Editoriali
Migranti, immigrati,clandestini, terroristi : il grande esodo che fa giustamente paura agli italiani
ALESSANDRA SERVIDORI
Migranti, immigrati,clandestini, terroristi : il grande esodo che fa giustamente paura agli italiani
In concomitanza con il Consiglio europeo del 25 e 26 giugno, che aveva tra i suoi temi centrali l’Agenda europea per l’immigrazione, IPSOS ha reso noto un sondaggio ( se mai ce n’era bisogno) per rilevare l’opinione degli italiani in merito alla loro percezione del fenomeno migratorio e alla sua gestione da parte del governo. Con i fatti concomitanti in Tunisia, Eritrea, Francia,e Qwait si registra la percentuale dell’opinione pubblica che ritiene l’immigrazione la principale minaccia per l’Italia in un clamoroso balzo in avanti rispetto alle rilevazioni dei mesi scorsi, fino quasi a raddoppiare (dal 13 al 25%). Purtroppo però i dati reali sul fenomeno migratorio, certamente significativi e in aumento,non li possiamo autenticamente misurare in quanto sfuggono al controllo , creando così anche un’ evidente emergenza nazionale. Si dice ( ma a parere della scrivente giustamente) che alimentano la paura i continui messaggi che parlano "alla pancia" degli italiani, favoriti da una copertura mediatica senza precedenti e da una strumentalizzazione del tema che si traduce anche in un giudizio negativo sulle risposte fornite dalla politica italiana .Ma non è più percezione ,è certezza e consapevolezza poiché sono giustificati i timori degli italiani, vista la ripresa degli sbarchi e l’invasione disumana, i recenti scandali sui centri di accoglienza ,l’atteggiamento di intransigente chiusura di molti paesi Ue (dalla Francia a quelli dell’Est). Il clima di generale confusione e preoccupazione in cui gli italiani non capiscono chi sia veramente chiamato a decidere, a quale livello (da quello europeo fino a quello regionale) e quali siano gli strumenti più efficaci da utilizzare (intervento militare, respingimenti, accordi con paesi di transito, accoglienza, ecc).Al punto in cui siamo bisogna avere coraggio e dire la verità. E’ imbarazzante e patetico sentire governanti che invocano l’aiuto europeo, in tema d’immigrazione, senza essere capaci di fare una proposta concreta di sensato su cosa debba essere tale aiuto. Come dovrebbe funzionare, visto che il risultato del vertice è terrificante. Matteo Renzi l’ha buttata direttamente in propaganda: l’Europa salva le banche, ma lascia morire i bambini. Angelino Alfano dice che se l’Europa non riesce a raccogliere i morti, almeno si prenda i vivi. Per essere aiutati si deve dire come. Per sapere il come si deve aver chiaro il problema. Nell’Unione europea il confine più permeabile non è affatto, come molti credono di sapere, quello di mare, ma quello di terra; esistono quattro fondi europei per il contrasto all’immigrazione, che tengono conto delle esigenze dei paesi più esposti ma sebbene i confini terresti siano quelli da cui entrano più clandestini, nel presidiarli si può usare la forza, come gli spagnoli hanno fatto a Melilla, mentre nel presidiare i confini marini non si può, perché equivale ad ammazzare le persone. Questo è il problema. L’Europa si prenda i vivi è improponibile, perché se si tratta di rifugiati ciò non solo è già previsto, ma già accade: gli iraniani che approdano da noi, da rifugiati, vanno in gran parte in Svezia, dove vengono regolarmente accolti più numerosi che da noi. E’ una regola prevista dal Regolamento di Dublino (per l’Italia firmò il medesimo Alfano) e già tutti i Paesi europei hanno i loro problemi in materia. Se non si tratta di rifugiati, ma di clandestini, non solo non se li prende nessuno, perché sono clandestini, ma se se li prendessero noi dovremmo cambiare mestiere, mettendoci a fare gli importatori d’immigrati: pagano 6000 dollari a testa, per rischiare di morire, con quella cifra ce li andiamo a prendere con gli aerei di linea? Peccato che è una attività criminale. Se passa l’invocazione a smistare altrove i clandestini da noi arriverebbero a milioni. Allora, ed è questo il punto, ciò su cui l’Ue deve essere chiamata a essere collaborativa e corresponsabile, non è nel risponde a generiche e confusionarie richieste d’aiuto, ma nel gestire una o più zone extraterritoriali, proprio perché sia il diritto e le autorità europee a distinguere fra rifugiati e clandestini, in modo da smistare (come già avviene) i primi e decidere, per i secondi, se c’è un mercato disposto ad accoglierli o se devono essere rimpatriati. Nel qual caso deve essere l’Ue a farlo. Questa è la questione. Un “campus outside the Ue”, una zona extraterritoriale in cui distinguere gli uni dagli altri, assumendosi la responsabilità della loro sorte. Questo è quel che serve, data la particolarità di confini ove le autorità che dovrebbero presiedere ai respingimenti sono, in realtà, impegnate nei salvataggi. Via terra gli stati contrastano le infiltrazioni, via mare ce li andiamo a prendere a metà strada. Per questo abbiamo bisogno di un diverso regime giuridico, altrimenti non se ne esce. Trovo imbarazzante che chi governa sappia maledire e invocare, ma si mostri incapace di conoscere, pensare e proporre. Le sole cose che dovrebbe saper fare. C’è stato un tempo quando Maroni era Ministro che si riuscì a trattare anche con soggetti loschi ma capaci di tenere a bada le brame. Ora i migranti si sono TRIplicati anche perché Francia e Regno Unito hanno soffiato sul fuoco delle primavere arabe e scatenato la guerra civile in Libia. In quella guerra l’Italia vide danneggiati i propri interessi, mentre francesi e inglesi ci hanno guadagnato. Salvo poi lasciare i siriani al loro destino. Non ha senso che noi si debba subirne le ulteriori e umanamente pesanti conseguenze negative e adesso non si ricordi che Maroni fu crocefisso per la politica dei respingimenti che oggi ormai sono una flebilissima soluzione. Se imbarcazioni diroccate vanno, con il timone bloccato, a schiantarsi verso le cose italiane è anche perché i greci le lasciano passare. Così come i maltesi allontanano i barconi dei disperati. Quando fu varato Mare Nostrum avvertimmo subito del pericolo: da quel momento i barconi non dovevano più neanche raggiungere Lampedusa, limitandosi a uscire dalle acque territoriali di partenza prima di annunciare il proprio affondamento. Avvertimmo che ci si sarebbe messi al servizio dei commercianti di carne umana. Purtroppo avevamo ragione.
