L'approfondimento di Alessandra Servidori www.strartmagazine.com 9 luglio 2019
UE : in Italia la parità di genere ancora trascurata
UE: SERVIDORI, 'NON SOLO COMMISSARIO, C'E' ANCHE NOMINA PER ENTE PARITA' DI GENERE' =
L'esperta, 'nessuna notizia di candidature da parte Italia'. ADN0450 7 ECO 0 DNA ECO NAZ
Roma, 19 ago. (Adnkronos/Labitalia) - "In Europa in attesa che i vari
organismi siano designati, non c'è solo da nominare il commissario che
rappresenti l'Italia ma si sta lavorando sotto traccia anche sul
versante delle politiche di pari opportunità e genere. Prossimamente
sarà eletto il nuovo presidente dell'Eige, Istituto internazionale per
l'uguaglianza di genere, di cui noi non abbiamo notizia né dei tempi
né delle proposte di candidature del nostro Paese". Lo dice ad
Adnkronos/Labitalia Alessandra Servidori, docente di politiche del
welfare e strumenti contrattuali al dipartimento di Giurisprudenza
dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia.
"Nel frattempo, attraverso la rete europea e internazionale di cui
faccio parte -spiega Servidori, che per molti anni è stata consigliera
nazionale di parità- è interessante sapere che un nuovo studio
condotto da ricercatori della Michigan State University mostra che le
persone diverse in team che lavorano insieme possono ottenere
risultati migliori rispetto a quelli di team con persone simili".
"I ricercatori -ricorda Servidori- hanno esaminato la diversità in due
categorie che riflettono le dimensioni della linea di galleggiamento
dell'iceberg della diversità: demografia personale (razza, sesso,
identità di genere, orientamento sessuale e nazionalità) e criteri
relativi al lavoro o scientifici (fase di carriera, disciplina
accademica e mandato di rappresentare il gruppo). Attraverso lo
studio, gli individui di team più variegati hanno percepito un clima
più positivo rispetto agli individui di team più omogenei". (Map/Adnkronos)
ISSN 2465 - 1222
19-AGO-19 14:02
DANNI A FERRAGOSTO
https://www.startmag.it/economia/che-cosa-serve-su-lavoro-welfare-e-fisco/ startmagazine 15 Agosto ALESSANDRA SERVIDORI
FERRAGOSTO : DANNI IN CORSO
L’incertezza e il caos in cui siamo trascinati dalla situazione politica e governativa mette in luce alcuni aspetti che sembrano offuscati ma che pesano come macigni. I navigator, ancora pochi i certi e ancora tutti da formare, navigano in brutte acque : già ancora prima dell’acuirsi della crisi la situazione a livello regionale tra l’Anpal, le Regioni e i centri per l’impiego e il Ministero del lavoro appariva difficile e in queste ore è drammatica. Il sistema informatico impostato non riesce a scambiare i dati tra il Ministero del Lavoro e i database regionali e la ricerca dei beneficiari per ricordargli che devono trovare lavoro, perché il benefit del reddito di cittadinanza ha un limite è ancora in alto mare e con l’erogazione del si è già partiti: prima semmai si dovevano formare i navigator, poi si faceva lo screening sui beneficiari. I centri per l’impiego devono cercare al telefono fra i beneficiari quelli che devono sottoscrivere il patto per il lavoro, una firma che dovrebbero apporre entro 30 giorni, ma non ci sono navigator né personale a sufficienza nei centri per l’impiego, e non si riuscirà a stare dietro alle domande,e la macchina è già inceppata e la contrattualizzazione dei navigator che sono privi di lavoro invece è già in corso. Si hanno davanti scadenze importanti come la nomina del commissario ue e ci sono provvedimenti in attesa di essere approvati l’aumento dell’iva e il cuneo fiscale sempre più profondo e si è anteposto il reddito di cittadinanza e quota cento con una crisi politica che si somma all’instabilità globale e le imprese si sono fermate con gli investimenti per l’incertezza con norme scritte e riscritte abolite ( come l’ammortamento del Piano 4.0) in totale mancanza di una politica industriale nazionale e il pil è sempre più esangue. Ci sono contratti da rinnovare come quello del pubblico impiego scaduto da un anno , nuovi concorsi da svolgere per nuove assunzioni per personale precario mentre nella pubblica amministrazione quota 100 ha svuotato gli uffici e le corsie di ospedale si è fatta propaganda con l’eco bonus che ha favorito le grandi imprese e penalizzato le piccole quando sappiamo che il Paese ha il 93% di imprese piccole e medie e una burocrazia che le ammazza come gli interessi passivi pagati dal creditore e non dal debitore.Per Alitalia si stava tornando progressivamente al carrozzone disastroso e disastrato che furono. In Europa non contiamo nulla e siamo completamente isolati, se russi, cinesi e americani passano dall’usarci strumentalmente per i loro giochi a ignorarci e il consuntivo di questi 14 mesi di governo penta stellato pesa drammaticamente sulle nostre spalle .Se si considera la condizione di declino dell’Italia e dunque la necessità e l’urgenza di mettere in campo politiche non solo di semplice rilancio ma di vera e propria ricostruzione – politica, istituzionale, economica, infrastrutturale, sociale, morale, culturale – del paese. C’è bisogno di una stagione politica forte proprio perché i problemi sono strutturali e di tali dimensioni che non possono essere affrontati con politiche temperate, strumenti ordinari e tempistiche lente ma con politiche di riforma e modernizzazione del Paese. L’economia soffre di mancate iniziative concrete a favore dello sviluppo, e quelle poche prese vanno per lo più nella direzione opposta ed è falsa la spiegazione che vuole l’Italia in stagnazione solo ed esclusivamente per via di una avversa congiuntura internazionale e per colpa delle scelte sbagliate ed egoiste dell’Europa a trazione franco-tedesca. Dopo aver buttato l’opportunità temporale che la politica monetaria espansiva della Bce ci aveva regalato, ora sarebbe oltremodo suicida fare altrettanto con la nuova stagione di tassi a zero che Mario Draghi ha già predisposto alla vigilia della scadenza del suo mandato e del passaggio del testimone a Christine Lagarde. In autunno non basterà raffazzonare una qualsiasi legge di bilancio per uscirne vivi. Serve che gli italiani più accorti abbiano una reazione più netta e forte, anche da sotto l’ombrellone e dalle cime delle montagne perchè basta essere attendisti e fatalisti, sosteniamo il buon senso che il Presidente Mattarella non farà mancare.L'EDLE
La lega e il suo programma demolitore
Alessandra Servidori blog startmagazine 11 agosto 2019
Se Borghi presidente della commissione Bilancio insiste per i mini bot ci si può chiedere perché lui, ascoltatissimo da Salvini non ha abbandonato l’idea di uscire dall’euro. Lui e non da solo, ripete che i dogmi di Bruxelles non sono sacri affermando che i vincoli europei vanno rivisti e in caso contrario, l’esito potrebbe essere drammatico. Soprattutto se la Lega dovesse vincere nelle urne al prossimo voto italiano. Del resto nel 2018 su questo specifico punto la Lega ha sempre promesso-senza smentite- che vogliono restare all’interno dell’Unione Europea solo a condizione di ridiscutere tutti i Trattati che pongono vincoli all’esercizio della nostra piena e legittima sovranità, tornando di fatto alla Comunità Economica Europea precedente al Trattato di Maastrich. Borghi ancora oggi insiste affermando che l’euro è la principale causa del nostro declino economico, una moneta disegnata su misura per Germania e multinazionali e contraria alla necessità dell’Italia e della piccola impresa e ripete che si è sempre sempre cercato partner in Europa per avviare un percorso condiviso di uscita concordata e continueranno a farlo come ogni cosa per essere preparati e in sicurezza in modo da gestire da un punto di forza le autonome richieste per un recupero di sovranità. Contrariamente a ciò che proclama la Lega peraltro evidentemente sconfitta a livello europeo dall’esito del voto che ha dimostrato quanto i cittadini europei non si vogliano ritirare in logiche sovraniste e neoloberiste destinate a riprodurre scompensi sociali,si tratta di rafforzare