Editoriali
Il mio 25 Aprile ricordando a Renzi il grande BOBBIO
Alessandra Servidori
In queste ore che precedono il 25 aprile Matteo Renzi schizza da una città ad un’altra per, dice lui,”ringraziare i martiri della liberazione”.Bene prendiamo atto che il giovane toscano, attraverso la comunicazione e uno staff presidenziale degno di un grande statista , volteggia da Monte Sole a Marzabotto aizzando le folle, per resuscitare-forse- una memoria che non c’è. Ma far ricordare ad un Paese di ragazzi che ha dimostrato alla televisione di non conoscere la storia dell’Italia e di emozionarsi solo in uno studio televisivo, quando testimone un anziano partigiano sgomento delle interviste ignoranti,la vergogna piomba sulla nostra non colta gioventù,non è usando la celebrità che si raggiunge l’obiettivo. Matteo Renzi colga l’occasione per dismettere quella boria insopportabile, colga dalle parole quiete e gravi di Sergio Mattarella quel rispetto che si deve a chi ha compiuto una vera svolta per il nostro Paese. Un uomo grande che ancora studio con quell’umiltà che consiglio anche a Renzi raccomandava “Mi ritengo un uomo del dubbio e del dialogo. Del dubbio, perché ogni mio ragionamento su una delle grandi domande termina quasi sempre, o esponendo la gamma delle possibili risposte, o ponendo ancora un'altra grande domanda. Del dialogo, perché non presumo di sapere quello che non so, e quello che so metto alla prova continuamente con coloro che presumo ne sappiano più di me”.Cosi scriveva e agiva Norberto Bobbio in “Elogio della mitezza” .Renzi si applichi per capire come Bobbio divenne un modello esemplare, grazie al suo 'sapere impegnato', certamente «più preoccupato di seminare dubbi che di raccogliere consensi». In questi giorni, in cui la vita dell’uomo sembra spesso per molti aver perso valore, in cui la ricerca di libertà e giustizia costa a tantissimi tragiche odissee per terra e per mare, la ricorrenza del 25 aprile, festa della Resistenza e della Liberazione, diventa un momento esemplare per ricordarci che la lotta al fascismo e a tutte le dittature, in tutte quelle facce di arroganza, disprezzo e violenza in cui oggi si presenta, va sempre tenuta viva e gli scritti di un uomo come Norberto Bobbio, che questo l’aveva capito già pochi anni dopo la fine della guerra, sono un punto di riferimento di incredibile chiarezza , coscienza, attualità. Legga dunque Renzi ”Discorsi e testimonianze sulla Resistenza in Italia 1955-1999”, con alcuni testi rimasti inediti, raccolti da Einaudi col titolo esemplare di ”Eravamo ridiventati uomini”, in cui risulta chiaro che la ”controresistenza” è sempre stata viva e che ”la Resistenza non è finita” e ”ha aperto, non soltanto in Italia, una nuova strada di libertà”, da perseguire sempre, senza lasciarsi offuscare da trionfalismi che allora sembravano facili. Bobbio sapeva bene, per esperienza personale, che esistono momenti nella storia in cui la pace e la libertà vanno conquistate con il proprio impegno, perchè arrivi ogni volta il Giorno della Liberazione, giorno in cui ”fu come se un vento impetuoso avesse spazzato d’un colpo tutte le nubi e alzando gli occhi potessimo rivedere il sole di cui avevamo dimenticato lo splendore; o come se il sangue avesse ricominciato a scorrere in un cadavere risuscitandolo. Un’esplosione di gioia si diffuse rapidamente in tutte le piazze, in tutte le vie in tutta Italia”.Il 25 aprile 1957 Bobbio a Torino : “…E si poteva ricominciare a sperare. Eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà…la Resistenza è stato un evento imperfetto che deve trovare la sua compiutezza nella democrazia attraverso la Costituzione ”.Appunto Matteo Renzi mediti, mediti.
ALESSANDRA SERVIDORI 23 Aprile 2015
E BRAVO LETTA ENRICO!
Alessandra Servidori E bravo Letta Enrico !
Fa bene il giovane adulto Enrico Letta a tornare ad insegnare e fa bene a promettere che non abbandona la politica,ma lascia il Parlamento. Sono convinta che è una scelta di libertà che lo aiuterà a trovare quell’armonia e quella forza che ho ritrovato io dopo 10 anni trascorsi fuori dalle aule , troppo lontano dai giovani che avvicinavo troppo poco nel decennio trascorso , perché presa dal ruolo istituzionale di supporter ai ministri. Una esperta insomma,senza contratto, di materie giuslavoristiche “prestata” a portare avanti norme e leggi antidiscriminatorie dalla parte delle donne e del lavoro. Una fatica immensa cercare di far entrare il merito nella politica : solo con Sacconi, Fornero,Carfagna,Brunetta la soddisfazione di essere utile. E ora finalmente, ritrovo quell’entusiasmo che solo l’insegnamento può dare. Così mi auguro che Enrico Letta tra un pò rinvigorito,torni alla politica. Sì: c’è pure la giornata mondiale degli insegnanti e prometto che lo andrò a trovare in Francia anche per ricordargli che l’eredità Giannini purtroppo non fa bene alla salute del nostro Paese. La buona scuola sono i suoi insegnanti .Non ci sono celebrazioni per altre professioni. Non c’è la giornata dei medici, né quella degli infermieri, né quella degli imprenditori né tanto meno quella degli operaie delle operaie. Non ce n’è per gli artisti, gli scrittori, i giornalisti, i contadini, i falegnami,le imbianchine ( che ora sono tante!). Nessun lavoro viene celebrato dall’Unesco. Solo il nostro. Da proteggere come l’ambiente, a rischio di distruzione. Una specie fortemente minacciata come la tartaruga caretta nel nostro mare. Alcune colleghe e colleghi sono scappati dalle aule per salire nelle gerarchie osservando e valutando chi nelle classi si adopera ma non fidatevi di loro : solo un insegnante in carne e ossa dice che è un mestiere straordinario anche se non lo dirà facilmente .Sa quanti pezzi di sé lascia sul campo. Quanto corpo ci vuole: fiato, fegato, cuore. Quanta testa per promuoverne altre ben fatte. Quanta faciloneria deve affrontare ogni giorno tra le difficoltà in crescita e tra chi blatera di merito e chi il merito lo esige dai suoi studenti. Quanta disattenzione e superficialità. Quanti compiti nuovi, quanti carichi pendenti ogni giorno lo Stato, le famiglie, il mondo fuori e dentro si aspetta da lei o lui e le o gli affida. Insegnare stanca ma è il mestiere più bello del mondo perché è l’arte di rendere la donna e l’uomo etico, come più o meno diceva Hegel.
20 APRILE 2015
JOBS ACT-Conciliazione:Punti pendenti e dolenti
Alessandra Servidori
JOBS ACT e decreto conciliazione tempi di vita e di lavoro: efficacia e coerenza organica ? Punti dolenti o comunque pendenti
Finalmente l’8 Aprile us,il tanto atteso decreto attuativo della Legge 183, art 1 comma 8,9 …..Tutela e conciliazione delle esigenze di cura,vita ,lavoro …., portante il n.157 pare in lavorazione nelle commissioni competenti per materia e finanziari ( Lavoro e bilancio),ma arrivato, è bene specificarlo ,più volte modificato rispetto al testo originario del dicembre 2014 e secondo la legge di procedura è da approvare entro l’8 MAGGIO.
Ma ecco i ma
Il testo in lavorazione oggi, ha stralciato parti consistenti e contiene dunque parziale attuazione art 1 comma 8/9 LD 183/2014 , intervenendo solo sull’attuazione di cui alla lettera a,b,c,d,g,h,l e tralasciando le lettere c,e,f,i e dunque non mette mano a promesse come la tax credit ,facoltà di cessione dei giorni aggiuntivi per ferie,l’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona ,e estensione ai rapporti di lavoro nella PA .
26 Articoli dai quali NON DEVONO DERIVARE NUOVI O MAGGIORI ONERI A CARICO DELLA FINANZA PUBBLICA,misure sperimentali solo per il 2015 ,tranne che l’art 24 anch’esso sperimentale per il triennio 2016/2018, con ridondanti e barocche procedure che prevedono le solite cabine di regia ,per perdere ulteriore tempo, visto che sulle prassi di contrattazione per poter accedere ad una quota pari al 10% del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello di cui al Cap.4330 dello Stato di previsione della Spesa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali non c’è nessuna necessità di creare filtri con altri grupponi in chiuse stanze in quanto l’osservatorio sulla Contrattazione dell’Ufficio della Consigliera Nazionale di parità dal 2011 anche questo lavoro, gratuitamente, lo ha compiuto. Dunque una Banca dati c’è basta solo valorizzarla e non accantonarla.