ATTO TERZO :Donne al governo.Donne Cannibali
Alessandra Servidori
ATTO TERZO : DONNE AL GOVERNO. Ma NOI NON ABBIAMO PAURA DI DIRE LA VERITA’--
Il nostro inarrestabile contributo ai programmi di governo oggi si sofferma sugli ultimi due decreti attuativi del JOBS ACT del quale seguiamo puntualmente le evoluzioni. Il consiglio dei Ministri ha licenziato in via definitiva in attuazione della legge n. 183 del 2014 il decreto recante misure per la conciliazione delle esigenze di cura, vita e di lavoro; e il testo organico semplificato delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni;e 4 decreti legislativi rimangono ancora in esame preliminare sempre in attuazione della legge n. 183 del 2014, recanti disposizioni in materia di:razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale;riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro;riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive;razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità. Ritengo importante soffermarmi prima di tutto sul decreto definitivo per la conciliazione delle esigenze di cura,vita e di lavoro. In estrema sintesi il decreto in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183,interviene prevalentemente, sul testo unico a tutela della maternità (n° 151 del 26 marzo 2001 e successive integrazioni e modifiche), e reca misure volte a sostenere le cure parentali e a tutelare in particolare le madri lavoratrici. Il decreto interviene sul congedo obbligatorio di maternità, al fine di rendere più flessibile la possibilità di fruirne in casi particolari come quelli di parto prematuro o di ricovero del neonato. Il decreto prevede un’estensione massima dell’arco temporale di fruibilità del congedo parentale dagli attuali 8 anni di vita del bambino a 12. Quello parzialmente retribuito (30%) viene portato dai 3 anni di età-di oggi- a 6 anni di età del bambino; per le famiglie meno abbienti tale beneficio può arrivare sino ad 8 anni. Analoga previsione viene introdotta per i casi di adozione o di affidamento.
In materia di congedi di paternità, viene estesa a tutte le categorie di lavoratori, e quindi non solo per i lavoratori dipendenti come attualmente previsto, la possibilità di usufruire del congedo da parte del padre nei casi in cui la madre sia impossibilitata a fruirne per motivi naturali o contingenti. Sono inoltre state introdotte norme volte a tutelare la genitorialità in caso di adozioni e affidamenti prevedendo estensioni di tutele già previste per i genitori naturali. Importante l’estensione dell’istituto della automaticità delle prestazioni (ovvero l’erogazione dell’indennità di maternità anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi) anche ai lavoratori e alle lavoratrici iscritti alla gestione separata di cui alla legge n. 335/95 non iscritti ad altre forme obbligatorie.
Il decreto contiene due disposizioni innovative in materia di telelavoro e di donne vittime di violenza di genere. La norma sul telelavoro prevede benefici per i datori di lavoro privato che vi facciano ricorso per venire incontro alle esigenze di cure parentali dei loro dipendenti. Un altra norma introduce il congedo per le donne vittime di violenza di genere ed inserite in percorsi di protezione debitamente certificati. Si prevede la possibilità per le lavoratrici dipendenti di datore di lavoro pubblico o privato, con esclusione del lavoro domestico, nonché per le lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata o continuativa di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, per motivi legati a tali percorsi, garantendo loro la retribuzione e gli altri istituti connessi. Queste misure - che scattano il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta, quindi a brevissimo - si applicano per ora "in via sperimentale per il solo anno 2015 e per le sole giornate di astensione riconosciute nell'anno medesimo". Dunque per godere di questi benefici anche per gli anni successivi servono altri decreti legislativi con la relativa copertura finanziaria (104 milioni gli oneri valutati per il 2015). Intanto, accogliendo “i generosi suggerimenti” dei pareri parlamentari, il governo si impegna a valutare "la possibilità" anche "di finanziare servizi di baby sitting e asili pubblici in prossimità dei luoghi di lavoro o di residenza della lavoratrice o, in alternativa, l'incentivazione di servizi innovativi quali il 'nido di famiglia' o la 'tagesmutter'".
