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Editoriali

Noi e il cancro

Dalla parte delle persone “lungo sopravviventi”

Ci chiamano così siamo sopravissute al cancro e ancora lo combattiamo con forza e coraggio. Molta forza ,tanto coraggio. Su una testata di un’ammiraglia della comunicazione è apparsa la notizia che  alla facoltà di  Medicina del Dipartimento di oncologia della Statale  di Milano è istituito l’insegnamento su” l’Umanità” che mette al centro la persona e non solo l’anatomia e la scienza. Bene. Contemporaneamente  sulla pagina seguente la storia di Chiara una giovane lavoratrice che con la sua tenacia ha  ottenuto un protocollo dall’Inps di Trento perché le persone affette da malattie gravi NON siano più costrette a visite fiscali in sedi non domiciliari coatte. E’ un passo avanti che dobbiamo fare insieme,perché l’interdisciplinarietà  e la sussidiarietà tra istituzioni è fondamentale per combattere il dolore, la sofferenza, la speranza di vita degli uomini donne bambini e bambine che incontrano la malattia grave che interrompe la vita. Anche all’Università di Modena e Reggio Emilia  al Dipartimento giuridico  è istituito  un corso sulle Pari Opportunità nel lavoro pubblico e privato per  insegnare alle giovani generazioni di studiosi come è importante la disciplina  giuslavoristica e anche come cercare trovare e mantenere un lavoro in condizioni delicate quando si incontra la grave malattia  e assicurare così  pari opportunità contrastando eventuali discriminazioni.

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C'è sete di armonia e di pace - ITALIA e GRECIA

La questione Greca dovrebbe fare calmare il giovane toscano sempre troppo ardito e rapace. L'arroganza non paga .Chissà  se lui e i suoi amici dell’Ellade  sanno che nel 1999  il Trattato di Maastricht impegnava tutti i paesi dell’Unione europea, salvo Regno Unito e Danimarca, ad adottare presto o tardi la moneta unica. Oggi sono 19 i Paesi su 28 che l’hanno fatto e assistiamo al 12esimo Paese che lo adottò  uscirne per fare ritorno alla moneta che aveva lasciato. Chissà i  nobili Padri della Magna come si rivoltano nella tomba. Nessun paese ha mai lasciato l’area euro, e i Trattati non prevedono procedure formali perché questo possa avvenire. Paradossalmente, sarebbe forse meno complicato uscire dall’Unione Europea che dalla sua moneta unica. E la decisione di lasciare l’euro dovrebbe  essere il frutto di un lungo e incerto negoziato. E ora i  giovani governanti “guasconi” greci che ad arroganza e a bugie non hanno nulla da invidiare al giovane toscano nostro , massacrati dai numeri dell’economia che parlano e dicono la verità, così come lo stato dell’economia italiana  è evidente, le conseguenze della Grecia  avranno una ripercussione drammatica e comunque sull’eurozona e dunque anche su di noi che a conti fatti ai 36miliardi di credito detti da Padoan  aggiungendo gli 11 in valuta estera di effetto di trascinamento di debito bancario, rimaniamo in credito dalla Grecia quei 47 miliardi che tanto ci servirebbero.

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Mattarella e Renzi

Mattarella e Renzi sono due soggetti politici assolutamente diversi tra loro. E non solo per la differenza di età e per l’evidente tratto personale opposto. Il neo Presidente Quirinalizio è uomo e soggetto attivissimo e sottotraccia della Prima Repubblica; è il conquistatore di palazzo Chigi è espressione della Seconda Repubblica perché nella Terza non ci siamo e perché a protagonismo esondante non ha rivali .

E però e però tra un giovane Renzi scaltro e cinico e un pacato e riflessivo giudice Mattarella che ha conquistato decisamente la poltrona più alta della Repubblica ( destinata da Renzi a Padoan per prendersi e dare a un suo protetto il Tesoro, ma per ricompattare il pd e la sinistra arrivata al canuto ed autorevole amico del D’Alema e del Bersani) la questione italiana e politica più delicata comincia ora.

Il Pd infatti pervaso da veleni e freccie versus Renzi punta a consolidare la lapidazione del Nazareno che però e però rappresenta per il giovane toscano un bacino di voti moderati che deve riconquistare dopo lo sgambetto berlusconiano chiamato pomposamente tradimento. Ma noi che siamo lucide e ragionevoli siamo sicure che avendo la necessità di procedere con le riforme costituzionali abbiamo bisogno di una svolta. E sarà probabilmente il Renzi scalpitante a procurare una crisi di governo e così il Presidente della Repubblica dovrà a sciogliere le Camere .

Ma a Renzi ora per anadre alle elezioni interessano i voti e dunque conterà la convenienza a sinistra o recupererà la destra moderata e questo lo può fare solo avendo un po’ di tempo davanti per tirare l’elastico. Noi ovviamente nel fare gli auguri più sinceri al presidente Mattarella auspichiamo che operi con quella trasparenza che gli italiani desiderano e che può ridare fiducia a questa nebbia di rapporti politici ambigui e offensivi per ogni elettore ed elettrice.

Non si può chiamare buona politica i conciliaboli, gli accordi segreti, i sondaggi e le consultazioni on line: noi crediamo nell’elezione diretta del Presidente della Repubblica e dunque in un sistema di tipo presidenziale o semi presidenziale . Ragionando poi in prospettiva noi siamo per il sistema tedesco con un cancelliere forte, un parlamento rappresentativo perché selezionato con metodo proporzionale garante della parità di genere (salvo l’uso dello sbarramento come strumento per evitare la frammentazione) e un presidente della Repubblica di pura rappresentanza e garanzia.

Quello che non si può fare, però, è rimanere a metà del guado, con la Costituzione formale e la prassi istituzionale che recitano una cosa e la cosiddetta Costituzione materiale che prevede l’esatto contrario. In tutti i casi da oggi, noi italiane e italiani dobbiamo respingere la spinta antiriformatrice in agguato sulla nostra ed europea economia. NON SPERPERIAMO I RISPARMI DEL CALO DEI TASSI, DEL’ ENERGIA , DELLA SVALUTAZIONE DELL’EURO sul tavolo di una contrattazione che deve restare aziendale e di una spesa pubblica che non sia vero investimento . Le risorse devono finanziare la riforma meritocratica della Pubblica Amministrazione,compreso il licenziamento dei fannulloni, la sostituzione della cassa integrazione con il sussidio di disoccupazione e il ritorno al lavoro per completare la riforma del lavoro, un ulteriore calo delle tasse su imprese e lavoratori e lavoratrici autonome. NOI COMUNQUE AL RIMORCHIO NON CI VOGLIAMO STARE.

Alessandra Servidori

Grecia, Italia ed Eurozona: la verità soltanto la verità

Si  è consumato il più grave strappo all’interno dell’Eurozona dalla creazione della moneta unica. L’Europa non sbloccherà l’ultima tranche di prestiti da oltre 7 miliardi. La Grecia non rimborserà 1,6 miliardi di euro dovuti al Fmi entro il 30 giugno. Il fallimento greco  è ormai evidente ,e  il governo greco dovrebbe riconoscere le sceneggiate dei giovani governanti saliti al potere NON raccontando la verità agli elettori  e facendo promesse inattuabili stando la situazione già allora drammatica ed evidentemente irrecuperabile se non  attraverso una drastica politica di tagli alla spesa pubblica. Tsipras ha annunciato per il 5 luglio un referendum per chiedere ai propri cittadini se accettare o meno il piano europeo, ritenuto da lui stesso  contrario alle regole europee e umiliante per i greci.  Merkel  ha giustamente  precisato  che il quesito è fuorviante, la vera questione è se rimanere nell’euro o tornare alla dracma. Nel frattempo i greci si  sono ritirati i loro risparmi  attraverso i bancomat  prelevando  quanto più possibile e il governo ha da oggi chiuso le banche. Non sappiamo  se esiste ancora ad oggi la possibilità che la Bce  non aumenti  la liquidità d’emergenza alle banche greche ma di non cancellarla, mentre il Fmi potrebbe non dichiarare immediatamente il default ma limitarsi a rimarcare il mancato pagamento, in attesa dell’esito del referendum.