l’approccio comunitario più solidale dell’intergovernativo attraverso un budget comunitario esteso,con una fonte di finanziamento fiscale dell’unione e politiche di investimento con potenzialità redistributive in particolare per sostenere le regioni alla periferia del mercato interno. Anche con le regole attuali la flessibilità nell’ambito del Patto di stabilità e crescita può creare uno spazio fiscale per l’attuazione del rafforzato Patto sociale. Lo spazio europeo non si identifica solo con un ambito di mercato ,ma con un’area di protezione giuridica dei cittadini che è codificata nella Carta dei diritti dell’Unione del 2007 e forte distintivo dell’Unione e ai popoli dei 27 che hanno sottoscritto i patti offre un quadro in cui perseguire nuovi obiettivi e una piattaforma da cui muovere per farlo. Ed è un’Unione nella quale a nessuna nazione è stato chiesto di rinunciare alla propria bandiera e il ritorno a una crescita soddisfacente è la chiave di volta per un clima di fiducia e soprattutto la convinzione che una chiara identificazione di un modello che convogli in via prioritaria l’attività finanziaria e il risparmio verso la crescita reale e verde attraverso una finanza sottoposta a disciplina e responsabilità e riportata alla sua funzione di alimento dell’innovazione e della crescita. Su questi principi di buonsenso si pone il problema della nomina di un commissario italiano che sia competente , ma anche abbia una capacità di dialogo e di mediazione che potrebbe riuscire a superare la dissociazione politica tra europeismo e sovranismo ,facendo l’interesse dell’unione e dell’Italia .Solo dunque una persona ragionevole con il conferimento di un portafoglio che sia di interesse per noi e soprattutto non crei permanenti conflitti e pesanti sospetti sia nell’esecutivo che nelle altre istituzioni europee. Di questo oggi dobbiamo occuparci e non solo degli scompensi politici italiani che comunque hanno già avuto un impatto economico disastroso sia prima della crisi che in queste ore con perdite di risorse notevoli che ingrassano il nostro debito. Al Presidente Mattarella il compito di gestire le sirene contrastanti di guerra e di darci la possibilità attraverso un suo Governo di tentare di ristabilire un minimo di equilibrio pacando le frenesie bulimiche di una crisi che si affronta non correndo al voto con assembramenti ancora una volta precari e dannosi ma con una piattaforma di governo responsabile.
Le 3 S : Salvini soggetto sleale, spregiudicato,sgretolatore
Alessandra Servidori 9 agosto 2019
Esattamente un mese fa sempre su queste pagine LIBERE scrissi di questo Salvini che non sa cosa è la vergogna e oggi riprendo il discorso. Oggi affermo che è un soggetto spregiudicato, sleale, sgretolatore . 3 dico 3 epiteti che portano bene la S del suo cognome.Sempre oggi veniamo a sapere dal sito BuzzFeed che la questione russigate che quel Savorini faccendiere ex portavoce del truce e oggi infiltrato negli affari russi si è recato ben 14 volte a Mosca per tramare affari illeciti di finanziamenti per 65 milioni di dollari alla Lega per regalare l’Italia a Putin che ovviamente ne avrebbe fatto carne da macello.La losca faccenda è particolarmente interessante perché gli ingressi del faccendiere in Russia non figurano sul database del ministero moscovita sul quale vengono registrati tutti gli arrivi di cittadini non russi.La lega arrogante ha deciso di portare l’Italia a elezioni anticipate e tutti si sbracciano a dire che sono pronti : a che ?A regalare la nostra Patria al truce ?.E’ pregevole l’invito del Foglio a costruire una nuova destra al quale ho aderito e non in solitudine vista l’accoglienza di tanti e tante altre come Mara Carfagna, che stimo e non da ora.Ma è legittimo chiedersi come si può pensare di allearsi con un soggetto politico che ci ha portato all’agonia di 14 mesi? Ci aspetta un rapporto dai pentalega logorato con una Europa che ci dileggia; un debito pubblico che ha fatto risalire il differenziale con i i titoli tedeschi,in ballo un aumento dell’iva di 23 miliardi,su economia e immigrati il truce ne spara tutti i giorni una più assurda dell’altra,le crisi aziendali che si fanno sempre più esplosive e una ripresa che non c’è. Non sono disponibile a massacrare ancora di più il mio Paese con un narcisista incontrollabile.
Autonomia differenziata : a che punto siamo?
Alessandra Servidori START MAGAZINE 3 agosto 2019
Al frastuono segue il silenzio. Sull’autonomia differenziata l’informazione politica è in stop and go. Ma non è colpa dei mezzi di informazione :è che il Governo non sa mediare tra le richieste pervenute ed è di primaria importanza invece in politica saper fare sintesi . Pochissimo si sa in che termini è il progetto :di poteri e competenze rivendicate dalle 3 regioni più importanti e cioè il Veneto che ne ha chieste 23,la Lombardia 20,l’Emilia Romagna 16 e sappiamo che con la Presidenza del Consiglio sono state raggiunte separatamente delle intese. In buona sostanza si andrà comunque – non si sa ancora come ma si andrà- ad una sovranità regionale che implica una cessione molto forte di poteri da parte dello Stato centrale e dunque dei ministeri oggi competenti :istruzione, ambiente,alimentazione,infrastrutture ,trasporto, credito. E’ interessante visitare il sito del Ministero Affari regionali dove si evidenzia la spesa statale regionalizzata in materia di istruzione scolastica e universitaria, diritti sociali e in cima alla graduatoria delle regioni che hanno speso i contributi per i propri abitanti figurano Valle D’Aosta,Trento,Sardegna,Bolzano mentre Lombardia Veneto Emilia Romagna sono le ultime. Dunque la questione più importante sarebbe dimostrare quali sono le regioni più virtuose ed efficienti sui quali si rivendica l’attribuzione delle competenze e i relativi fondi,perché è solo su dati scientifici si può credibilmente ragionare. E questi non sono a disposizione. La definizione di costi e benefici standard nelle bozze che abbiamo fugacemente letto è molto ambigua nonostante sia affidata ad un comitato composto dagli enti regionali e sappiamo bene per esempio che si stanno scaricando effetti di assorbimento da parte delle regioni dei disoccupati di alcuni enti soppressi ,di quota 100 soprattutto per istruzione e sanità. Siamo un Paese che porta le cicatrici di lunghe contrapposizioni di interessi territoriali,sono cambiati gli scenari europei e ultimamente abbiamo visto aumentare disillusioni e timori, egoismi e rancori, ma quando l’Italia è divenuta più unita,ricordiamocelo si è sviluppata maggiormente. E questo vale anche per l’Europa. Ora ci si sta spartendo cinicamente i residui delle risorse pubbliche ma è in gioco con la regionalizzazione gran parte delle risorse pubbliche di scuole,servizio sanitario,beni culturali,infrastrutture,lavoro e l’autonomia differenziata rappresenta una radicale revisione di come funziona l’Italia e si accrescono enormemente i poteri di gestione delle risorse pubbliche delle classi dirigenti regionali. Sono solo tre le regioni che si sono mosse sul piede di guerra perché le altre tacciono fra il desiderio di acquisire maggiori poteri di gestione e intermediazione per sé e le preoccupazioni per essere i loro cittadini le principali potenziali vittime. I partiti sono silenziosi oppure si spaccano all’interno delle regioni più coinvolte .Con le elezioni regionali in porto alcune regioni tradizionalmente di sinistra inseguono la lega tralasciando proposte incardinate sui propri valori di riferimento e sul complessivo interesse nazionale. Il recentissimo rapporto Svimez ha sottolineato il problema centenario del meridione di disoccupazione e povertà e indica il dissolvimento di un futuro condiviso e di una ripresa dell’economia italiana trascinata in basso dalla cattiva politica e dalle fratture e in ogni caso di una incapacità di una trasformazione del funzionamento dell’Italia e di modifiche senz’altro necessarie che possano migliorare le politiche pubbliche avvicinandole ai cittadini.
