dopo anni di tenace attesa la parità femminile è ancora lontana dall’essere realizzata e quasi si ha il pudore, forse la stanchezza, di continuare a usare un termine ormai consumato nel racconto collettivo. Un galleggiamento su antichi slogan senza troppi sussulti per le ricorrenti notizie traumatiche che provengono dal mondo e sussulti in occasione delle ricorrenze liturgiche dell’8 marzo per cercare di riparare l’inerzia delle istituzioni e di quel corpo sociale che manifesta insofferenza per le questioni poste da alcune illuminate associazioni femminili e per valorizzare qualche cespuglio di novità.
Riprendo il filo per poter sviluppare una attenta proposta della base reale su cui operiamo e sul processo che potrebbe svilupparsi da un percorso condiviso. In una società senza ordine sistemico i singoli soggetti non capiscono dove si collocano, se sopravvivono negli anfratti, soffrono sicuramente di una obbligata solitudine e il sistema secessionista prevale con comportamenti individuali e collettivi tutti segnati dalla solitudine che si aggregano in mondi che non dialogano vivendo di se stessi senza confronti esterni.
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Si avvicina l’8 marzo e si rianimano le assemblee femminili che travolte dall’epoca renziana e dalla sua forza d’ariete, rispolverano gli antichi riti dei ritrovi, balli in piazza, raduni teatrali, codici vetusti di fronte ai quali le giovani che si affacciano decise a creare mondi e sistemi , ritengono repellente il labirinto appiccicoso del brulicame chiassoso delle spade di latta che si agitano senza puntare ad un obiettivo concreto che non sia solo l’occupazione degli scranni, la visibilità . Tutte contro tutte. Ancora una volta, purtroppo perdenti. Non taccio in pubblico e non rinuncio ad esprimere la mia opinione poiché di fronte ad un Parlamento paludoso e collerico , dopo sette anni al servizio delle istituzioni come consigliera nazionale di parità e tante altre robuste esperienze sui temi del lavoro e dell’occupabilità , devo sommessamente suggerire : signore mettetevi d’accordo oppure fate spazio alle ragazze, che buttano insofferenti alle ortiche i raduni del pissi pissi. Le signore sempre in disaccordo e sempre appostate all’ombra pronte a criticare e poco fare si rassegnino all’oblio.
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Il decreto legislativo sulle tipologie contrattuali revisiona ,semplifica l’assetto e i tipi dei rapporti di lavoro ovviamente modificandone le fattispecie. Vediamo come .
La prima norma del decreto ribadisce – come peraltro da tempo presente nel nostro ordinamento-che il contratto a tempo indeterminato è la forma comune di rapporto di lavoro rendendolo però più conveniente poiché coniugato alla legge di stabilità, prevedendo incentivi al suo uso rispetto al contratto a tempo determinato ed è competitivo sul piano della flessibilità perché la modifica introdotta nell’articolo 18 ha ridotto la rigidità in uscita rappresentata dal rischio della reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo.
La semplificazione dei tipi contrattuali ha prodotto il superamento dell’associazione in partecipazione e il job sharin mentre si conferma il lavoro intermittente e l’ambito del lavoro accessorio viene ampliato, accogliendo anche la richiesta di una tipologia di minjobs- jobs smoking - introdotta con la denominazione diversa ma normativamente simile del lavoro leggero avanzata in Italia e già presente in Germania.