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Migranti, immigrati,clandestini, terroristi : il grande esodo che fa giustamente paura agli italiani

 

 

ALESSANDRA SERVIDORI

 

 Migranti, immigrati,clandestini, terroristi : il grande esodo che fa giustamente paura agli italiani

 

In concomitanza con il Consiglio europeo del 25 e 26 giugno, che aveva  tra i suoi temi centrali l’Agenda europea per l’immigrazione, IPSOS ha reso noto un sondaggio ( se mai ce n’era bisogno) per rilevare l’opinione degli italiani in merito alla loro percezione del fenomeno migratorio e alla sua gestione da parte del governo. Con i fatti concomitanti in Tunisia, Eritrea, Francia,e Qwait si registra  la percentuale dell’opinione pubblica che ritiene l’immigrazione la principale minaccia per l’Italia in un clamoroso balzo in avanti rispetto alle rilevazioni dei mesi scorsi, fino quasi a raddoppiare (dal 13 al 25%). Purtroppo però i  dati reali sul fenomeno migratorio, certamente significativi e in aumento,non li possiamo autenticamente misurare in quanto sfuggono al controllo , creando così anche un’  evidente emergenza nazionale. Si dice ( ma a parere della scrivente giustamente)  che alimentano la paura i continui messaggi che parlano "alla pancia" degli italiani, favoriti da una copertura mediatica senza precedenti e da una strumentalizzazione del tema che si traduce anche in un giudizio negativo sulle risposte fornite dalla politica italiana .Ma  non è più percezione ,è certezza e consapevolezza poiché sono  giustificati i timori degli italiani, vista la ripresa degli sbarchi e l’invasione disumana, i recenti scandali sui centri di accoglienza ,l’atteggiamento di intransigente chiusura di molti paesi Ue (dalla Francia a quelli dell’Est). Il clima di generale confusione e preoccupazione in cui gli italiani non capiscono chi sia veramente chiamato a decidere, a quale livello (da quello europeo fino a quello regionale) e quali siano gli strumenti più efficaci da utilizzare (intervento militare, respingimenti, accordi con paesi di transito, accoglienza, ecc).Al punto in cui siamo bisogna avere coraggio e dire la verità. E’ imbarazzante e patetico sentire governanti che invocano l’aiuto europeo, in tema d’immigrazione, senza essere capaci di fare una proposta concreta  di sensato su cosa debba essere tale aiuto. Come dovrebbe funzionare, visto che il risultato del vertice è terrificante. Matteo Renzi l’ha buttata direttamente in propaganda: l’Europa salva le banche, ma lascia morire i bambini. Angelino Alfano dice che se l’Europa non riesce a raccogliere i morti, almeno si prenda i vivi. Per essere aiutati si deve dire come. Per sapere il come si deve aver chiaro il problema. Nell’Unione europea il confine più permeabile non è affatto, come molti credono di sapere, quello di mare, ma quello di terra; esistono quattro fondi europei per il contrasto all’immigrazione, che tengono conto delle esigenze dei paesi più esposti ma sebbene i confini terresti siano quelli da cui entrano più clandestini, nel presidiarli si può usare la forza, come gli spagnoli hanno  fatto a Melilla, mentre nel presidiare i confini marini non si può, perché equivale ad ammazzare le persone. Questo è il problema. L’Europa si prenda i vivi è improponibile, perché se si tratta di rifugiati ciò non solo è già previsto, ma già accade: gli iraniani che approdano da noi, da rifugiati, vanno in gran parte in Svezia, dove vengono regolarmente accolti più numerosi che da noi. E’ una regola prevista dal Regolamento di Dublino (per l’Italia firmò il medesimo Alfano) e già tutti i Paesi europei hanno i loro problemi in materia. Se non si tratta di rifugiati, ma di clandestini, non solo non se li prende nessuno, perché sono clandestini, ma se se li prendessero noi dovremmo cambiare mestiere, mettendoci a fare gli importatori d’immigrati: pagano 6000 dollari a testa, per rischiare di morire, con quella cifra ce li andiamo a prendere con gli aerei di linea? Peccato che è una attività criminale. Se passa l’invocazione a smistare altrove i clandestini da noi arriverebbero a milioni. Allora, ed è questo il punto, ciò su cui l’Ue deve essere chiamata a essere collaborativa e corresponsabile, non è nel risponde a generiche e confusionarie richieste d’aiuto, ma nel gestire una o più zone extraterritoriali, proprio perché sia il diritto e le autorità europee a distinguere fra rifugiati e clandestini, in modo da smistare (come già avviene) i primi e decidere, per i secondi, se c’è un mercato disposto ad accoglierli o se devono essere rimpatriati. Nel qual caso deve essere l’Ue a farlo. Questa  è la questione.  Un  “campus outside the Ue”, una zona extraterritoriale in cui distinguere gli uni dagli altri, assumendosi la responsabilità della loro sorte. Questo è quel che serve, data la particolarità di confini ove le autorità che dovrebbero presiedere ai respingimenti sono, in realtà, impegnate nei salvataggi. Via terra gli stati contrastano le infiltrazioni, via mare ce li andiamo a prendere a metà strada. Per questo abbiamo bisogno di un diverso regime giuridico, altrimenti non se ne esce. Trovo imbarazzante che chi governa sappia maledire e invocare, ma si mostri incapace di conoscere, pensare e proporre. Le sole cose che dovrebbe saper fare. C’è stato un tempo quando Maroni era Ministro  che si riuscì a trattare anche con soggetti loschi ma capaci di tenere a bada le brame. Ora i migranti si sono TRIplicati anche perché  Francia e Regno Unito hanno soffiato sul fuoco delle primavere arabe e scatenato la guerra civile in Libia. In quella guerra l’Italia vide danneggiati i propri interessi, mentre francesi e inglesi ci hanno guadagnato. Salvo poi lasciare i siriani al loro destino. Non ha senso che noi si debba subirne le ulteriori e umanamente pesanti conseguenze negative e adesso non si ricordi che Maroni fu crocefisso per la politica dei respingimenti che oggi ormai sono una flebilissima soluzione. Se imbarcazioni diroccate vanno, con il timone bloccato, a schiantarsi verso le cose italiane è anche perché i greci le lasciano passare. Così come i maltesi allontanano i barconi dei disperati. Quando fu varato Mare Nostrum avvertimmo subito del pericolo: da quel momento i barconi non dovevano più neanche raggiungere Lampedusa, limitandosi a uscire dalle acque territoriali di partenza prima di annunciare il proprio affondamento. Avvertimmo che ci si sarebbe messi al servizio dei commercianti di carne umana. Purtroppo avevamo ragione.


Decreto semplificazioni.Scena prima: controllo a distanza

Sfogliando la margherita: decreto semplificazioni. Scena prima:Controllo a distanza e dubbi concreti

Il decreto prevede all’art. 23 la proposta di Modifica all’articolo 4 della  legge 300/1970, Statuto dei Lavoratori. La norma disciplina, da allora,  se e come  i datori di lavoro possono usare impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo sul posto di lavoro e l’intervento aggiornato normativo si sta rendendo necessario perché l’evoluzione tecnologica e le strumentazioni che i datori di lavoro oggi possono utilizzare hanno determinato una serie di dubbi in merito alla  sua applicabilità, in particolare del comma II che oggi obbliga le aziende a raggiungere un accordo sindacale quando utilizzano sistemi di controllo per esigenze produttive, organizzative o di sicurezza e da cui ovviamente  deriva anche la possibilità di controllo dell’attività lavorativa. La norma è stata oggetto di  pronunce  della Corte di Cassazione,( sentenza n° 15892/2007, n° 4375/2012 che rigurdano rispettivamente il controllo dei parcheggi aziendali e  ai sistemi di content filtering).Inoltre anche la sentenza  della Corte di Cassazione n° 2722/2012, ha ammesso controlli difensivi preventivi e reattivi nonché illeciti che si risolvono nel mero non lavoro e altri che pongono in essere anche una aggressione a un bene oggetto di tutela di titolarità dell’azienda, che prevedono di evitare l’accordo sindacale escludendo quindi che in certe situazioni siano già escluse dal campo di applicazione dell’Art. 4 comma 2 legge 300/1970. E’ evidente che essendosi aggiornate le tecniche anche informatiche legate alla sicurezza, ed essendoci sempre stato comunque un controllo indiretto del comportamento del lavoratore sul posto di lavoro, la situazione giurisprudenziali deve aggiornarsi anche  per le  possibili nuove installazioni e della conseguente (o meno) applicabilità dell’obbligo di accordo sindacale che  comunque rimane necessario. Il decreto prevede alcune novità. 

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JOBS ACT: penultimo atto nella nebbia

L'approvazione da parte del Consiglio dei ministri dello scorso 11 giugno di  altri quattro decreti attuativi del Jobs Act, non porta in dote al sistema del mercato del lavoro certezze, anzi pone  altri robusti interrogativi su come verrà applicata la governance  dei provvedimenti nella loro concreta attuazione. L’obiettivo chiaro è una deregolamentazione, notevoli  differenziazioni nel mondo del lavoro, sia sui contratti che sulle tutele, e un aumento esagerato del potere delle imprese ( magari singole e non è detto associate) senza elementi di riequilibrio in favore del  sistema lavoro. La  chiamano  “innovazione e semplificazione”  ma in verità si è realizzata una riduzione sostanziale della qualità del lavoro, degli spazi di contrattazione che  lo rendono  più povero e più fragile  e sicuramente  non maggiormente sviluppato e inclusivo . Tempi lunghi e indefiniti  di attuazione di un nuovo ed efficace sistema ( le coperture economiche e l’organizzazione delle nuove strutture in capo a inps  appaiono confusamente lontane anni luce ) sia per i lavoratori occupati, così come quelli in sospensione da lavoro o disoccupati, la struttura del sistema di welfare in confusione. In materia di ammortizzatori si interviene con una  riduzione dei tempi di copertura e degli strumenti a disposizione dei lavoratori. L'introduzione del meccanismo per le aziende del bonus malus, pensato quale deterrente, potrebbe  favorire i licenziamenti, visto l'aumento del costo delle contribuzioni nell'uso degli strumenti di “cassa “ e ha un bel da dire Poletti che vigilerà contro gli abusi. Chi vigilerà?