Non siamo rassegnati e rassegnate a tenerci i demolitori al governo
Alessandra Servidori Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Avrei voluto fermarmi per una ristoratrice pausa estiva ma gli avvenimenti di questi ultimi giorni mi hanno fatto riprendere in mano la penna. I fatti di Bibbiano, del generoso carabiniere Mario e ancora i poveri corpi galleggianti nel mediterraneo, il vociare volgare che ancora una volta inquina i nostri occhi e le nostre orecchie, le stupidaggini che si sentono come commento asfittico su questo periodo della nostra storia italiana mi inorridiscono. Va di moda oggi tra i commentatori e i giornalini e giornaloni dire che viviamo UN CAMBIO DI PARADIGMA. Ma cosa significa questo slogan se non che non abbiamo più anima e intelligenza per contrastare questa involuzione civica e politica della nostra epoca? L’Italia mia sembra scomparire consumata dalle fiamme alimentate dalla demagogia di alcuni accecati dall’odio e dalla brama di potere. Come è possibile che una società colta aperta con un grado di consapevolezza straordinaria risorta anche dalle ceneri di una devastante guerra possa cadere preda di movimenti pseudo partitici che assomigliano sempre di più ad un mostruoso populismonazionaldistruttivo. Guidati da un soggetto dichiarato leader ma improbabile per il suo comportamento bulimico e da un ragazzotto accompagnato da uno pseudo avvocato del popolo. Fuori dal coro odierno ma primitivo giullare si muove il grillo parlante che ancora sbraita. Considero il trio ai vertici istituzionali quasi ridicolo perché da agitatori che organizzano separatamente raduni a cui seguono risse selvagge e ricorrono sistematicamente a ogni tipo di volgarità verso gli altri due per eccitare le persone contro la Repubblica e l’Europa e contro chi non è del branco ora decretano persino la morte della democrazia.Chi conosce la storia non può credere all’autosufficienza sa rendersi conto della fragilità dei regimi autoritari dell’inconsistenza morale delle pretese di legittimità e della propaganda che li sostiene. Questi soggetti hanno messo violentemente in discussione i principi costituzionali per scardinare la spesa pubblica e blandire gli elettori ma bisogna difendere e rilanciare i principi di libertà e uguaglianza e prestare attenzione ai sentimenti alle passioni a interessi e ragioni proponendo e facendo da subito proposte sensate di sviluppo del Paese e formare i cittadini che sappiano consapevolmente prendere posizione ed essere una presenza attiva nella vita pubblica. La democrazia non si afferma da sola per le sue intrinseche virtù ma deve essere costantemente sorretta da un’educazione alla democrazia che formi cittadini competenti sia sul piano cognitivo,sia sull’uso delle pratiche partecipative e discorsive sul piano soprattutto della disponibilità a mettersi a disposizione per difendere i propri valori. L’educazione politica deve la sua stessa ragione d’essere alla lotta all’estremismo,di destra e di sinistra. Significa essere chiari e poco schierati e procedere su un delicato equilibrio tra imparzialità respingendo l’indifferenza perché i popoli non sono naturalmente democratici ma si possono educare alla democrazia affrontando le questioni che dividono : la natura controversa è la base della democrazia e della politica e l’unica oggettività possibile è quella fornita dalla scienza accompagnata dalla consapevolezza dei suoi limiti e dunque dal discernimento. QUESTO E’” IL PARADIGMA” CHE VOGLIAMO, IN CUI CREDIAMO. Non siamo rassegnati e rassegnate a tenerci questi demolitori .
Salvini e la vergogna che non conosce
Salvini e la vergogna che non conosce
Qualcuno in questi giorni mi ha chiesto se mi fidavo di Salvini. Ho risposto che da quando è al governo ma anche un tantino prima , ho avuto dei momenti in cui mi sono chiesta ma che razza di popolo siamo diventati ? E’ anche troppo facile ricordare che questo figuro che sventola la Bibbia e il Vangelo più volte e ricorrentemente in questi giorni ha perlomeno tradito 3 comandamenti (il 2° Non nominare il nome di Dio invano-il 7° Non rubare- l’8° Non dare falsa testimonianza) ma poi siccome dimostra di essere sfacciatamente arrogante,qualcuno più autorevole di chi scrive mi ha sempre insegnato che l’arroganza è sorella dell’ingordigia , e quando il 17% degli italiani- ora pare essere arrivati al 38%- si divertiva mentre ingoiava nutella e maccaroni ,ora forse si ravvederà scoprendo,peraltro già dal febbraio 2019 quando l’Espresso scrisse la trama sovietica dei rubli , oggi finalmente arrivata a galla dal marciume che bolle nella pentola verdastra, che razza di malandrone è il Ministro dell’Interno. Bene che finalmente anche i giornalini e giornaloni abbiano avuto il coraggio di mettersi di traverso e fare paginate sulla storiaccia.Sono molto molto sconcertata ma per nulla rassegnata a non combattere per questa tombale silenziosa ibernazione degli italiani verso la storiaccia russofita ma ricordo anche che fra 65 milioni di dollari dichiarati in un inglese stentato dal Savoini faccendiere per la commessa pro Russia e i 49 milioni di euro spariti il leghista che sbraita che lui fa solo il bene degli italiani sembra un fumetto paperonesco in preda al delirio di onnipotenza e continua a negare ,negare,negare.La violazione dell’articolo 3 della nostra Costituzione potrebbe bastare come collirio ad aprire gli occhi impastati a questi sonnambuli italiani che seguono questo uomo che con l’ascia in mano fonda il suo potere sulla violenza.Or dunque le italiane non ne vedono il machismo ? il crocefisso abusato e l’Europa violentata ?la dignità degli stranieri massacrata?,i poveri disprezzati e l’inclusione sociale sconosciuta?le frontiere e i quartieri cittadini muri di odio e disprezzo?Italiani e italiane orsù schiena dritta e testa alta. E non è solo oggi che lo dico lo scrivo e ne argomento le motivazioni,arando nel solco del buonsenso e della fiducia che da questa situazione si può e si deve uscire : non abbiamo paura !
OCSE : ci boccia sulle politiche attive
Uno studio dell’Ocse pubblicato a metà maggio evidenzia i problemi che il nostro paese ha in materia di politiche del lavoro.
La relazione sull’Italia è il sesto studio nazionale pubblicato in una serie di relazioni che esaminano il modo in cui le politiche collegano le persone con l’occupazione e come le politiche attive del mercato del lavoro in Italia — sia a livello nazionale sia regionale — si sviluppano, concentrandosi in particolare sul processo di riforma nel sistema dei servizi pubblici per l’occupazione avviato dai recenti processi riformatori.