Ma la questione più delicata è relativa alle modifiche al TU 151/2001 art 31 e specificatamente ciò che presenta una evidenza di incostituzionalità dell’attuale art 18 e 19del Testo in lavorazione in merito alla disparità di trattamento per congedo tra padre adottivo dipendente ,padre adottivo libero professionista per indennità che modifica l’art 70/ del TU 151 e che prevede un congedo di paternità al padre libero professionista attuando dunque una discriminazione normativa tra padri con diverse posizioni in caso di possibilità di avvalersi delle norme previste per congedo per morte o infermità della madre.Si suggerisce per non incorrere in difetto di incostituzionalità di prevedere diversa formulazione con “ nel caso in cui la madre non abbia richiesto il periodo di indennità in oggetto “ . Infatti così come sono scritti gli artt. 18 e 20 parrebbero proporsi di "equiparare" la posizione del padre libero professionista a quella della madre, modificando gli artt. 70 e 72 d.lgs. 151/01, già oggetto di diversi interventi della Corte Costituzionale. Desidero ricordare che la Corte Costituzionale, nel dichiarare la parziale incostituzionalità degli artt. 70 e 72, ha evidenziato che gli istituti nati a salvaguardia della maternità non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino che va tutelato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità. Si ritiene pertanto che l’art. 18 dello schema di decreto, al fine di garantirne la legittimità costituzionale, dovrebbe essere modificato sostituendo l’inciso "in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre" con l’inciso (tratto dall’attualmente vigente art. 31 d.lgs. 151/01) ", nel caso in cui la madre non l’abbia richiesta".
Poi : Primo rilevazione riguarda art1 ) la sperimentalità e l’ambito della delega prevista dall’art. 1 comma 8 : l’oggetto è – <e tutelare la maternità delle lavoratrici ,favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori “ se l’obiettivo del legislatore pare essere il sostegno alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro (ML), e l’obiettivo è evitare che si debba scegliere tra lavoro e famiglia; evitare la dispersione della manodopera femminile, considerato che il fenomeno del mancato rientro dopo la maternità è significativo in termini statistici. Siamo all’aprile del 2015 e un anno per mettere in moto un meccanismo sperimentale pare veramente poco.
Vero è che sono rimasti delusi tutti/e coloro che si dedicano ai temi dell’uguaglianza e delle pari opportunità sul lavoro, delle azioni positive, del diversity management, e se l’intento della Delega è circoscritto al mantenere le donne al lavoro, consentire la loro permanenza o il rientro nel ML, sul presupposto che il freno sia sostanzialmente il lavoro di cura i tempi sono veramente già quasi scaduti di avvio impatto e monitoraggiodei provvedimenti annuali per poi passare dalla sperimentalità alla confermadei provvedimenti e dunque testarne l’efficacia . La questione che non ottiene risposta dal legislatore, invece, è un’altra: quale tipo di occupazione . Ad oggi aprile 2015 pubblicati sia dal Ministero del lavoro che da Istat i rapporti sull’occupazione considerando i dati statistici e il declino dell’occupazione femminile, è facile accorgersi che il problema non è solo quello dell’incentivazione dell’occupazione femminile, il problema è anche quello di favorire “buone” occasioni di lavoro per le donne. Pur constatando il trend negativo di assunzioni anche di donne comunque il maggior volume di assunzioni si concentra, nel settore Servizi. In termini di genere, ciò che segna una significativa differenza è il numero medio di attivazioni contrattuali per persona – cioè il numero dei rapporti di lavoro attivati, più turn-over e più avvicendamento di contratti di lavoro, e l’interpretazione delle rilevazioni statistiche occupazionale delle lavoratrici è in gran parte, determinato dalla loro capacità di adattamento al ML, dalla loro flessibilità e disponibilità ad occupare anche i segmenti meno remunerati (e professionalmente pregiati) del ML. Dunque, non solo incremento dell’occupazione femminile che è ovviamente il primo problema , ma che per ora non è in agenda credibilmente ,ma questa dovrebbe coniugarsi anche con la buona occupazione. Una seconda rilevazione : seppure così circoscritto l’obiettivo politico-legislativo della Delega, appare positiva la prevista estensione della tutela economica della maternità a tutte le lavoratrici, anche parasubordinate. : l’universalizzazione della tutela della maternità, rimedia una fattuale disparità di trattamento giuridico, agganciando la tutela all’evento maternità in sé, a prescindere dal tipo di contratto di lavoro. Vero è che la soluzione estensiva è già stata anticipata dalla giurisprudenza di merito: una pronuncia del Trib. Bergamo (dicembre 2013) ha riconosciuto l’applicazione del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali anche ai lavoratori parasubordinati: principio in forza del quale non si perde la prestazione previdenziale (la tutela economica della maternità) anche in difetto di contribuzione da parte del Committente. L’estensione della tutela della maternità, tuttavia, anche solo sperimentalmente per un anno, comporta una copertura finanziaria graduale che deve essere computata nella legge di stabilità già definita per l’anno in corso e dunque secondo l’art 25 comma 3dello Schema si prevede mediante riduzione del Fondo di cui art 1,comma 107, legge stabilità n. 190 /2014 che così stabilisce : FINANZIAMENTO DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI (E DI ALTRE VOCI)-Con 2.200 milioni di euro per ciascun anno 2015 e l 2016 e con 2.000 per il 2017 e gli anni a seguire,vengono finanziati dal comma 107:
a) la riforma degli ammortizzatori sociali, anche in deroga;
b) la riforma dei servizi per il lavoro e le politiche attive;
c) il riordino dell’attività ispettiva;
d) la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro
e) gli oneri volti a favorire la stipula di contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Ma dove troviamo le risorse,stando i conti ancora così in rosso?Allora ragioniamo e non diciamo non verità. Nella medesima prospettiva di incentivo all’occupazione femminile (anche delle lavoratrici autonome) è grave che non sia stata affrontata la cd tax credit poiché doveva evidentemente essere considerata anche a favore di donne con figli minori o non autosufficienti e con redditi bassi).Pare evidente che secondo il Testo autentico , l’art. 1, comma 9 lettera c), della Delega, lo strumento del tax credit doveva <<armonizzarsi>> con il regime delle detrazioni fiscali per il coniuge a carico. Tuttavia, è evidente che è prevalsa la confusione che più che di armonizzazione si sarebbe trattata di “sostituzione” rispetto alla detrazione fiscale, che verrebbe <<abolita>> e così l’incentivazione sarebbe stata finta. Ci sono molti dubbi, in verità, sugli effetti occupazionali degli incentivi fiscali: la l. n. 92/2012 ha già previsto all’art. 4, co. 11 e 12-bis un incentivo all’occupazione femminile sotto forma di riduzione del 50% dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro. La politica degli incentivi, se non è ben calibrata, finisce per creare una segmentazione nel mercato del lavoro … (se n’è reso conto anche il legislatore della c.d. Riforma Fornero che ha tentato una razionalizzazione: cfr. art. 4, co. 12, l. n. 92/2012).
Così come nella prospettiva promozionale dell’occupazione femminile, è preoccupante e negativo lo stralcio l’art. 1, comma 9 lettera i e f), della Delega) di favorire l’integrazione pubblico-privata dell’offerta di servizi per le cure parentali, specie quelli offerti dalle aziende (con l’aggiunta dei fondi ed enti bilaterali). Si alludeva nel testo poi stralciato , probabilmente, a forme di welfare aziendale che andrebbero opportunamente agevolate. Purtroppo, il D.d.l. non solo ha stralciato ma già evidenzia che non c’è nessuna volontà di chiarire come realizzare l’integrazione e come favorire l’utilizzo ottimale di tali servizi che rimangono solo enunciati. La nuova disciplina deve fare uno sforzo vero e concerto di coordinamento con la l. n. 92/12 che ha già previsto la corresponsione di voucher per l’accesso alla rete pubblica (e privata accreditata) dei servizi per l’infanzia. Dunque tutti i buoni propositi dl legislatore dove sono finiti? Attendo cosi’ di trovare un’adeguata collocazione in un provvedimento normativo ad hoc sulla sussidiarietà nel welfare poiché è evidente che così comè non è virtuosamente concretizzabile
Terza rilevazione: L’aspetto più interessante dello schema di Delega e oggetto- forse- di sviluppi futuri - è contenuto nell’art. 24 , e riguarda la promozione di accordi collettivi finalizzati alla flessibilità oraria, all’impiego dei premi di produttività per sostenere la conciliazione vita-lavoro, il ricorso al telelavoro. A questo proposito, sempre in via sperimentale ,per il triennio 2016,2018 , si prevede una quota pari al 10% del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello di cui al Cap.4330 dello Stato di previsione della Spesa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ,missione 25,politiche previdenziali,programma 25.3 “previdenza obbligatoria e complementare, assicurazioni sociali : Si sappia però che la dotazione per il 2014 del Fondo pari a 607 milioni di euro in conto competenza poi ridotti a 557 milioni è stato ridotto per il solo 2015 di 200 milioni quindi presumibilmente oggi attestato intorno ai 357 milioni sempre socondo l’art 26 comma 11 Legge di stabilità 2015 ,stando allo schema di Decreto dovrebbe essere di 35 milioni (10%) per gli anni 2016,201,2018. Ma non c’è certezza i copertura ora .Sicuramente questa poteva essere l’occasione per una vera apertura, non solo alle migliori prassi collettive, ma ai sistemi di welfare aziendale che possono avere anche un carattere unilaterale, cioè essere progettati e attuati direttamente dal datore di lavoro, senza mediazione collettiva, e senza attendere che il Ministero del lavoro con suo decreto definisca i criteri e modalità d’uso ma rimandando all’adozione di linea guida già peraltro stabilite dall’Accordo di azione comune stabilito dalle Parti sociali nel Marzo 2011, che ebbe come strumento operativo l’Osservatorio e Banca Dati la raccolta di accordi sottoscritti e prassi che sono in dote dell’Osservatorio attivato dalla Consigliera di parità Alessandra Servidori e tutt’ora operante. Inoltre anziché pensare solo ad un’incentivazione fiscale della “singola” assunzione, poteva forse avere successo una politica di razionalizzazione e di sgravi fiscali per le imprese che investono nella conciliazione e nei programmi di welfare aziendale , andando oltre quel 10% dedicato al Fondo per la contrattazione collettiva,che nella bozza verrebbe sottratto al finanziamento di sgravi contributivi di cui al capitolo 4330 missione 25 (politiche previdenziali) ???del Ministero del lavoro senza una ragionevole possibilità di attribuzione stando la situazione della riforma degli ammortizzatori sociali prioritaria rispetto all’utilizzo delle risorse limitate dai tagli di spesa.