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ROMA e BOLOGNA cambiamo passo

Abitare a Bologna, una volta, significava stare in un posto davvero all’avanguardia, significava conoscere e partecipare all’eccellenza italiana. Bastava dire “vivo a Bologna” per suscitare lo sguardo ammirato dei più attenti  estimatori della democrazia progressista .A quella visione figlia di un passato glorioso, oggi se ne oppone , un’altra : Bologna è lo specchio del declino della politica e del territorio italiano. Non sono la sola però che si ribella a questa rassegnazione. Sicuramente l’assenza di  politici di rango  è un altro segno del tempo. Un tempo che non è semplicemente “Il numero del movimento secondo il prima e il poi” come sosteneva Aristotele nella Fisica, ma è un succedersi di avvenimenti a velocità variabile. E l’agogica del tempo delle relazioni tra politica e  cittadini. In pochissimi anni c’è stata anche a Bologna una accelerazione inaspettata, si è passati dalla partecipazione  alla indifferenza, al fastidio e al rifiuto di qualsiasi confronto, anche di merito, con la cittadinanza. Ci sono tramonti e tramonti ,ma quella dell’anima diessina e post comunista è un tramonto inarrestabile, con una resa dei conti al loro interno che non tiene conto di noi, gli altri, i cittadini che non sono pidiessini. Correnti a non finire nascono tutti i giorni e la ditta si è frantumata in tante piccole e inutili  aziendine.

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ATTO TERZO :Donne al governo.Donne Cannibali

Alessandra Servidori

 ATTO TERZO :  DONNE AL GOVERNO. Ma NOI NON ABBIAMO PAURA DI DIRE LA VERITA’-- 

Il nostro inarrestabile contributo ai programmi di governo oggi si sofferma sugli ultimi due decreti attuativi del JOBS ACT  del quale seguiamo puntualmente le evoluzioni. Il consiglio dei Ministri ha licenziato in via definitiva in attuazione della legge n. 183 del 2014 il decreto recante misure per la conciliazione delle esigenze di cura, vita e di lavoro; e il testo organico semplificato delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni;e 4 decreti legislativi   rimangono ancora  in esame preliminare sempre in attuazione della legge n. 183 del 2014, recanti disposizioni in materia di:razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale;riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro;riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive;razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità. Ritengo importante soffermarmi  prima di tutto sul decreto definitivo per la conciliazione delle esigenze di cura,vita e di lavoro. In estrema  sintesi il decreto  in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183,interviene  prevalentemente, sul testo unico a tutela della maternità (n° 151 del 26 marzo 2001 e successive integrazioni e modifiche), e reca misure volte a sostenere le cure parentali e a tutelare in particolare le madri lavoratrici. Il decreto interviene sul congedo obbligatorio di maternità, al fine di rendere più flessibile la possibilità di fruirne in casi particolari come quelli di parto prematuro o di ricovero del neonato. Il decreto prevede un’estensione massima dell’arco temporale di fruibilità del congedo parentale dagli attuali 8 anni di vita del bambino a 12. Quello parzialmente retribuito (30%) viene portato dai 3 anni di età-di oggi- a 6 anni di età del bambino; per le famiglie meno abbienti tale beneficio può arrivare sino ad 8 anni. Analoga previsione viene introdotta per i casi di adozione o di affidamento. 
In materia di congedi di paternità, viene estesa a tutte le categorie di lavoratori, e quindi non solo per i lavoratori dipendenti come attualmente previsto, la possibilità di usufruire del congedo da parte del padre nei casi in cui la madre sia impossibilitata a fruirne per motivi naturali o contingenti.  Sono inoltre state introdotte norme volte a tutelare la genitorialità in caso di adozioni e affidamenti prevedendo estensioni di tutele già previste per i genitori naturali. Importante l’estensione dell’istituto della automaticità delle prestazioni (ovvero l’erogazione dell’indennità di maternità anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi) anche ai lavoratori e alle lavoratrici iscritti alla gestione separata di cui alla legge n. 335/95 non iscritti ad altre forme obbligatorie.
Il decreto contiene due disposizioni innovative in materia di telelavoro e di donne vittime di violenza di genere. La norma sul telelavoro prevede benefici per i datori di lavoro privato che vi facciano ricorso per venire incontro  alle esigenze di cure parentali dei loro dipendenti. Un altra norma introduce il congedo per le donne vittime di violenza di genere ed inserite in percorsi di protezione debitamente certificati. Si prevede la possibilità per le lavoratrici dipendenti di datore di lavoro pubblico o privato, con esclusione del lavoro domestico,  nonché per le lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata o continuativa di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, per motivi legati a tali percorsi, garantendo loro la retribuzione e gli altri istituti connessi.
Queste misure - che scattano il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta, quindi a brevissimo - si applicano per ora "in via sperimentale per il solo anno 2015 e per le sole giornate di astensione riconosciute nell'anno medesimo". Dunque per godere di questi benefici anche per gli anni successivi servono altri decreti legislativi con la relativa copertura finanziaria (104 milioni gli oneri valutati per il 2015). Intanto, accogliendo “i generosi suggerimenti” dei pareri parlamentari, il governo si impegna a valutare "la possibilità" anche "di finanziare servizi di baby sitting e asili pubblici in prossimità dei luoghi di lavoro o di residenza della lavoratrice o, in alternativa, l'incentivazione di servizi innovativi quali il 'nido di famiglia' o la 'tagesmutter'".

Dunque mancano pezzi importanti che invece erano previsti nella  stesura della delega, su cui torniamo successivamente e comunque corredate da concrete valutazioni. Noi abbiamo ben segnalato sulla base della nostra esperienza che il divario occupazionale di genere resta tra i più elevati d’Europa, per non parlare del tasso di occupazione femminile in sé, sempre saldamente al di sotto della media europea. Avevamo sperato che il dato ispirasse il legislatore anche perché comunque il Rapporto della Commissione Europea  ci taccia  nel 2014   di essere un classic male-breadwinner model e ci punta addosso il dito per un’elevata incidenza del sistema informale di cura (prevalentemente assolto da familiari) e ci segnala  pure che il gender gap è addirittura aumentato e le donne ( comunque italiane) stando ai Rapporti Istat Aprile 2015 soffrono una più elevata instabilità occupazionale, con una maggiore incidenza del lavoro a termine e una minore probabilità  di stabilizzazione del rapporto di lavoro, e, come ci dicono i dati di Alma Laurea sono più svantaggiate sul piano salariale e sul piano della coerenza tra lavoro e livello di istruzione posseduto( sempre conseguito più velocemente e con votazioni più alte dei ragazzi). Quindi se alle nostre donne continuiamo ad assicurare  precarietà, bassi livelli retributivi, scarsa qualificazione dell’impiego rispetto al proprio livello di istruzione, non meravigliamoci se poi ci sentiamo dire che loro spesso sono demoralizzate per i forti disincentivo a cercare o mantenere un lavoro. Poi vero è che il Governo Renzi si “è impegnato” ma sarà sempre molto tardi perché , i costi (economici, sociali e umani) per così dire di esternalizzazione dei servizi di cura (asilo, baby-sitter, badante) possono giungere a superare i benefici (economici, sociali e umani) di un lavoro. Poi se i legislatori si fossero almeno coordinati tra di loro almeno non avremmo avuto due pesi e due misure e la tanta agognata unificazione delle norme tra lavoro pubblico e lavoro privato nonché autonomo, almeno in materia di maternità e congedi avrebbe potuto uniformarsi da subito. Invece e invece  esiste una parallela delega (l’art. 11 del ddl S 1577) in tema di conciliazione vita/lavoro nella pubblica amministrazione al quale si sovrappone quanto previsto nel cosiddetto Jobs Act, ove si prevede una estensione dei principi al settore pubblico. Ma perché ?  la maternità e i congedi  non sono comunque  per favorire la conciliazione nel lavoro pubblico e privato? Ma perché  sono inseriti in due sedi diverse e sono forse  trattati da diverse tutele e da commissioni parlamentari diverse? E dove è finita l’introduzione delle TAX CREDIT prevista in delega ?   Era assolutamente necessaria quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito complessivo della donna lavoratrice».E  l’ «armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico»: come sarà svolta l’armonizzazione, dunque, e non abolizione, la quale finirebbe solo per indebolire la condizione delle famiglie monoreddito. La questione delle detrazioni  per il coniuge a carico è ancora oggi  un problema serio, spesso sottovalutato: il meccanismo della detrazione costituisce un involontario incentivo al lavoro nero delle donne, soprattutto nell’ambiente lavorativo domestico difficilmente sottoposto a controlli ispettivi come le collaboratrici domestiche e badanti. Aggiungendo infatti  il vantaggio della detrazione a favore del coniuge alla scarsa o inesistente incidenza del versamento contributivo sulla prestazione previdenziale (per esempio, in ragione della storia contributiva pregressa della lavoratrice), si viene a creare l’anacronistica situazione che il lavoro nero può convenire, non solo al datore di lavoro, ma anche al lavoratore, in questo caso alla lavoratrice.  Anche sul tema della incentivazione della negoziazione collettiva volta a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività in chiave conciliativa, bisogna stare con i piedi ben piantati per terra ,perché una cosa sono gli accordi sul welfare aziendale e una realtà  le politiche di flessibilità dei tempi nell’ottica della conciliazione vita/lavoro che  con estrema difficoltà sono riuscite ad essere sviluppati. Perché noi siamo convinte che l’obiettivo della  realizzazione  della conciliazione non passa solo attraverso la contrattazione ma  attraverso  anche una  tecnica di regolazione sociale. Da una parte l’incentivazione alle aziende ( sempre più modesto è il Capitolo assegnato al premio di produttività nelle leggi finanziarie e un 10% sarà veramente pochissimo!) dall’altra  una preliminare verifica delle esperienze sperimentali ancora in corso (che non possono cancellarsi all’improvviso), anche a livello contrattuale, con la necessità di portare a sistema un’esperienza varia e composita, maturata anche livello regionale, con la necessità di dotare il sistema della conciliazione di un solido quadro valoriale di riferimento, imprescindibile sia per il lavoro pubblico, sia per il lavoro privato,  non separati. In particolare, perché la delega risulti credibile dovrebbe prevedere che ogni disposizione approvata in materia di lavoro (la restante arte della delega contenuta nel d.d.l. 1428 e successivi decreti delegati) sia accompagnata da una specifica analisi d’impatto di genere alla luce dell’obbligo di gender mainstreaming che grava su ogni livello regolativo dal 2010 come dettato dalla UE. Sono molti i dubbi che la parte del decreto solleva a proposito della possibilità di cessione di congedi parentali o ferie  a prescindere dalle condivisibili istanze di solidarietà tra colleghi che evoca poiché , lascia in ombra le modalità concrete di funzionamento del sistema di donazione di tempo ai genitori che ne hanno bisogno per assistere il figlio, svalorizzando quegli strumenti della contrattazione collettiva già esistenti in Italia che potevano, al limite, essere rivitalizzati dall’aggiunta di un espresso scambio interno a finalità sociali, sul modello allargato delle banche delle ore  magari con specifica incentivazione. Così come è francamente dubbiosa la scelta di  ridurre e da quindici a cinque giorni il periodo minimo di preavviso per l'esercizio del diritto al congedo parentale da comunicare al datore di lavoro - ferma restando l'ipotesi (già vigente) che i contratti collettivi contemplino un termine più ampio - e si introduce, per l'ipotesi di fruizione su base oraria, un termine minimo di preavviso di due giorni.Come faranno ad organizzarsi in azienda Dio li dovrà aiutare molto nella programmazione. Quanto poi il riferimento esclusivo al telelavoro, avrebbe potuto contenere un’apertura maggiore, facendo riferimento in generale a misure di flessibilità organizzativa, in modo che all’interno potessero esservi ricomprese anche ipotesi, quali lo smart working o lavoro agile, che  non ancora normate e comunque staccate,quando invece si stanno affermando a livello aziendale, incentivando per tale via l’attuazione di soluzioni innovative, in ottica sussidiaria e migliorativa.