Dunque mancano pezzi importanti che invece erano previsti nella stesura della delega, su cui torniamo successivamente e comunque corredate da concrete valutazioni. Noi abbiamo ben segnalato sulla base della nostra esperienza che il divario occupazionale di genere resta tra i più elevati d’Europa, per non parlare del tasso di occupazione femminile in sé, sempre saldamente al di sotto della media europea. Avevamo sperato che il dato ispirasse il legislatore anche perché comunque il Rapporto della Commissione Europea ci taccia nel 2014 di essere un classic male-breadwinner model e ci punta addosso il dito per un’elevata incidenza del sistema informale di cura (prevalentemente assolto da familiari) e ci segnala pure che il gender gap è addirittura aumentato e le donne ( comunque italiane) stando ai Rapporti Istat Aprile 2015 soffrono una più elevata instabilità occupazionale, con una maggiore incidenza del lavoro a termine e una minore probabilità di stabilizzazione del rapporto di lavoro, e, come ci dicono i dati di Alma Laurea sono più svantaggiate sul piano salariale e sul piano della coerenza tra lavoro e livello di istruzione posseduto( sempre conseguito più velocemente e con votazioni più alte dei ragazzi). Quindi se alle nostre donne continuiamo ad assicurare precarietà, bassi livelli retributivi, scarsa qualificazione dell’impiego rispetto al proprio livello di istruzione, non meravigliamoci se poi ci sentiamo dire che loro spesso sono demoralizzate per i forti disincentivo a cercare o mantenere un lavoro. Poi vero è che il Governo Renzi si “è impegnato” ma sarà sempre molto tardi perché , i costi (economici, sociali e umani) per così dire di esternalizzazione dei servizi di cura (asilo, baby-sitter, badante) possono giungere a superare i benefici (economici, sociali e umani) di un lavoro. Poi se i legislatori si fossero almeno coordinati tra di loro almeno non avremmo avuto due pesi e due misure e la tanta agognata unificazione delle norme tra lavoro pubblico e lavoro privato nonché autonomo, almeno in materia di maternità e congedi avrebbe potuto uniformarsi da subito. Invece e invece esiste una parallela delega (l’art. 11 del ddl S 1577) in tema di conciliazione vita/lavoro nella pubblica amministrazione al quale si sovrappone quanto previsto nel cosiddetto Jobs Act, ove si prevede una estensione dei principi al settore pubblico. Ma perché ? la maternità e i congedi non sono comunque per favorire la conciliazione nel lavoro pubblico e privato? Ma perché sono inseriti in due sedi diverse e sono forse trattati da diverse tutele e da commissioni parlamentari diverse? E dove è finita l’introduzione delle TAX CREDIT prevista in delega ? Era assolutamente necessaria quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito complessivo della donna lavoratrice».E l’ «armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico»: come sarà svolta l’armonizzazione, dunque, e non abolizione, la quale finirebbe solo per indebolire la condizione delle famiglie monoreddito. La questione delle detrazioni per il coniuge a carico è ancora oggi un problema serio, spesso sottovalutato: il meccanismo della detrazione costituisce un involontario incentivo al lavoro nero delle donne, soprattutto nell’ambiente lavorativo domestico difficilmente sottoposto a controlli ispettivi come le collaboratrici domestiche e badanti. Aggiungendo infatti il vantaggio della detrazione a favore del coniuge alla scarsa o inesistente incidenza del versamento contributivo sulla prestazione previdenziale (per esempio, in ragione della storia contributiva pregressa della lavoratrice), si viene a creare l’anacronistica situazione che il lavoro nero può convenire, non solo al datore di lavoro, ma anche al lavoratore, in questo caso alla lavoratrice. Anche sul tema della incentivazione della negoziazione collettiva volta a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività in chiave conciliativa, bisogna stare con i piedi ben piantati per terra ,perché una cosa sono gli accordi sul welfare aziendale e una realtà le politiche di flessibilità dei tempi nell’ottica della conciliazione vita/lavoro che con estrema difficoltà sono riuscite ad essere sviluppati. Perché noi siamo convinte che l’obiettivo della realizzazione della conciliazione non passa solo attraverso la contrattazione ma attraverso anche una tecnica di regolazione sociale. Da una parte l’incentivazione alle aziende ( sempre più modesto è il Capitolo assegnato al premio di produttività nelle leggi finanziarie e un 10% sarà veramente pochissimo!) dall’altra una preliminare verifica delle esperienze sperimentali ancora in corso (che non possono cancellarsi all’improvviso), anche a livello contrattuale, con la necessità di portare a sistema un’esperienza varia e composita, maturata anche livello regionale, con la necessità di dotare il sistema della conciliazione di un solido quadro valoriale di riferimento, imprescindibile sia per il lavoro pubblico, sia per il lavoro privato, non separati. In particolare, perché la delega risulti credibile dovrebbe prevedere che ogni disposizione approvata in materia di lavoro (la restante arte della delega contenuta nel d.d.l. 1428 e successivi decreti delegati) sia accompagnata da una specifica analisi d’impatto di genere alla luce dell’obbligo di gender mainstreaming che grava su ogni livello regolativo dal 2010 come dettato dalla UE. Sono molti i dubbi che la parte del decreto solleva a proposito della possibilità di cessione di congedi parentali o ferie a prescindere dalle condivisibili istanze di solidarietà tra colleghi che evoca poiché , lascia in ombra le modalità concrete di funzionamento del sistema di donazione di tempo ai genitori che ne hanno bisogno per assistere il figlio, svalorizzando quegli strumenti della contrattazione collettiva già esistenti in Italia che potevano, al limite, essere rivitalizzati dall’aggiunta di un espresso scambio interno a finalità sociali, sul modello allargato delle banche delle ore magari con specifica incentivazione. Così come è francamente dubbiosa la scelta di ridurre e da quindici a cinque giorni il periodo minimo di preavviso per l'esercizio del diritto al congedo parentale da comunicare al datore di lavoro - ferma restando l'ipotesi (già vigente) che i contratti collettivi contemplino un termine più ampio - e si introduce, per l'ipotesi di fruizione su base oraria, un termine minimo di preavviso di due giorni.Come faranno ad organizzarsi in azienda Dio li dovrà aiutare molto nella programmazione. Quanto poi il riferimento esclusivo al telelavoro, avrebbe potuto contenere un’apertura maggiore, facendo riferimento in generale a misure di flessibilità organizzativa, in modo che all’interno potessero esservi ricomprese anche ipotesi, quali lo smart working o lavoro agile, che non ancora normate e comunque staccate,quando invece si stanno affermando a livello aziendale, incentivando per tale via l’attuazione di soluzioni innovative, in ottica sussidiaria e migliorativa.