In sintesi: il perno centrale dell’intervento legislativo pare la universalizzazione della tutela economica della maternità – che risponde a principi di uguaglianza formale e sostanziale – ma quando si approccia il tema della conciliazione il veicolo più idoneo, non pare la legge, quanto piuttosto la sussidiarietà orizzontale e, in questo ambito, la contrattazione collettiva che ne dovrebbe risultare il motore ma che non ha la benzina. Pacchetti di servizi aziendali, personalizzati, più prossimi alle esigenze delle persone, paiono ben più utili di una serie di congedi micro/macro, rispetto ai quali la selezione da parte del beneficiario segue spesso un criterio di convenienza economica anziché di reale adeguatezza allo scopo. Da questo punto di vista ricordiamo due anni fa dalla Riforma Fornero che è quella di sperimentare i congedi di paternità autonomi e obbligatori. La condivisione delle responsabilità genitoriali per favorire anche pari opportunità sul lavoro è un tema giusto, anche se in questo modo si finisce per guardare ad un solo e determinato modello di “famiglia” o di cura familiare. Al di là della sostenibilità finanziaria, e quindi della reale praticabilità, la migliore caratteristica “giuridica” dei congedi resta la flessibilità. Non è casuale che la proposta di Direttiva europea sull’estensione della durata minima del congedo obbligatorio di maternità e di paternità sia stata ritirata dalla Commissione europea nell’ambito di un’agenda di semplificazione denominata Refit a luglio 2014 (per procedere all’elaborazione d’un nuovo testo) perché mancava la copertura finanziaria in seguito ai tagli di spesa europei . Quarta rilevazione. Molta incertezza di realizzazione è ancorata all’Art 7 dello Schema di Decreto lettera b,c la questione non solo della possibilità di congedo parentale a ore che comunque non pare possibile prescindere dalla contrattazione/regolamentazione di secondo livello e di un pacchetto di giorni o ore che rientrano in una programmazione almeno mensile delle eventuali cessioni di permessi/ore che tengano conto dell’organizzazione aziendale complessiva , e non provvisoriamente definita come nello schema con un preavviso di 2 giorni nel caso di congedo parentale su base oraria. Quinta rilevazione Molta perplessità ed evidenza riguarda Art 23 : introduzione di congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere poi esplicitate art 23 Bozza di decreto .Vi sono questioni attinenti alla riservatezza e alla tutela che rimangono assolutamente e difficilmente governabili in ambito aziendale per le dipendenti e lavoratrici autonome e soprattutto manca una copertura finanziaria adeguata. La penultima rilevazione : l’incognita dei costi di tutto il JA. <<tutte le deleghe possono essere attuate ad invarianza di spesa>>. Non si vede, però, come si possa, ad invarianza di spesa pubblica, estendere in modo universale la tutela della maternità, garantire la tutela assistenziale alle lavoratrici parasubordinate anche in mancanza di contribuzione da parte del Committente. La Relazione tecnica alla Delega contiene un passaggio fondamentale : <<poiché dai criteri di delega non risultano evidenti economie per la finanza pubblica, l’eventuale attuazione dei principi di delega con effetti onerosi non potrà che avvenire successivamente all’attuazione degli altri criteri di delega da cui derivino effetti finanziari positivi, in grado di compensare l’onerosità dei primi>>. Dunque, se l’attuazione dell’art. 8 e 9 comporta nuovi oneri finanziari, occorre preventivamente compensare con un’economia di spesa sull’attuazione degli altri principi della Delega. Allora, pare evidente che guardare alle potenzialità della contrattazione collettiva e del welfare aziendale non sia solo la via preferibile, ma probabilmente l’unica via “realistica” per attuare un ML a misura della conciliazione vita-lavoro, a misura delle donne e degli uomini.
Ultima rilevazione : l’aggiunta dell’art 26 che fino a pochi giorni non c’era. Ed è l’inserimento della clausola della salvaguardia,rispondente ai criteri di effettività e automaticità ai sensi dell’art 17,comma12 legge 196/2009 ,in base alla quale, per l’applicazione del decreto in oggetto , non ce se ne può infischiare.
Alessandra Servidori 18 Aprile 2015
Ancora con Francesco
Alessandra Servidori
Ancora dalla parte di Francesco , contro le demenzialità del gender e per una ragionevole democratica cultura antropologica.
Ancora una volta Papa Francesco ha detto quella verità che in molti condividono ma che non è di moda .Ebbi già a sottolineare nel dicembre scorso ad un convegno sulla democrazia rappresentativa, con malumori e mugugni registrati in aula,che sia l’Europa e insieme l’Italia si stavano inclinando su una generalizzazione della diversità di genere che esaltava le varie etnie, religioni , tendenze di omosessualità ed eterosessualità, come la priorità della politica per le Pari opportunità, confinando l’antico e irrisolto problema della discriminazione verso le donne ,discriminazione e penalizzazione che ancora oggi è robustamente evidente sia a livello sociale che occupazionale. La complementarietà e la reciprocità tra uomo e donna, il valore diverso dell’uno e dell’altra del rispetto della persona e della sua identità ,e la rimozione delle differenze spostando l’attenzione su altro , infatti rappresenta il problema non la soluzione. Dice Francesco "…per risolvere i loro problemi di relazione l'uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia". "Come tutti sappiamo, la differenza sessuale è presente in tante forme di vita, nella lunga scala dei viventi...,il ruolo della donna nella società,nella Chiesa deve avere molta più spazio.” Perfetto Francesco .Sono totalmente convinta che la verità su una questione che rischia di deflagrare in una battaglia ideologica e rendere la convivenza sociale peggiore per tutti va affrontata .Il gender ad oggi è un insieme di teorie fatte proprie dall’attivismo gay e femminista radicale per cui il sesso sarebbe solo una costruzione sociale. Vivere “da maschio” o “da femmina” non corrisponderebbe più a un dato biologico ma ad uso costrizione culturale. L’identità sessuata, cioè essere uomini e donne, viene sostituita dall’identità di genere (“sentirsi” tali, a prescindere dal dato biologico). E si può variare a piacimento, anche mantenendo immutato il dato biologico. I generi secondo il gender non solo più solo maschile e femminile. Ai generi (non corrispondenti ai sessi) esistenti in natura, andrebbero aggiunti quelli previsti dall’acronimo LGBTQ (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e queer, cioè chi rifiuta un orientamento sessuale definito e si ritiene libero di variare a suo piacimento o di rimanere “indefinibile”). Ma il governo australiano ne ha riconosciuti ufficialmente 23. E Facebook USA permette di scegliere il proprio “genere” tra 56 diverse opzioni. La scienza ci dice che la differenza tra maschile e il femminile caratterizzano ogni singola cellula, fin dal concepimento con i cromosomi XX per le femmine e XY per i maschi. Queste differenze si esprimono in differenze peculiari fisiche, cerebrali, ormonali e relazionali prima di qualsiasi influenza sociale o ambientale. La “varietà” pretesa dalle associazioni LGBTQ non ha alcun fondamento scientifico e anzi confonde diversità fisiologiche (i cosiddetti stati intersessuali) con la fisiologia (normalità). Ma se vogliono pensarla e agire diversamente la libertà è assicurata. Quando però la loro libertà non comincia quando finisce la libertà di altri .Bisogna ben ricordare cosa si intende generalmente per omofobia : un neologismo lanciato dai media per definire gli atti di violenza, fisica o verbale, contro gli omosessuali – atti che vanno sempre e comunque condannati, come ogni altra violenza - e contro chi, come le associazioni LGBTQ, promuove la teoria del gender. Oggi l’accusa di omofobia è diventata però un vero e proprio strumento di repressione nei confronti di chi sostiene un’antropologia diversa rispetto a quella del gender, e questo è non solo antidemocratico ma è demenziale. Perché pretendere non solo di influire sul modo di pensare, di educare, mediante scelte politiche ma anche di vincolare sotto il profilo penale chi non si adegua (decreto legge Scalfarotto); imporre atti amministrativi (alcuni Comuni e alcuni enti hanno sostituito i termini “padre” e “madre” con “genitore 1” e “genitore 2”); educativi (la cosiddetta “strategia nazionale” per introdurre nelle scuole testi e programmi “aperti” alla ricezione della teoria del gender e cioè l’eliminazione del maschile e del femminile, quindi anche dei modelli familiari normali): è un vero e sistematico attentato alla libertà di pensiero e di educazione da parte di una minoranza (gendercrazia). Emarginare poi la questione femminile sia dalla discussione politica che dall’iniziativa di contrasto alla discriminazione ancora violentissima nei confronti delle donne, è diventata la priorità anche della Presidenza del Consiglio sulle Pari opportunità che con questa tendenza prevaricante con UNAR (Ufficio antidiscriminatorio ) anche ogni scelta politica esondando con tutte iniziative programmate e finanziate su LTGb sta diventando patetico.E nel silenzio più assordante, anzi con la complicità della Consigliera renziana Martelli,il tacito consenso del ministero del lavoro. Tranne chi scrive che naturalmente risulta molesta e non si adegua alla moda.