Le misure sin qui citate sono attuate in via sperimentale solo per il 2015, mentre si dispone una sperimentazione triennale (2016-2018), per la previsione secondo cui , come sopra si accennava ,una quota pari al 10% del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello è destinata alla promozione della conciliazione vita professionale-vita privata, in virtù dei criteri  e delle modalità di utilizzo che verranno definiti con decreto ministeriale, il quale conterrà anche ulteriori azioni e modalità di intervento in materia, pure attraverso l’adozione di linee guida e modelli finalizzati a favorire la stipula di contratti collettivi aziendali. Troppi decreti attuativi legati alla realizzazione del decreto di cui stiamo parlando.

 In ultima analisi ,la questione poi che lascia interrogativi mostruosi è legata ad un altro decreto “sospeso” di cui siamo particolarmente curiosi  ed aspettiamo “il parto”.Si Tratta del decreto ancora in esame preliminare di Razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità. Ecco in particolare le altre disposizioni in materia di Pari Opportunità . I principali interventi riguardano:

  • la revisione dell’ ambito territoriale di riferimento delle consigliere di parità provinciali in vista della soppressione delle province;
  • la modifica della composizione e delle competenze del Comitato nazionale di parità;
  • la modifica delle competenze e della procedura di designazione e nomina delle consigliere, semplificando l’iter di nomina e superando le incertezze dovute alla precedente formulazione;
  • l’introduzione del principio secondo cui per le consigliere di parità non trova applicazione lo spoil system di cui all’art. 6, comma 1, della legge n. 145/2002;
  • la ridistribuzione fra gli enti interessati degli oneri per il sostegno alle attività delle consigliere;
  • l’introduzione della Conferenza nazionale delle consigliere di parità, per rafforzare e accrescere l’efficacia della loro azione, e consentire lo scambio di informazioni, esperienze e buone prassi. La Conferenza sostituisce la Rete delle consigliere e opera senza oneri per la finanza pubblica.

Ecco come si fa a massacrare le politiche di Pari Opportunità che hanno una loro ragione di essere nell’ambito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali:  non  possono  essere solo lasciate ad unaPresidenza del Consiglio dei Ministri che poco e male se ne sta occupando( avendone la Delega per legge) con una pupilla renziana, di scarsa competenza. Stiamo  perdendo tutta quell’esperienza che si è sviluppata sia a livello nazionale che internazionale in materia giuslavoristica e antidiscriminatoria ,dopo aver tagliato tutte le risorse anche umane  al ministero del lavoro , con una deriva politica esclusivamente omosessuale e trans gender la questione della parità in mano All’UNAR Ufficio Antidiscriminazioni razziali che gode di risorse e favore della Presidenza del Consiglio . La politica sta veramente affondando in un mare di feroce cannibalismo sulla pelle delle donne. Complici e colpevolmente consapevoli e impavide  altre donne che ricoprono incarichi di Governo .

Alessandra Servidori

 

Donne al governo ATTO SECONDO

 Alessandra Servidori

 NON ABBIAMO PAURA : Donne al governo              ATTO SECONDO

Riprendiamo il filo  di quel  gran maestro che è Giuseppe De Rita  e ripartiamo da lì  per fare le nostre proposte: dalla situazione economica  italiana  in galleggiamento. La nostra società non ha subito lo shock della crisi con la stessa gravità di altri sistemi economici ( a parte la Grecia), ma allo stesso modo non beneficerà con altrettanta intensità dei vantaggi della ripresa ed è ancora  affossata dagli  invertiti  cicli negli anni della crisi perfida e interminabile (-8% il Pil e -6,5% i consumi tra il 2008 e il 2014). Ma nonostante ciò  l'efficacia della tenuta italiana  si deve ai comportamenti collettivi. Dal risparmio cautelativo al consumo sobrio ed essenziale, dalla minore propensione all'indebitamento delle famiglie alla rinnovata spinta patrimonialista (che però immobilizza i capitali), dalla ridotta finanziarizzazione dell'economia al nuovo sommerso, fino alla riconferma di un modello di piccola impresa e di welfare familiare, caratteri italici di un meccanismo con riequilibri interni al sistema tra risparmi, consumi, investimenti, comportamenti di adattamento sommerso che prima ha ammortizzato l'urto della crisi, ma che oggi rende più difficile acchiappare la ripresa. Così se ( ma pare di sì) arriva la ripresa, le imprese sarebbero pronte  ma la politica  è inchiodata anche a causa di una pubblica amministrazione inefficiente. Gli italiani e le italiane anche ulteriormente arrabbiati dalla corruzione esplosa  e riesplosa , chiedono pene severe per corrotti e fannulloni ,licenziamenti nel pubblico impiego,poiché vi è un tappo insopportabile dell’economia imprenditoriale anche a causa di una Pubblica Amministrazione inefficiente che la politica non riesce a riformare. Dai dati delle Camere di Commercio sappiamo che il nostro Paese conta su in milione di imprese in rampa di lancio, oltre un milione di società di capitali attive: sono le più robuste e strutturate nell'universo di 5,2 milioni di imprese italiane complessive, quelle in grado di attirare risorse e mettersi in marcia verso la ripresa. Sono comunque aumentate del 105% tra il 2000 e il 2014 e del 33,5% anche negli anni di crisi 2007-2014. E ci sono 212.000 imprese esportatrici e soggetti economici che fanno business all'estero  per un valore dell'export pari nell'ultimo anno a 380 miliardi di euro. Crollo del prezzo del petrolio, euro debole sul dollaro e denaro a basso costo mettono il turbo  alle imprese italiane che vanno per il mondo. Nemmeno nella crisi è venuto meno il vizio antico degli italiani del fare impresa: a fine 2014 si è registrato un saldo attivo di 32.000 imprese aggiuntive. Gli effetti positivi si vedono soprattutto nella ristorazione (quasi 11.000 imprese registrate in più nel 2014) e nel commercio (+7.500 imprese), oltre che nei servizi alle imprese (+9.300). Decollano anche le start up innovative, tra commercio online, servizi mobile : sono oggi più di 3.500.E allora la priorità sociale nella ripresaè la creazione di lavoro. Il bilancio dell'occupazione nel periodo della crisi testimonia la perdita di 615.000 posti di lavoro e l'aumento del lavoro a tempo determinato.  Sui nuovi assunti del 2013 le persone con contratto a tempo determinato (inclusi i cocopro) sono state il 60,2% del totale, e come abbiamo già segnalato , tra i giovani la percentuale sale al 69,6%, comprese ovviamente anche le giovani donne ,mentre per le donne adulte rimane ancora una forbice troppo ampia tra chi è riuscita ad entrare e rimanere nel mercato del lavoro e chi è e rimane fuori.  Ora che  ISTAT  annuncia la ripresa  dobbiamo  porre  l’attenzione  per chi entra nel mercato del lavoro  perché non si  creino  fasce di lavoratori penalizzati e facilmente ricattabili se non si governa con equilibrio il processo riformatore dei contratti a tutele crescenti. Sicuramente  le aziende non assumerebbero nuovo personale devono poterlo mandare via se non vale,ed   è comprensibile la progressività  perché le nuove forza lavoro è meno capace e produttiva e deve imparare. Ma  non solo : attenzione alle discriminazioni e alle Pari Opportunità ma anche introduzione di agevolazioni fiscali per chi assume risorse umane femminili..Oggi mentre scriviamo le persone a rischio di povertà o esclusione sociale in Italia sono aumentate di oltre 2,2 milioni negli ultimi sei anni di crisi: sono passate da 15.099.000 a 17.326.000. Il tasso di persone a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 28,4% in Italia, superiore a Spagna (27,3%), Regno Unito (24,8%), Germania (20,3%) e al valore medio dell'Ue (24,5%). Le disuguaglianze sono aumentate perché chi meno aveva più ha perso: nell'ultimo anno gli operai hanno avuto un taglio della spesa media familiare mensile del 6,9%, gli imprenditori del 3,9% e i dirigenti dell'1,9%. Ci sono poi due grandi ambiti che indichiamo per rivitalizzare spazi imprenditoriali e  nuove occasioni occupazionali.Il primo è il processo di radicale revisione del welfare: crescono il welfare privato (il ricorso alla spesa «di tasca propria» e/o alla copertura assicurativa), il welfare comunitario (attraverso la spesa degli enti locali, il volontariato, la socializzazione delle singole realtà del territorio), il welfare aziendale, il welfare associativo (con il ritorno a logiche mutualistiche e la responsabilizzazione delle associazioni di categoria). Il secondo ambito è quello della economia delle relazioni e digitale: dalle reti infrastrutturali di nuova generazione al commercio elettronico che non significa annullamento delle relazioni sociali, anzi!L’  elaborazione intelligente di grandi masse di dati agli applicativi basati sulla localizzazione geografica e la messa a disposizione della società attiva, lo sviluppo degli strumenti digitali ,i servizi innovativi di comunicazione, la crescita massiccia di giovani «artigiani digitali» e di un popolo adulto che vuole impadronirsi anche dei computer. Il filo rosso che può fare da nuovo motore dello sviluppo è la connettività (non banalmente la connessione tecnica) fra i soggetti  e persone in carne ed ossa coinvolte in questi processi. Dobbiamo essere meno  individualisti , egoisti , meno resistenti  a mettere insieme esistenze e obiettivi, più immedesimazione nell'interesse collettivo e nelle istituzioni. Possiamo spingere le istituzioni ad essere  meno autoreferenziali,  meno avvitate su se stesse, condizionate dagli interessi delle categorie, avulse dalle dinamiche che dovrebbero regolare, pericolosamente politicizzate, con il conseguente declino della terzietà necessaria per gestire la dimensione intermedia fra potere e popolo. E la connettività la relazione attiva e reciproca non può lievitare nemmeno nella dimensione politica, che è più propensa all'enfasi della mobilitazione che al paziente lavoro di discernimento e mediazione necessario per fare connettività, scivolando di conseguenza verso l'antagonismo, la personalizzazione del potere, la vocazione maggioritaria, la strumentalizzazione delle istituzioni, la prigionia decisionale in logiche semplificate e rigide (dalla selva dei decreti legge all'uso continuato dei voti di fiducia). Se istituzioni e politica non sembrano in grado di valorizzarla, la spinta alla connettività sarà in orizzontale, nei vari sottosistemi della vita collettiva. NOI ne siamo certe : se questa società è lasciata  al suo respiro più spontaneo, produce frutti più positivi di quanto si pensi. Sarebbe cosa buona e giusta fargli «tirar fuori il fiato».A questo noi puntiamo.