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E’ un concreto passo di responsabilità dell’esecutivo di Governo sui regolamenti attuativi della delega JOBS ACT poiché le norme si sono avvicinate e adeguate alla realtà non cadendo nella tentazione di costringere la realtà in uno schema rigido e ingessato progettato all’interno di determinati schemi precostituiti. Questo è il valore aggiunto dei decreti oggi. Il legislatore non ha chiuso gli occhi di fronte alle necessità di regolare il lavoro autonomo e soprattutto definendo il concetto di indipendenza economica, per far si che le parti sociali possano riempire quel vuoto normativo che immancabilmente si sarebbe venuto a creare.Anche con strumenti quali la certificazione, che puo’ aiutare e sui quali bisogna recuperare concretezza e certezza. Raggiunta anche se in parte la fattibilità di liberare il rapporto di lavoro da oppressioni di tipo fiscale, burocratico, contributivo, ma tenendo anche conto che nell’epoca delle incertezze non ci si può affidare soltanto al contratto a tempo indeterminato. Infatti Il contratto a tempo determinato in Italia costituisce il 13% dei contratti attivi, e la varietà delle tipologie contrattuali è un valore per le imprese e i lavoratori. Una stretta eccessiva sui contratti atipici avrebbe messo a rischio un numero di posti di lavoro pari all’incirca a 75.000 collaboratori/collaboratrici ed almeno 20.000 subordinati/e. E’ bene contrastare il precariato mascherato da flessibilità, ma è anche bene valorizzare forme genuine di collaborazione autonoma, che è come ossigeno per le imprese e i lavoratori, in modo particolare per le esigenze di conciliare tempo libero e tempo lavorativo, che comunque nel decreto sono state arricchite da nuove norme specifiche.
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Furoreggia in questi giorni un’accusa di egemonia Merkeliana sulle vicende ucraine e greche: è una boiata pazzesca! Le crisi recenti consumate in entrambi i due paesi, hanno massacrato ulteriormente un’Europa mediocre terremotata dalla crisi dell’euro.
La Germania, che si voglia ammettere o no, alcune riforme fondamentali le ha realizzate -e si vede- ma da come si risolveranno le crisi a Kiev e ad Atene, si contrasterà efficacemente il terrorismo islamico, si riuscirà a tenere in vita l’euro preda di appetiti stranieri, come e se riprenderà lo sviluppo economico, dipenderà l’Europa futura e il suo collocamento rispetto al resto del mondo. Altrochè Germania predona! Vero è che di fianco ad una Germania che rialza la schiena e acchiappa la ripresa, un’Italia con i lavori in corso continuamente interrotti, una Francia ostaggio di un lepenismo incalzante e un terrorismo sanguinario, una GranBretagna in fuga da una Europa ben poco Unione e molto divisa, meno male che Angela e la Germania ci sono!
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Il Consiglio dei Ministri ha approvato il nuovo decreto antiterrorismo. La discussione sul provvedimento più volte rimandata, anche per valutare a fondo le conseguenze restrittive delle misure sul delicato tema delle libertà personali, ora ha un testo su cui opera e il decreto necessario per aggiornare le norme in vigore alla luce degli attentati di Parigi e delle minacce molto concrete anche nel nostro paese.
Al di là delle rassicurazioni (molto timide) siamo ben consapevoli che sul terrorismo, il più rilevante prodotto della rinnovata minaccia jihadista pare essere una nuova competizione tra sigle del radicalismo islamico che fanno leva sull’utilizzo dei foreign fighters nel compiere azioni violente.
Sul tema del pericolo della radicalizzazione e degli strumenti di policy adeguati al contrasto della minaccia terroristica in Italia, nel decreto sono previste alcune modifiche al codice penale introducendo una pena da tre a sei anni di reclusione per chi va a combattere con il jihad nei teatri di guerra o supporta i combattenti organizzando, finanziando e facendo propaganda, anche via web.
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In occasione della XXIV Giornata Mondiale del Malato, istituita da san Giovanni Paolo II nel giorno 11 febbraio, un pensiero concreto va a tutte e tutti coloro che portano il peso della malattia e a tutte e tutti coloro che cercano di sostenerli.