Alessandra Servidori 15 Aprile 2015
Pavidi Ministri lasciano solo Francesco
Alessandra Servidori
Non sono bigotta e sono cristiana e apprezzo il coraggio di Papa Francesco, e mi altero non poco per non dire una parolaccia, per il comportamento dei renziani laicisti, pavidi ministri sulla questione Armena, perché lasciare solo Francesco in un momento come questo significa proprio essere senza anima. Succede così che Dario Franceschini ministro alla cultura e non alla verità , in compagnia di Paolo Gentiloni ministro degli esteri ben poco autorevole anche per i nostri marò, e il sottosegretario agli affari europei Sandro Gozi tutti e tre ammantati di provenienza demo/che ? prendano le distanze con fare quasi patetico all’arroganza Turca rivolta al Santo Padre . Se non spetta all’Italia dire la verità a chi aspetta? Ma quale legittimità morale hanno dei Ministri della Repubblica Italiana e quale leadership rappresentano i tre ometti che non riconoscono la storia enon danno affidamento per operare e impedire che le tragedie di genocidio si ripetano? Io non accetto chi mi impone di non riconoscere la verità di Stato e il negazionismo governativo. Le tre scimmie non vedo non sento non parlo preferiscono l’omertoso silenzio ?Perchè lo sterminio degli armeni e quindi il genocidio di un popolo e quello che sta succedendo ora ai cristiani nel mondo non deve essere conosciuto, e condannato e magari contrastato con forza? Perché questa squallida abiura della richiesta di Francesco di un cammino per la franchezza e la parola libertà e magari la ripresa dell’iniziativa sulla tradizione cristiana? Questa è una società che ha un bisogno straordinario di uscire da questa crisi profonda di valori, di interessi e comportamenti collettivi, di uscire dalla solitudine in cui si è cacciata ,in mondi che spesso non riescono a dialogare tra loro, vivendo di quel poco di se stessi, senza confronti e ammissioni. I significativi passi e le forti parole di Francesco sono una grande risorsa ,la cogenza dell’ignoranza del disordinato potere dei ruoli e dell’ambiguità opportunista rappresentano il declino e la lontananza dai processi reali della società.
ALESSANDRA SERVIDORI 14 Aprile 2015
GO HILLARY!GO!
ALESSANDRA SERVIDORI GO HILLARY! GO !
Hillary Rodham Clinton ha annunciato la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti: è conosciuta in tutto il mondo, per la sua intelligenza e per il suo passato fatto di competenza e durissimo lavoro anche come avvocato. E lei sa bene , come chiunque, che la strada per la Casa Bianca sarà difficile e soprattutto avrà moltissimi nemici da combattere . Lei è tenace e decisa a superare gli ostacoli che hanno cominciato a cacciarle davanti : numerosi giornali anche nostrani ,inguaribili maschilisti ,la tacciono di essere una “tigna ambiziosa”,ma solo perché è donna di grande competenza e pazienza, donna che ha saputo essere moglie silenziosa nel momento in cui il marito Presidente si è fatto massacrare da una storiaccia ridicola di sesso; lei poi accanto a Obama Segretario di Stato apprezzata e temuta in ambito internazionale. Ed è una candidata donna di stile e di animo superiore e potentemente antico e non mi voglio far scappare l’opportunità di manifestare tutta la mia soddisfazione per la forza che esprime in questo momento e per il sostegno che desidero le arrivi diretto e concreto. Mi auguro che Hillary Clinton vinca le primarie, come tutto lascia pensare, e dovrà convincere che porterà un grande cambiamento, differenziandosi da Obama nonostante abbia lavorato con lui durante la sua amministrazione, e dovrà farlo allo stesso tempo senza perdere per strada nessun suo sostenitore. Il programma di Hillary ,stando al suo video di presentazione in TV , dovrà contenere oltre che coraggio amministrativo , una chiara filosofia di governo, una governance per il futuro per i giovani americani, con una politica economica concreta di rilancio e sviluppo dell’occupazione e dell’innovazione,consolidando al contempo ciò che i democratici hanno realizzato durante l’amministrazione Obama , per quanto riguarda la sanità, la regolamentazione finanziaria, i diritti dei gay e il cambiamento climatico. Lei procederà spedita su un programma innovativo che rafforzi il versante della crescita economica attraverso gli investimenti in ricerca nuove tecnologie,sulla politica di difesa militare e di forti rapporti internazionali .Non c’è dubbio che Hillary Clinton dovrà vedersela con i Repubblicani e con la dinastia dei Bush che mettono in pista il nipote del patriarca che ha fondato sulla strategia del potere famigliare( con le donne Laura e Barbara moglie e madre asservite) la sua presidenza ,ma c’è anche l’impervio coacervo di correnti nei Democratici da superare ( tanti estremi liberal, sinistrosi,anti interventisti,ecc) molti tra loro maschilisti ambiziosi. La forza di Hillary è che vuole diventare Presidente: e se anche Dio vorrà, sarà la prima Presidente Donna degli Stati Uniti d’America,preparata, coraggiosa, arrogante quel tanto che le serve, piglio solare e lifting ben riuscito che le ha ridonato uno splendido sorriso.
ALESSANDRA SERVIDORI 13 APRILE 2015
Tesoretto Magico Tesoretto?
Alessandra Servidori
E di nuovo rispunta magicamente a ridosso delle elezioni il vezzeggiativo paroletta che fu utilizzata dal Ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa nel marzo del 2007 per indicare l’extra gettito delle finanze statali ,rispetto alle previsioni ( ?) derivante dalla lotta all’evasione e dai maggiori introiti erariali .Il termine indica la presenza di un qualsiasi tipo di risorsa di modesta entità, che pertanto deve essere gestita prudentemente ecco appunto se è vero che c’è e non è solo previsto( di previsioni ormai poi rivelatesi false ormai ne abbiamo sentite tante soprattutto nell’ultimo anno), la parola prudenza è più che mai d’obbligo.Ma la prudenza non sta di casa a Palazzo Chigi che esonda regolarmente attraverso la comunicazione e aspettando il via libera definitivo del DEF la macchina comunicativa che strapazza l’intelligenza del popolo sovrano, lancia questa demenziale usanza dell’hasthag per promuovere il mini tesoretto che il governo vorrebbe mettere da parte nel proprio bilancio con misura a sostegno del welfare .E’ dunque il portavoce del giovane toscano Filippo Sensi che in cordata con alcuni componenti della Ditta PD ha messo in moto promesse : dall’edilizia popolare,alle partite iva,dalle pensioni minime, agli asili nido, le proposte fioccano fioccano fioccano …e intanto noi scopriamo il giochino balordo.…..Renzi, fonte Il Sole 24 Ore: “Nel Def «non ci sono tagli e non ci sono aumenti della tasse: so che non ci siete abituati, ma da quando siamo al governo abbiamo operato una riduzione costante della pressione fiscale»”. Nella Nota di Aggiornamento del Def, dell’ottobre 2014, si è previsto un aumento delle tasse da 786 nel 2014 a 854 nel 2018, con una pressione fiscale record nel 2016, con il 43,6% sul Pil, ben superiore al 43,3% del 2014. Il documento è stato firmato anche da Renzi, che, evidentemente, o non legge ciò che firma, o ha preoccupanti vuoti di memoria, o mente ben sapendolo.Si tenga conto che poi la Commissione Europea ha inasprito il documento dell’ottobre scorso, riducendo il deficit dal 2,9%, chiesto da Renzi, al 2,6%. Quindi i dati sotto mostrati sono leggermente più positivi di quanto poi deciso definitivamente.Padoan spiega che “il Pil previsto per il prossimo triennio è quindi di +0,7 nel 2015, di +1,4 nel 2016 e di +1,5 nel 2017. Sul fronte dell’indebitamento il rapporto deficit-pil si dovrebbe attestare al 2,6% nel 2015, all’1,8% nel 2016 e all’1,7% nel 2017″. Il punto interessante è che la prosopopea della “ripresa”, delle “riforme”, del “taglio delle tasse”, è identica a quella di un anno fa, e anche allora i numeri stimati erano identici a quelli di oggi, con l’aggravante che le previsioni di un anno fa sono state tutte errate e vengono rinviate ad oggi, nella speranza che, una volta o l’altra, ci si colga (il 2014 si è chiuso con una recessione dello 0,4% contro una stima di crescita, nell’aprile 2014, dello 0,8%: un errorino di una ventina di miliardi in otto mesi).Non c’è dubbio che i Comuni siano stati zittiti dalle minacce di Renzi per non reagire perché a rischio comunque sono i servizi ai cittadini perché i tagli ci saranno.Ma perché anche Padoan che aggiunge solo una N al suo predecessore Padoa che nel 2007 inventò il tesoretto ( finto) si presta a far pensare che sia possibile cancellare le clausole di salvaguardia ???????? .E poi signore e signori accettiamo silenziosamente che il PD sia il manovratore folle attraverso i messaggini di una comunità esclusiva che Governa l’Italia ? Io no !