Le misure sin qui citate sono attuate in via sperimentale solo per il 2015, mentre si dispone una sperimentazione triennale (2016-2018), per la previsione secondo cui , come sopra si accennava ,una quota pari al 10% del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello è destinata alla promozione della conciliazione vita professionale-vita privata, in virtù dei criteri e delle modalità di utilizzo che verranno definiti con decreto ministeriale, il quale conterrà anche ulteriori azioni e modalità di intervento in materia, pure attraverso l’adozione di linee guida e modelli finalizzati a favorire la stipula di contratti collettivi aziendali. Troppi decreti attuativi legati alla realizzazione del decreto di cui stiamo parlando.
In ultima analisi ,la questione poi che lascia interrogativi mostruosi è legata ad un altro decreto “sospeso” di cui siamo particolarmente curiosi ed aspettiamo “il parto”.Si Tratta del decreto ancora in esame preliminare di Razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità. Ecco in particolare le altre disposizioni in materia di Pari Opportunità . I principali interventi riguardano:
- la revisione dell’ ambito territoriale di riferimento delle consigliere di parità provinciali in vista della soppressione delle province;
- la modifica della composizione e delle competenze del Comitato nazionale di parità;
- la modifica delle competenze e della procedura di designazione e nomina delle consigliere, semplificando l’iter di nomina e superando le incertezze dovute alla precedente formulazione;
- l’introduzione del principio secondo cui per le consigliere di parità non trova applicazione lo spoil system di cui all’art. 6, comma 1, della legge n. 145/2002;
- la ridistribuzione fra gli enti interessati degli oneri per il sostegno alle attività delle consigliere;
- l’introduzione della Conferenza nazionale delle consigliere di parità, per rafforzare e accrescere l’efficacia della loro azione, e consentire lo scambio di informazioni, esperienze e buone prassi. La Conferenza sostituisce la Rete delle consigliere e opera senza oneri per la finanza pubblica.
Ecco come si fa a massacrare le politiche di Pari Opportunità che hanno una loro ragione di essere nell’ambito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali: non possono essere solo lasciate ad unaPresidenza del Consiglio dei Ministri che poco e male se ne sta occupando( avendone la Delega per legge) con una pupilla renziana, di scarsa competenza. Stiamo perdendo tutta quell’esperienza che si è sviluppata sia a livello nazionale che internazionale in materia giuslavoristica e antidiscriminatoria ,dopo aver tagliato tutte le risorse anche umane al ministero del lavoro , con una deriva politica esclusivamente omosessuale e trans gender la questione della parità in mano All’UNAR Ufficio Antidiscriminazioni razziali che gode di risorse e favore della Presidenza del Consiglio . La politica sta veramente affondando in un mare di feroce cannibalismo sulla pelle delle donne. Complici e colpevolmente consapevoli e impavide altre donne che ricoprono incarichi di Governo .