La riforma in corso avrebbe un buon potenziale per migliorare le prestazioni dei servizi per l’impiego, ammesso che le parti interessate del sistema cooperino per stabilire un quadro di gestione delle prestazioni vincolante e sviluppare la rete infrastrutturale IT nazionale a sostegno degli uffici locali per servire le persone in cerca di lavoro e contemporaneamente i datori di lavoro. L’Agenzia nazionale per le politiche attive del mercato del lavoro ha un ruolo chiave nell’incoraggiare la cooperazione tra le parti interessate, guidando lo sviluppo di nuovi strumenti e metodologie e sostenendo così gli uffici locali per l’occupazione nell’attuazione del nuovo modello di servizio. Oltre al processo generale di riforma, la revisione esamina alcuni approcci specifici per quanto riguarda la fornitura della rete dei servizi per l’occupazione, utilizzando strumenti di profilazione in cerca di lavoro per indirizzare le politiche attive del mercato del lavoro; aumentare la qualità e la capacità dei servizi per l’impiego in stretta collaborazione con i servizi privati raggiungere i datori di lavoro e far progredire i servizi sul lato della domanda.
Dallo studio emerge che la spesa pubblica per le politiche attive è troppo bassa e la spesa per le politiche passive, pari al 1,29% del Pil, troppo elevata. Elevata rispetto alla media Ocse (pari allo 0,79% nel 2015) e poco efficace, in quanto in Italia solo l’8,5% dei disoccupati nel 2016 ha ricevuto sussidi di disoccupazione, la quota più bassa dopo la Repubblica Slovacca.
Secondo i dati Ocse, i costi salariali reali aumentano mentre la produttività totale dei fattori è diminuita negli ultimi vent’anni in media dello 0,2% all’anno, posizionando il mercato del lavoro italiano tra i peggiori dei paesi Ocse. Il tasso di disoccupazione tra i 15 ed i 74 anni è relativamente alto (pari all’11,2%). Risulta, invece, basso quello di occupazione (pari al 50,6% nel 2017). Seppur il tasso di occupazione delle persone in età da lavoro si avvicina nuovamente al suo livello pre-crisi, quello di disoccupazione rimane ben al di sopra, il terzo più alto tra i paesi Ocse. Inoltre, L’Italia con il 6,5% nel 2017 condivide la seconda posizione insieme alla Repubblica slovacca in termini di quota di disoccupazione di lunga durata, appena dietro la Grecia.
L’Ocse punta poi il dito su occupazione e divari di genere italiani. I dati parlano chiarissimo: nel 2017 il 75% degli uomini tra i 15 e i 64 anni era attivo sul mercato del lavoro mentre delle donne solo il 56%, contro il 46% del 2000. Altri paesi dell’Europa meridionale, che hanno avuto una partecipazione femminile simile in passato, si sono evoluti molto più velocemente (70% delle donne in età lavorativa partecipano alla forza lavoro in Spagna ed il 60% in Grecia).
La parte più interessante della ricerca che vale la pena di leggere attentamente riguarda la situazione dei servizi di collocamento ovvero i Centri per l’impiego. Il dato più sconcertante è relativo ad età e livello di istruzione negli uffici pubblici di collocamento: poco più di un quarto del personale (27,9%) ha un’istruzione terziaria, mentre la maggioranza ha un diploma di scuola secondaria superiore e una parte sostanziale del personale ha un’istruzione secondaria inferiore (12,3%). Incide, poi, sul quadro delineato un turnover del personale molto basso. Da una panoramica su scala nazionale emerge come in Umbria e in Sardegna più della metà dei membri dello staff abbiano titoli di studio universitari, contro il 15% di Basilicata, Sicilia e Puglia. Emerge come il livello di istruzione tenda ad essere più basso nelle Regioni dove anche il numero di addetti dei Cpi risulta inferiore, andando ad aggravare ulteriormente la mancanza di risorse umane sufficienti e la fornitura di servizi adeguati.
Secondo l’Ocse, l’Italia trarrebbe vantaggio da un’allocazione più efficace delle sue risorse umane, infatti, la percentuale di personale dei servizi pubblici per l’impiego dedicato all’assistenza delle persone in cerca di lavoro è solo del 30% (al quartultimo posto tra i paesi dell’Ocse) contro l’80% della Svezia che si posiziona al primo posto.
Nel modello italiano un’ampia parte del personale è sopraffatta da compiti amministrativi, di fatto l’impostazione dei processi non lascia spazio ad attività di consulenza e attivazione di persone in cerca di lavoro o volte a facilitare l’incontro tra domanda e offerta.
La relazione evidenzia l’assenza di un valido sviluppo di strumenti veri di profilazione che servono ad orientare le politiche del mercato del lavoro eccetto poche regioni e comunque in maniera difforme. Nel 2015 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sviluppò il primo modello nazionale di profiling quantitativo all’interno di Garanzia Giovani, estendendone, poi, l’applicazione a tutte le persone in cerca di lavoro presso i Cpi.Nel 2017, Anpal ha elaborato un modello in cooperazione con le regioni ed ora sta affinando uno strumento per mappare le competenze dei jobseekers italiani, integrandone l’utilizzo da parte dei centri per l’impiego con il PIAAC “Programme for the International Assessment of Adult Competencies”, sviluppato dall’Ocse. Va ricordato però che l’iniziativa dei navigator messi sul mercato del lavoro in concomitanza con il reddito di cittadinanza non aiuta a progredire sul piano della profilazione delle politiche attive italiane, poiché ancora oggi si nota un’accentuata discrezionalità dell’operatore pubblico nella scelta della misura adatta alla persona, con troppo margine di errore per poter garantire una profilazione “qualitativa”. Quest’ultima si distingue da quella quantitativa per quanto riguarda i jobseekers e nella gran parte dei paesi Ocse sembra essere proprio la combinazione di questi due approcci.
Alle italiane e italiani sotto l'ombrellone
Agli italiani e alle italiane sotto l’ombrellone . ALESSANDRA SERVIDORI 7 luglio 2019
Comincio questa riflessione dove di solito si finisce e cioè relegando la questione alla capacità delle italiane di essere in prima linea nelle questioni politiche. E’ un pensiero di stima e rigore verso Mara Carfagna che in queste ore di scalmanate offensive dentro a Forza Italia con Toti che ambisce alla guida di una deriva forzista, la Vice Presidente della Camera resiste e oppone ragionamenti di calma e progettualità non sul chi ma sul come e con quali programmi rilanciare una politica ragionevole. Premetto che non faccio politica per un partito ma per lo Stato e così dopo una vita al servizio delle istituzioni continuo a schierarmi con chi le istituzioni le difende e non con uno Sgarbi sgarbato e misogino che al Corriere della Sera rilascia una intervista bocciando Carfagna accusandola di essere carina ma ciò “non basta per guidare un partito”.Tempo fa sul sito TutteperItalia ho riassunto in estrema sintesi i capisaldi dell’Unione Europea per cercare, anche attraverso la mia professione di insegnante, di ricordare cosa rappresenta per noi Italiani e nel contesto internazionale fare parte, anzi essere,i fondatori di una dimensione territoriale e sociale così importante. Nel frattempo non mi sono mai sottratta sempre attraverso il sito che racconta l’Associazione Nazionale che ho l’onore di rappresentare ma anche su riviste on line “benevoli e democratiche” commenti e proposte sul mio Paese in preda a marosi inquietanti. Bene Avanti !