ALESSANDRA SERVIDORI
Nessuna pietà per De Gennaro
Alessandra Servidori
Verso le responsabilità di Gianni De Gennaro non solo ai tempi di Genova ma subito dopo nel marzo 2002 , io provo ancora oggi un senso di disgusto e rancorosa indignazione. Egli allora 2001 non ha rappresentato con onore i tanti poliziotti che per uno stipendio al mese veramente basso, rischiano la vita, e che oggi sono stretti nella morsa del giudizio per i fatti commessi alla Diaz Non mi va neanche di accodarmi alla strumentalizzazione di Orfini ( pdiessino malpancista) ,ma non mi piace neanche la difesa di Buttafuoco in memoria di quel che ha voluto ricordare che fece De Gennaro ,ora lautamente compensato ai vertici di Finmeccanica, ai tempi della lotta a Cosa Nostra. No non reputo De Gennaro un servitore dello Stato .Si assuma le sue responsabilità insieme a Scaloia. Infatti entrambi avevano gli elementi per conoscere i rischi che correva Marco Biagi, martire dello Stato italiano, e gli strumenti per poter intervenire: una pur minima protezione per il professore, decisa in via straordinaria da chi poteva farlo, avrebbe evitato l’omicidio per mano delle nuove Brigate Rosse, il 19 marzo 2002. Ma, dicono i magistrati di Bologna che li hanno indagati nell’inchiesta bis sulla scorta mancata al giusvalorista, proprio chi rivestiva una posizione di garanzia, in virtù del ruolo al vertice dell’amministrazione di pubblica sicurezza, non fece nulla: Claudio Scajola e Gianni De Gennaro, all’epoca ministro dell’Interno e Capo della Polizia, rimasero immobili, «del tutto inerti». Marco Biagi è stato un vero servitore dello Stato , è morto per lo Stato e per lungo tempo hanno cercato vergognosamente,ignobilmente, di insabbiare le varie responsabilità della mancata tutela. Gli investigatori, a 13 anni dai fatti, hanno fatto un salto di qualità nell’individuazione delle responsabilità. E dopo un’inchiesta archiviata nel 2003 nei confronti dell’allora direttore dell’Ucigos, Carlo De Stefano, del suo vice Stefano Berrettoni, del questore di Bologna Romano Argenio e del prefetto Sergio Iovino, il vertice della piramide è stato finalmente indicato. L’accusa mossa a Scajola e De Gennaro è cooperazione in omicidio colposo. Un reato che però è prescritto dal 2009: cosa aspettano gli indagati a decidere, davanti al tribunale dei ministri, sezione di Bologna, se rinunciare o meno alla prescrizione. Se non rinunceranno, si archivierà. E’ ancora pensabile che DE Gennaro sia un servitore dello Stato ? E’ ancora pensabile che chi ha consumato omissioni «poste in essere in violazione dei doveri su di loro incombenti per le pubbliche funzioni rispettivamente svolte»,sia da premiare e difendere?. Scajola e De Gennaro, tra l’altro, non considerarono le relazioni dei servizi che individuavano in una figura come Biagi un obiettivo principale del terrorismo brigatista, né furono ascoltate le tante «autorevoli segnalazioni circa l’elevata esposizione del prof. Biagi al rischio di attentati». De Gennaro affermò che «al riguardo non pervennero segnali specifici, né c’erano ulteriori elementi...». Senza riferire, invece, osservano i Pm, quanto evidenziato dopo la precedente seduta del 27 febbraio 2002 del Comitato sicurezza e dei servizi ( il 15 febbraio), a proposito dei pericoli eversivi provenienti dalle Br, «che pure erano conosciuti dallo stesso ministro Scajola». È evidenziato, inoltre, il modo in cui indirizzarono in seguito al delitto l’indagine amministrativa verso organismi periferici che non conoscevano le informative dei Servizi, cercando di distogliere l’attenzione da se stessi : De Gennaro ,Presidente di Fimeccanica ,oggi è “un servitore dello Stato”? Quale Stato?
Alessandra Servidori
Una conferenza stampa surreale
Il giovane toscano , accompagnato da un Padoan molto asservito , in una conferenza stampa surreale durata ben 95 minuti ha con boriosa e a volte offensiva considerazione verso l’intelligenza degli italiani, presentato le linee guida triennali del documento di Economia e Finanza. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, dopo l'esecutivo ha detto del documento: "Non ci sono tagli e non c'è un aumento delle tasse. Capisco che non ci siate abituati, ma è così". Nel 2015 abbiamo ridotto tasse per 18 miliardi di euro: 10 dagli 80 euro e 8 dai provvedimenti sul lavoro. Dobbiamo aggiungerci anche i 3 miliardi di clausole di salvaguardia disinnescati: 21 miliardi in totale".
Sull’occupazione femminile in Italia: un declino inarrestabile e una inerzia deplorevole.
Sicuramente gli ultimi dati Istat hanno fatto sanguinare la ferita aperta della disoccupazione femminile che sta aumentando vorticosamente e per la quale anche la parte della delega del Jobs Act riferita ai tempi di lavoro sta segnando il passo in un ritardo che non si cerca neanche di colmare poiché l’inerzia del giovane toscano sulle politiche di Pari Opportunità è purtroppo evidentemente voluta. Renzi non solo si è tenuto la delega alle Politiche di Pari Opportunità mettendola in sonno, ma ha individuato una sua fedelissima deputata Giovanna Martelli, originaria funzionaria della provinciale di Mantova, che ha debuttato a NY come rappresentante del governo italiano per illustre un progetto tutto incardinato sul contrasto alla violenza alle donne (importante sicuramente ma non prioritario) non tenendo affatto conto dei problemi evidenti che come Paese abbiamo per sviluppare occupabilità giovanile e femminile. Di proposte operative per un mercato del lavoro inclusivo anche per le donne chi scrive ne ha prodotte e agite alle condizioni date, cercando alleati per poter raggiungere almeno l’obiettivo di fermare l’emorragia di posti di lavoro e di supportare gratuitamente per ben sette anni i governi che si sono succeduti, con responsabilità e passione.
Donne e lavoro: esempi deliranti di sorprese nell’uovo di Pasqua
McKinsey, una società di consulenza internazionale, ha invitato le donne iscritte all’MBA di Stanford a una seduta manicure-pedicure durante la quale venivano illustrati i vantaggi di lavorare per loro. Bain, un’altra grande società di consulenza, propone alle donne che vuole interessare una sessione di cucina a loro dedicata. Goldman Sachs, la banca d’affari, ha invece donato alle donne come cotillion dopo un evento (sempre mirato a interessare potenziali dipendenti) un sacchetto pieno di oggetti tipicamente femminili (specchietto, limetta per unghie, ecc.).