 

DIMISSIONI FANTASMA

DIMISSIONI  LAVORATRICI FANTASMA

Con una laconica comunicazione alle consigliere territoriali di parità il Ministero del lavoro ha disposto il rinvio sine die della presentazione della Relazione annuale sulle Convalide delle dimissioni consensuali delle lavoratrici madri e lavoratori  padri (di cui all’art 55 del dgls n.151720019 per l’anno 2014). Come è noto,la relazione, curata dalla Divisione generale Attività ispettiva e dalla Consigliera Nazionale di parità (chi scrive  dunque fino al 20 marzo 2015 a mandato scaduto) viene predisposta allo scopo di monitorare l’efficacia delle misure legislative rivolte a contrastare l’odioso fenomeno delle “dimissioni in bianco” ovvero dei comportamenti scorretti  e gravemente lesivi delle tutele in vigore per la maternità e paternità attraverso i quali i datori di lavoro disonesti si liberano soprattutto di lavoratrici divenute “scomode”, quando diventano madri. Dati anche recenti dimostrano che vi è una forte crisi della natalità – nonostante l’apporto proveniente dalle straniere - e che è quidi decisivo riuscire a conciliare la maternità e la paternità con la possibilità di non dover rinunciare al lavoro.

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La rete tra donne: RARISSIMA

LA RETE TRA DONNE? COMPLICATISSIMA E RARA E QUANDO C'È È STRAORDINARIA

La rete di collaborazione con le donne è molto complicata e rara ma succede che durante il tuo percorso incontri dei veri talenti  che possono integrare con competenze diverse il tuo lavoro, soprattutto se nato anche da un rispetto reciproco e da amicizia e nel riconoscere che non tutti possiamo sapere tutto. Nasce così la squadra ,nella quale puoi ,anche se raramente però, contare e realizzare esperienze concrete dalla parte del lavoro .Infatti  non mi piacciono  le competizioni, le ipocrisie, non mi piacciono coloro che  soffiano il lavoro ad altri e ad altre . Cerco alleati e alleate , a volte sono stata delusa ma la maggior parte dei casi ho reagito e sono andata avanti , cancellando quel nome.  Sono piuttosto contenta di poter dire di non aver mai usato le persone e di aver capito in tempo per reagire, che ero usata e dunque, di aver mandato a farsi benedire i saprofiti. L'ipocrisia serve a nascondere al mondo ciò che  non riescono ad essere o affrontare. L'incapacità di accettare il modo di essere degli altri, l'invidia, l'essere particolarmente piccoli e aver bisogno di conferme è un limite che spesso registriamo, ma basta non farsene un problema. Basta un tradimento, perdere il lavoro, problemi di salute, perché il dolore  colpisca.         
Alcune donne sono nemiche sì, soprattutto di loro stesse, perché si ritroveranno sempre sole. Ecco tra le persone che stimo c’è Roberta Bortolucci e ridendo oggi al telefono ho detto : “Dai che spariamo in etere la nostra alleanza di lunga data, interrotta a volte da demenziali incomprensioni. Così nella reciprocità imparate a conoscerla  chi ancora non l’ha incontrata .L'intervento di Roberta Bortolucci al convegno #Apco su #intangibili e bilancio integrato: http://youtu.be/I9WOl1nsPcE  @robertabortoluc

Alessandra Servidori - 2015-05-24

DRAGHI NOVELLO AGNELLI

OcchiolinoALESSANDRA SERVIDORI 23 Maggio 2015

  E PER FORTUNA CHE C’E’ DRAGHI IL NOSTRO NUOVO AGNELLI

"La crescita si sta rafforzando annuncia Mario Draghi. La politica monetaria europea si sta facendo strada nell'economia".Ma intanto, proprio a seguito delle lunga crisi, il potenziale di crescita dell'area è ormai finito sotto l'1 per cento. Concretamente significa che si rischia una disoccupazione strutturale stabilmente sopra il 10 per cento. E per i giovani anche peggio. La crescita a rilento rende anche più difficile ridurre i debiti pubblici. Da quando è Presidente della Bce Draghi ripete incessantemente  gli appelli ad accelerare sulle riforme, che sicuramente  hanno effetti positivi già sul breve termine, posto che vengano "scelte attentamente".  Ma ecco ma, se si vogliono massimizzare i benefici di una riforma bisogna fare leva su orari e salari, piuttosto che sui licenziamenti. E durante la crisi, in vari Paesi , come la Germania si è visto che le imprese che potevano avvalersi di contrattati decentralizzati hanno ridotto l'occupazione meno di quelle vincolate ai contratti nazionali. E la povera, depressa Europa, grazie anche all’aiuto del nostro  banchiere centrale  (i prestiti auto sono destinati a far la parte del leone negli Asset-backed securities acquistati dalla Banca centrale),cercano di recuperare soprattutto nel settore automobilistico delle vendite e grazie al traino del favoloso Marchionne anche l’Italia con un 10,9% .Nel Regno Unito, il paese che più produce (dopo la Germania) e più esporta, tre auto su quattro sono vendute assieme a un pacchetto di agevolazioni finanziarie. Il Portogallo o la Spagna , spinta dagli incentivi, ha vissuto un vero e proprio boom (più 25,8 per cento rispetto a dodici mesi fa). I datti  dall’Istat confermano la tendenza: nell’intero 2014 il fatturato dell’industria è aumentato rispetto al 2013  e l’incremento tendenziale più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (più 13,2 per cento), veicoli inclusi. Nessun settore conta più dell’auto per misurare gli umori dell’economia. Un po’ perché ogni tuta blu in fabbrica (dove oggi, per la verità, si incontrano ormai più camici bianchi e computer che cacciavite a stella) porta con sé 6-7 posti di lavoro, dal marketing all’indotto fino alla pubblicità o all’assistenza. Le quattro ruote misurano comunque la febbre in un paese.I Big del settore sono pronti alla sfida con i nuovi padroni dell’economia in arrivo dalla new economy. E la Wolkswaghen sul versante delle riforme del lavoro e del welfare in Germania e ora Marchionne anche in Italia può dare impulso ai contratti aziendali come fece con Fiat nel 2010. Il settore è alla vigilia di un nuovo round di integrazioni, da cui emergeranno nuovi colossi, forti delle competenze, dei denari e del peso politico necessario per vincere una battaglia fatta per i giganti, che provengano dalla vecchia o dalla nuova economia. Bene noi non possiamo rimanere indietro posto che la creatività,il talento non ci mancano ,ma bisogna andare oltre la legislazione attuale che è lenta nella sua realizzazione. Le quattro ruote italiane hanno bisogno di maggior contrattazione aziendale  per stare al passo e non perdere il treno che è già in moto. Anche sottoscrivendo contratti con Reti d’impresa,per rispondere alla necessità di un maggior dimensionamento delle imprese metalmeccaniche. Per una forma di contratto che esula da quelli tradizionalmente utilizzati, più snello e meno impegnativo per gli imprenditori. Il contratto di rete rappresenta una libera aggregazione tra imprese, anche di diversi comparti  di settore (accessori, pelletteria,ecc) che permette di perseguire obiettivi strategici di innovazione e competitività, senza dover procedere a fusioni o incorporazioni. Si impone  l’introduzione di elementi di discontinuità e novità anche in attività e settori produttivi che non appartengono a forme di capitalismo mobile, in grado di dettare l’agenda e le priorità delle relazioni industriali quale unica alternativa alla delocalizzazione, quando non alla cessazione di attività dei siti produttivi.  E’ necessario superare la crisi dei sistemi di organizzazione e gestione del lavoro in atto, rispetto ad un mercato competitivo. Infatti, i temi della organizzazione aziendale e dunque del recupero della produttività attraverso l’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro flessibili ,economicamente e fiscalmente incentivate anche dai risultati,garantisce anche la salvaguardia impianti e  esigibilità degli accordi per liberare energie lavorative ed essere così competitivi sia sul mercato interno che estero.