Il giorno dopo l’assoluzione della Nuova Europa nei confronti del debito italiano e della mala politica biancarossaverde raccomando di prendere coscienza della estrema provvisorietà della decisione della Commissione di non accogliere il suggerimento di procedere contro l’Italia: guai a considerarla una questione chiusa, è solo rimandata e non riesco proprio a capire i ragionamenti trionfali di un ex collega come Tria .Come prof rigorista ammetto che è ovvio che si tratta di un impegno molto pesante perché nel limite concordato è compreso un aumento dell’IVA che l’attuale maggioranza intende a ogni costo evitare e questo pone il problema di recuperare una cifra vicina a 20 miliardi di euro. Poiché poi vi sono varie promesse della maggioranza – compresa la famosa flat tax – è evidente che la Commissione ha preso atto che il Governo italiano ha riconosciuto che tutto questo non potrà avvenire o comunque non potrà avvenire in deficit. Il che naturalmente fa venire meno buona parte delle speranze di usare la riforma fiscale per stimolare la ripresa economica. E’ il deficit l’elemento di stimolo, anche se converrebbe usare il deficit per spese di investimento che hanno un ritorno migliore delle spese correnti, ma se non c’è deficit di fatto non c’è stimolo. Mi auguro che sia chiaro che la questione del 2020 rimane sul tavolo della Commissione. I governi dei paesi dell’Unione Europea debbono sottoporre i propri progetti di bilancio alla Commissione e la Commissione avrà come arma in più rispetto al passato le dichiarazioni che il presidente del Consiglio e il ministro dell’economia hanno fatto circa il bilancio 2020 per evitare la procedura di infrazione. In sostanza il governo italiano ha piegato la testa per la seconda volta in sei mesi – la prima fu a dicembre – rispetto alle dichiarazioni bellicose di volere fare di testa propria. E questa volta l’ha piegata non all’ultimo momento, come avvenne a dicembre, ma con qualche mese di anticipo rispetto alla predisposizione del bilancio 2020. Dal punto di vista delle dichiarazioni di intenti dei due partiti della coalizione, siamo di fronte a una sostanziale capitolazione. Sarà interessante vedere come i due capi dei partiti della maggioranza spiegheranno il cedimento alle politiche di austerità da loro combattute a parola con tanta veemenza. Resteranno al Governo per realizzare politiche che criticano aspramente o sceglieranno di far cadere il governo con il rischio di assumersi la responsabilità di una crisi senza ovvi sbocchi? Questa è materia per i prossimi mesi. Ma intanto sotto l’ombrellone o sul lago o in cima alle montagne o comunque in città, cerchiamo di non scordarci che tra al massimo 60 giorni il problema di dove trovare quei 50miliardi che servono al Governo per affrontare gli impegni assunti vedremo dove saranno “inventati”.Umilmente ricordiamo che abbiamo un nuovo record per il debito pubblico italiano, che lo scorso novembre è aumentato di 10,2 miliardi, rispetto ad ottobre, raggiungendo il picco di 2.345,3 miliardi di euro. Se la si volesse suddividere per i quasi 60,5 milioni di italiani censiti dall'Istat, significherebbe avere quasi 38mila euro di indebitamento pro capite, neonati e anziani inclusi.
Riempiamo le culle ?Il Governo faccia politiche per la genitorialità
www.formiche.net ALESSANDRA SERVIDORI
6 luglio 2019
In Europa solo la Germania ha ricominciato a popolarsi di sangue giovane anche perché investe nella maternità e dunque nei servizi infantili, congedi parentali e politiche fiscali per la famiglia
DUE DONNE IN EUROPA
Bon ton, esperienza, capacità di governance e soprattutto signore! Avanzano le due candidature ai posti più importanti della nuova Europa dopo che la coppia Macron – scaltro giovane Napoleone – e Merkel – forte e coraggiosa cancelliera – hanno dettato le regole: due signore, Lagarde e Von der Leyen, al vertice che riusciranno anche a dare un impulso alla guida dei 27 Paesi con un input liberale e democratico e soprattutto di grandissima esperienza sui temi economici.Lagarde manager stimatissima e politicamente molto autonoma del Fmi, già ministro, e Von der Leyden già ministro del lavoro tedesco e attualmente ministro della difesa, e poi ancora Margrethe Vestale alla Vice Presidenza della Commissione: e guarda caso mamme felici di tanti figli.Questo sicuramente ci dà l’assist per capire come siamo messe in Italia. Le italiane elette in Europa sono 31 donne su 73 complessivi, il 42,4% e tornando in Patria, nelle ultime elezioni, il totale delle sindache neoelette o rielette tra il 26 maggio e il 9 giugno è di 635 su 3.823: il 16,6%.
LA MISOGINIA IMPERANTE
Non mi soffermo più di tanto sulla misoginia imperante in politica perché è chiaro che di strada ce n’è veramente molta molta ancora da fare. Mi soffermo molto di più e volentieri sulla situazione della denatalità che in queste ore pare essere arrivata all’attenzione della nostra gente quando è da anni che chi si occupa seriamente di politiche del welfare segnala questo declino inarrestabile di anno in anno e il fatto che i giovani e le giovani donne non sono affatto aiutati a mettere su famiglia.
Istat ci dice che la popolazione italiana in meno di un anno è diminuita di ben 124.427 bambini e ringraziando Dio ci sono ancora gli immigrati che scelgono di stabilirsi in Italia e compensano ulteriori drammi di denatalità. E sicuramente purtroppo non siamo gli unici poiché in Europa soffre la Spagna ed è solo la Germania che ha ricominciato a popolarsi di sangue giovane anche perché investe nella maternità e dunque nei servizi infantili, congedi parentali e politiche fiscali per la famiglia. E dunque è ovvio che l’immigrazione tedesca ha aiutato lo Stato ad essere virtuosamente proattivo.
Le statistiche dell’Unione allertano un po’ tutti i 27 perché il calo demografico porterà a riposizionare il sistema di welfare anche in virtù dell’invecchiamento delle popolazioni e dunque della mancanza di forza lavoro. Nella manovra del dopo estate questo governo che NON ha dato alla famiglia l’aiuto che le serve, deve umilmente prendere atto della struttura del sistema tedesco e senza ulteriori rinvii dimostrare che forse le risorse della Cassa Depositi e Prestiti (risparmi nostri!) e i risparmi del perdente reddito di cittadinanza devono essere utilizzati per una politica che sostenga la famiglia. Abbiamo ancora tanto da imparare dalla Germania ed è per la nostra sopravvivenza.
UE :il giudizio della scuola italiana
Alessandra Servidori www.IL DIARIODELLAVORO 1 Luglio 2019
Nel rapporto di 23 pagine inviato all’Italia il 6 giugno 2019 dal Consiglio dell’Unione Europea Bruxelles,5.6.2019-COM(2019)512final-https://eur-lex.europa.eu/legal- content/IT/TXT/?uri=CELEX:52019DC0512 che peraltro è stato recapitato ad ogni Stato che compone l’unione dedicato all’economia di ogni Paese e a raccomandazioni molto puntuali, non c’è solo una minuziosa radiografia del preoccupante andamento del debito pubblico italiano, ma anche due commi, il 19 e il 20, sull’istruzione e gli insegnanti. Si punta il dito sulle nostre classiche debolezze e si interviene anche sugli insegnanti.Queste le parole della Raccomandazione: «La produttività tendenzialmente stagnante dell’Italia è dovuta alle debolezze del sistema di istruzione e formazione e alla scarsità della domanda di competenze elevate. Migliorare, quindi, la qualità del sistema di istruzione e formazione rappresenta una sfida importante».