Alessandra Servidori
Donne al governo ATTO SECONDO
Alessandra Servidori
NON ABBIAMO PAURA : Donne al governo ATTO SECONDO
Riprendiamo il filo di quel gran maestro che è Giuseppe De Rita e ripartiamo da lì per fare le nostre proposte: dalla situazione economica italiana in galleggiamento. La nostra società non ha subito lo shock della crisi con la stessa gravità di altri sistemi economici ( a parte la Grecia), ma allo stesso modo non beneficerà con altrettanta intensità dei vantaggi della ripresa ed è ancora affossata dagli invertiti cicli negli anni della crisi perfida e interminabile (-8% il Pil e -6,5% i consumi tra il 2008 e il 2014). Ma nonostante ciò l'efficacia della tenuta italiana si deve ai comportamenti collettivi. Dal risparmio cautelativo al consumo sobrio ed essenziale, dalla minore propensione all'indebitamento delle famiglie alla rinnovata spinta patrimonialista (che però immobilizza i capitali), dalla ridotta finanziarizzazione dell'economia al nuovo sommerso, fino alla riconferma di un modello di piccola impresa e di welfare familiare, caratteri italici di un meccanismo con riequilibri interni al sistema tra risparmi, consumi, investimenti, comportamenti di adattamento sommerso che prima ha ammortizzato l'urto della crisi, ma che oggi rende più difficile acchiappare la ripresa. Così se ( ma pare di sì) arriva la ripresa, le imprese sarebbero pronte ma la politica è inchiodata anche a causa di una pubblica amministrazione inefficiente. Gli italiani e le italiane anche ulteriormente arrabbiati dalla corruzione esplosa e riesplosa , chiedono pene severe per corrotti e fannulloni ,licenziamenti nel pubblico impiego,poiché vi è un tappo insopportabile dell’economia imprenditoriale anche a causa di una Pubblica Amministrazione inefficiente che la politica non riesce a riformare. Dai dati delle Camere di Commercio sappiamo che il nostro Paese conta su in milione di imprese in rampa di lancio, oltre un milione di società di capitali attive: sono le più robuste e strutturate nell'universo di 5,2 milioni di imprese italiane complessive, quelle in grado di attirare risorse e mettersi in marcia verso la ripresa. Sono comunque aumentate del 105% tra il 2000 e il 2014 e del 33,5% anche negli anni di crisi 2007-2014. E ci sono 212.000 imprese esportatrici e soggetti economici che fanno business all'estero per un valore dell'export pari nell'ultimo anno a 380 miliardi di euro. Crollo del prezzo del petrolio, euro debole sul dollaro e denaro a basso costo mettono il turbo alle imprese italiane che vanno per il mondo. Nemmeno nella crisi è venuto meno il vizio antico degli italiani del fare impresa: a fine 2014 si è registrato un saldo attivo di 32.000 imprese aggiuntive. Gli effetti positivi si vedono soprattutto nella ristorazione (quasi 11.000 imprese registrate in più nel 2014) e nel commercio (+7.500 imprese), oltre che nei servizi alle imprese (+9.300). Decollano anche le start up innovative, tra commercio online, servizi mobile : sono oggi più di 3.500.E allora la priorità sociale nella ripresaè la creazione di lavoro. Il bilancio dell'occupazione nel periodo della crisi testimonia la perdita di 615.000 posti di lavoro e l'aumento del lavoro a tempo determinato. Sui nuovi assunti del 2013 le persone con contratto a tempo determinato (inclusi i cocopro) sono state il 60,2% del totale, e come abbiamo già segnalato , tra i giovani la percentuale sale al 69,6%, comprese ovviamente anche le giovani donne ,mentre per le donne adulte rimane ancora una forbice troppo ampia tra chi è riuscita ad entrare e rimanere nel mercato del lavoro e chi è e rimane fuori. Ora che ISTAT annuncia la ripresa dobbiamo porre l’attenzione per chi entra nel mercato del lavoro perché non si creino fasce di lavoratori penalizzati e facilmente ricattabili se non si governa con equilibrio il processo riformatore dei contratti a tutele crescenti. Sicuramente le aziende non assumerebbero nuovo personale devono poterlo mandare via se non vale,ed è comprensibile la progressività perché le nuove forza lavoro è meno capace e produttiva e deve imparare. Ma non solo : attenzione alle discriminazioni e alle Pari Opportunità ma anche introduzione di agevolazioni fiscali per chi assume risorse umane femminili..Oggi mentre scriviamo le persone a rischio di povertà o esclusione sociale in Italia sono aumentate di oltre 2,2 milioni negli ultimi sei anni di crisi: sono passate da 15.099.000 a 17.326.000. Il tasso di persone a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 28,4% in Italia, superiore a Spagna (27,3%), Regno Unito (24,8%), Germania (20,3%) e al valore medio dell'Ue (24,5%). Le disuguaglianze sono aumentate perché chi meno aveva più ha perso: nell'ultimo anno gli operai hanno avuto un taglio della spesa media familiare mensile del 6,9%, gli imprenditori del 3,9% e i dirigenti dell'1,9%. Ci sono poi due grandi ambiti che indichiamo per rivitalizzare spazi imprenditoriali e nuove occasioni occupazionali.Il primo è il processo di radicale revisione del welfare: crescono il welfare privato (il ricorso alla spesa «di tasca propria» e/o alla copertura assicurativa), il welfare comunitario (attraverso la spesa degli enti locali, il volontariato, la socializzazione delle singole realtà del territorio), il welfare aziendale, il welfare associativo (con il ritorno a logiche mutualistiche e la responsabilizzazione delle associazioni di categoria). Il secondo ambito è quello della economia delle relazioni e digitale: dalle reti infrastrutturali di nuova generazione al commercio elettronico che non significa annullamento delle relazioni sociali, anzi!L’ elaborazione intelligente di grandi masse di dati agli applicativi basati sulla localizzazione geografica e la messa a disposizione della società attiva, lo sviluppo degli strumenti digitali ,i servizi innovativi di comunicazione, la crescita massiccia di giovani «artigiani digitali» e di un popolo adulto che vuole impadronirsi anche dei computer. Il filo rosso che può fare da nuovo motore dello sviluppo è la connettività (non banalmente la connessione tecnica) fra i soggetti e persone in carne ed ossa coinvolte in questi processi. Dobbiamo essere meno individualisti , egoisti , meno resistenti a mettere insieme esistenze e obiettivi, più immedesimazione nell'interesse collettivo e nelle istituzioni. Possiamo spingere le istituzioni ad essere meno autoreferenziali, meno avvitate su se stesse, condizionate dagli interessi delle categorie, avulse dalle dinamiche che dovrebbero regolare, pericolosamente politicizzate, con il conseguente declino della terzietà necessaria per gestire la dimensione intermedia fra potere e popolo. E la connettività la relazione attiva e reciproca non può lievitare nemmeno nella dimensione politica, che è più propensa all'enfasi della mobilitazione che al paziente lavoro di discernimento e mediazione necessario per fare connettività, scivolando di conseguenza verso l'antagonismo, la personalizzazione del potere, la vocazione maggioritaria, la strumentalizzazione delle istituzioni, la prigionia decisionale in logiche semplificate e rigide (dalla selva dei decreti legge all'uso continuato dei voti di fiducia). Se istituzioni e politica non sembrano in grado di valorizzarla, la spinta alla connettività sarà in orizzontale, nei vari sottosistemi della vita collettiva. NOI ne siamo certe : se questa società è lasciata al suo respiro più spontaneo, produce frutti più positivi di quanto si pensi. Sarebbe cosa buona e giusta fargli «tirar fuori il fiato».A questo noi puntiamo.