Diritti omosessuali:parliamone

SorridenteALESSANDRA SERVIDORI -Diritti omosessuali ,diversità come valore .

E’ il titolo del convegno che  si terrà mercoledì  prossimo in  Senato. Si arriverà( ce lo auguriamo) a trovare  almeno una posizione comune  e ragionevole per affrontare con l’equilibrio necessario il tema dei diritti omossessuali  anche in Italia senza dover più addirittura proclamare una giornata dedicata a questo tema e tirare per la giacchetta anche il Presidente della Repubblica Mattarella? Il diritto penale italiano dal Codice Napoleonico del 1860,passando al codice Zanardelli del 1887, al Codice Rocco del 1930 strattona il cosidetto  reato di omo ed eterosessualità  che entra ed esce dal nostro ordinamento penale. Sta di fatto che la situazione del Codice Rocco, che resta il codice penale tuttora in vigore, non è stata modificata dai decenni successivi. I legislatori hanno continuato a rifiutare l'emanazione di leggi che toccassero il tema dell'omosessualità, sia in senso protettivo che repressivo, trattandola così come questione estranea allo Stato, e riconducibile semmai al campo della morale e della religione. Paradossalmente, questo atteggiamento ha impedito che nel dopoguerra venissero approvate anche in Italia, come invece avvenne in altre nazioni occidentali, leggi che criminalizzassero l'omosessualità, nonostante ci siano stati almeno tre tentativi d'introdurle. Questo atteggiamento tradizionale della classe politica italiana si è trascinato nel  governo italiano nella XIII legislatura 1996/ 2001,senza discutere delle unioni civili, oggi PACS ,nonché di comprendere l’omosessualità nella legge contro i crimini motivati dall’odio. Solo nella XIV legislatura (2001-2006) per la prima volta dal 1859 in seguito a una Direttiva UE  2000/78/CE contro le discriminazioni sul lavoro in base all'orientamento sessuale è stata recepita dalla legislazione italiana col decreto legislativo n. 216 del 9 luglio 2003 che, nel testo originario (modificato nel 2008), ribaltava in parte il senso della direttiva. In particolare all'articolo 3, comma 3, del Decreto legislativo nella sua versione originale recitava: « Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima. Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell'idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare. » Così la omosessualità per la prima volta viene citata dalle leggi italiane anche se la formulazione della norma NON era corrispondente al testo dell’art 4, 1° c.della direttiva 78/2000 che dice: « Fatto salvo l'articolo 2, paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a uno qualunque dei motivi di cui all'articolo 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato. »Così per la prima volta la norma dettava che  che l'orientamento sessuale potesse assumere rilevanza nel valutare se un cittadino era idoneo o meno ad entrare o permanere nelle Forze armate, in quelle di Polizia e nei Vigili del Fuoco. Il Ministero della difesa ha quindi varato un regolamento con il quale ha dichiarato di poter lecitamente trattare, per fini istituzionali, anche i dati sensibili riguardanti la vita sessuale dei dipendenti.). Analoghi regolamenti varati da parte di altri ministeri Interno,Giustizia,Economia,Finanze)dichiarano invece di poter trattare tale tipo di dato nei dipendenti, solo per quanto attiene l'eventuale cambiamento di sesso. Solo nel 2008 con il decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, convertito nella legge 6 giugno 2008, n. 101, è stata abrogata la disposizione che attribuiva rilevanza all'orientamento sessuale nel valutare l'idoneità o meno ad entrare o permanere nelle Forze armate, in quelle di Polizia e nei Vigili del Fuoco. Dunque, è stato abrogato il secondo periodo del terzo comma dell'art. 3 d.lgs. 216/2003. Inoltre, nel terzo comma dello stesso art. 3 cit. si richiede che la finalità sia legittima. In seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 101 del 2008, il terzo comma dell'art. 3 del d.lgs. 216/2003 risulta così formulato: « Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima. » E’ utile ricordare  come la presenza di omosessuali nell'ambito militare e, soprattutto, in quello delle Forze di polizia, sia considerato sovente all'estero del tutto lecito, tanto da avere un'organizzazione sindacale a livello europeo .Ad oggi l'Italia non permette alle coppie dello stesso sesso di contrarre matrimonio e, non prevedendo alcuna forma di riconoscimento giuridico per le coppie di fatto, non le riconosce neanche in quanto conviventi. Varie associazioni e partiti politici  stanno presentando suggerimenti per colmare queste mancanze.Tra le proposte minime c'è l'istituzione del PACS), che attribuirebbe ad una coppia che sottoscrive il patto, eterosessuale o omosessuale, una serie di diritti economici di solidarietà e alcuni diritti civili minori (per esempio il diritto all'eredità in caso di morte del partner, il diritto alla reversibilità della pensione ,, il diritto al subentro nel contratto d'affitto, il diritto di estensione della cittadinanza o di concessione del permesso di soggiorno in caso un membro della coppia sia straniero, agevolazioni fiscali varie, ma non è previsto il diritto all’adozione di figli. Attualmente le coppie dello stesso sesso, in Italia, non godono di alcun riconoscimento giuridico. In 78 Paesi del Mondo l’omosessualità è considerata reato.  Nell‘Unione Europea mancano parimenti di legislazioni simili in Slovacchia,Polonia, Grecia,Romania,Bulgaria ,mentre tutti gli altri Paesi prevedono un riconoscimento giuridico; in alcuni casi è previsto anche il matrimonio omosessuale. Interessanti sentenze degli organi giudiziari si muovono verso un riconoscimento  della situazione ,la Corte di Cassazione nel 2012  esprimendosi sulla richiesta di una coppia omosessuale sposata all'estero di vedere riconosciuto il matrimonio in Italia, pur negando tale riconoscimento in mancanza di leggi specifiche nello Stato italiano, dichiara:« La coppia omosessuale è “titolare del diritto alla vita familiare” come qualsiasi altra coppia coniugata formata da marito e moglie [...]. I componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se secondo la legislazione italiana non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia [...] possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata » . Nell’aprile 2013 la Corte Costituzionale, in occasione di una conferenza straordinaria sulle sue attività e attraverso il Presidente  Franco Gallo, richiama alla necessità di legiferare in merito ai diritti delle coppie omosessuali, sostenendo: « Bisogna regolamentare i diritti delle coppie omosessuali nei modi e nei limiti più opportuni”.Bene la politica faccia un passo avanti nella ragionevolezza, prenda anche a riferimento la legge tedesca che è un buon  esempio di equilibrio tra valori omosessuali e valori cristiani e della famiglia poiché sui diritti serve sicuramente una norma che tenga conto anche dei costi per riconoscere diritti civili.