Sotto accusa i seguenti elementi: 1) il tasso di abbandono scolastico superiore alla media europea, 2) ampie differenze regionali e territoriali,3) scarso sistema di apprendistato, 4) risultati sulle competenze di base fra i peggiori in Europa, 5) poca formazione dedicata agli adulti, 6) scarsi progressi nelle competenze digitali,7) bassa percentuale di laureati, 8) limitata istruzione terziaria professionalizzante ( ITS). Per quanto poi riguarda gli insegnanti si afferma che servirebbero «ulteriori sforzi per attirare, assumere e motivare maggiormente gli insegnanti». Chiaro anche il giudizio sul reclutamento incentrato sulle conoscenze e le limitate prospettive di carriera con progressione per anzianità e non per merito. E ancora più determinato severo e pungente sugli stipendi : «rimangono bassi rispetto agli standard internazionali e rispetto ai lavoratori con un titolo di istruzione terziaria. Le retribuzioni crescono più lentamente rispetto a quelle dei colleghi di altri paesi ».Tutto questo produce a giudizio della UE:«scarsissima attrattiva della professione di insegnante per le persone altamente qualificate e in un effetto disincentivante sul personale docente, che a sua volta ha un impatto negativo sui risultati di apprendimento degli studenti». A mio giudizio l’analisi schematica della professione docente è troppo parziale e non tocca punti nodali come l’organizzazione/gestione centralistica e burocratica, questioni di reclutamento che vanno oltre la mancanza di formazione professionale (v.sanatorie e concorsi nazionali, ecc..), l’assenza di una leadership intermedia, che è cosa diversa dall’avanzamento retributivo per merito (di cui abbiamo tristi esempi). E ancora un’irrazionale allocazione delle risorse e una dispersiva costruzione degli organici, l’assenza di un criterio di assegnazione dei migliori docenti nelle situazioni scolastiche più deboli, come avviene in altri Paesi. E si potrebbe continuare. A nostro parere per chi ha consapevolezza del ruolo straordinario della nostra professione gli aumenti retributivi auspicati dall’UE, su cui tutti i media si sono concentrati, sono certamente importanti, ma non da soli. Per esempio questo ultimo provvedimento della Ministra Buongiorno che ha deciso per i occhi vigili che si vogliono installare in ogni aula (ora nella scuola dell’infanzia, poi si vedrà…), non sono lì semplicemente a controllare insegnanti maneschi, no, sono lì a dirci che la scuola ha perso ogni autorità e autorevolezza; sono lì a dirci che l’istituzione scuola, un tempo presidio rispettato di educazione e formazione, è stata completamente delegittimata .Non diverso è il significato dei controlli biometrici (impronte digitali o scansione dell’iride) dei Dirigenti Scolastici, inseriti nel cosiddetto Ddl concretezza, per il riscontro della loro presenza a scuola.Per quanto potrò e non sono sola anzi insieme alle associazioni dei docenti, non accetteremo che si scada in un generalizzato sistema di sorveglianza poliziesca, quando sarebbe vitale analizzare le crescenti difficoltà in cui si dibattono oggi i docenti e i dirigenti scolastici e trovare strategie per invertire quel processo di progressivo deterioramento che sta intaccando il rapporto di alunni e genitori con l’istituzione scolastica.Sono convinta, come giustamente afferma ADI associazione docenti, che molti insegnanti come chi scrive , continueremo nel nostro lavoro di ricerca studio e di serio impegno, senza subire in silenzio questa preoccupante delegittimazione dell’istituzione scolastica e della professione docente e dirigente.
NEET : Start Mag Quanto è grave la situazione nostrana
Alessandra Servidori START MAG 30 Giugno 2019
Ma come i sindacati lo scoprono oggi che c'è un consistente numero di giovani italiani che rifiutano qualsiasi forma di educazione, di inserimento sociale e di lavoro i cd neet (acronimo di Not in Education, Employment or Training) che, secondo i dati di Eurostat sono i più numerosi in Europa ?E’ almeno una decina di anni che registriamo questo dato e drammaticamente in Italia sono esattamente oltre 2,2 milioni ed in crescita di anno in anno : un fenomeno che era già lievitato di oltre una decina di punti rispetto al 2008, l'anno della grande crisi internazionale. La fascia d'età dei Neet va dai 15 ai 29 anni per ragioni legate alla situazione di maggior difficoltà in cui versano qui i giovani rispetto agli europei. Nel 2007 il tasso Ue era pari al 13,2%, è lievitato di 2,7 punti percentuali durante la crisi del 2008 per poi scendere a 14,2% nel 2016 (solo +1 superiore al 2007). Il dato italiano era nel 2007 pari a 18,8%, è cresciuto di 7,4 durante la crisi, per poi scendere nel 2016 a 24,3% (ancora +5,5 rispetto al 2007) fino ad arrivare ad oggi. La composizione dei Neet è molto eterogenea: va dal neolaureato con alta motivazione e alte potenzialità che sta attivamente cercando un lavoro in linea con le proprie aspettative (prima eventualmente di riallinearsi al ribasso con ciò che il mercato offre), fino al giovane uscito precocemente dagli studi, scivolato in una spirale di marginalità e demotivazione. Ma dei quali però non abbiamo notizie certe perché NON esiste in Italia un Rapporto che indichi la dispersione scolastica e l’abbandono e la differenza non è piccola. Poichè la dispersione non sappiamo quando lasciano la scuola e l’università dove vanno e cosa fanno,e nell’abbandono si suppone rientrino anche le persone che non hanno un impiego per scelta, perché vogliono prendersi tempo per esperienze di diverso tipo o per dedicarsi alla famiglia. Il quadro è quello di una generazione non aiutata con adeguata formazione e strumenti di politiche attive efficienti a trovare il proprio posto nei processi di sviluppo sempre meno solido e competitivo del Paese. Ne consegue un elevato rischio sia di lasciare ai margini i più vulnerabili, sia un alto grado di sottoutilizzo del capitale umano dei giovani ad alto potenziale. E poi vero è che l'elevato numero di Neet deriva in larga parte dalle inefficienze nella transizione scuola-lavoro ed è un fatto che in Italia molti giovani all'uscita dal sistema formativo si trovano carenti di adeguate competenze e sprovvisti di esperienze richieste dalle aziende. Pesano anche le scarse opportunità nel sistema produttivo :molti giovani, infatti, con elevata formazione non trovano posizioni all'altezza delle loro capacità e aspettative e chi è occupato oggi si adatta a svolgere un'attività poco o per nulla coerente con la propria formazione. Sappiamo da oltre un decennio dai nostri dati istat a partire dal genere e dall'area di residenza che più della metà, il 56,5 per cento, è costituito da donne che vivono al Sud e hanno un livello di istruzione medio basso, licenza media o al più diploma superiore. Se si guardano alle percentuali delle donne la situazione appare più drammatica. Ogni cento ragazze, 72 si sono rassegnate a rimanere disoccupate e a non entrare nel mercato del lavoro. Anche in questo caso le performance peggiori si registrano al Sud, con picchi che superano l'80% e a dimostrazione che quello dei Neet è un problema strutturale, una percentuale di inattivi superiore alla media nazionale lo fa registrare il Trentino Alto Adige, e molto alta anche la Lombardia. I dati statistici sono importanti ma ancora di più deve essere la consapevolezza che ancora in Italia non è responsabilmente assunta che i motivi per cui un giovane smette di studiare e di cercare lavoro, sono i percorsi che lo hanno portato in un limbo di inattività cronica, sono le difficoltà strutturali e sistemiche del mercato del lavoro italiano e che sono concause del problema .La verità è che anche con gli ultimi provvedimenti del reddito di cittadinanza questi giovani si trasformeranno nel tempo in disoccupazione strutturale, una componente che nemmeno i contratti più flessibili riuscirebbero a inserire nel mondo del lavoro, con conseguenze a catena anche dal punto di vista pensionistico. Il sindacato e le istituzioni devono occuparsi dei ragazzi e delle ragazze , favorire il loro ingresso nel mercato del lavoro, creare dei percorsi virtuosi che tendano a scardinare il concetto che l'istruzione tecnica è di Serie B rispetto a quella intellettuale di Serie A e che le innovazioni tecnologiche saranno una banca preziosa per lo sviluppo imprenditoriale e per l’occupabilità giovanile anche modificando profondamente la formazione. Per fare ciò, uno strumento fondamentale è il contratto di apprendistato in tutte le sue forme, che aiuta sia i giovani sia le aziende, che in questo momento hanno bisogno di forza lavoro da impiegare per uscire dalla crisi. L'alternativa è quella di continuare a zavorrare la ripresa economica e il sistema Italia, ingrossare le fila di questi due milioni e oltre di "analfabeti lavorativi" e ampliare il divario tra le necessità delle imprese e l'offerta di diplomati e laureati. E’ poi necessario focalizzare l'attenzione sui tredicenni, sulle ragazzine e ragazzini che frequentano la terza media per sostenerli e orientarli al sapere professionalizzante, indirizzarli e accompagnarli in questi percorsi, fare di tutto per favorire l'alternanza scuola-lavoro. Altrochè reddito di cittadinanza.