Il mostro Italicum nelle mani di Mattarella
Il giovane toscano tira la volata al suo Italicum ma, ci sono parecchi” ma”. Infatti il Presidente della Repubblica Mattarella, padre della legge elettorale che fu abrogata dal Porcellum, è anche membro della Consulta che dichiarò incostituzionale il Porcellum e dunque (anche se Renzi non lo vuole ricordare), paventando l’illegittimità dell’attuale Parlamento che ha Mattarella proprio come Capo dello Stato. Sono tra le persone che ritengono l’attuale schema spinto con forza dal renzismo, sufficientemente anticostituzionale presentando dei vizi Porcelliani. Cosa farà oggi Mattarella di fronte ad un testo che assomiglia troppo a quello bocciato da lui medesimo come giudice della Consulta? Se Mattarella lo dovesse ancora ravvisare e confermare ricordiamoci quali sono i poteri che la Carta conferisce al capo dello Stato: Mattarella potrà rimandare la legge alle Camere con un messaggio motivato, chiedendo una nuova deliberazione. Ma, secondo la dottrina prevalente, se il Parlamento dovesse riapprovare lo stesso testo, il capo dello Stato sarebbe costretto a promulgarla. E’ utile ripercorre testi alla mano sia dell’Italiacum sia della sentenza scritta dai giudici della Corte del 2014 che confermarono rispetto al Porcellum tutti i profili di illegittimità relativi alla rappresentatività delle assemblee e alla libertà di uguaglianza del diritto di volto come il più fondamentale dei diritti limitando a beneficio della governabilità. Ma con un iperpremio di maggioranza e un ballottaggio la sicurezza della maggioranza c’è e perché prevedere le soglie? L’Italicum punta ancora una volta a una semplificazione forzata del sistema politico che NON è un FINE COSTITUZIONALMENTE rilevante e bilanciabile con il voto, anzi contrasta fortemente con l’art 49 della Costituzione. Così come i capilista bloccati e le candidature plurime non rappresentano una libertà di voto mentre con il Mattarellum c’erano due voti separati quello di collegio e quello proporzionale con lista bloccata alla Camera. La legge elettorale vale per la Camera ma non per il Senato perché è un Senato di nominati e così si colpisce e si annienta il principio di rappresentanza dei cittadini e si aggrava il vizio sistemico, anche perché per la rappresentanza di genere e dunque l’equilibrata presenza non solo di candidature ma di eletti sia maschili che femminili , si profila un Parlamento di cravatte e così arriveremo ad un governo molto maschile padrone del parlamento, grazie alla ghigliottina prevista nella riforma. La Costituzione serve a limitare il potere, non a ingigantirlo a danno della partecipazione democratica. Siamo così nelle mani coscienziose del Presidente Mattarella rispettoso della Carta e dei valori che la fondano. Il capo dello Stato ha un peso inversamente proporzionale a quello dei soggetti politici e dunque siamo evidentemente in una situazione politica confusa e opportunista in cui solo Mattarella ci può salvare, bloccando l’Italicum monstre, sciogliendo le camere rimandando al voto con l’attuale sistema ovviamente corretto dalla sentenza della Corte.
Alessandra Servidori
27 marzo 2015
Renzi novello Borgia di una generazione di politici spietati
Devo confessare apertamente che Matteo Renzi ha le sembianze sia fisiche che caratteriali del romano di adozione Cesare Borgia, soprannominato il Valentino, italiano e capitano generale delle armate, figlio di un cardinale Rodrigo Borgia, poi divenuto papa Alessandro VI, e grazie alla bolla papale emanata, Cesare, ancora bambino fratello di quella Borgia che avvelenava i nemici, ottiene numerosi benefici che gli permetteranno di avere un futuro roseo. In tenera età diventa protonotario apostolico, dignitario della Cancelleria pontificia, rettore di Gandìa, arcidiacono di Altar e Jativa, ottiene la Prebenda e il Canonicato sulla Cattedrale di Valencia, diventa il tesoriere della cattedrale di Cartagèna, arcidiacono della cattedrale di Terragona, canonico della cattedrale di Lerida e ottiene la Prebenda sulla cattedrale di Majorca. La sua carriera politica grazie al Padre Papa avrà un fulgore inusitato e spietato con i suoi nemici che gli intralciavano la strada italiana fatta di conquiste di città e territori toscani e romagnoli. Quando morì il suo babbo Alessandro VI e dopo il breve Pontificato di Pio III, diventa Papa Giulio III, proveniente da una famiglia nemica dei Borgia. Il Papa, dopo avere tolto il ducato romagnolo a Cesare, lo fa arrestare e imprigionare presso Castel Sant'Angelo. Questi però riesce a evadere dalla fortezza, rifugiandosi a Napoli. Nella città campana il Valentino (così chiamato per il suo ducato di Valentinois) si riorganizza per tentare di riconquistare i territori perduti, ma presto il Papa si accorge della situazione e lo fa deportare, con l'aiuto del re Ferdinando di Aragona, in Spagna. Nel 1506 riesce nuovamente a evadere, trovando riparo in Navarra, regione controllata dal cognato Giovanni III d'Albret. Cesare Borgia muore il 12 marzo 1507, mentre tenta l'assedio della città di Viana, all'età di trentadue anni. In letteratura è inoltre noto per aver ispirato a Niccolò Machiavelli la figura della sua opera più celebre, "Il Principe”. Noi tutti lo abbiamo letto e apprezzato in giovane età il machiavellico romanzo, e oggi appare come curiosa storia molto molto attuale e quasi calata sul giovane toscano nostrano Presidente del Consiglio. Vorremmo che Renzi fosse dotato di altre virtù che non ci appaiono: concretezza saggia di tradizione politica, passione e intelligenza, voglia di fare e capire il popolo italiano, che cogliesse il clima di equilibrato sistema politico di cui ha bisogno e necessità il nostro Paese, senza estremismi ideologici, emozioni politiche arroventate vendette generazionali. Il sogno di un’era pacifica, dello smantellamento di un anacronistico duello continuo culturale che contrasta qualsiasi sviluppo economico, fatto di assalti barbarici ad un potere nefasto che porta l’Italia lungo un declino inarrestabile.
Alessandra Servidori
23 marzo 2015
La partita giocata da DRAGHI esclude la CDP ovvero la Cassa Depositi Prestiti nostrana
Oh YES! Abbiamo un problema e si sta facendo sempre più imbarazzante man mano che passano i giorni.
Il Piano di acquisto dei titoli messi in circuito dalla BCE Draghiana sta producendo un buon risultato e protegge l’Unione europea dalle ripercussioni pericolose della nuova crisi greca. E però c’è un però dolente per noi. Nell’elenco dei titoli acquistabili dalle Banche Centrali nazionali per conto della BCE non sono compresi i bond della nostra Cassa depositi e Prestiti, impegnata, su tutte le tv pubbliche private a lanciare con voce incoraggiante corroborata da un filmato accattivante, obbligazioni destinate ai risparmiatori privati che sembrano appetibili sia per i rendimenti che offre sia sul trattamento fiscale ai quali è soggetta. Le agenzie nazionali di altri paesi come la Germania con la KfW, la Spagna e altre hanno titoli privati acquistabili dalle banche centrali e sono nella lista, noi no. Perchè? Perché no. Ci viene il dubbio legittimo peraltro che la CdP nostrana sia stata esclusa per il debito alto italiano che la inchioda a subire un rating (valutazione di rischio di credito di una banca e dei prodotti da essa offerti) troppo basso; Ancora ci viene il dubbio che lo spread italiano fosse giudicato troppo differente e alto (ma in Spagna il problema non si è posto nonostante non stiano meglio) e addirittura oggi lo spread italiano è ai minimi storici. Ora ragioniamo lucidamente: se la CdP ha comunque partecipato concretamente e sonoramente con la bellezza di ben 8 miliardi al molto vacuo Piano Juncher, con esattamente la stessa cifra di Spagna e Germania, perché la nostra CdP non deve partecipare alla redistribuzione della quantità di moneta iniettata alle banche europee? Perché noi siamo sempre figli di un Dio Minore? Perché la scalpitante e ambiziosa squadra di finanzieri italiani legati ai gruppi bancari soliti noti che hanno beneficiato prima della ricapitalizzazione di Banca D’Italia e poi non si sono minimamente mossi contro i devastanti stress test di cui siamo stati colpiti lo scorso anno penalizzati ignobilmente dai colleghi degli altri Paesi? L’Italia è e rimane sotto tiro dei tecnocrati di Francoforte, l’euro scende verso la parità con il dollaro grazie ovviamente ai tassi di interesse portati a zero, gli operatori si stanno disputando freneticamente i titoli cartacei per entrare nel circolo virtuoso dei decimali di punto e la nostra Cassa depositi Prestiti NO.