 

OMOSESSUALITA'eOMOFOBIA:parliamone

RisatonaALESSANDRA SERVIDORI -Diritti omosessuali ,diversità come valore .18 maggio 2015

E’ il titolo del convegno che  si terrà mercoledì  prossimo 19 maggio in  Senato. Si arriverà( ce lo auguriamo) a trovare  almeno una posizione comune  e ragionevole per affrontare con l’equilibrio necessario il tema dei diritti omossessuali  anche in Italia senza dover più addirittura proclamare una giornata dedicata a questo tema e tirare per la giacchetta anche il Presidente della Repubblica Mattarella? Il diritto penale italiano dal Codice Napoleonico del 1860,passando al codice Zanardelli del 1887, al Codice Rocco del 1930 strattona il cosidetto  reato di omo ed eterosessualità  che entra ed esce dal nostro ordinamento penale. Sta di fatto che la situazione del Codice Rocco, che resta il codice penale tuttora in vigore, non è stata modificata dai decenni successivi. I legislatori hanno continuato a rifiutare l'emanazione di leggi che toccassero il tema dell'omosessualità, sia in senso protettivo che repressivo, trattandola così come questione estranea allo Stato, e riconducibile semmai al campo della morale e della religione. Paradossalmente, questo atteggiamento ha impedito che nel dopoguerra venissero approvate anche in Italia, come invece avvenne in altre nazioni occidentali, leggi che criminalizzassero l'omosessualità, nonostante ci siano stati almeno tre tentativi d'introdurle. Questo atteggiamento tradizionale della classe politica italiana si è trascinato nel  governo italiano nella XIII legislatura 1996/ 2001,senza discutere delle unioni civili, oggi PACS ,nonché di comprendere l’omosessualità nella legge contro i crimini motivati dall’odio. Solo nella XIV legislatura (2001-2006) per la prima volta dal 1859 in seguito a una Direttiva UE  2000/78/CE contro le discriminazioni sul lavoro in base all'orientamento sessuale è stata recepita dalla legislazione italiana col decreto legislativo n. 216 del 9 luglio 2003 che, nel testo originario (modificato nel 2008), ribaltava in parte il senso della direttiva. In particolare all'articolo 3, comma 3, del Decreto legislativo nella sua versione originale recitava: « Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima. Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell'idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare. » Così la omosessualità per la prima volta viene citata dalle leggi italiane anche se la formulazione della norma NON era corrispondente al testo dell’art 4, 1° c.della direttiva 78/2000 che dice: « Fatto salvo l'articolo 2, paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a uno qualunque dei motivi di cui all'articolo 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato. »Così per la prima volta la norma dettava che  che l'orientamento sessuale potesse assumere rilevanza nel valutare se un cittadino era idoneo o meno ad entrare o permanere nelle Forze armate, in quelle di Polizia e nei Vigili del Fuoco. Il Ministero della difesa ha quindi varato un regolamento con il quale ha dichiarato di poter lecitamente trattare, per fini istituzionali, anche i dati sensibili riguardanti la vita sessuale dei dipendenti.). Analoghi regolamenti varati da parte di altri ministeri Interno,Giustizia,Economia,Finanze)dichiarano invece di poter trattare tale tipo di dato nei dipendenti, solo per quanto attiene l'eventuale cambiamento di sesso. Solo nel 2008 con il decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, convertito nella legge 6 giugno 2008, n. 101, è stata abrogata la disposizione che attribuiva rilevanza all'orientamento sessuale nel valutare l'idoneità o meno ad entrare o permanere nelle Forze armate, in quelle di Polizia e nei Vigili del Fuoco. Dunque, è stato abrogato il secondo periodo del terzo comma dell'art. 3 d.lgs. 216/2003. Inoltre, nel terzo comma dello stesso art. 3 cit. si richiede che la finalità sia legittima. In seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 101 del 2008, il terzo comma dell'art. 3 del d.lgs. 216/2003 risulta così formulato: « Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima. » E’ utile ricordare  come la presenza di omosessuali nell'ambito militare e, soprattutto, in quello delle Forze di polizia, sia considerato sovente all'estero del tutto lecito, tanto da avere un'organizzazione sindacale a livello europeo .Ad oggi l'Italia non permette alle coppie dello stesso sesso di contrarre matrimonio e, non prevedendo alcuna forma di riconoscimento giuridico per le coppie di fatto, non le riconosce neanche in quanto conviventi. Varie associazioni e partiti politici  stanno presentando suggerimenti per colmare queste mancanze. Tra le proposte minime c'è l'istituzione del PACS), che attribuirebbe ad una coppia che sottoscrive il patto, eterosessuale o omosessuale, una serie di diritti economici di solidarietà e alcuni diritti civili minori (per esempio il diritto all'eredità in caso di morte del partner, il diritto alla reversibilità della pensione ,, il diritto al subentro nel contratto d'affitto, il diritto di estensione della cittadinanza o di concessione del permesso di soggiorno in caso un membro della coppia sia straniero, agevolazioni fiscali varie, ma non è previsto il diritto all’adozione di figli. Attualmente le coppie dello stesso sesso, in Italia, non godono di alcun riconoscimento giuridico. In 78 Paesi del Mondo l’omosessualità è considerata reato.  Nell‘Unione Europea mancano parimenti di legislazioni simili in Slovacchia,Polonia, Grecia,Romania,Bulgaria ,mentre tutti gli altri Paesi prevedono un riconoscimento giuridico; in alcuni casi è previsto anche il matrimonio omosessuale. Interessanti sentenze degli organi giudiziari si muovono verso un riconoscimento  della situazione ,la Corte di Cassazione nel 2012  esprimendosi sulla richiesta di una coppia omosessuale sposata all'estero di vedere riconosciuto il matrimonio in Italia, pur negando tale riconoscimento in mancanza di leggi specifiche nello Stato italiano, dichiara:« La coppia omosessuale è “titolare del diritto alla vita familiare” come qualsiasi altra coppia coniugata formata da marito e moglie [...]. I componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se secondo la legislazione italiana non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia [...] possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata » . Nell’aprile 2013 la Corte Costituzionale, in occasione di una conferenza straordinaria sulle sue attività e attraverso il Presidente  Franco Gallo, richiama alla necessità di legiferare in merito ai diritti delle coppie omosessuali, sostenendo: « Bisogna regolamentare i diritti delle coppie omosessuali nei modi e nei limiti più opportuni”.Bene la politica faccia un passo avanti nella ragionevolezza, prenda anche a riferimento la legge tedesca che è un buon  esempio di equilibrio tra valori omosessuali e valori cristiani e della famiglia poiché sui diritti serve sicuramente una norma che tenga conto anche dei costi per riconoscere diritti civili.

 

Il popolo italiano non e' BUE

ArrabbiatoAlessandra Servidori LIANOIL POPOLO ITALIANO NON E' BUE

Nel frullatore delle elezioni elettorali  che si consumeranno tra due settimane l’Italia è strattonata da quel che è rimasto dalle macerie della politica di maggioranza e opposizione. Il pericolo astensione è sempre più evidente e i sondaggi  hanno dimostrato  l’ inutilità anche perché gli umori degli italiani sia sull’immigrazione che sulla scuola, che sulla legge lettorale, si sono assai irritati. La  considerazione più frequente  fra le persone  è che  la confusione regna sovrana e soprattutto l’informazione è drogata. Dunque  cerchiamo di analizzare una sola vera questione : c’è o non c’è la ripresa e dunque la crescita ? Non facciamoci  stordire da dati contrastanti sparati a raffica e ormai insopportabilmente droganti.Moltissimi sono i vincoli davanti al governo, e i più pesanti li ha decisi lui stesso, nella legge di stabilità 2015. A partire dalle tre clausole di garanzia di aumento delle tasse tra 2016 e 2018, per complessivi 72 miliardi. Il primo gradino che scatterebbe nel 2016 riguarda oltre 16 miliardi, di cui 12,8 dal solo aumento dell’aliquota ordinaria Iva dal 22% al 24% (che potrebbe poi salire fino al 25,5% nel 2018. L’impegno reiterato continuamente da Padoan  dell’Italia è di chiudere il deficit pubblico al 2,6% del Pil in questo 2015, per scendere all’1,8% nel 2016. Vuol dire circa 10 miliardi di minor deficit, l’anno prossimo. Poi conteggiamo le riforme almeno più essenziali : il bonus 80 euro anche per il 2016(10 miliardi), la decontribuzione anche nel 2016 dei nuovi contratti a tempo indeterminato( nel 2015  sono 1,8 miliardi e per il 2016 servono almeno 2 miliardi), la riforma della scuola che sta diventando un vero problema soprattutto perché non si ravvisa nessun elemento di meritocrazia ma un costo di 4 miliardi.  Dunque solo queste tre voci sono 16 miliardi di copertura più i  10 miliardi di minor deficit e la questione sopraggiunta della perequazione delle pensioni al minimo,  portano il conto  almeno a  circa 30 miliardi . Se,è vero  come il governo ha dichiarato , l’intento prioritario è di non far scattare il primo scaglione delle clausole di salvaguardia fiscale, a cominciare dagli oltre 12 miliardi del solo aumento previsto dell’Iva, ecco che il conto delle misure da finanziare sale a circa 35 miliardi di euro se si intende eliminare solo l’aumento Iva, va oltre  se si conferma la volontà di evitare qualunque aumento di tasse.
Poi non dobbiamo dimenticare gli impegni verso Bruxelles dell’abbattimento del debito pubblico che solo nel mese  di aprile 2015 è aumentato di oltre 15 miliardi rispetto a marzo e dunque non solo continuiamo a spendere troppo nella PA ma dobbiamo anche considerare non solo i dati della disoccupazione e dunque la inevitabile bassa crescita italiana. Se il governo  avesse fatti propri gli obiettivi e le misure indicate dal commissario Carlo Cottarelli, i conti  sarebbero comunque migliori  perché gli interventi proposti allora, se applicati immediatamente, avrebbero tagliato la spesa pubblica di 7 miliardi nel 2014 e di 18 miliardi nel 2015 in corso, per poi salire a 34 miliardi di minor spesa nel 2016. Ma il governo ha massacrato il piano Cottarelli , e Renzi, disse sprezzante, che non erano poi idee geniali. E allora questi altri due geni nominati da Renzi al posto di Cottarelli,  Gutgeld e Perotti, incaricati della revisione della spesa, esterni al Mef mentre invece l’indicazione degli interventi su spesa e tasse dovrebbe essere la responsabilità politica più alta del premier e del ministro Padoan, hanno il compito  di dare l’indicazione dei tagli, per poi  il  giovane toscano  più agevolmente cambiarli e ridurli al lumicino trattando con i soggetti che dai tagli proposti sono investiti ? Per rafforzare l’esile ripresa, l’obiettivo dovrebbe essere non quello di non far salire le entrate, ma di diminuirle rispetto al 2014, su lavoro e imprese. Ma per far questo i tagli di spesa devono essere finalmente energici e decisi,anche per non riaprire il conflitto con l’Europa e soprattutto per non prendere in giro il popolo italiano. Che non è bue.