IL SINDACATO ALLA PROVA DEI FATTI
LAVORO www.ildiariodellavoro.it
Il sindacato alla prova dei fatti
Una indagine dell’Unioncamere, inquadrata nel Progetto Excelsior, ha monitorato la domanda di lavoro delle imprese allo scopo di osservare nel periodo recente, quali sono le professioni ricercate. I lavoratori previsti in entrata per grande gruppo professionale (ovviamente non si tratta solo di nuovi posti) in un periodo di tre mesi sono 995.630 di cui 207.303 dirigenti, impiegati con elevata specializzazione e tecnici (20,8% del totale), 327.050 impiegati, professioni commerciali e nei servizi (32,8%), 285.510 operai specializzati e conduttori di impianti e macchine (29%), 172.730 appartenenti a professioni non qualificate (17,3%). Seguono poi le indicazioni di quali sono (e in quale misura) le professioni di difficile reperimento sia per il ridotto numero di candidati, sia per l’esperienza e la qualificazione inadeguate.
Il confronto è particolarmente significativo se ragguagliato al titolo di studio, perché mette in chiaro quanto incidano le carenze del sistema scolastico rispetto alle esigenze del mercato del lavoro. Delle 995.630 entrate previste 137.480 richiedono un titolo di studio di livello universitario. Ebbene l’indagine sostiene che le difficoltà di reperimento riguardano il 32,1% (di cui il 17,6% per ridotto numero di candidati). Val la pena di notare quali siano gli indirizzi in cui si presentano maggiori difficoltà di reperimento: il 48% in ingegneria elettronica e dell’informazione; il 55,8% in ingegneria industriale e addirittura il 65,4% per l’indirizzo linguistico, interpreti e traduttori.
A livello secondario e post-secondario su 330.410 non è facilmente reperibile una quota pari al 26,2%. Anche in questa area vi sono dei ‘’buchi’’ clamorosi per quanto riguarda la possibilità di assumere personale con un titolo di studio pertinente: ben il 58,6% nell’indirizzo informatica e telecomunicazioni e il 52,7% nell’indirizzo linguistico; il 50,7% negli indirizzi della chimica, materiali e biotecnologie. È di difficile reperimento il 23,7% dei 300.570 titolari di qualifica o diploma professionale richiesti; sembrerà strano, ma la quota più elevata (57%) riguarda l’indirizzo abbigliamento (miracoli del made in Italy?). Persino laddove non è richiesta alcuna formazione specifica (227.170) è arduo reperire il 17,7% degli operatori. Per tirare le somme sui 995.630 soggetti, il 24,3% è di difficile reperibilità (l’11,3% per numero ridotto di candidati). Il 16,8% non ha esperienza nella professione e ben il 49% nel settore. Meritano una inquietante sottolineatura le carenze che permangono per quanto concerne le lingue straniere. Il fatto che non ci siano sufficienti insegnanti in questa materia si sconta anche nel lungo periodo.
Ma c’è un aspetto della digitalizzazione che non è stato sufficientemente approfondito, ma che – a mio avviso – potrebbe fornire un contributo alla ridefinizione di una nuova rappresentanza del lavoro. Il sindaco nei decenni scorsi ha accompagnato fasi di grandi trasformazioni nel passaggio da una società prevalentemente agricola ad una a forte connotato industriale; trasformazioni che ne hanno coinvolto le politiche rivendicative e gli strumenti organizzativi nel territorio e nell’impresa, lungo un processo che prende le mosse dal primato degli accordi interconfederali, l’accordo sul conglobamento,il contratto nazionale di categoria (la c.d. verticalizzazione) negli anni ’60 al prorompere della contrattazione decentrata, con la costituzione dei consigli dei delegati in un contesto di diritti sindacali (assemblea retribuita, diffusione della propaganda, tutela dei dirigenti, affissione, ecc.) con i quali lo Statuto dei lavoratori garantiva ampia agibilità politica. Queste trasformazioni non furono né facili, né brevi, né indolori, ma richiesero profondi mutamenti nell’allocazione delle risorse materiali ed umane allo scopo di essere minimamente all’altezza delle competenze richieste dalle nuove sfide.
Il sindacato ora deve fare veramente un salto di qualità e oltre che riempire le piazze deve non rimanere travolto dagli effetti dell’immissione di nuova tecnologia nei processi produttivi manifatturieri, e soprattutto nella società del terziario e dei servizi. Basta essere solo con la testa rivolta al pubblico impiego e ai pensionati ( neanche poi veramente tutelati !) .La prospettiva sta altrove. Il mercato dei servizi rappresenta il 70% delle attività economiche europee, detiene il 68% dell’occupazione complessiva ed è ritenuto in grado di offrire le maggiori opportunità per l’ulteriore crescita dei posti di lavoro. È proprio l’esigenza di una maggiore competitività del settore manifatturiero a dipendere sempre più dalla fornitura di servizi moderni e flessibili, dal momento che l’efficacia dei servizi alle imprese rappresenta un fattore cruciale nella localizzazione delle multinazionali, mentre le attuali persistenti rigidità tendono a scoraggiare gli investimenti diretti esteri.
Sono i servizi, soprattutto quelli privati, il settore prevalente di ogni moderna economia e riassumano in sé l’intreccio tra i nuovi rapporti di lavoro, le figure professionali emergenti e soprattutto sono tenuti insieme ed organizzati attraverso le reti della digitalizzazione. Il sindacato dopo aver sperimentato l’inutilità dei tradizionali strumenti politici ed organizzativi deve saper costruirne di nuovi e più adatti, e non rimanere attaccato ad un’idea del lavoro e di un’organizzazione produttiva considerata immutabile perché corrispondente al modo di essere del sindacato stesso. Il sindacato deve abbandonare i grandi alibi a giustificazione della propria impotenza: il c.d. precariato, la trappola dei rapporti flessibili e del lavoro a tempo determinato, la c.d. mortificazione dei diritti.
Dal momento che i lavoratori non si riuniscono più nei medesimi luoghi di lavoro, ma spesso operano isolati con forme di lavoro agile o di collaborazioni per più imprese, bisogna raggiungerli e innovare nel contratto applicando loro quando è ormai chiaro che la medesima prestazione può essere svolta – a seconda delle regole concordate – nell’ambito di differenti rapporti di lavoro. Le nuove tecnologie consentirebbero – senza doversi affidare alla piattaforma Rousseau – di riunificare gran parte del mondo del lavoro non più riconducibile all’interno dei tradizionali confini. Un pc può essere uno strumento molto più efficace di un volantino; una mail list completa ed aggiornata un mezzo più rapido per raggiungere gli iscritti e condividere con loro la vita associativa nei suoi principali aspetti. Se si è trovato un ‘’nuovo modo di fare l’automobile’’ (l’aspirazione/chimera ai tempi della catena di montaggio), si potrà pure arrivare al giorno in cui anche gli algoritmi che determinano le scansioni dell’organizzazione del lavoro divengano materia di confronto e di contrattazione.