Alessandra Servidori
19 marzo 2015
Il mio contributo per Marco Biagi
A tredici anni dalla morte del Prof. Marco Biagi, per onorare a modo mio il suo ricordo, vado oltre il patrimonio prezioso di lavoro che ci ha lasciato, ancora oggi, sovente con stanche retoriche strumentalizzazioni, accade ancora che c’è chi a tutti i costi affianca i gli studi e le proposte di eccellenza del mio amico, senza nessun scrupolo morale, alle riforme che vengono messe in campo. Non proprio in sintonia con le sue proposte e la sua lungimirante competenza. Ricordo Marco chiedendomi anche in nome suo cos’è la Giustizia, quale giustizia alberga nel cuore di una società. Con tredici anni chiusi dai chiavistelli e calati a piombo sulle spalle, la mente ritorna agli anni affondati nella storia trascorsa blindata di chi in catene, sconta la pena accertata, di altri che mi auguro sentano almeno il peso della colpa di aver lasciato solo Marco, assassinato barbaramente dalle brigate rosse. Sono percorsi anni e frammenti di vita che non vanno nascosti, né manipolati, che però a me personalmente hanno reso trasparente il cammino da fare, quella mutazione possibile, accettabile, che invita le persone ad andare incontro a una intera società che vuole giustizia e non vendetta. Quando la Giustizia è lontana, non c’è richiamo o fronda che possa risvegliarne equità e umanità, è distanza di ogni giorno, a ogni grido di aiuto inascoltato, di ogni diritto annullato, anche solo per una frazione di secondo, nella frazione di uno sparo. Giustizia è un valore che non può rimanere fuori dall’uscio di noi che rimaniamo, delle famiglie private dei loro cari, neppure all’interno di una istituzione chiusa e refrattaria alla trasparenza, la giustizia dovrebbe essere assunta come obiettivo da perseguire pervicacemente per chi rimane , facendoci schierare apertamente dalla parte di chi non vede riconosciuti i propri diritti fondamentali, cercando di comprendere e sostenere chi è calpestato quotidianamente nei propri diritti e chi nasconde vigliaccamente fin’anche i propri doveri di verità collettiva e individuale. La Giustizia non è una parola da intendere a proprio piacimento, neppure paravento di una qualche e più grave ingiustizia come il permettere che tutti i colpevoli di un servitore dello Stato non rispettino la dignità di famiglie lasciate sole, una giustizia deve essere radice autorevole per ciascuno, perché consegna rispetto alla vita di chi rimane e di chi non si rassegna al silenzio omertoso di coloro che erano 13 anni fa e sono rimasti ancora colpevolmente nascosti.
Alessandra Servidori
17 marzo 2015
Cronaca di una emancipazione negata: il rito consumato a NY
Venti anni. Sono passati 20 anni e siamo ancora alle celebrazioni di quella Conferenza a Pechino che nel 1995 spalancò la speranza di un mondo consapevole dei diritti delle donne. Ma ad un ventennio di distanza, all’Onu si apre la 59a sessione della Commissione sullo Status delle donne, formalmente come un rito stanco si legge l’approvazione di una Dichiarazione politica mondiale. In platea le donne del potere in tribuna, recinto per le rappresentanti delle organizzazioni, un atto forte: si alzano e si mettono una mano sulla bocca per denunciare che la Dichiarazione è stata scritta dagli Stati membri delle Nazioni Unite senza il loro contributo, dimenticando volutamente quello che lo stesso Segretario dell’Onu, Ban Ki-Moon ha dichiarato, quello che anche da noi in Italia per farci stare zitte dicono i Presidenti: le donne sono le agenti del progresso e del cambiamento. Posso dire come testimone attiva che allora fu una Dichiarazione coraggiosa e progressista per la promozione dell’eguaglianza di genere e dei diritti umani di donne e ragazze e venne approvata quella Piattaforma d’azione, puntuale e completa che indicava 12 aree critiche su cui impegnarsi. Non senza ovviamente alcuni compromessi che sapemmo adottare intelligentemente poiché di politica si tratta e si trattava: le resistenze per impegnarsi ad un programma concreto verso la parità di genere, ancora oggi anche in Italia, ma soprattutto in Africa, in Russia, in Arabia Saudita, India, Indonesia, con tratti sicuramente differenti, è ancora molto molto impervio. Intanto in questi anni il fondamentalismo religioso, oggi più che mai, la cultura maschilista dura ad essere sostituita dalla condivisione del rispetto reciproco tra donne e uomini nell’assunzione equilibrata della diversità, le disuguaglianze tra paesi mettono le giovani generazioni di ragazze e di donne di fronte a situazioni e sfide durissime di stupro quotidiano dei diritti umani. Di questa realtà nulla nella Dichiarazione letta nel marzo 2015, nulla sui diritti sessuali e riproduttivi, sparito il ruolo delle organizzazioni delle donne che difendono i loro diritti umani e del tanto impegno diffuso: la violenza politica sulle donne denunciata più volte anche da donne importanti che agiscono il potere come Merkel.Clinton,Lagarde, sparita, sostituita da una blanda e inutile Dichiarazione che si limita a riconoscere che il progresso è lento e diseguale e che a venti anni dall’approvazione della Piattaforma d’azione di Pechino nessun paese ha ancora raggiunto l’eguaglianza e l’empowerment delle donne e ragazze che continuano a sperimentare molteplici forme di discriminazione, vulnerabilità e marginalizzazione durante l’intero ciclo della loro vita. La Dichiarazione chiede ancora una volta stancamente, l’implementazione di leggi, politiche, strategie e programmi per donne e ragazze e un rafforzamento dei meccanismi istituzionali per la parità, la trasformazione delle norme discriminatorie e degli stereotipi di genere nonché la promozione di norme sociali e pratiche che riconoscano il ruolo positivo e il contributo delle donne. Chiede inoltre che si eliminino la discriminazione contro le donne e le ragazze, mobilitando le risorse necessarie e rafforzando l’impegno e la accountability dei Governi, la raccolta di dati, il monitoraggio e la valutazione e l’accesso e l’uso delle nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione. Ancora e sempre chiede da vent’anni chiede inutilmente inascoltata perché la politica osteggia evidentemente, quando va bene paternalisticamente infilando nei posti di potere donne che possono garantire la fedeltà, diversamente osteggiando l’intelligenza e il talento. La forte leadership da parte dei nostri governi per la realizzazione dell’eguaglianza di genere, l’empowerment e l’affermazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze chi la vuole? Chi vuole veramente mettere in atto politiche per il lavoro delle donne per dare loro la concreta possibilità di entrare e restare nel mercato del lavoro, di essere “agenti e protagoniste dello sviluppo e dell’economia”, come, sapendo di mentire, si riempiono pagine e pagine di programmi rimasti sulla carta?
Alessandra Servidori
14 marzo 2015
PROGETTO GARANZIA GIOVANI: accettare gli sbagli e non negare l’evidenza. Cronaca lucida di una delusione
Dal 1 maggio 1014 al 5 Marzo 2015 le registrazioni sono state 441.480: è il valore corrisponde alla somma progressiva da quando è nato il Progetto Garanzia Giovani. Nella prima settimana di marzo sì è registrato un lieve incremento settimanale, ma è bene sottolineare chele registrazioni rappresentano il numero di giovani che aderiscono al programma, ma non la presa in carico che è cominciata dal primo ottobre 2014, e dunque è con estrema lucidità che dalla registrazione/adesione al processo di presa in carico dei giovani da parte dei Centri per l’Impiego e il rapporto delle aziende, il risultato è comunque molto deludente. Degli oltre 2 milioni di interessati, solo appunto 441,480 si sono registrati e appena 12mila hanno ricevuto un'offerta di lavoro o formazione. Ricordiamoci bene che è un progetto di respiro europeo, rivolto a quei Paesi con una percentuale di giovani senza lavoro superiore al 25% (in Italia è al 42%), su cui Bruxelles ha investito 6 miliardi di euro: 1,5 solo per il nostro Paese. I fondi in Italia sono stati distribuiti in base al tasso di disoccupazione delle diverse aree geografiche, affidando alle Regioni, che controllano il sistema dei servizi per il lavoro, la definizione e la realizzazione delle misure da adottare. Sono stati coinvolti i giovani che non studiano né lavorano, i cosiddetti Neet, di età compresa fra 15 e 29 anni (nello schema comunitario il meccanismo è previsto per gli under 25). Per sensibilizzare gli Stati coinvolti nel piano, il 22 aprile 2013 il Consiglio della Ue ha inviato loro una “Raccomandazione” che prevede, ad esempio, l’identificazione di un’autorità pubblica incaricata di istituire e gestire il sistema di garanzia, lo sviluppo di partnership tra servizi per l’impiego pubblici e privati e il potenziamento dell’apprendistato come forma contrattuale. Peccato che in Italia il meccanismo non stia funzionando. Complici i ritardi nell’attuazione del piano da parte degli enti locali, di un sistema incancrenito di formazione e l’assenza di un’efficace struttura di coordinamento, poiché solo una minima parte dei giovani iscritti al piano (tramite un portale dedicato), che entro 4 mesi dall’inizio della disoccupazione o dal termine degli studi avrebbero dovuto iniziare un’esperienza lavorativa, un tirocinio o uno stage, ha tratto reale beneficio dalla Youth Guarantee. Nome accattivante del Progetto che ha messo in moto delle giuste aspettative da parte dei