RENZI e le donne?

IndecisoALESSANDRA SERVIDORI

Caro RENZI e per l’occupazione femminile ? Forse ti serve il mio Osservatorio sull’occupazione femminile  italiana e qualche idea concreta.

Una delle richieste più reiterate al Governo,( ma è evidente al Presidente del Consiglio, che ne detiene la delega), è di valorizzare il lavoro che si è fatto,sulle politiche per le pari opportunità intese come politiche per sostenere l’occupabilità femminile,  convicendo la sua fedelissima Giovanna Martelli , a mettere in atto tutte quelle vigorose azioni che fino a marzo scorso sono state garantite dall’impegno del ministero del lavoro per il quale ho volentieri prestato la mia opera. Gratuitamente .

Cominciamo con gli ultimi dati INPS sui quali si è riaccesa la speranza del moto virtuoso dell’occupazione. Secondo l’Istituto nel primo trimestre 2015 aumentano, rispetto al corrispondente periodo del 2014, le assunzioni a tempo indeterminato (+91.277),  mentre diminuiscono i contratti a termine (-32.117) e le assunzioni in apprendistato (-9.188). Nel periodo considerato l’aumento complessivo delle nuove assunzioni è di 49.972 unità. Nello stesso periodo diminuiscono di 135.684 unità le cessazioni di rapporti di lavoro, per cui il saldo netto dei rapporti di lavoro è pari a 185.656 unità. Ma non abbiamo i dati disaggregati per genere. Peccato.

Dai dati del ministero del lavoro invece, con i rapporti disaggregati per genere nel mese di marzo 2015 il numero di attivazioni di nuovi contratti di lavoro è pari a 641.572. Di questi 162.498 sono contratti a tempo indeterminato dei quali 103.380 uomini e 59.118 donne; 381.234 sono contratti a tempo determinato dei quali 231.563 uomini e 149.671 donne;  16.844  dei quali 9495 uomini e 7349 donne sono contratti di apprendistato; 36.460  dei quali 14.707 uomini e 21.753 donne sono collaborazioni e 44.536 sono le forme di lavoro classificate nella voce “altro” .

Sempre con i dati del Ministero  disaggregati le cessazioni di attività nel mese di marzo 2015 il numero di cessazioni di rapporti di lavoro è pari a totale 549.273;  a tempo indeterminato sono in Totale 131.128 dei quali uomini  82.874 e donne 48.254;  a tempo determinato totale 310.566 dei quali 187.998 uomini e 122.568 donne; Apprendistato totale 14.953 dei quali 8315 uomini e 6638 donne; collaborazioni totale 46453 di cui uomini 25350 e donne 21103.

Dai dati in nostro possesso (Istat) a marzo 2015 il numero di occupati diminuisce rispetto a febbraio sia per la componente maschile (-0,4%) sia, in misura minore, per quella femminile (-0,1%). Il tasso di occupazione maschile, pari al 64,5%, diminuisce di 0,2 punti percentuali, mentre quello femminile, pari al 46,7%, rimane invariato.

La disoccupazione cresce nell’ultimo mese sia tra gli uomini (+1,5%) sia tra le donne (+1,7%). Lo stesso andamento si osserva per i tassi di disoccupazione: sia per quello maschile, pari all’11,9%, sia per quello femminile, pari al 14,3%, si registra un aumento di 0,2 punti percentuali. Vero è che i dati non sono un’opinione ma triste realtà  sulla quale non stiamo serene. E comunque non siamo rassegnate a “non muoverci” come parrebbe dal silenzio assordante calato come una scure sul tanto che si potrebbe mettere in pista per l’occupazione femminile. Con adeguate competenze e dettagliatamente. S’intende.

Dunque caro Renzi , poiché l’occupazione femminile è una delle priorità sia per l’Italia che per l’Europa, sarebbe utile serrare le fila e non disperdere le energie. Sopratutto quando siamo inchiodati a quel misero 46,7% ben lontano dagli obiettivi di valorizzazione delle risorse femminili che vogliono entrare e rimanere nel mercato del lavoro.

 

NON MANDATE FARAONE IN VIDEO

Se vogliamo una buona scuola ,non mandate in video Faraone!

Un consiglio non richiesto  sulla scuola e la bufera in cui ci troviamo.  La situazione di una delle riforme più delicate   nel bel mezzo di una campagna elettorale, è veramente drammatica. Non servono gli insulti ma almeno  un minimo di competenza e quel sottosegretario Faraone (di nome ma non di fatto!) non è né un attento politico né un esperto della materia e dunque diventa  molesto quando messo a confronto con  professori ,non sa neanche argomentare le ragioni o difendersi dai difetti che vengono a torto o a ragione cacciati in gola . Non c’è dubbio che  gestire in modo equilibrato  un'organizzazione con quasi un milione di dipendenti abituati ad essere la cassaforte  delle tessere sindacali del pubblico impiego significa comunque avviare una vera scuola dell’autonomia con  istituti scolastici pienamente responsabili riguardo al rispetto di linee guida essenziali  e ai risultati; con una maggiore libertà di valutazione e di scelta per le famiglie, e però  con dirigenti maggiormente preparati a garantire un rapporto tra pubblico e privato e comunità sociale che investa anche nell’istruzione e formazione e che contribuisca a sviluppare una economia virtuosa. Bisogna superare il modello della scuola anni ottanta e costruire le fondamenta di una scuola che offra maggiori e diverse competenze ai giovani lavorando in gruppo perché è questo che chiede il mercato del lavoro. La scuola e l’università italiana  devono riprendere a certificare il merito e dunque inserire nei percorsi formativi la vera meritocrazia. Dunque poiché in Italia di buone scuole e buone università ce ne sono che offrono percorsi formativi molto vicini al lavoro, che offrono apprendistato vero e non fittizio , che competono con le università straniere perché formano quegli oltre quattrocentomila neo diplomati e neolaureati italiani che cercano e trovano lavoro ,ora  la voce deve tornare agli studenti e alle loro famiglie che hanno diritto di chiedere e ottenere una scuola che imbocchi quel cambiamento di cui l’Italia ha bisogno.   

Bocca sigillataAlessandra Servidori -11 maggio 2015

NON mandate in video Faraone

Bocca sigillataAlessandra Servidori - 11 maggio -2015

Se vogliamo una buona scuola ,non mandate in video Faraone!

Un consiglio non richiesto  sulla scuola e la bufera in cui ci troviamo. Il La situazione di una delle riforme più delicate che ci troviamo  nel bel mezzo di una campagna elettorale,è veramente drammatica. Non servono gli insulti ma almeno  un minimo di competenza e quel sottosegretario Faraone (di nome ma non di fatto!) non è né un attento politico né un esperto della materia e dunque diventa  molesto quando messo a confronto con  professori ,non sa neanche argomentare le ragioni o difendersi dai difetti che vengono a torto o a ragione cacciati in gola . Non c’è dubbio che  gestire in modo equilibrato  un'organizzazione con quasi un milione di dipendenti abituati ad essere la cassaforte  delle tessere sindacali del pubblico impiego significa comunque avviare una vera scuola dell’autonomia con  istituti scolastici pienamente responsabili riguardo al rispettodi linee guida essenziali  e ai risultati; con una maggiore libertà di valutazione e di scelta per le famiglie, e però  con dirigenti maggiormente preparati a garantire un rapporto tra pubblico e privato e comunità sociale che investa anche nell’istruzione e formazione e che contribuisca a sviluppare una economia virtuosa. Bisogna superare il modello della scuola anni ottanta e costruire le fondamenta di una scuola che offra maggiori e diverse competenze ai giovani lavorando in gruppo perché è questo che chiede il mercato del lavoro. La scuola e l’università italiana  devono riprendere a certificare il merito e dunque inserire nei percorsi formativi la vera meritocrazia. Dunque poiché in Italia di buone scuole e buone università ce ne sono che offrono percorsi formativi molto vicini al lavoro, che offrono apprendistato vero e non fittizio , che competono con le università straniere perché formano quegli oltre quattrocentomila neo diplomati e neolaureati italiani che cercano e trovano lavoro ,ora  la voce deve tornare agli studenti e alle loro famiglie che hanno diritto di chiedere e ottenere una scuola che imbocchi quel cambiamento di cui l’Italia ha bisogno.   

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