La malattia è parte del percorso di vita e la persona impara a riconoscere in essa “un evento della vita carico di significati”. Quando ciò avviene, la malattia «è “pedagogia” per tutti: fa imparare la riconoscenza per i tanti doni ricevuti; spinge ad aiutare per chi è nella prova, ad apprezzare il bene nascosto, a ridimensionare i propri problemi; fa ritrovare semplicità e umiltà e spinge a una maggiore disponibilità verso gli altri; invita ad approfondire la domanda sul senso della vita.
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Quando la storia dell’Italia(che fu nobile) si fa attraverso la comunicazione e dietro c’è il caos.
E’ repellente ciò che sta accadendo nel nostro paese, non molto diverso da quello che succede nel resto del mondo. I leader politici usano cinicamente i mezzi di comunicazione: strumenti dominanti, con la loro capacità di utilizzo di nuove tecnologie, consenzienti al servizio del potere, modificando così il ruolo dei media tradizionali. Pianti e urla, cadaveri straziati, selvagge invettive, masse sanguinarie scatenate in Tv e sui blog, ostaggi esibiti , titoli sui giornali, filmati, slide e apparati politici esibiti.
Così si fa la guerra oggi. Crudele e demoniaca in oriente, viscida e bugiarda in occidente, compresa l’Italia. E qui mi si perdoni un accenno alla questione femminile : ISIS massacra le giovani donne, le schiavizza, le terrorizza con le linee guida deliranti di come dover essere; in occidente una deriva solo attenzionata all’entrata nei board e disattenta alla concreta politica per l’occupazione femminile, solo proiettata all’offerta dei servizi familiari, sta riportando indietro anni luce gli impegni assunti per Europa 2020, celebrando la sconfitta di Pechino nella prossima riunione a NY della 59a sessione sulla condizione femminile che altro non potrà fare che ratificare la sconfitta sul piano dell’aumento della violenza sulle donne.
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ASSEGNO NUCLEO FAMILIARE
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 24 del 30.1.2015 è stato pubblicato il comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri recante "Rivalutazione, ai sensi dell'articolo 13, commi 1 e 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, per l'anno 2014, della misura e dei requisiti economici dell'assegno per il nucleo familiare numeroso (articolo 65 della legge 23 dicembre 1998, n. 448) e dell'assegno di maternita' (articolo 74 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151)".
Sulla base, quindi, della variazione nel 2013 dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati:
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l'assegno mensile per il nucleo familiare ai sensi dell'art. 65 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 e successive modifiche e integrazioni, da corrispondere agli aventi diritto per l'anno 2014, se spettante nella misura intera, e' pari a € 141,02; per le domande relative al medesimo anno, il valore dell'indicatore della situazione economica equivalente e' pari a € 8.538,91;
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l'assegno mensile di maternità ai sensi dell'art. 74 della legge 26 marzo 2001, n. 151, da corrispondere agli aventi diritto per l'anno 2014, per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento, se spettante nella misura intera, e' pari a € 338,21; per le domande relative al medesimo anno, il valore dell'indicatore della situazione economica equivalente e' pari a € 16.921,11.
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IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SERGIO MATTARELLA AVRA’ DA NOI CONSIGLIERE DI PARITA’ E DALLE ASSSOCIAZIONI FEMMINILI CON LE QUALI OPERIAMO TUTTO IL SOSTEGNO NECESSARIO PER SOSTENERE LA CONDIZIONE DELLE DONNE ITALIANE E SOPRATTUTTO LA LORO OCCUPABILITA’ POICHE’ OGNI VIOLENZA E DISCRIMINAZIONE SI COMBATTE INSIEME ATTRAVERSO LE POLITICHE ATTIVE DALLA PARTE DELLE DONNE E DEL LAVORO.
GIA’ IL 5 MARZO PROSSIMO COME SEMPRE il nostro impegno su tutto il territorio sarà incardinato sul JOBS ACT e il processo riformatore che accompagniamo e sviluppiamo con determinazione e competenza.
DICIAMOCI BUON LAVORO PRESIDENTE !
ALESSANDRA SERVIDORI - 3 febbraio 2015