DRAGHI NOVELLO AGNELLI
ALESSANDRA SERVIDORI 23 Maggio 2015
E PER FORTUNA CHE C’E’ DRAGHI IL NOSTRO NUOVO AGNELLI
"La crescita si sta rafforzando annuncia Mario Draghi. La politica monetaria europea si sta facendo strada nell'economia".Ma intanto, proprio a seguito delle lunga crisi, il potenziale di crescita dell'area è ormai finito sotto l'1 per cento. Concretamente significa che si rischia una disoccupazione strutturale stabilmente sopra il 10 per cento. E per i giovani anche peggio. La crescita a rilento rende anche più difficile ridurre i debiti pubblici. Da quando è Presidente della Bce Draghi ripete incessantemente gli appelli ad accelerare sulle riforme, che sicuramente hanno effetti positivi già sul breve termine, posto che vengano "scelte attentamente". Ma ecco ma, se si vogliono massimizzare i benefici di una riforma bisogna fare leva su orari e salari, piuttosto che sui licenziamenti. E durante la crisi, in vari Paesi , come la Germania si è visto che le imprese che potevano avvalersi di contrattati decentralizzati hanno ridotto l'occupazione meno di quelle vincolate ai contratti nazionali. E la povera, depressa Europa, grazie anche all’aiuto del nostro banchiere centrale (i prestiti auto sono destinati a far la parte del leone negli Asset-backed securities acquistati dalla Banca centrale),cercano di recuperare soprattutto nel settore automobilistico delle vendite e grazie al traino del favoloso Marchionne anche l’Italia con un 10,9% .Nel Regno Unito, il paese che più produce (dopo la Germania) e più esporta, tre auto su quattro sono vendute assieme a un pacchetto di agevolazioni finanziarie. Il Portogallo o la Spagna , spinta dagli incentivi, ha vissuto un vero e proprio boom (più 25,8 per cento rispetto a dodici mesi fa). I datti dall’Istat confermano la tendenza: nell’intero 2014 il fatturato dell’industria è aumentato rispetto al 2013 e l’incremento tendenziale più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (più 13,2 per cento), veicoli inclusi. Nessun settore conta più dell’auto per misurare gli umori dell’economia. Un po’ perché ogni tuta blu in fabbrica (dove oggi, per la verità, si incontrano ormai più camici bianchi e computer che cacciavite a stella) porta con sé 6-7 posti di lavoro, dal marketing all’indotto fino alla pubblicità o all’assistenza. Le quattro ruote misurano comunque la febbre in un paese.I Big del settore sono pronti alla sfida con i nuovi padroni dell’economia in arrivo dalla new economy. E la Wolkswaghen sul versante delle riforme del lavoro e del welfare in Germania e ora Marchionne anche in Italia può dare impulso ai contratti aziendali come fece con Fiat nel 2010. Il settore è alla vigilia di un nuovo round di integrazioni, da cui emergeranno nuovi colossi, forti delle competenze, dei denari e del peso politico necessario per vincere una battaglia fatta per i giganti, che provengano dalla vecchia o dalla nuova economia. Bene noi non possiamo rimanere indietro posto che la creatività,il talento non ci mancano ,ma bisogna andare oltre la legislazione attuale che è lenta nella sua realizzazione. Le quattro ruote italiane hanno bisogno di maggior contrattazione aziendale per stare al passo e non perdere il treno che è già in moto. Anche sottoscrivendo contratti con Reti d’impresa,per rispondere alla necessità di un maggior dimensionamento delle imprese metalmeccaniche. Per una forma di contratto che esula da quelli tradizionalmente utilizzati, più snello e meno impegnativo per gli imprenditori. Il contratto di rete rappresenta una libera aggregazione tra imprese, anche di diversi comparti di settore (accessori, pelletteria,ecc) che permette di perseguire obiettivi strategici di innovazione e competitività, senza dover procedere a fusioni o incorporazioni. Si impone l’introduzione di elementi di discontinuità e novità anche in attività e settori produttivi che non appartengono a forme di capitalismo mobile, in grado di dettare l’agenda e le priorità delle relazioni industriali quale unica alternativa alla delocalizzazione, quando non alla cessazione di attività dei siti produttivi. E’ necessario superare la crisi dei sistemi di organizzazione e gestione del lavoro in atto, rispetto ad un mercato competitivo. Infatti, i temi della organizzazione aziendale e dunque del recupero della produttività attraverso l’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro flessibili ,economicamente e fiscalmente incentivate anche dai risultati,garantisce anche la salvaguardia impianti e esigibilità degli accordi per liberare energie lavorative ed essere così competitivi sia sul mercato interno che estero.