giovani ma che sono progressivamente andate a infrangersi sulla maledetta burocrazia e inerzia. Abbiamo approfondito lucidamente e i risultati studiando il monitoraggio istituzionale e non affidandoci a percezioni e non sono allo stato lusinghieri e anzi è diffusa, tra i giovani prima ancora che tra gli esperti l’opinione pubblica, che si tratti di una occasione perduta, delle politiche del lavoro in Itali che soffrono di lacci e lacciuoli anche figli di una mala politica del lavoro. Le cifre appunto parlano da sole non sono una opinione sono dei fatti. Vediamo insieme: la percentuale dei giovani che, una volta presi in carico dai servizi competenti, ha ricevuto una qualche forma di risposta in termini di lavoro o di stage: 3%. Su un bacino stimato dal governo di 2.254.000 giovani italiani che non studiano e che non lavorano, 1.565.000 se consideriamo il target scelto per il piano, solo 441,480 hanno infatti aderito al piano ‘Garanzia Giovani'”. Di questi solo 160.178 risultano essere stati effettivamente contattati per un primo colloquio. Mancano dunque all’appello ancora tanti giovani, la stragrande maggioranza dei quali iscritti da oltre, molto oltre, 4 mesi al programma. Quindi dei 160.178 giovani contattati dopo la registrazione al progetto “solo 12.273 hanno poi effettivamente ricevuto un’offerta di lavoro, di stage o di formazione”. Il 3%, appunto. L’Italia non ha rispettato le linee guida della “Raccomandazione” dell’Unione europea, a partire dalla mancata creazione dell’autorità pubblica di coordinamento ed è ancora in attesa di una annunciata riforma dei servizi pubblici per il lavoro , affidando il compito di coordinamento delle azioni di “Garanzia Giovani” ad una tecnostruttura pubblicistica denominata “struttura di missione” che ha cessato le sue funzioni il 31 dicembre 2014 senza che l’annunciata riforma dei servizi per il lavoro abbia preso effettivamente avvio e senza che siano stati nominati ad interim altri soggetti. E’ evidente allo stato attuale, nel nostro Paese il ruolo di coordinamento del programma non è in funzione. L’altro ostacolo oggettivo e obiettivo, è rappresentato dalle Regioni. In molte di queste, soprattutto in quelle con i più alti tassi di disoccupazione e dispersione giovanile, la “Garanzia Giovani” “non è ancora neppure partita rivelandosi al più occasione per convegni e per l’apertura di nuovi siti internet pubblici che non funzionano e non mettono in contatto domanda e offerta di lavoro. In Sicilia, addirittura, il bando è stato aperto e poi subito ritirato sollevando dubbi sulla trasparenza delle procedure adottate nell’erogazione dei finanziamenti. E anche nei casi “virtuosi” non mancano le criticità. In Veneto ed Emilia Romagna, le Regioni che si sono sempre distinte per l’attenzione alla disoccupazione, si registrano importanti ritardi e discrezionalità sulle procedure. Ragazzi che hanno iniziato a settembre attendono ancora la liquidazione della prima indennità mensile, oppure confusioni sull’apprendistato, individuato come principale leva di placement dalla Raccomandazione europea, viene investita solo una percentuale residuale delle risorse a disposizione e le procedure previste per il finanziamento di questa tipologia contrattuale sono spesso insopportabilmente barocche e repellenti piuttosto che attraenti. Infatti il contratto a tempo determinato è la tipologia maggiormente ricorrente tra le offerte caricate nel portale (74%), la maggioranza delle quali non incide sui settori indicati come prioritari dall’Europa – mentre tirocinio e apprendistato occupano le ultime due posizioni (8% e 2%). Il governo, anche se in ritardo ha deciso di intervenire con due decreti per cercare di rimediare: il primo per correggere l’attuale sistema di “profilazione” dei giovani, il secondo per allargare il bonus anche ai contratti a termine (di durata inferiore a 6 mesi) e a quelli di apprendistato. Ma non siamo così sicuri che porteranno benefici perché è la macchina che è ferma e non ha meccanici operosi in grado di rimetterla in moto. E intanto ai nostri giovani non diamo risposte, neanche dalla parte dell’istruzione, che è tutto meno che buona e non lo sarà neanche con il decreto appena varato dal CDM. Ma a questo dedicheremo un bell’approfondimento anch’esso lucido e leale.
Alessandra Servidori
13 marzo 2015
7 marzo al Quirinale
Un 7 marzo al Quirinale anticipando l’8. Sono soddisfatta di aver partecipato perché è uno strano mondo ingessato quello che ho visto stamane, molto simile agli altri anni, ma comunque diverso, quasi insofferente, per il clima che si è respirato, e che mi ha confermato le mie opinioni. La cosa più gradevole : una scoperta confortante nel Presidente Sergio Mattarella, sobrio ed essenziale nel suo rigore umano e istituzionale, nel suo ricordare che la democrazia paritaria è l’essenza della responsabilità politica ed economica e le italiane sono il volto della coesione sociale.
Fa piacere sentire valori così condivisi e potergli stringere la mano, e ringraziarlo personalmente. Perché, signore mie, la platea era sempre quella, ministre e ministri in prima fila, donne delle professioni, donne della comunicazione, donne e anche qualche colletto grigio maschile, gran commis. L’intervento più maldestro quello del Ministro dell’ambiente Galletti , che si è persino sbagliato a leggere quel che gli avevano scritto.
E non è il profumo delle mimose che ci consola . Siamo di fronte a ritardi insopportabili nell’evoluzione del Paese e delle sue istituzioni, inchiodate e inchiodati ancora nella Prima Repubblica, con i suoi riti , con ancora quel paternalismo che decapita l’entusiasmo e la speranza delle donne che credono ancora di poter essere protagoniste di un modello politico di sistema funzionale all’Italia, con una riforma Costituzionale sbagliata già nel Senato, che non rimedia di per sè le disfunzioni parlamentari e che sta per essere partorita malamente .
E ancora il Jobs act che va conosciuto a fondo, perché nel suo complesso ha delle contraddizioni che vanno approfondite e valutate, con grande attenzione perché oltretutto non sarà in grado di riassorbire da solo la disoccupazione e togliamoci dalla testa che spinga da solo la crescita economica. E per fortuna che abbiamo Draghi che ci ha salvato : ma dobbiamo salvarci anche dal populismo sia della sinistra che del centrodestra. La politica italiana non ha ancora trovato un equilibrio stabile e una modalità che renda efficace le istituzioni attraverso cui si esprime non avendo ancora dimostrato di autoregolarsi e rinnovarsi.
DRAGHI ha fatto una operazione straordinaria ci ha messo a disposizione una opportunità di ripresa economica ma se non sapremo prenderla al volo ripiomberemo nel lungo declino e nella drammatica fase recessiva. Renzi nel suo bulimico potere accampato a Palazzo Chigi , senza Ministri che contano e decidono, sta cercando un assetto durevole, ma le italiane e gli italiani non sopportano più uno stop and go” delle larghe intese” alternato “al tutti contro tutti”.
Il decisionismo di Renzi non può essere fine a se stesso, così come il merito dei provvedimenti che si prendono (o vogliono prendere) non è indifferente. Ma, soprattutto, è un errore imperdonabile pensare di poter fare a meno della ridefinizione del sistema politico, e delle regole che lo governano, e dalla preventiva ristrutturazione della macchina amministrativa di palazzo Chigi e dei ministeri. Ecco alle donne della Repubblica Italiana bisognerebbe riconoscere il diritto di avere un Governo che Governa in questa prospettiva. Anche dopo l’8 marzo.
Alessandra Servidori
Un 8 marzo guardando avanti
Analisi sincera e lucida del documento COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT 2014 Report on equality between women and men- (allegato )
La strategia “Europa 2020” stabilisce l’obiettivo strategico di una crescita intelligente, sostenibile e socialmente inclusiva, basata su alti tassi occupazionali e sostenuta da coesione sociale e territoriale. Queste priorità vengono declinate secondo obiettivi quantitativi da raggiungere entro il 2020, tra cui rilevanti l’obiettivo di un’occupazione al 75% della popolazione di età compresa tra 20 e 64 anni, la riduzione di 20 milioni del numero delle persone che vivono a rischio di povertà e esclusione sociale, la riduzione del tasso di abbandono scolastico dall'attuale 15% al 10% e l’aumento dal 31% al 40% della quota di giovani 30 -34enni laureati. Non crediamo di essere severe se ancora oggi in piena crisi economica non ancora superata la dimensione di genere è decisamente carente nella strategia Europa 2020. Non solo manca un riferimento esplicito alla prospettiva di gender mainstreaming ma, diversamente da quanto stabilito nella precedente Agenda di Lisbona, manca anche un obiettivo occupazionale disaggregato per sesso e, dunque, l’obiettivo quantitativo di occupazione femminile da raggiungere entro il 2020. Diversamente negli orientamenti per le politiche occupazionali, contengono, invece, la raccomandazione di integrare la parità di genere in tutte le politiche e più precisi riferimenti alle misure per le donne Questi orientamenti raccomandano agli Stati di incrementare la partecipazione al mercato del lavoro e l’occupazione femminile, di ridurre il divario salariale di genere e la segmentazione del mercato del lavoro e di migliorare la formazione professionale delle donne nei settori scientifico, matematico e tecnologico.