25 Giugno 2019
Dimissioni sul lavoro e povertà
LAVORO E WELFARE
Dimissioni sul lavoro e povertà, testi a confronto
In un inserto locale di un quotidiano sono state date notizie parziali dalla Consigliera di parità dell’Emilia-Romagna che ha resi noti i dati sulle dimissioni volontarie, che di norma vengono resi noti contestualmente a livello nazionale supportati da una analisi precisa su tutto il territorio. Questa volta l’Ispettorato Interregionale del Lavoro Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Veneto Sede di Venezia evidentemente ha dato in anteprima i dati e la Consigliera dell’Emilia-Romagna ne ha estrapolato i risultati attraverso un’ intervista. A mio parere scorretta, in quanto il Rapporto Nazionale è sempre stato divulgato dalla Sede del Ministero Nazionale e in tempi tali da avere l’opportunità di una riflessione complessiva e collegiale.
I risultati relativi alle convalide rilasciate dagli Ispettorati Territoriali alle lavoratrici madri ed ai lavoratori padri nel corso dell’anno 2018, per gli effetti dell’ art. 55 del D. Lgs. n. 151/2001, come ogni anno risultano infatti molto interessanti poiché evidenziano le risoluzioni consensuali del rapporto e la richiesta di dimissioni presentate durante il periodo di gravidanza che ovviamente, e in virtù della norma operante ,acquistano efficacia soltanto successivamente al rilascio del provvedimento da parte dell’Ispettorato e per accertare l’autenticità della volontà dimissionaria per garantire le tutele connesse alla genitorialità e contrastare eventuali abusi. E vanno studiati attentamente anche in relazione alla territorialità e ad altre situazioni economiche che avremo sicuramente l’opportunità di riscontrare dalla divulgazione dell’Ispettorato.
L’Ispettorato Nazionale del lavoro raccoglie attraverso una modulistica annualmente compilata dai territori la fotografia dell’andamento di tali istituti , analizza i dati estratti da un applicativo informatico utilizzato a livello nazionale per la rilevazione automatizzata degli elementi statistici relativi ai provvedimenti e ne presenta il Rapporto insieme alle Consigliere di parità . Nell’analisi della Consigliera Emiliana Romagnola come purtroppo succede da parecchi anni , senza nessuna soluzione di continuità storica ,nel corso dell’anno 2018 il numero complessivo di dimissioni e risoluzioni consensuali convalidate a livello regionale è risultato in aumento di circa il 23 % rispetto a quello rilevato nel 2017 come succede in tutta Italia anche se differenziato per territorio. Le proiezioni regionali sono in linea con quelle nazionali ove si registrano convalide riferite principalmente alle dimissioni volontarie e per giusta causa che sono pari a n. 47.410 e in aumento rispetto all’anno precedente.
Il metodo a livello nazionale di rilevazione è molto circostanziato e se vero è che la situazione è molto delicata e preoccupante, sarebbe stato corretto rispettare la tempistica di rendere noto contemporaneamente i dati dell’intero territorio nazionale. Nel 2018 a livello nazionale le dimissioni e le risoluzioni consensuali hanno interessato in misura predominante le lavoratrici madri, e le convalide relative ai lavoratori padri a livello nazionale sono meno della metà di quelle riguardanti le lavoratrici madri, anche se annualmente in aumento . Dal 2017 sono dettagliate le fasce di età dei lavoratori/delle lavoratrici e a livello nazionale si conferma la fascia di età da “maggiore di 34 fino a 44 anni”, e anche nel 2018 il rapporto inversamente proporzionale tra dimissioni/risoluzioni convalidate e anzianità di servizio, cioè ad una minore esperienza in azienda corrisponde una più rilevante “fuga” dal posto di lavoro. Interessante il dato che riguarda l’eventuale richiesta di part time o flessibilità da parte dei lavoratori interessati alle convalide e l’accoglimento di tali istanze da parte dell’azienda, poiché è e rimane un motivo ricorrente perché il non accoglimento ovviamente soprattutto da parte delle lavoratrici madri,porti alla scelta di cessare il rapporto di lavoro. È evidente una reale difficoltà di conciliare la vita familiare con il lavoro a tempo pieno ed è ancora più plastico il fatto che il settore settore produttivo maggiormente interessato dalle convalide è il terziario , tradizionalmente caratterizzato dalla prevalente occupazione femminile e, anche se in numero minore, anche i dati relativi all’industria e all’edilizia. Risulta del tutto residuale il dato relativo alle mancate convalide a fronte di 29 su tutto il territorio nazionale segno che non solo gli ispettori svolgono ottimamente il loro lavoro ma anche le aziende sono più corrette.
È bene ricordare che il compito di contrastare le discriminazioni sul lavoro era stato già delineato dal dlgs 198/2006 e poi modificato con il D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 151 recante “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, affidando alle Consigliere ed ai Consiglieri di parità il compito di rilevare “le situazioni di squilibrio di genere, anche in collaborazione con le direzioni interregionali e territoriali del lavoro (oggi rispettivamente Ispettorati interregionali e territoriali del lavoro), al fine di svolgere le funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, ivi compresa la progressione professionale e di carriera, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252” e di collaborare “con le direzioni interregionali e territoriali del lavoro al fine di rilevare l’esistenza delle violazioni della normativa in materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni. Tale collaborazione era già effettiva, sin dai contenuti del Protocollo d’intesa stipulato, in data 25 giugno 2007, tra la Direzione generale per l’Attività Ispettiva e la rete delle consigliere e realizzava annualmente il Rapporto delle dimissioni. Nel 2018, rispetto all’anno precedente si è appurata, una diminuzione pari al -37% delle violazioni degli istituti posti a tutela della maternità, in termini di numeri assoluti.
Secondo il Rapporto sulla povertà divulgato da Istat rispetto alla tipologia familiare, l’incidenza di povertà assoluta aumenta al crescere del numero di minori presenti in famiglia (6,5% per le coppie con un figlio, 10,1% per quelle con due figli e 17,2% per le coppie con tre o più figli), ed è elevata tra le famiglie monogenitore (16,8%) e per le tipologie in cui spesso convivono più nuclei familiari (20,1%). Le famiglie monogenitore registrano una crescita significativa rispetto al 2017 (quando l’incidenza era l’11,8%).Si trovano in condizione di povertà assoluta ben 1,26 milioni di minori, contro gli 1,2 milioni del 2017. Al Sud quasi uno su 6. Per Save the Children “la povertà minorile rappresenta una piaga diffusa che affligge il presente e il futuro dei bambini e delle bambine in tutto il Paese e in modo particolare in quei luoghi dove minori sono le opportunità di crescita e di sviluppo. È sempre più urgente e indispensabile che la politica lavori a un piano nazionale di contrasto alla povertà minorile che non può più essere procrastinato”.Ma è altrettanto urgente un piano di sviluppo dell’occupazione femminile incardinata su sostegni alle aziende che applicano strumenti di flessibilità lavorativi e welfare aziendale per sostenere il bilanciamento di tempi di vita tra lavoro e cura del nucleo familiare e dunque evitare così il fenomeno delle dimissioni che impoveriscono la comunità.
Alessandra Servidori
20 Giugno 2019