Diritti omosessuali:parliamone
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OMOSESSUALITA'eOMOFOBIA:parliamone
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Il popolo italiano non e' BUE
Alessandra Servidori LIANOIL POPOLO ITALIANO NON E' BUE
Nel frullatore delle elezioni elettorali che si consumeranno tra due settimane l’Italia è strattonata da quel che è rimasto dalle macerie della politica di maggioranza e opposizione. Il pericolo astensione è sempre più evidente e i sondaggi hanno dimostrato l’ inutilità anche perché gli umori degli italiani sia sull’immigrazione che sulla scuola, che sulla legge lettorale, si sono assai irritati. La considerazione più frequente fra le persone è che la confusione regna sovrana e soprattutto l’informazione è drogata. Dunque cerchiamo di analizzare una sola vera questione : c’è o non c’è la ripresa e dunque la crescita ? Non facciamoci stordire da dati contrastanti sparati a raffica e ormai insopportabilmente droganti.Moltissimi sono i vincoli davanti al governo, e i più pesanti li ha decisi lui stesso, nella legge di stabilità 2015. A partire dalle tre clausole di garanzia di aumento delle tasse tra 2016 e 2018, per complessivi 72 miliardi. Il primo gradino che scatterebbe nel 2016 riguarda oltre 16 miliardi, di cui 12,8 dal solo aumento dell’aliquota ordinaria Iva dal 22% al 24% (che potrebbe poi salire fino al 25,5% nel 2018. L’impegno reiterato continuamente da Padoan dell’Italia è di chiudere il deficit pubblico al 2,6% del Pil in questo 2015, per scendere all’1,8% nel 2016. Vuol dire circa 10 miliardi di minor deficit, l’anno prossimo. Poi conteggiamo le riforme almeno più essenziali : il bonus 80 euro anche per il 2016(10 miliardi), la decontribuzione anche nel 2016 dei nuovi contratti a tempo indeterminato( nel 2015 sono 1,8 miliardi e per il 2016 servono almeno 2 miliardi), la riforma della scuola che sta diventando un vero problema soprattutto perché non si ravvisa nessun elemento di meritocrazia ma un costo di 4 miliardi. Dunque solo queste tre voci sono 16 miliardi di copertura più i 10 miliardi di minor deficit e la questione sopraggiunta della perequazione delle pensioni al minimo, portano il conto almeno a circa 30 miliardi . Se,è vero come il governo ha dichiarato , l’intento prioritario è di non far scattare il primo scaglione delle clausole di salvaguardia fiscale, a cominciare dagli oltre 12 miliardi del solo aumento previsto dell’Iva, ecco che il conto delle misure da finanziare sale a circa 35 miliardi di euro se si intende eliminare solo l’aumento Iva, va oltre se si conferma la volontà di evitare qualunque aumento di tasse.
Poi non dobbiamo dimenticare gli impegni verso Bruxelles dell’abbattimento del debito pubblico che solo nel mese di aprile 2015 è aumentato di oltre 15 miliardi rispetto a marzo e dunque non solo continuiamo a spendere troppo nella PA ma dobbiamo anche considerare non solo i dati della disoccupazione e dunque la inevitabile bassa crescita italiana. Se il governo avesse fatti propri gli obiettivi e le misure indicate dal commissario Carlo Cottarelli, i conti sarebbero comunque migliori perché gli interventi proposti allora, se applicati immediatamente, avrebbero tagliato la spesa pubblica di 7 miliardi nel 2014 e di 18 miliardi nel 2015 in corso, per poi salire a 34 miliardi di minor spesa nel 2016. Ma il governo ha massacrato il piano Cottarelli , e Renzi, disse sprezzante, che non erano poi idee geniali. E allora questi altri due geni nominati da Renzi al posto di Cottarelli, Gutgeld e Perotti, incaricati della revisione della spesa, esterni al Mef mentre invece l’indicazione degli interventi su spesa e tasse dovrebbe essere la responsabilità politica più alta del premier e del ministro Padoan, hanno il compito di dare l’indicazione dei tagli, per poi il giovane toscano più agevolmente cambiarli e ridurli al lumicino trattando con i soggetti che dai tagli proposti sono investiti ? Per rafforzare l’esile ripresa, l’obiettivo dovrebbe essere non quello di non far salire le entrate, ma di diminuirle rispetto al 2014, su lavoro e imprese. Ma per far questo i tagli di spesa devono essere finalmente energici e decisi,anche per non riaprire il conflitto con l’Europa e soprattutto per non prendere in giro il popolo italiano. Che non è bue.
RENZI e le donne?
ALESSANDRA SERVIDORI
Caro RENZI e per l’occupazione femminile ? Forse ti serve il mio Osservatorio sull’occupazione femminile italiana e qualche idea concreta.
Una delle richieste più reiterate al Governo,( ma è evidente al Presidente del Consiglio, che ne detiene la delega), è di valorizzare il lavoro che si è fatto,sulle politiche per le pari opportunità intese come politiche per sostenere l’occupabilità femminile, convicendo la sua fedelissima Giovanna Martelli , a mettere in atto tutte quelle vigorose azioni che fino a marzo scorso sono state garantite dall’impegno del ministero del lavoro per il quale ho volentieri prestato la mia opera. Gratuitamente .
Cominciamo con gli ultimi dati INPS sui quali si è riaccesa la speranza del moto virtuoso dell’occupazione. Secondo l’Istituto nel primo trimestre 2015 aumentano, rispetto al corrispondente periodo del 2014, le assunzioni a tempo indeterminato (+91.277), mentre diminuiscono i contratti a termine (-32.117) e le assunzioni in apprendistato (-9.188). Nel periodo considerato l’aumento complessivo delle nuove assunzioni è di 49.972 unità. Nello stesso periodo diminuiscono di 135.684 unità le cessazioni di rapporti di lavoro, per cui il saldo netto dei rapporti di lavoro è pari a 185.656 unità. Ma non abbiamo i dati disaggregati per genere. Peccato.
Dai dati del ministero del lavoro invece, con i rapporti disaggregati per genere nel mese di marzo 2015 il numero di attivazioni di nuovi contratti di lavoro è pari a 641.572. Di questi 162.498 sono contratti a tempo indeterminato dei quali 103.380 uomini e 59.118 donne; 381.234 sono contratti a tempo determinato dei quali 231.563 uomini e 149.671 donne; 16.844 dei quali 9495 uomini e 7349 donne sono contratti di apprendistato; 36.460 dei quali 14.707 uomini e 21.753 donne sono collaborazioni e 44.536 sono le forme di lavoro classificate nella voce “altro” .
Sempre con i dati del Ministero disaggregati le cessazioni di attività nel mese di marzo 2015 il numero di cessazioni di rapporti di lavoro è pari a totale 549.273; a tempo indeterminato sono in Totale 131.128 dei quali uomini 82.874 e donne 48.254; a tempo determinato totale 310.566 dei quali 187.998 uomini e 122.568 donne; Apprendistato totale 14.953 dei quali 8315 uomini e 6638 donne; collaborazioni totale 46453 di cui uomini 25350 e donne 21103.
Dai dati in nostro possesso (Istat) a marzo 2015 il numero di occupati diminuisce rispetto a febbraio sia per la componente maschile (-0,4%) sia, in misura minore, per quella femminile (-0,1%). Il tasso di occupazione maschile, pari al 64,5%, diminuisce di 0,2 punti percentuali, mentre quello femminile, pari al 46,7%, rimane invariato.
La disoccupazione cresce nell’ultimo mese sia tra gli uomini (+1,5%) sia tra le donne (+1,7%). Lo stesso andamento si osserva per i tassi di disoccupazione: sia per quello maschile, pari all’11,9%, sia per quello femminile, pari al 14,3%, si registra un aumento di 0,2 punti percentuali. Vero è che i dati non sono un’opinione ma triste realtà sulla quale non stiamo serene. E comunque non siamo rassegnate a “non muoverci” come parrebbe dal silenzio assordante calato come una scure sul tanto che si potrebbe mettere in pista per l’occupazione femminile. Con adeguate competenze e dettagliatamente. S’intende.
Dunque caro Renzi , poiché l’occupazione femminile è una delle priorità sia per l’Italia che per l’Europa, sarebbe utile serrare le fila e non disperdere le energie. Sopratutto quando siamo inchiodati a quel misero 46,7% ben lontano dagli obiettivi di valorizzazione delle risorse femminili che vogliono entrare e rimanere nel mercato del lavoro.
NON mandate in video Faraone
Alessandra Servidori - 11 maggio -2015
Se vogliamo una buona scuola ,non mandate in video Faraone!
Un consiglio non richiesto sulla scuola e la bufera in cui ci troviamo. Il La situazione di una delle riforme più delicate che ci troviamo nel bel mezzo di una campagna elettorale,è veramente drammatica. Non servono gli insulti ma almeno un minimo di competenza e quel sottosegretario Faraone (di nome ma non di fatto!) non è né un attento politico né un esperto della materia e dunque diventa molesto quando messo a confronto con professori ,non sa neanche argomentare le ragioni o difendersi dai difetti che vengono a torto o a ragione cacciati in gola . Non c’è dubbio che gestire in modo equilibrato un'organizzazione con quasi un milione di dipendenti abituati ad essere la cassaforte delle tessere sindacali del pubblico impiego significa comunque avviare una vera scuola dell’autonomia con istituti scolastici pienamente responsabili riguardo al rispettodi linee guida essenziali e ai risultati; con una maggiore libertà di valutazione e di scelta per le famiglie, e però con dirigenti maggiormente preparati a garantire un rapporto tra pubblico e privato e comunità sociale che investa anche nell’istruzione e formazione e che contribuisca a sviluppare una economia virtuosa. Bisogna superare il modello della scuola anni ottanta e costruire le fondamenta di una scuola che offra maggiori e diverse competenze ai giovani lavorando in gruppo perché è questo che chiede il mercato del lavoro. La scuola e l’università italiana devono riprendere a certificare il merito e dunque inserire nei percorsi formativi la vera meritocrazia. Dunque poiché in Italia di buone scuole e buone università ce ne sono che offrono percorsi formativi molto vicini al lavoro, che offrono apprendistato vero e non fittizio , che competono con le università straniere perché formano quegli oltre quattrocentomila neo diplomati e neolaureati italiani che cercano e trovano lavoro ,ora la voce deve tornare agli studenti e alle loro famiglie che hanno diritto di chiedere e ottenere una scuola che imbocchi quel cambiamento di cui l’Italia ha bisogno.